Lo scialo




Aleksandr Solzhenitsyn



Parlando di cultura, chiarisco che mi attengo a due definizioni. La prima è quella che distingue "civiltà" come cura dell'ambiente, delle condizioni dell'habitat e "cultura" come cura della vita interiore dell'uomo, della sua anima.
La seconda è "cultura" nell'insieme dei risultati raggiunti nel campo intellettuale, etico, estetico, in quello delle concezioni del mondo. Entrambe, dunque, convergono su un punto: fondamentale nella cultura è lo sviluppo, l'arricchimento, il perfezionamento della vita non materiale.
Non è da un solo secolo che nel mondo civilizzato si svolge, senza che sia stato subito avvertito, un processo di perdita di concentrazione e di altezza spirituale, di dispersione, di spreco irrimediabile di valori spirituali. Nel XIX secolo in pochi lo hanno notato. L'intero secolo XX, invece, tanto riuscito nella tecnica, ma psicologicamente precipitoso, per diverse vie ha lavorato a svilire la cultura. Questo rovinoso processo mondiale, costante di decennio in decennio, ci ha colto tutti di sorpresa. E si è creata un'illusione diffusa - ma infondata - di sazietà, di estenuazione da cultura, come se tutta la cultura "possibile" fosse già stata da noi saggiata, esaurita, e avesse perduto la capacità di nutrirci ancora.
Si possono indicare alcune cause che hanno portato al decadimento della cultura. Una di esse è l'utilitarismo delle esigenze, rovinoso per l'alta cultura: deriva indifferentemente dalla costrizione social-comunista e dal principio di mercato della compravendita. Di recente, Giovanni Paolo II ha dichiarato che dopo i due totalitarismi a noi noti avanza ora il Terzo Totalitarismo: il Potere Assoluto del Denaro, di fronte al quale troppi si inchinano ammirati. Una cultura meschina è scaturita sia dal precipitare soffocante e onnivoro dell'evoluzione mondiale, sia dai motivi finanziari che la sospingono.
Altra causa è l'incremento sbalorditivo e rapido, dilagante, del "benessere materiale" prodotto dallo sviluppo dei mezzi tecnici. Velocemente ha travolto la preparazione e l'autodisciplina del carattere dell'uomo, che consiste nell'essere e restare saldo nell'anima, al di sopra del flusso del benessere, e perciò ricettivo nei confronti della cultura. A quelli che non ci sono riusciti, e sono la maggioranza, il comfort generale ha ottuso l'anima.
In questo modo, la fioritura della civiltà ha portato immense ricchezze e agi: Conquista di Tutto il Mondo è al tempo stesso impoverimento delle anime. (Anche nelle classi ricche dei secoli scorsi molti non resistevano alla seduzione e si trasformavano in freddi, crudeli signori, oppure in fatui gaudenti; ma quanti sono gli esempi di coloro che superavano l'esame del benessere: si formava allora un tipo alto di personalità, quello appunto che impiegava la propria libertà per continuare la cultura o per sostenerne beneficamente i maestri).
E c'è un'altra causa ancora, non affatto ultima: la "massificazione" della cultura intrinseca al corso generale della civiltà: l'alfabetizzazione di massa, l'acculturazione, la mediatizzazione. A salti esse ampliano la cerchia dei loro consumatori e, combinate con le leggi di mercato, minacciano di trascinare, e trascinano, l'istruzione fuori dalla vera cultura. Questo processo porta immancabilmente alla caduta del livello generale medio della cultura, segnatamente delle sue vette, verso le quali avanzano indifferenza e insensibilità; il bisogno di esse viene meno e non se ne rimarca la perdita. Precisiamo: ciò non scaturisce dalla natura in sé della cultura di massa; di per sé un'arte democratica può raggiungere modelli altissimi, come vediamo nel folclore di parecchi popoli: il guaio consiste negli espedienti volgarizzanti, moralmente privi di scrupolo, della sua offerta.
