La morsa delle diseconomie




Mabel



La Calabria in particolare e il Meridione d'Italia in generale occupano le prime pagine dei giornali e l'apertura dei Tg pubblici e privati solo per i fatti di cronaca nera, criminalizzando gli abitanti di quelle zone. Non una sola parola sui problemi reali di quella gente e sulle disfunzioni che ogni giorno angustiano quei cittadini. Perché non porre attenzione, per esempio, alla Sibaritide, dove il territorio è tutto militarizzato e occupato dalla malavita organizzata? Perché non si accenna all'assenza totale dello Stato, per cui i cittadini sono in balia completa di bande di criminali? Perché così poca attenzione da parte dei media nazionali e dello Stato ai problemi di quei cittadini?
Pasquale Soliano - Milano

L'annuncio che lo Stato offre un'indennità di 800 mila lire al mese ai giovani disoccupati disposti a trasferirsi al Nord per lavorare mi trova completamente dissenziente. Lo Stato ha il sacrosanto dovere di non far morire, come si sta facendo, le industrie del Sud. A Reggio Calabria - e io sono reggino - esistono le O.Me.Ca. (Officine Meccaniche Calabresi), capaci di ospitare 4.000 operai. Ne lavorano poche centinaia. Da quelle officine escono vetture ferroviarie costruite in piena regola d'arte, molte delle quali sono state destinate, con successo, al percorso sotto la Manica. Le commesse che le O.Me.Ca. ricevono da parte del patrio governo sono sempre più misere e deludenti, e ciò penso perché bisogna favorire altre industrie del Nord. Sempre a Reggio Calabria - a sud dell'aeroporto - è stata costruita molti anni addietro un'imponente fabbrica - con tanto di porticciolo - per la Liquichimica. Mai entrata in funzione! E' lì ad arrugginirsi al sole. Perché?
Dino Catanzaro - Milano

In Sardegna sono necessarie quattro ore e 37 minuti, a scanso di ritardi, per compiere km. 287 da Olbia a Cagliari: il tutto a bordo di un treno diretto. In Sardegna un treno formato da quattro vagoni è un evento straordinario, la linea elettrificata un'utopia, l'Inter-city un sogno. In Sardegna ci troviamo a viaggiare trainati da motrici che nel resto d'Italia, ne sono sicuro, sono state già rottamate da tempo.
Sebastiano Bugs - Nuoro

Ho letto con interesse l'articolo intitolato "Ora emigrano i migliori, restano i pigri". Per mia esperienza, debbo purtroppo contraddire la vostra analisi. Mi sono trasferito al Nord con la mia famiglia, circa due anni fa, dopo aver letto un articolo simile al vostro che spiegava come al Nord mancasse manodopera e per questo si assumessero tantissimi extracomunitari. Maledico il giorno in cui lessi quell'articolo e ogni volta che ne leggo uno nuovo mi viene il sangue agli occhi. Ecco la mia situazione: stipendio di 1.800.000; casa più spese condominiali 1.300.000; un kg di pane costa 5.800 lire; il nostro nucleo familiare: marito, moglie, due figli (uno fa le elementari, l'altro il liceo scientifico). Con la stessa cifra, al Sud, si vive da nababbi. Al più presto ritornerò nella mia città d'origine a fare l'abusivo, evaderò il fisco, sfrutterò lo Stato assistenziale e aspetterò l'aiuto del parroco per una raccomandazione. Per favore, non scrivete più articoli come questo, per non scatenare deportazioni di massa e non creare illusioni a persone che hanno una famiglia sulle spalle; a meno che non si voglia farli dormire sotto i ponti e farli mangiare con l'assistenza della Caritas.
Giuseppe Glorioso - Modena

 


