LE CROCIATE E LA CRISI DI LEGALITA'




Claudio Alemanno



Le cose lunghe diventano serpi. Quest'antico proverbio suggerisce qualche riflessione. Negli ultimi vent'anni tra sovranità nominale e sovranità reale si sono instaurate in Italia vaste zone franche dove si sono inseriti con forti poteri decisionali soggetti diversi dall'Ente Stato: partiti, sindacati, movimenti d'opinione, ecc. Il declino dei poteri dell'Esecutivo combinato con l'aumento del tasso di criminalità ha sovraesposto il fronte giudiziario che ha vissuto le sue responsabilità d'istituto in un clima di populismo e giacobinismo contrapposti. Ciò ha compromesso e deteriorato la qualità del servizio. La forbice tra giustizia celebrata e giustizia praticata si è talmente ampliata da generare nei cittadini stati d'animo poco rassicuranti, di smarrimento, paura, rabbia e insoddisfazione.
La classe dirigente è dunque condannata ad innovare, a produrre un nuovo modello di giustizia ordinaria che risulti credibile e accettato dalla Società civile. Il dilemma che si pone è se i riformatori di cui disponiamo siano anche avveduti innovatori. E' un dilemma che non ha respiro corto interessando i costituenti di oggi e gli interpreti di domani.
Un imperativo morale di Marx torna di attualità. Bisogna evitare che il morto afferri il vivo! Sulla questione giudiziaria è dunque arrivato il momento delle verifiche. Si deve capire se c'è una classe dirigente viva e autorevole, capace di guadare tutte le rapide che si presentano sul suo cammino (le micro e macro corporazioni sono molto attive) per approdare con determinata convinzione nel bacino di utenza delle democrazie occidentali mature.
Questo interrogativo pregiuridico circola da tempo nei convegni di studio, nelle stanze del potere e nelle aule parlamentari. C'è in giro tanta voglia di fare e di trasformare, ma quando qualcuno si muove lascia impronte sulla sabbia. Quando si tratta di volare alto l'inerzia timorosa di Don Abbondio prevale sull'audacia decisionista di fra Cristoforo.
Com'è noto, il grigio non si addice alla toga. Ogni sistema giudiziario è figlio di una dottrina dello Stato dirigista o democratico-liberista. Occorre dunque sconfiggere il partito del pinzimonio e fare una chiara scelta di campo, tenendo presente che il processo di revisione delle normative vigenti richiede in ogni caso un'opera parallela di vasto e paziente dissodamento culturale. La terziarietà del giudice su cui tanto si insiste esige ad esempio un bilanciamento necessario nell'assunzione di ruoli, responsabilità e profili nuovi per avvocati e organi inquirenti.
Un dato è certo. L'Italia di oggi non è più quella di Crispi, Giolitti, Salandra, Rocco. Codici e organizzazione dei servizi giudiziari concepiti per un'Amministrazione dello Stato centralista e autarchica hanno bisogno di riforme che non siano più nominalistiche, che non assicurino l'effetto placebo al quotidiano processuale gestendo con piglio missionario solo l'emergenza provocata da terrorismo, mafia e corruzione politico-affaristica (le nicchie meglio radicate dell'Antistato).
Lo spirito europeo e l'internazionalizzazione dell'economia hanno fatto crescere la voglia di democrazia. La sfida al potere costituito ha superato il tema classico della protesta legata alle rivendicazioni salariali investendo la sfera delle questioni politico-istituzionali. E' cresciuto nei cittadini il tasso dell'autodeterminazione, della partecipazione diretta (non sempre e comunque delegata) ad ogni espressione di governo istituzionale.
Sotto il profilo giudiziario queste nuove istanze della Società civile pongono a carico dei riformatori serie responsabilità nella ricerca di meccanismi che rendano compatibili il momento tecnico-giuridico con la partecipazione e il controllo esercitati direttamente dalla volontà popolare.
C'è la necessità di rimuovere la logica astratta e bizantina che dietro dotte argomentazioni giuridiche spesso nasconde una consapevole o inconscia vocazione elitaria. C'è bisogno di semplificare gli schemi processuali per produrre giustizia in tempi reali. Un passaggio delicato riguarda i percorsi formativi e selettivi che dovranno essere messi a punto e valere per tutti gli operatori del diritto, giudici e avvocati in primo luogo.
Particolare attenzione va anche riservata alla proiezione europea del sistema. Si sente ripetere spesso che la vocazione unitaria non può restare circoscritta al recinto della moneta e degli affari. In tal caso un autorevole governo europeo deve elaborare direttive sulla giustizia che diano impulso alle normative nazionali di diritto sostanziale e processuale per la ricerca di criteri tendenzialmente omogenei.
Sarebbe un'esercitazione importante per l'Europa federata e la separazione dei poteri. Non è casuale che tra i tanti Comitati operanti presso le Bar Associations americane resti ancora autorevole e attivo un Comitato per l'unificazione legislativa. La stessa libera circolazione ora riconosciuta agli avvocati e ad altri professionisti e l'idoneità ad aprire studi e operare in Paesi europei diversi da quello di residenza restano scatole vuote perché imbrigliate in legislazioni nazionali molto diverse tra loro. Per gli avvocati le prime difficoltà sorgono sotto il profilo soggettivo. La formazione, il tirocinio e la stessa abilitazione all'esercizio della professione seguono percorsi molto differenti. In Inghilterra e Irlanda, ad esempio, non è obbligatoria la laurea in giurisprudenza essendo previsti percorsi di formazione alternativi.
