CURA THATCHER




Mabel



I fatti hanno dimostrato che la rivoluzione liberista di Lady Thatcher ha aumentato l'efficienza economica del Paese: il che ha significato più profitti per le imprese - senza che la ricchezza si concentrasse nelle mani di pochi -ma anche maggiori opportunità di lavoro per tutti. Per quanto possa apparire strano, questa rivoluzione non ha minato lo Stato sociale. La spesa pubblica in Gran Bretagna assorbe oggi la stessa quantità di risorse (42% del Pil) di quando la Thatcher andò al potere nel 1979. La spesa, tuttavia, è stata essenzialmente orientata a favore delle prestazioni sociali; nel '79, sanità, pensioni ed educazione rappresentavano il 49% delle uscite totali: oggi ne assorbono il 61%. L'aumento è andato a discapito degli aiuti alle imprese statali e dell'occupazione nel settore pubblico. Diciotto anni di governi conservatori hanno quindi rafforzato, e non distrutto, il Welfare.
Il sostegno all'attività produttiva non è stato perseguito con i trasferimenti (come in Italia), ma mantenendo bassa la pressione fiscale e riducendo le distorsioni del sistema tributario. In rapporto al Pil, la Gran Bretagna ha il fisco più leggero d'Europa, (35,5%, rispetto al 45% tedesco); e anche le entrate tributarie pesano oggi quanto nel '79. All'interno del sistema tributario, si è spostato il carico fiscale dai fattori di produzione al consumo, aumentando così gli incentivi a lavorare e risparmiare. Dal '79, l'aliquota massima sul reddito delle persone fisiche è stata tagliata fino al livello del 40%; quella minima è passata dal 33 al 23%; quella per i redditi d'impresa è stata portata al 33%. Sono invece aumentate l'Iva e le altre imposte sui consumi. Le imposte dirette e i contributi sociali rappresentano oggi solo il 50% delle entrate statali. In Italia, il 66%.
Si è sostenuta l'occupazione liberalizzando il mercato del lavoro e riducendo gli oneri sociali: in Italia 100 lire di costo del lavoro sono gravate mediamente da 44 lire di oneri non salariali; in Gran Bretagna solo di 18. Si è incentivato un sistema salariale flessibile (rispetto ai contratti collettivi) detassando fino al 20% delle remunerazioni legate ai risultati aziendali.
Le disparità regionali sono state ridotte lasciando maggiore libertà di azione al mercato, non facendo intervenire lo Stato: dieci anni fa la disoccupazione nel Galles e in Scozia era più alta della media nazionale del 25%, oggi del 7,5%; dieci anni fa la disoccupazione del Mezzogiorno d'Italia era più alta della media italiana del 60%, oggi dell'83%. Se si guarda all'andamento del debito pubblico negli ultimi 15 anni, la Gran Bretagna supera i partners europei per disciplina fiscale: non solo ha lo stock di debito più basso in rapporto al Pil (58% rispetto al 62% della Germania e al 123 dell'Italia), ma è anche il Paese nel quale il debito è cresciuto di meno.
Quando la Thatcher andò al governo, l'inflazione inglese era identica a quella italiana (15%). Da quel momento è cominciata una discesa che l'ha portata al 4% nell'87 (come in Italia), e, dopo un rialzo agli inizi degli anni '90, al di sotto del 3% quest'anno: sul fronte dei prezzi la Gran Bretagna non è stata meno virtuosa dell'Italia.
In termini di crescita, però, ha fatto meglio. Nel decennio antecedente la Thatcher l'economia italiana era cresciuta cumulativamente del 45%; quella inglese solo del 25%. Ma negli ultimi dieci anni l'economia britannica ha più che recuperato il ritardo col nostro Paese, crescendo del 29% rispetto al nostro 26%. L'esperienza thatcheriana, al di là dei pregiudizi ideologici o di altra e sospetta natura, dimostra che liberalizzare si può e che paga; che il processo richiede molto tempo; che maggiori dosi di mercato non implicano lo smantellamento dello Stato sociale; che le privatizzazioni dei servizi pubblici devono essere strumentali alla liberalizzazione dei mercati; e che la flessibilità del mercato del lavoro passa necessariamente per un ridimensionamento del sindacato. Con il senno di poi, ovviamente, non tutto l'operato thatcheriano è esente da critiche. Ma non va dimenticato che le sue riforme furono avviate nel '79, in un clima culturale ben diverso da quello attuale (allora in Italia imperversavano le Brigate Rosse); che si trattava del primo esperimento di radicale liberalizzazione di una economia industrializzata; e che, soprattutto, avveniva in un Paese afflitto da decenni di bassa crescita, scarsa competitività, eccessiva sindacalizzazione e presenza invadente dello Stato nell'economia. La lezione, corretta, ma senza scorciatoie e senza trucchi all'italiana, può servire anche a noi.


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