Prospettiva zero




Franco De Jorio



La lezione della storia non è generosa con i Paesi che hanno accumulato enormi debiti pubblici. Come per le patologie molto gravi, la convalescenza non è stata quasi mai indolore, e gli esempi di guarigione, per così dire, soft, si possono contare sulle dita di una sola mano. Difficile fare profezie per l'Italia. Forse - almeno ci auguriamo - l'Italia sarà uno di questi casi, visto che il superministro per l'Economia, Ciampi, ha presentato un piano per dimezzare le passività dello Stato in dieci anni. Certo, l'esperienza ci racconta esperienze più complesse: venir fuori dal tunnel della finanza incontrollata ("allegra", si dice) in poco tempo non è stato mai facile.
Mussolini, per esempio, nel 1926 tagliò il nodo alla radice con un atto d'imperio. Insieme col suo ministro delle Finanze, Giuseppe Volpi di Misurata, decise di allungare la scadenza dei titoli di Stato in mano ai risparmiatori. Risultato: dall'oggi al domani il debito ereditato dalla prima guerra mondiale divenne tutto trentennale e a tasso fisso. All'atto pratico, scomparve dalla scena finanziaria italiana. Gli economisti definiscono operazioni come questa "consolidamento". Per i risparmiatori fu una sciabolata, oltre che inattesa, di proporzioni micidiali.
Vent'anni più tardi, il liberale Luigi Einaudi, allora ministro del Tesoro appena venuto fuori dal secondo conflitto mondiale, fu invece più sottile: puntò sull'inflazione. Accelerando la crescita dei prezzi, ridicolizzò in pratica il valore reale di quanto lo Stato doveva ai suoi cittadini. Morale? In un paio di anni il problema venne risolto, ancora una volta a danno dei risparmiatori. Einaudi, del resto, non era stato il primo. Una strada analoga l'aveva già percorsa, negli anni Venti, la Francia di Poincaré.
A dir la verità, il consolidamento d'imperio e l'inflazione non sono le sole vie praticabili per mettere un Paese al riparo dal debito pubblico. L'economista di Harvard, Alberto Alesina, che è uno dei massimi esperti del problema, anni fa ha scritto insieme con Francesco Giavazzi e con Luigi Spaventa un testo illuminante e fondamentalmente scettico sulla possibilità di "uscire dolcemente" dagli eccessi finanziari. Lo stesso Alesina ricorda però che la crescita economica è un potente antidoto contro le conseguenze della cosiddetta finanza allegra.
L'Italia di Giovanni Giolitti, altro esempio nostrano, nei primi anni del nostro secolo schiacciò il debito accumulato con l'Unità d'Italia grazie alla fortissima crescita industriale e dei redditi. Anche gli Stati Uniti d'America, negli anni Cinquanta, portarono a soluzione il problema con il boom: lo sviluppo permise di rimborsare ai cittadini americani i titoli emessi per finanziare lo sforzo bellico sostenuto nella seconda guerra mondiale.
Gli oltre due milioni di miliardi di Bot, Cct e Btp che il nostre Paese si trova sulle spalle potranno dimezzarsi nel volgere di un decennio, come prevede e promette Carlo Azeglio Ciampi? Il nostro superministro potrà smentire tutte le previsioni che negano questa possibilità? Si tratta di interrogativi ai quali oggi come oggi è difficile dare una risposta secca. In ogni caso, occorre aggiungere che il gioco vale la candela. Anche sull'azzeramento del debito pubblico in tempi non biblici si gioca il futuro del Paese. L'Irlanda e la Danimarca, Paesi che spesso vengono presi ad esempio di virtù, hanno azzerato i loro deficit, ma va sottolineato che né l'una né l'altra avevano debiti accumulati. L'Italia ha anch'essa pressoché azzerato il deficit. E questo è da considerarsi un mezzo miracolo. Soltanto pochissimi anni fa, infatti, ed esattamente nella primavera del 1995, il nostro Paese procedeva sull'orlo di un profondo baratro. Nell'autunno del 1992 il ministro del Tesoro (allora era Piero Barucci, che lo racconta nel libro L'isola del Tesoro temette sinceramente e più volte la fuga dei cittadini dalle aste dei titoli di Stato: ciò che avrebbe significato sicuramente la bancarotta dell'Italia.
Oggi lo scenario è completamente cambiato. C'è più fiducia. Ma, insieme con una domanda, incombe un dubbio: per portare il debito pubblico italiano al 60 per cento del Prodotto interno lordo basteranno davvero solo dieci anni, o invece ci vorrà il giro di una generazione? Con un'altra domanda, non proprio di complemento: se l'obiettivo si vorrà raggiungere con lo sviluppo industriale e dei redditi, il Mezzogiorno vi parteciperà, oppure si lascerà fare alla solita "locomotiva" del Nord, con tempi, allora sì, biblici, abbandonando le regioni meridionali alla deriva mediterranea?


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