Sul tema della giustizia si riflette dunque un complesso quadro istituzionale in movimento che va considerato nella sua globalità quando si pone mano ad un progetto nazionale di riforma disposto per gestire una Società che manifesta chiare tendenze autonomistiche unite ad aspettative di consolidamento dell'impegno europeo.
In attesa che l'Europa si qualifichi come soggetto politico dando originalità, contenuto e spessore alla sua dichiarata vocazione democratica, l'unico modello che la storia ci offre e che presenta qualche analogia di percorso è quello degli Stati Uniti.
"La legge - sostiene Alan B. Morrison della New York University School of Law - è troppo importante per essere lasciata nelle mani degli avvocati, come la guerra è troppo importante per essere lasciata nelle mani dei generali". Il richiamo alla necessità di una pluralità di soggetti sempre attivi nel controllare e definire il continuo processo di adeguamento della legge alla Società civile è palese e sottolinea la funzione garantista esercitata dal momento dialettico nel metodo democratico utilizzato dal sistema americano.
Questa disponibilità a confrontarsi continuamente sulle leggi e nei processi si trova anche nel momento formativo, nel mondo universitario. La New York University School of Law inserisce annualmente nei suoi programmi di studio almeno venti professori stranieri provenienti da diverse aree del mondo.
Il metodo dialettico che caratterizza l'essenza della democrazia americana fa sì che nel primo stadio dell'impegno legislativo vi sia un coinvolgimento diretto della Società civile attraverso associazioni, fondazioni, centri di ricerca e quant'altro possa dare voce e supporto autorevoli all'opinione della gente. Tale metodo è praticato in tutta l'area del "common law". La legge in questi ordinamenti dev'essere appunto "common", deve esprimere e rappresentare il comune sentire delle genti (a differenza dei sistemi giuridici dell'Europa continentale definiti di "civil law", saldamente ancorati ai princìpi del diritto romano e quindi al primato della legge del principe).
Non è di scarso rilievo che le fonti primarie del sistema giudiziario in regime di "common law" non siano tanto riconducibili al momento legislativo quanto ai criteri di opportunità e di equità utilizzati dal giudice. I primi elementi di questo modello giudiziario si trovano nella Gran Bretagna del tardo Medioevo ed esprimono una sintesi di esperienze diverse; le regole di convivenza in uso presso le popolazioni anglosassoni e le procedure di governo utilizzate dagli Anglo-Normanni insediati nel Nord della Francia (la stessa Magna Carta del 1215 è parte essenziale della common law tradition).
Le attuali tecniche processuali risalgono invece al modello giudiziario che fu perfezionato molto più tardi (alla fine del '700) sempre in Gran Bretagna ad opera di un gruppo di avvocati autorevoli (the Bar) che godevano grande prestigio presso i giudici e la popolazione.
Da allora l'interpretazione della legge e la condotta processuale sono andate evolvendosi attraverso un dialogo serrato tra giudici e avvocati (questo momento dialettico è assente o poco rilevante nei sistemi di "civil law" dove l'avvocato è parte di una procedura ampiamente gestita dal giudice).
Il rispetto per il patrimonio ideale rappresentato dalla tradizione e dal costume popolare resta ancora oggi il nucleo centrale che ispira ogni forma di attività giudiziaria espletata con i procedimenti di "common law".
Il richiamo a questi ordinamenti, a quello statunitense in particolare, non è casuale. Esso avvalora la tesi che un modello processuale non è mai neutrale ma deriva da precise scelte fatte in sede d'impianto costituzionale. Le pagine migliori di una democrazia in fondo vengono scritte ogni giorno nelle aule giudiziarie.
Von Hayek, tuttavia, ci ha messo sapientemente in guardia spiegandoci come una concezione liberista in economia può coincidere con un'idea autoritaria dello Stato. Sono quindi i contenuti, non le etichette, a qualificare il grado di democrazia del modello processuale prescelto.
Sulla questione giustizia si gioca in Italia la credibilità della classe dirigente di oggi e di domani. Non sappiamo quanto i politici ne siano consapevoli, ma certo non possono più utilizzare con profitto la regola principe della politica "ancien règime": vedere tutto, tollerare molto, correggere una cosa alla volta. Nelle condizioni attuali i comportamenti dilatori alimentano nel migliore dei casi autonome forme di difesa affinando virtù private e vizi pubblici. Le cose lunghe, dicevamo all'inizio, diventano serpi.
Concetti semplici ma essenziali come la presunzione d'innocenza, la parità dei diritti tra accusa e difesa, la compatibilità tra esigenze processuali e informazione escono fortemente logorati dai processi di emergenza e richiedono interventi di struttura che devono dare alla Società civile un messaggio chiaro, un'indicazione netta sul cammino futuro della nostra democrazia.
Tony Blair in un recente convegno del sindacato laburista ha fatto agli inglesi una solenne promessa. Con la mia politica, ha detto, non vi porterò ad essere i più potenti poiché ciò è storicamente impossibile, vi porterò invece ad essere i migliori. Purtroppo nella classe di governo italiana non si vede un impegno morale di questo spessore.


NOTA BIBLIOGRAFICA
Le notizie sugli ordinamenti di "common law" e le loro origini sono tratte da Fundamentals of American Law, New York University School of Law Foundation, 1996.


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