In questa situazione declina la parte più creativa della cultura. Ciò riguarda il ciclo della filosofia e delle concezioni del mondo, e i vertici delle scienze teoretiche, per ora lontane da un'applicazione utilitaristica: in primo luogo, certamente, tutta l'arte. L'artista perde gli stimoli a creare per essere giudicato dai migliori intenditori, conoscitori: lui stesso sarà sempre meno esigente nei confronti del proprio lavoro e sempre più attratto dalla possibilità di strappare ordinazioni per consumi superficiali. Così decadono, rapidamente, molti generi artistici, riducendosi a infimo artigianato, e pervicacemente non si fa che rinnovare le forme più elementari. E a queste dapprima si educano (si inducono) i gusti con gli espedienti stessi dell'offerta, poi si fanno "sondaggi di opinione", infine questi stessi "gusti" sono rivelati e, come si desiderava, giustificati per nuove ripetizioni e ulteriori cadute di livello. In questi affetti, per ciascuno giocherà un ruolo di primo piano la televisione di ogni giorno: essa ha trascinato dietro di sé nella caduta l'arte cinematografica, che era stata così promettente. A Hollywood, ma non soltanto lì, esistono "brigate di valutazione" per le sceneggiature: secondo un sistema preordinato di punti, danno valutazioni e consigli decisivi su come cambiare soggetto, personaggi e altri elementi per migliorare la capacità di "cassetta". Questi metodi volgari non conoscono limiti, e adesso con l'identica sicumera trasformano perfino i classici. Ecco la compagnia Disney correggere un errore di Victor Hugo e dare ad Esmeralda, invece di una tragica morte, un "happy end", un matrimonio felice. La volgarità dell'arte deformata, ormai da tempo pseudoarte, si diffonde vittoriosamente, senza che niente la fermi, storpia le capacità di ascoltare e di vedere della gente, ingombra le anime.
In che misura è irreversibile, incorreggibile questo processo di involgarimento generale? A giudicare dal campo a me più vicino, quello della letteratura, la strada per ristabilire livelli alti non ci è stata ancora sbarrata: occorre, tuttavia, una grande concentrazione di capacità e di sforzi. In via di principio, per la natura stessa dell'arte, per la sua flessibilità e poliedricità, i caratteri d'élite e quelli popolari possono coesistere nella stessa opera letteraria: quando è riuscita, essa può essere a più livelli scritta in modo che sia accessibile e soddisfi contemporaneamente lettori dotati di diversi livelli di comprensione e di ricettività; e chi con l'andar del tempo innalza il proprio livello, leggerà lo stesso libro con una comprensione sempre nuova. Non si è condannati alla rinuncia. L'autore deve, comunque, mantenersi al di sopra delle esigenze contingenti del mercato letterario, dei calcoli di un sicuro e immediato successo.
Questo - ritengo - riguarda molti altri campi della cultura e quelli delle scienze che ancora possono permettersi di vivere una vita non collettiva. Tuttavia, la più radicale, organica causa della decadenza in atto della cultura sta nel fatto che essa è stata svigorita dalla sua secolarizzazione. Da alcuni secoli si è venuto sempre più impadronendo delle menti dell'umanità istruita l'"antropocentrismo", o più plausibilmente umanesimo, sfociato nel XX secolo in un umanesimo pressoché totalitario. Ma un antropocentrismo sicuro di sé non può dare risposte a molte sostanziali domande della vita, ed è tanto più impotente, quanto più profonde sono le domande. Dal sistema di rappresentazioni e motivazioni dell'uomo in modo sempre più distruttivo viene tolta la componente spirituale. Così è stata distorta tutta la gerarchia dei valori, deformata la comprensione della sostanza dell'uomo e dei fini della sua vita. Al tempo stesso, l'uomo si è sempre più staccato dal ritmo, dal respiro della Natura, dell'Universo.
Già Blaise Pascal previde questo pericolo, e nessuno, penso, gli negherà una grande autorità scientifica. Egli ammoniva: "L'essenza ultima delle cose è accessibile solo al sentimento religioso". Tre secoli dopo, questo giudizio ha per noi un peso ancora maggiore. Quante volte abbiamo potuto convincerci che l'essenza di tutti i processi storici non è nella superficie visibile, ma nella profondità dello spirito. Così è anche per la crisi di visione del mondo insorta nell'umanità di oggi e per il caos etico. E così anche la cultura non si dischiuderà a noi di nuovo, nelle sue inalterate profondità, fino a che non se ne farà rinascere il terreno morale.
Riflettendo sulla cultura nei suoi tratti generali, occorre non tralasciare una sua peculiarità sostanziale: la "pluralità delle culture" sulla terra. Ci riempiamo la bocca della parola "cultura", e sottintendiamo sempre la "cultura" dell'Occidente: ma non è la cultura di tutta l'umanità, e i valori che noi definiamo "di tutta l'umanità" non sono ancora necessariamente tali. I tentativi di recepire, di fissare il concetto di una cultura globale e compatta minacciano di soffocare grandi culture originali della nostra Terra, talvolta anche quelle più grandi o per spazio o per demografia, come la cinese, l'indiana, la giapponese, la musulmana: e in alcune in modo non del tutto necessario si osserva quel processo di esaurimento culturale, che è stato sopra rilevato.
