Pagheranno Puglia e Sardegna




S. B.



L'Unione europea ha avviato ufficialmente il processo di allargamento a sei nuovi Paesi: Polonia, Slovenia, Ungheria, Repubblica Ceca, Estonia e Cipro. I negoziati bilaterali dureranno alcuni anni e procederanno a ritmi differenziati, in rapporto ai progressi di ciascuno. Altri cinque Paesi (Bulgaria, Slovacchia, Romania, Lituania e Lettonia), pur mantenendo lo status di candidati all'adesione e godendo per questo di un rapporto privilegiato con l'Unione, sono stati giudicati non ancora maturi per partecipare al tavolo delle trattative e sono stati rinviati a nuovi esami.
Ogni anno la Commissione condurrà un "esame analitico" del loro grado di compatibilità politica ed economica con gli standard europei, per decidere se ammetterli al negoziato. In ultima analisi: da una parte l'Europa socchiude la porta, dall'altra dispensa voti e bocciature che fanno male. Dapprima ha dato uno schiaffo a inglesi, svedesi, danesi e greci, escludendoli dal Consiglio dell'euro; poi ha rifilato una randellata alla Turchia, alla quale sono state imposte una serie di precondizioni sui rapporti con Grecia e Cipro se vuole davvero avvicinarsi al processo integrativo europeo (e l'area turcofona coinvolge Paesi del Medio Oriente, fino all'Asia centrale); infine, ha lasciato in lista d'attesa cinque Paesi "non maturi". Il tutto, nella forma ambigua e complessa delle espressioni semantico-diplomatiche, degli espedienti retorici, delle formule consolatorie.
L'allargamento ad Est, comunque, è un fatto storico "Storia e geografia europea si sono finalmente incontrate", è stato detto), mentre sul fronte meridionale la questione greco-turca, che per l'affare Cipro si trascina da decenni, rischia di bloccare a lungo l'allargamento ad una nazione geograficamente asiatica, ma di antica vocazione europea. Gli immancabili pronostici su chi vincerà la corsa aperta a Lussemburgo: favorita la Slovenia, appoggiata dalla Germania, con un ingresso ipotizzato al 2003; seguono Cipro e Ungheria (2003-2004), Estonia (2004-2005) e Polonia (2005-2006). Per il secondo gruppo: favorita la Slovacchia (2004-2007), mentre Bulgaria, Lettonia, Lituania e Romania sono attese tra il 2005 e il 2007. In coda, la Turchia, per la quale si parla di 2015-2020.
Al di là degli squilli di tromba sull'allargamento dell'Europa dall'Atlantico al Mar Nero, e sia pure per tappe successive, restano in prospettiva i nuovi problemi che alcune aree si troveranno in agenda, con scarse o nulle possibilità di risolverli positivamente. Infatti, secondo le prime stime, la revisione degli aiuti strutturali resa necessaria dal processo di allargamento colpirà drasticamente nove regioni europee, due delle quali italiane: la Puglia e la Sardegna.
Il problema è riassunto in due cifre: gli undici candidati ufficiali faranno un giorno aumentare la popolazione dell'Unione del 34 per cento, ma con il loro ingresso il Pil europeo crescerà appena del 9 per cento. Il che impone ai Quindici una dolorosa redistribuzione delle risorse finanziarie disponibili, una altrettanto controversa riforma della politica agricola comune e un nuovo assetto istituzionale che eviti la paralisi. Qui, dunque, cominciano i guai e si manifestano i contrastanti interessi nazionali, che negli incontri negoziali di Lussemburgo si è preferito far passare sotto silenzio.
Ai costi dell'allargamento dovrà provvedere il bilancio esistente, senza superare il tetto dell'1,27 per cento del Pil comunitario. I contribuenti che dall'Unione ricevono più di quanto danno (come la Spagna, la Grecia, l'Irlanda e il Portogallo) dovranno perciò pagare il grosso della bolletta, rinunciando a una parte dei loro benefici, per favorire l'integrazione dei nuovi arrivati. Ma il confine della generosità è ancora mal disegnato (e per questo Puglia e Sardegna stanno col fiato sospeso), e mentre la Spagna si prepara a resistere, la Germania getta olio sul fuoco reclamando una diminuzione del suo contributo al bilancio, e la Francia protesta, chiedendo che si faccia chiarezza, prima di procedere. Ma il rebus è posto: chi accetterà di sacrificarsi sull'altare finanziario della nuova Europa?
I futuri soci hanno un potenziale agricolo ragguardevole. E la riforma della politica comunitaria era comunque prevista entro il '99. La Commissione propone di tagliare progressivamente i sussidi (che costano all'Unione metà del suo bilancio) e di sostituirli con gli aiuti diretti ai produttori. Il mercato e l'allargamento lo esigono, dicono a Bruxelles. Ma con l'eccezione degli inglesi, si oppongono un po' tutti, francesi e tedeschi in testa. Perché il settore agricolo, viziato da troppi anni, va difeso. E ancor più perché esistono proteste di massa mai viste nel passato: la vicenda italiana delle quote latte, insieme con quella dei produttori di agrumi e di riso, ne sono una lampante dimostrazione.
In un'Europa a 21, e peggio ancora a 26, come evitare il caos dell'indecisionismo? La revisione istituzionale, che il trattato di Amsterdam ha eluso va fatta prima di ogni ulteriore allargamento, reclamano a gran voce Italia, Francia e Belgio. Ma la Germania prende tempo, e in attesa di una schiarita si parla poco di voto a maggioranza o di riforma della Commissione. Ora, è giusto godersi la festa, guardare lontano e ricordare l'imperativo morale dell'Unione verso chi per mezzo secolo ha dovuto rinunciare alla libertà del progresso. Ma è anche opportuno capire da subito che il prezzo della nostra mano tesa sarà alto, e che per pagarlo senza lacerarsi gli europei del benessere dovranno riscoprire, al di là della moneta unica, la complessa grandezza delle loro ambizioni.


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