SUL FILO DEL RASOIO




a. b.



Come il cavaliere inesistente di Calvino, il Sud c'è, ma non si vede, a meno che non si materializzi come fonte di cronache mafiose o come bersaglio dell'insulsaggine secessionista.
Nessuna meraviglia, dunque, se il Rapporto Svimez, il Rapporto Istat e le Rilevazioni delle Camere di Commercio sulla grande depressione che continua a comprimere alcune aree meridionali, comprimendole in fondo a tutte le classifiche sulla qualità della vita, e su altre aree che sono all'avanguardia nel Paese, e creano un reticolo di imprese moderne, svincolandosi da remote servitù economiche e sociali, siano passati sotto silenzio: appena qualche accenno sulla grande stampa, per lo più limitato a poche cifre; e quasi nessun commento. Fenomeno non nuovo: quella che fu la vigile, intelligente coscienza critica che aveva distinto il meridionalismo militante per una lunga stagione, fino agli anni '80, è estinta e non ha lasciato eredi. Il sogno di Vittore Fiore che profetizzava l'aggancio del Sud all'Italia e dell'Italia all'Europa si è dimezzato, come il visconte anch'esso calviniano. Bene o male, l'Italia si è (ri)agganciata all'Europa, ma il Mezzogiorno viene tenuto fuori dall'ancoraggio alla penisola, perché vi è venuta meno una classe tecnocratica in grado di offrire dal Parlamento, dalle Università, dalle Regioni, dai Centri Studi, una griglia progettuale in grado di coniugare organicamente mezzi e fini, di compensare tutte le sofferenze di sviluppo, di giustizia, e dunque di libertà, patite da quei soggetti storici mortificati che sono i popoli del Sud, e di portare tutta intera la penisola in Europa, senza disarticolarla in locomotive protette e in carri merci alla traina.
Leggiamo i dati del malessere, partendo dall'analisi della Svimez. Ed è subito di rigore una frase che risale ad un'epoca che ci sembra più vicina al Neolitico che alle soglie del terzo millennio: leggi speciali, interventi straordinari, politica ordinaria per le aree depresse, finanziamenti europei, nulla ha azzerato il divario e la forbice si è allargata. Le cifre: tra il '95 e il '96 il tasso di crescita della ricchezza nazionale è sceso dal 3,4 allo 0,9% nel Centro-Nord, e dall'1,6 allo 0,1% nel Sud, dove solo l'incremento dei servizi ha compensato in qualche modo i pesanti regressi dell'industria e dell'agricoltura. Per il '97 (previsione), il Pil crescerà dello 0,4% al Sud, contro l'1,1% nel resto del Paese. Analoghi sbilanciamenti per i consumi. Ovvia conseguenza: disoccupazione in crescita nel Mezzogiorno, dove è soprattutto giovanile e di lunga durata. Ha raggiunto il 22%, più del triplo rispetto al Centro-Nord. Per i giovani sfiora addirittura il 40%, che sale al 57% per le donne. Almeno un milione e mezzo di giovani non trova lavoro nel Sud.
Tutto a rotoli? Qualche cosa, come gli incentivi alle imprese e le società per l'imprenditorialità giovanile, funziona, anche se a strappi. Ma le agevolazioni automatiche previste dalla legge 341 segnano il passo. E le iniziative assistenziali e temporanee non servono a risolvere il resto di niente. Commenta la Svimez: più che della mancanza di fondi, perché alcune risorse ci sono, la vera strozzatura è nell'incapacità delle amministrazioni statali e regionali di sfornare programmi adeguati. Tutto ciò, in un momento a rischio, anche perché il Sud subisce la concorrenza di aree a bassi tassi di sviluppo che stanno entrando in Europa.
Passiamo all'Istat. Due milioni di bambini poveri. Un milione di anziani poveri. Due milioni e 79 mila famiglie povere, pari a sei milioni e mezzo di persone povere: è la macchia d'olio della miseria della quinta potenza industriale del mondo. Ma rispetto al Paese sano o in via di risanamento, la ricerca fotografa un Sud alla deriva: il 70% dei nuovi "miserabili" risiede nelle regioni meridionali. Si tratta del 60% delle famiglie indigenti. Al Nord è sufficiente un titolo di studio medio o medio-alto per mettersi al riparo dalla povertà e al Centro sono rarissimi (il 2%) i poveri disoccupati e intellettuali. Al Sud si scopre che il 9% di quelli che vivono ai margini della società ha in tasca un diploma superiore o una laurea. In sintesi: al Nord le famiglie povere calano rispetto al '94 e '95 e si attestano sul 3,9% del totale. Al Centro, altro calo, al 5,7% del totale. Al Sud, nel giro di due anni si è saliti dal 20 al 22%.
Ma neanche la povertà, in questo Paese, è uguale per tutti. Chi è povero a Sud lo è molto di più. Il 4,7% delle famiglie italiane che sono poverissime sono quasi tutte meridionali. Ed è previsto il passaggio al di sotto dell'indigenza di altre 3.000 famiglie nei prossimi dodici mesi. Buon lavoro, Caritas!
