IL SUD NEI FILM NEOREALISTI




Giuseppe Gubitosi
Docente di Storia della Comunicazione di massa - Univ. di Perugia



Il cinema neorealista, secondo Rossellini, evitava accuratamente di prendere posizione. In questo senso, paradossalmente, era una posizione morale: "La posizione morale - disse nel 1959 - era di obiettivamente mettersi a guardare le cose e di mettere insieme gli elementi che componevano le cose, senza cercare di portarci dentro nessunissimo giudizio". Questa tesi di Rossellini, della quale egli fece una teoria o un "metodo", comunque la si valuti, ha almeno il merito di cogliere un aspetto essenziale del cinema neorealista, quello di essere "senza idee preconcette". L'Italia, infatti, tra le rovine ancora fumanti della guerra, aveva bisogno di vedere cosa c'era dietro quel fumo, cosa era rimasto sotto la polvere e le macerie. E nel far ciò trovò nel cinema e nel suo linguaggio il mezzo più adatto. Si può dire che la più felice stagione del cinema italiano sia nata da questa esigenza e dal fatto che essa indusse cineasti come Rossellini, Visconti, Germi, Zampa a cogliere le migliori potenzialità del cinema.
Ma per questa stessa ragione il neorealismo diede i suoi frutti migliori quando si occupò del Mezzogiorno. Fu, infatti, nel dopoguerra che la necessità di affrontare la questione meridionale si impose come una esigenza improcrastinabile. Ma fu allora, anche, che il Mezzogiorno divenne significativo di tutta l'Italia. E fu allora che i personaggi meridionali divennero prevalenti nel cinema, nel quale lo stereotipo del meridionale finì per identificarsi con quello dell'Italiano. In un numero enorme di film di quegli anni compare almeno un personaggio meridionale e se, come spesso accade, questo personaggio è affiancato da un settentrionale, il meridionale è figurativamente preponderante. Basta pensare al film di Carlo Borghezio Come persi la guerra, del 1945, nel quale il personaggio dominante non è il torinese, anche se è il protagonista del film interpretato da Macario, ma il romano pigro, indolente, scettico -qui presente come rappresentativo dei meridionali -, che finisce per tenere le fila della vicenda e per far da guida al suo commilitone. E' interessante anche la sorte di don Gennaro, il protagonista di Napoli milionaria, di Eduardo. Sia il film, che fu realizzato nel 1950, sia la commedia con lo stesso titolo, che è del 1945, attrassero l'attenzione della critica comunista che vide in essi "un protagonista nuovo: il popolo". E il popolo di Eduardo, che in realtà èil popolo meridionale, assurge ad emblema di tutto il popolo italiano. L'espressione di Gennaro Jovine "Ha da passa' 'a nuttata", che sta a indicare la grande pazienza del popolo napoletano e il suo guardare lontano, ha finito per significare l'atteggiamento di tutto il popolo italiano. E ciò nel bene come nel male: sia per coloro che vi hanno visto la capacità degli Italiani di non lasciarsi travolgere da una situazione critica e difficile ma non priva di speranza, sia per coloro che vi hanno visto la rassegnazione e un'adattabilità che sconfina nell'opportunismo. Ma i comunisti vi videro solo sconforto e delusione. Secondo Alicata, lo stesso popolo napoletano, se avesse potuto, avrebbe detto a De Filippo: "Eduardo, abbi più fiducia in questa tua meravigliosa creatura che è Gennaro Jovine". C'era, insomma, una sottovalutazione della capacità dei napoletani di lottare "per la pace e per una vita più felice e più "buona"".
Una visione, questa, nascente piuttosto da un'esigenza di propaganda ideologica che da una serena valutazione dell'opera di Eduardo De Filippo. Questi, infatti, non sembra affatto sottovalutare il popolo, come dimostra il peso che don Gennaro riconosce alla guerra e alla necessità di occuparsi della sorte comune a tutto il popolo.
La stessa cosa si può dire per Il cammino della speranza, che è del 1950. Nel film di Germi il gruppo di siciliani che parte dalla zolfara per andare in Francia rappresenta tutti gli italiani che cercano in tutti i modi di tener viva la loro speranza. Perciò Germi fa attraversare ai siciliani tutta l'Italia dalla Sicilia a Napoli, a Roma, alla Valle Padana. Quel viaggio li trasfigura e, consentendo loro di imparare a conoscere altri connazionali, diventa il "cammino della speranza" perché fa di essi non più degli isolani separati, ma italiani simili a quelli che via via incontrano. Ma questo è un film del 1950, di un periodo successivo ai tre anni o poco più, tra il 1945 e il 1948, che sono quelli del neorealismo vero e proprio.
