Il futuro del lavoro




Karl F. Liethner



Nell'antichità classica, il mondo greco costituiva un esempio di società molto competitiva: solo i migliori vincevano ed erano premiati. Era il massimo di società meritocratica. Nietzsche sostiene che le civiltà declinano quando non c'è più competitività e afferma che noi moderni, "a differenza dei greci, abbiamo due concetti che in un certo senso sono dati come palliativi a un mondo che sembra proprio un mondo di schiavi". Si riferisce "alla dignità dell'uomo e alla dignità del lavoro. E' tutto un affannarsi per perpetuare miserabilmente una vita miserabile; questa spaventosa necessità induce a un lavoro divorante, che l'uomo, o - più esattamente - l'intelletto umano sedotto dalla volontà contempla come qualcosa di assolutamente degno. Ma perché il lavoro possa rivendicare titoli onorifici, bisognerebbe prima di tutto che l'esistenza stessa, di fronte alla quale il lavoro non è che uno strumento, possedesse maggiore dignità e valore di quanto non sia apparso finora alle filosofie e alle religioni [...]. Nella necessità di lavorare di tutte le miriadi di uomini, che cosa possiamo mai trovare se non l'impulso a sopravvivere a tutti i costi, quello stesso impulso onnipotente in base al quale le piante più rinsecchite penetrano con le loro radici nella roccia priva di terra?".
Nelle società primitive la povertà era tale che tutti, uomini e donne, vecchi e bambini, dovevano lavorare da sole a sole per avere di che sopravvivere. Il progresso tecnico e scientifico ha permesso all'umanità di gestire meglio l'ambiente in cui vive e di rendere più ricca la società. Ciò si è verificato piuttosto lentamente nei secoli, finché non è sopraggiunta la formidabile accelerazione della rivoluzione industriale che, in poco più di un secolo, ha prodotto cambiamenti straordinari. Si potrebbe semplificare la storia recente dell'economia dei Paesi sviluppati affermando che l'aumento della produzione ha consentito all'uomo di guadagnare di più lavorando di meno.
Già quindici anni fa alcuni studiosi americani avevano previsto che, in un futuro non lontano, la settimana lavorativa sarebbe stata di trenta ore e che il tempo libero si sarebbe cospicuamente allungato. Pertanto, sarebbe stato necessario riconsiderare il concetto stesso di lavoro e definirne una nuova etica. I giovani, per esempio, sono molto più avanzati di chi li governa. Molti di loro vogliono potersi dedicare ad un'attività che li interessi e li gratifichi, nel senso che intendono soddisfare le loro necessità materiali, ma soprattutto desiderano affermarsi come intelligenze, e reclamano a tal fine più educazione, più cultura, più strumenti di ricerca, insomma più know how, come si dice, per allargare il campo dei loro interessi. Saranno avanzate le società che verranno incontro, senza condizioni, a queste legittime richieste.
E' stato affermato che nel nostro sistema economico che cambia rapidamente e diventa sempre più competitivo a causa di tre grandi minacce-opportunità, (la smaterializzazione del lavoro e l'avvento della società dell'informazione/comunicazione; la mondializzazione dei mercati; lo sviluppo tecnologico veloce), vi è un elemento di trasformazione interna di particolare rilevanza che si potrebbe chiamare la fine della cultura del fordismo, cioè la fine della cultura della grande organizzazione e del lavoro dipendente. Questo secolo finisce con la crisi di questo modello. La grande impresa non va più di moda perché il mercato, il sistema economico e le stesse attese dei consumatori sono tutte così segmentate e di nicchia, che anche la grande impresa deve articolarsi al suo interno in unità produttive molto mirate al cliente.
Il dibattito sul problema del lavoro si è ormai esteso in tutte le sedi. Si moltiplicano le analisi e le risposte che si danno, fermo restando che c'è un consenso di massima sui quattro requisiti prioritari indicati da Bruxelles: spirito d'impresa, adattabilità, inserimento nel mondo del lavoro, pari opportunità. Tutto questo significa una nuova cultura che investa su queste linee direttrici. Alcune imprese francesi stanno sperimentando un nuovo tipo di contratto, che consiste nell'assicurare al dipendente un massimo di ore di lavoro all'anno, la cui retribuzione può essere suddivisa mensilmente: il patto è che la prestazione viene data quando l'impresa ne ha bisogno.
Un gruppo di studiosi ha analizzato l'attuale crisi "di vaste proporzioni", sostenendo che da questa si deve uscire nel modo più rapido e indolore possibile, sfruttando gli straordinari progressi tecnologici che sostituiranno sempre più le macchine agli uomini e che in tal modo potranno contribuire alla creazione di una nuova civiltà più ricca e più prospera. Ma perché ciò non resti un'utopia, è necessario saper gestire l'attuale, difficile fase di transizione con razionalità, al fine di evitare le tensioni sociali generate dalle crisi di assestamento. In un dibattito a Bruxelles, dedicato alla politica sociale nell'Unione economica e monetaria, si sono indicati una serie di punti nodali. Ne indichiamo i più importanti: la sicurezza sociale è essenziale alla dignità dell'uomo; bisogna creare ricchezza, prima di distribuirla; i sistemi di sicurezza sociale devono essere tali, da potersi inquadrare nello sviluppo dell'economia; la politica sociale deve diventare più flessibile e trasparente, e deve favorire l'occupazione, che rimane il più valido strumento di lotta contro l'esclusione sociale; per migliorare le prospettive dell'occupazione bisogna modificare i sistemi educativi e di formazione permanente.