Tre lettere da Il Giornale (quotidiano sicuramente non vicino agli interessi del Sud, e una - l'ultima - da Panorama: tre fra le tante che denunciano il malessere meridionale (e dei meridionali), di fronte al quale la politica "nazionale" altro non sa opporre che ricette contraddittorie e ipotesi precotte, identiche nelle intenzioni, opposte negli ingredienti, con "conferenze sullo sviluppo" che non si svolgono, con iniziative che non si prendono, con coordinamenti che non si fanno, per la semplice ragione che siamo ancora - come sempre - nella fase di titaniche promesse, di insopportabili polemiche, di nana volontà politica. Si reinventano cerotti para-assistenziali in tempi di mercato e di liberalizzazioni. Forse si percepisce la situazione di un Sud irredimibile, scaraventato per sempre nel baratro del sottosviluppo, incapace di trarsi dagli stracci del passato. Di qui, il tragicomico uso delle aspirine, mentre per curare le patologie si sarebbe dovuto metter mano da gran tempo agli antibiotici.
Pezzi di Stato lanciano inutili allarmi: dalle Procure al Consiglio superiore della magistratura, all'Arma dei carabinieri. Il Sud è il nostro Far West. Nessuno ha un trasalimento. Lo Stato è indifferente. Si conoscono nomi, cognomi, indirizzi dei capicosca delle quattro mafie meridionali, ma nessuno va a chieder loro conto delle ricchezze accumulate, delle attività che le producono, dei collegamenti con la politica e gli affari. Il Sud va tenuto nella morsa dei cartelli del crimine, dell'insicurezza diffusa, della diseconomia. Il tutto intriso nel sale amaro di ragnatele di lacci e di legacci burocratici, di asfissianti cortine di carte, di attese, di ipocrite rassicurazioni.
Un esempio per tutti: il capo di un'associazione di piccole e medie imprese, Tonino Mariani, ha raccontato che una nave della loro società è rimasta ferma nel porto di Napoli per due mesi, perché un cane aveva il mal di pancia: il cane antidroga addetto all'ispezione dei containers, insomma, era indisposto. "Problemi di recupero dell'unità cinofila", è scritto con ineffabile prosa negli atti ufficiali. Vicende inverosimili, lontane anni luce dalle snelle e veloci regole del Mercato globale, sul quale si giocano i destini delle economie. Chi perde tempo e opportunità è buttato fuori. A scacciare il Sud è sufficiente, per l'italica burocrazia, un cane annusatore "ammalazzato", che poteva essere sostituito in giornata con uno proveniente da Fiumicino, se non da Capodichino.
Si deve capire - se si vuol capire - un concetto, una buona volta per tutte: chi è abituato a ottenere subito e bene ciò di cui ha necessità per impiantarsi e produrre e creare occupazione non sopporta l'avvinghiamento delle procedure infinite, il salasso delle attese inutili, l'incertezza programmatica, la mancanza di strade, di reti fognanti, di collegamenti. Non può temere di "fondare" la propria impresa in un'area e ritrovarsela accerchiata dalle case abusive, dal degrado urbano, dalle scorribande delle cosche, dalla tracotanza violenta del racket. Ovunque, nel resto d'Italia, il "detto e fatto" è una regola salutare, normale, perché applica impegno, tenacia, libertà nella sicurezza.
Tutte le immagini patinate, e impraticabili, di "agenzie", "neo-Iri", "fotocopie della Cassa per il Mezzogiorno" e quant'altro lasciano il tempo che trovano. Sono inganni di modelli, visioni parziali tattiche, perché perpetuano i dualismi. Nello spazio d'un mattino s'impolverano, sgualciscono, non possono smuovere l'impasto di diffidenze, luoghi comuni, pregiudizi esterni, e le autentiche ragioni meridionali votate al pessimismo che si dispiegano nelle analisi più rigorose. Piaccia o no, si deve porre mano a un progetto urgente che punti su tre capisaldi sui quali fondare un'autentica prospettiva: infrastrutture, ordine pubblico, formazione. Con cantieri, progetti, fondi. Tutto il resto è vanitosa retorica, esiziale perdita di opportunità.
Che cosa volete che importi al Sud la storia delle 35 ore di lavoro al 2001, se i meridionali sono senza lavoro oggi, e sicuramente lo saranno anche per quella data? Che significato ha nel Sud la "mobilità", che poi significa libertà di licenziamento, se i meridionali sono licenziati fin dalla nascita? Che senso ha il dibattito sulla "flessibilità salariale", se chi lavora nel Mezzogiorno già percepisce molto meno di chi lavora nel Nord? Che sia una follia non rendersi conto di tutto questo, è un fatto certo. Come è un fatto certo che, mentre i cambiamenti economici prodotti dalla nuova realtà europea fanno sì che con sempre maggiore urgenza le questioni di una società complessa chiedano alla politica risposte concrete, c'è il rischio che la politica "nazionale", e tutto ciò che è pubblico, perdano vertiginosamente di credibilità e di legittimità, a mano a mano che dimostrano di non saper dare quelle risposte; e di più, di esser costrette a rincorrere affannosamente la società e i suoi legittimi bisogni, perché le istituzioni non sanno più governarli, anticiparli, risolverli. Allora, ci sarà mai un futuro per il Sud?


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