Più interessante è invece il caso di 'O sole mio, un bel film di Gentilomo del 1945 - lo stesso anno di Roma città aperta - che solo da poco è tornato a circolare, dopo il restauro effettuato dal Centro sperimentale di cinematografia. Il protagonista del film è un cantante che viene dalla Sicilia. Ma non è un siciliano, bensì un italo-americano in servizio presso le truppe americane sbarcate nell'isola, che cercano di collegarsi con quelle sbarcate a Salerno e con i militanti nella Resistenza italiana.
La tenacia che nelle quattro giornate della fine di settembre 1943 consente ai napoletani di cacciare via i tedeschi viene sostenuta da un aiuto proveniente dalla Sicilia, ma questo aiuto è rappresentato da un uomo profondamente legato all'Italia intera, perché è la sua terra d'origine, della quale si sente il rappresentante nel Nuovo Mondo. Proprio come era accaduto pochi anni prima ai protagonisti di Harlem, un film di Gallone del 1943, che provenivano tutti da Sorrento e facevano i portavoce della cultura italiana negli States.
Anche Rossellini fa della Sicilia il punto di partenza di un processo di liberazione che coinvolge tutta l'Italia. Il primo episodio di Paisà, che Mario Gromo ha definito "un solido e drammatico affresco" dell'Italia in guerra, è ambientato in Sicilia e celebra - si può ben usare questo termine - il primo incontro tra gli italiani e gli americani, che è anche l'incontro tra il sottosviluppo e la modernità. Del resto, se prendiamo in considerazione Monastero di Santa Chiara, un film di Mario Sequi del 1948, è difficile stabilire se Enrico, il giovane che diventa borsaro nero ma riacquista tutta la sua passionalità, si può considerare un napoletano o non sia invece più genericamente un Italiano.
Quanto a La terra trema di Visconti, che pure èun film da riguardare a parte perché è un film a tesi, non c'è proprio nessun dubbio che al centro del film sia solo la Sicilia? Certo, si tratta d'un film sui pescatori siciliani, per di più tratto da un romanzo del sicilianissimo Giovanni Verga. Ma il nucleo centrale del film è la voglia di riscatto che anima 'Ntoni e che questo giovane tenta a sua volta di trasmettere ai suoi familiari e a tutto il paese e questa voglia di riscatto viene dal Continente: è da lì che l'ha portata 'Ntoni tornando a casa dopo aver prestato il servizio militare.
Non si può tuttavia dire che manchino film nei quali il Mezzogiorno viene visto come un'area territoriale profondamente diversa dal resto d'Italia, dalla quale è nettamente separata per caratteristiche ambientali e per ragioni culturali. Il film di Duilio Coletti Il lupo della Sila incomincia con questa descrizione degli abitanti della Sila: "Gli uomini sono di natura generosa e forte, il cuore resta fanciullo, le passioni sono violente e schiette, come la natura, il destino segna il corso delle stagioni, del sole, delle tempeste. Nella solitudine e nel silenzio della Sila si perde il confine tra realtà e leggenda".
Una terra fuori dalla storia dunque, nella quale ciò che accade assume il valore della leggenda perché i fattori degli eventi sono la natura e un misterioso destino, non la volontà e la coscienza morale degli uomini. Il mondo di Rocco Barra, il patriarca protagonista del film, è talmente chiuso agli influssi esterni che la sua tragedia è causata proprio da un figlio che lui ha mandato a studiare fuori dalla Calabria, ma naturalmente il giovane è del tutto incolpevole di ciò che accade. Non molto diverso dalla impostazione di questo film è quello di Mario Camerini intitolato Il brigante Musolino, del 1950. Il film non si può considerare neorealista, anche se Musolino era un personaggio reale che aveva circa 70 anni e scontava ancora il carcere quando il film fu girato. In ogni caso, anch'esso propone l'immagine d'una Calabria nella quale lo Stato moderno e le sue istituzioni non riescono a mettere saldamente radici. E' una Calabria sanguigna e passionale, quella che ci mostra Camerini, selvaggia a tal punto che non solo i fuorilegge riescono a far condannare un innocente, ma lo stesso Musolino, subita l'ingiustizia, si mette contro ogni legge, ivi compresa quella divina, e si fa giustizia da sé utilizzando ogni occasione utile a questo fine, persino una processione.
L'immagine di un Mezzogiorno talmente estraneo alla modernizzazione da apparire quasi chiuso, capace di difendersi strenuamente contro i tentativi della società moderna di farsi una breccia, si ritrova anche in una serie di film di Rossellini degli anni tra il 1948 e il 1950, che sono di enorme interesse anche per altri versi. Tra questi film c'è il secondo episodio di L'amore, del 1948, intitolato Il miracolo, che il regista stesso segnala al suo pubblico come "un omaggio all'arte di Anna Magnani".
Si tratta di un film di alta qualità, nel quale si ritrova lo stesso rapporto tra religiosità e follia che è il tema di molti altri film che il grande regista girò in quegli anni, dall'episodio di Paisà sui frati dell'Appennino bolognese a Francesco giullare di Dio, da La macchina ammazzacattivi a Europa 51. In questo film, però, la religiosità radicale ed esclusiva dei meridionali è legata strettamente all'ambiente e alla tradizione dei popoli della ripida e scoscesa costiera amalfitana.