Il Consiglio Europeo sull'Occupazione (Lussemburgo) si è svolto in un complesso contesto di "sfide" politiche e socio-economiche che l'Uem e lo spazio economico europeo devono fronteggiare. Le principali sono:
- la continuazione del processo pacifico d'integrazione europea basato sulla crescita sostenibile, sulla competitività economica e sui princìpi della giustizia sociale e della coesione economica e sociale, sui quali poggia il modello sociale europeo;
- l'ampliamento dell'Ue sulla base dei medesimi princìpi, promuovendo al tempo stesso la globalizzazione delle relazioni economiche e socio-culturali con tutti i Paesi confinanti;
- il completamento di un'Uem coronata da successo, cui si accompagnino considerevoli passi avanti verso una sostanziale riduzione della disoccupazione e verso un mercato del lavoro capace di soddisfare le aspirazioni dei cittadini ad un lavoro che abbia un significato e che consenta loro di partecipare pienamente alla società;
- il completamento del mercato interno, accelerando la ristrutturazione dell'economia europea per far fronte alle sfide della competitività, del miglioramento della qualità della vita e del lavoro e del mantenimento di servizi pubblici efficienti in settori importanti per l'elevato livello di produttività, risultati ed innovazione.
Sulla base di questi princìpi si è sviluppata l'azione del Consiglio Europeo ad Amsterdam, che ha approvato il nuovo Trattato sull'Unione Europea, nel quale sono inclusi testi che potranno rivelarsi decisivi per dinamizzare lo sviluppo di una strategia europea di crescita e di occupazione.
Siamo solo all'inizio del grande dibattito sulla maggiore sfida che l'Europa deve affrontare al passaggio dal XX al XXI secolo. Coniugare, cioè, equità sociale e progresso economico, individuando fino a che punto può realizzarsi un'interazione positiva tra politica sociale e risultati economici. Le conclusioni di un ampio dibattito su questo tema, organizzato dal governo olandese, hanno sottolineato una volta di più che gli investimenti rivolti al futuro, la mobilità professionale e l'innovazione tecnologica sono elementi chiave di un'economia di successo. I cambiamenti strutturali comportano tuttavia anche effetti negativi. Molti ritengono che essi rappresentino un pericolo, e questo genera timore, o determina una situazione reale di maggiore insicurezza. La protezione sociale di stampo solidaristico, al contrario, ripartisce i rischi individuali su più soggetti, rendendoli meno dirompenti. Per questo motivo, un valido sistema di sicurezza sociale opera in modo tale da consentire uno sviluppo economico dinamico e un cambiamento strutturale senza attriti, potenziando nel contempo la capacità innovativa dell'economia. In tal senso, la formazione professionale, la qualificazione e un'adeguata tutela contro le conseguenze dei cambiamenti tecnologici o contro i rischi per i singoli individui di una politica economica orientata verso il futuro determinano effetti positivi in termini di crescita. Gli investimenti in risorse umane devono essere accompagnati da investimenti in impianti produttivi.
La sicurezza sociale determina inoltre un alto grado di coesione sociale, di pari opportunità e di tolleranza. Ciò si ripercuote anche sulla crescita, in quanto le politiche elaborate per il lungo periodo di solito ricevono un'accoglienza migliore, anche se vengono recepite come ristrutturazioni impopolari nel breve termine. Se abbinata a un'infrastruttura sociale valida e ben differenziata, la sicurezza sociale consente di risolvere pacificamente i conflitti di interesse, fornendo in questo modo un quadro stabile per elaborare politiche imprenditoriali a lungo termine. Inoltre, la mancanza di protezione determina costi diretti, per esempio sotto forma di esclusione e di povertà, che pur essendo difficili da quantificare fanno diminuire il benessere generale.
Da questo punto di vista, la coesione sociale esercita un effetto esterno positivo sulla produttività del lavoro, effetto che diventa tanto più rilevante, quanto più cresce l'importanza delle risorse umane in un'economia basata sulla conoscenza.
Gli europei hanno alle spalle i millenni di una civiltà eccezionale. Poiché una civiltà non vive consumando il proprio passato, ma inventando l'avvenire, unendosi, quest'Europa sarà sufficientemente forte, ricca e diversificata per inventarsi un avvenire nella libertà e nella giustizia sociale.


Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000