Ma accanto a un Sud che ristagna o arretra, c'è uno che, nonostante tutto, migliora le posizioni? C'è, e contribuisce a determinare una "ripresina" che, se non può compensare quanto si è perso in posti di lavoro nel triennio trascorso, tuttavia indica una prima inversione di tendenza. Intanto, va rilevato che l'unica regione meridionale con disoccupazione a una sola cifra rimane l'Abruzzo (9,7%), che fa meglio del Lazio e della Liguria, e non è lontana dalla Toscana e dall'Umbria. Poi, le cifre dei decolli, riportate da Vittorio Emiliani su dati Unioncamere. Vediamole.
Pur nella latitanza di una politica regionale, cresce il cosiddetto "distretto del salotto", fra Matera e Santeramo, "che ha nell'ex tappezziere Natuzzi un leader mondiale", e che segna la maggior crescita in Italia delle imprese attive: fra il '91 e il '97, ha superato il 90%, con divani e salotti appulo-lucani che battono il decantatissimo (e con ragione) distretto cadorino degli occhiali (+82,9%). Al terzo posto, nella graduatoria nazionale, sorprendentemente, il distretto delle ceramiche da bagno di Civita Castellana (Vt), seguito da quello di Sora, nel Frusinate, con l'abbigliamento: il primo con +72,2%, il secondo con +54,2%.
E si ritorna nel profondo Sud con il quinto e il sesto posto: il distretto della lavorazione del granito a Buddusò, nel Sassarese, e quello delle calzature sportive di Barletta. In buona posizione anche i distretti teramani di Val Vibrata, con imprese attive nel campo tessile-confezioni, dell'avellinese Solofra con la concia delle pelli, della barese Putignano, capitale europea del velo bianco, cioè degli abiti da sposa, e dei distretti di Isernia, Teramo, Lecce e Napoli con l'abbigliamento, di Matera col mobilio, di Teramo, Avellino, Lecce e Napoli col cuoio e le calzature...
E' il Sud che lavora e che produce ed esporta. Altro che condizionamenti climatici, latitudinali, antropologici! La voglia di sviluppo e le capacità di lavoro esistono, sono sempre esistite, e lo sanno bene i Paesi europei che hanno accolto gli immigrati meridionali e ne hanno fatto una componente di crescita interna. Tutto questo non si è verificato a Mezzogiorno perché politica e burocrazia sono state forze frenanti: ancora oggi, c'è nel Sud una disperata carenza di infrastrutture; ancora oggi nuoce l'incapacità delle regioni (Sicilia e Campania in testa) ad utilizzare con progetti credibili i fondi dell'Ue. Il commissario europeo ha messo in evidenza che per i programmi stradali non è stata spesa una lira e che per il turismo la quota utilizzata è ferma allo 0,1%!
Quello delle infrastrutture è un antico e irrisolto problema: il celebre Centro Siderurgico di Taranto nacque senza porto e con la ferrovia per Bari a binario unico e non elettrificata. L'elettrificazione è arrivata adesso, a Centro ridimensionato, e per il raddoppio del binario si dovrà attendere il 2002. Lo stesso sta capitando allo scalo per grandi porta-containers di Gioia Tauro, che pure ha raggiunto un'importanza strategica nel Mediterraneo, al punto d'aver sottratto il primato all'incavolatissima capitale egiziana, Il Cairo. E intanto decine di migliaia di miliardi giacciono a Bruxelles.
La "ricostruzione" del Sud è lenta anche per questa incapacità della tecnocrazia di collaborare allo sviluppo. Il vuoto era stato colmato dalla mafia: Totò Riina aveva provveduto a costruire la Pretura di Palermo. E poi veniteci a dire che la realtà non supera la fantasia. E poi veniteci a dire che alcune centinaia di soldati spediti a fare inattuali Vespri Siciliani siano più utili di una cinquantina di ispettori bancari e di altrettanti esperti della Guardia di Finanza che, frugando tra i conti e i patrimoni di mafiosi e camorristi presenti nelle regioni di frontiera, mettano a nudo ricchezze, affari, complicità, collusioni e quant'altro, liberando il Mezzogiorno dall'altra orrenda schiavitù, quella del crimine organizzato, che è l'altra forza saccheggiatrice delle regioni meridionali.
Mentre qualcosa si muove nella società meridionale, mentre una mentalità comincia a cambiar rotta, continua a imperversare l'inefficienza pubblica a tutti i livelli. Cioè: il Sud resta solo e deve fare i conti con se stesso, prima ancora che con gli altri. Viaggia sul filo del rasoio che corre lungo il crinale di una dolorosa emersione dal sottosviluppo e di una caduta definitiva nel Quarto mondo.
I dati contrapposti che abbiamo riportato lo dimostrano. E poiché il tempo stringe, i prossimi mesi ci diranno in che direzione si starà andando.


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