La protagonista del film è una demente che finisce per credere di essere la Madonna e di portare in grembo il Cristo, ma è indotta a ciò dal disgusto per l'egoismo degli uomini e da un conseguente anelito di rigenerazione. Si tratta, come si vede, d'un modo molto primitivo di vivere la fede, ma anche di una religiosità molto particolare, propria del Mezzogiorno d'Italia, che secondo Giuseppe Galasso è stato particolarmente segnato dal Concilio di Trento. Fino al punto da comportare, secondo questo storico, "uno sforzo di condizionare e modificare la religiosità di popolazioni ancora fortemente legate a moduli precristiani, acristiani o, comunque, difformi e deroganti dalla dottrina e dalla spiritualità cristiana".
Non molto dissimile è il film La macchina ammazzacattivi, anch'esso del 1948, ambientato tra Amalfi e i suoi dintorni.
E' un film che prende le mosse da una festa in onore di Sant'Andrea, patrono del paese. E' la festa che offre l'occasione di riflettere sulla cattiveria degli uomini e li induce a illudersi di aver trovato il modo di liberare definitivamente l'umanità, con il solo clic della macchina fotografica, dai cattivi, che rendono più difficile la vita a tutti. Ma in questo film appare direttamente la modernità, rappresentata da alcuni americani che vorrebbero trasformare quella terra con le loro iniziative, ma che finiscono per rimanere invischiati anch'essi nelle maglie del tessuto culturale meridionale. Rossellini affrontò il tema del primitivismo meridionale anche in Stromboli, che è del 1950. Anche questa volta il regista mette a confronto la cultura di una piccola isola vicina alla Sicilia con quella d'una donna moderna, libera, d'origine polacca che ha potuto conoscere il mondo. Ma è questa donna a piegarsi al primitivismo delle cruente tonnare, e la sua resistenza termina quando sperimenta la forza dirompente di un vulcano che - quale forza della natura - non soggiace ad alcun controllo. Tanto più che la sua esperienza del mondo è legata agli orrori della guerra e al trionfo delle ideologie dei due decenni precedenti, che sono stati altrettante illusioni di stabilire un impossibile dominio sul mondo.
Ma la cultura o, se si vuole, l'arretratezza meridionale non è vista da questi film come un dato immodificabile. Nel 1948 Luigi Comencini fece il suo primo lungometraggio e lo ambientò a Napoli. Il film tratta del tentativo di rieducare gli innumerevoli scugnizzi che infestavano la città, privi totalmente di vincoli morali. Nel film il Mezzogiorno appare come una terra selvaggia, a tal punto che un missionario rinuncia ad andare in Kenia perché ritiene più urgente prodigarsi nella Napoli postbellica. Ma l'aspetto più interessante dei film è il confronto tra la cultura napoletana, proposta direttamente come cultura italiana, e quella americana, per la quale la civiltà è in primo luogo "pulizia, acqua e sapone". E don Pietro, il protagonista del film, nel suo tentativo di costruire la "città dei ragazzi", assume come modello l'esperienza d'un prete americano, padre Flanaghan, la cui esperienza ha potuto conoscere attraverso uno dei tanti film americani che in quegli anni circolavano in Italia. Una civiltà quella americana, dunque, capace di penetrare anche nel cuore di Napoli e di modificare radicalmente lo spirito della città.
Non diversamente si può dire per i film di Rossellini, nei quali la rigenerazione dell'umanità appare impossibile se si resta attaccati esclusivamente al primitivismo. La "macchina ammazzacattivi", infatti fallisce, così come si rivela inutile il tentativo di Nannina "la matta" di far ritornare Cristo in terra. Quanto a Musolino, è la legge che infine trionfa e lui è chiamato a pagare, così come paga duramente il suo attaccamento a valori tradizionali Rocco Barra, Il lupo della Sila.
Del cinema italiano si può dire, dunque, che più di ogni altro settore della cultura ha saputo affrontare la drammatica prova alla quale il Mezzogiorno fu chiamato nel dopoguerra, stretto tra modernizzazione e attaccamento alla tradizione. Per capirlo, Guido Piovene tra il 1953 e il 1956 dovette andare a visitare il Mezzogiorno di persona. A proposito della Puglia, la "nostra regione in cui più si avverte l'Oriente", ha notato il convivere di un accumulo "schiumoso e rumoroso di problemi attuali" con zone di silenzio, di immobilismo, di forte e resistente permanere di credenze magiche, che a lui apparvero ben visibili nel racconto d'un contadino che viveva in un trullo. Ma il cinema, con la sua determinazione a osservare e scrutare, aveva messo in scena questa commistione già negli anni tra il 1945 e il 1948-'49.

(2 - continua)


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