Una di queste culture locali, diffuse e molto antiche, è la cultura russa. Ora a molti vien da pensare che tanto più decisamente demoliamo il nostro tradizionale sistema di valori, tanto più rapidamente ed efficacemente ci approprieremo della cultura dell'Occidente e ci metteremo al suo livello. E' una speranza non solo inconsistente - una cultura presa in prestito è sempre irreparabilmente inferiore al suo modello -, ma anche un progetto disastroso per la nostra esistenza spirituale.
Quel che dall'Occidente si deve imparare è il dinamismo della vita civile e la sua stabilità. Tuttavia il cammino normale, naturale di sviluppo di qualsiasi cultura è solo la ragionevole, equilibrata combinazione dei suoi princìpi organici, sia quelli protettivo-conservatori, sia quelli creativo-innovatori, e la loro viva, non programmata interazione con le altre culture. Nell'attuale convulso bazar di culture del nostro Paese sarebbe disastroso per noi lasciar trasformare e divorare la nostra cultura patria.
E se si parla della cultura patria, vediamo con dolore che alla crisi generale della cultura mondiale si è sommata la crisi specifica della Russia. Per settant'anni la nostra cultura è stata ferocemente imbrigliata, in un guazzo di abbondanza materiale, perché seguisse gli indirizzi prestabiliti. Ma eccoci arrivare al secondo decennio di catastrofiche condizioni sociali della Russia odierna: la cultura e la scienza sono del tutto dimenticate, messe ai margini della vita: ad esse toccano soltanto rimasugli che non le alimentano, o addirittura non tocca nulla. Per le persone vive è uno choc doloroso da caduta, fisico e morale.
Persino quella scienza da cui dipendono l'integrità e la sicurezza dello Stato o la conservazione della nostra natura è sconsideratamente trascurata e costretta a vegetare vilmente. Cosa dire poi della cultura della "provincia russa", dei grandi spazi dell'habitat nazionale. Mi è bastato viaggiare per tre decine di grandi regioni, anche in luoghi remoti: ebbene, solo a vedere in quale stato versano le scuole e le biblioteche ho provato un senso di disperazione. Le scuole sono prive di manutenzione, nelle biblioteche i libri sono consumati dagli anni, e quando negli scaffali scintillano le novità, si tratta di immondizie commercial-poliziesche mandate dai centri di raccolta, o di doni da parte di fondi di dubbia natura, senza responsabilità morale per la maturazione delle giovani menti.
Queste generazioni, età dopo età, sono private della possibilità di svilupparsi non solo al livello della modernità, ma neppure a quello che in qualche modo sia degno di un uomo. Noi le perdiamo irreparabilmente, le cancelliamo follemente: magari si potesse dire che in tutto questo c'è un disegno, un calcolo fondato. No, lo si fa per sconsideratezza, perché ci si scorda che oltre all'oligarchia dirigente, vive ancora e pretende di vivere un popolo.
Ma c'è qualcosa di più amaro della caduta della parte sana della cultura nella generale miseria: è il generale sovvertimento interiore - dal Diciassette - dei pilastri morali, della compassione, del soccorso ai poveri e ai deboli, lo smarrimento della memoria storica e di una coscienza nazionale unificatrice.
E se la cultura russa ancora oggi non è morta, questo è avvenuto grazie alla stupefacente abnegazione di entusiasti privi di qualsiasi sostegno materiale, e per il crescere naturale della gioventù, il cui talento non sarà annichilito.
Saprà in queste circostanze straordinarie il nostro genio nazionale ritrovare, sia pure a tentoni, i gradini dello sviluppo? Da questo dipende il futuro della cultura russa. Chi agirà col suo ingegno, chi aiutando con disinteresse e amicizia gli ingegni. Nell'attuale caotico, se non smarrito, stato delle menti e delle anime saranno trasmessi all'organismo della nazione gli impulsi vivificanti delle sue "ghiandole endocrine". E le sorti di quest'opera ricadono su ciascuno di noi.
Tutto quello che l'etere odierno riempie di un inutile, miserabile rumore e di smorfie, e tutte quelle figure gonfiate che vanno a impantanarsi negli schermi televisivi, tutti passeranno, come non ci fossero stati, si perderanno nella Storia come polvere dimenticata.
Ma l'esistenza o la fine della nazione dipenderanno da coloro che in questi tempi bui, lavorando intensamente o aiutando materialmente chi quel lavoro fa, sapranno salvare dalla distruzione, risollevare, rafforzare e sviluppare la nostra vita interiore, del pensiero e dell'anima. Quel che è anche la cultura.


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