GRAMSCI DIXIT




Fulvio de Santis



"Un'altra sorgente di parassitismo assoluto è sempre stata l'amministrazione dello Stato. Renato Spaventa ha calcolato che in Italia un decimo della popolazione (4 milioni di abitanti) vive sul bilancio statale. Anche oggi uomini relativamente giovani, con buonissima salute, nel pieno delle forze fisiche, non si dedicano più ad alcuna attività produttiva, ma vivacchiano con pensioni più o meno grandi ... ". Chi scriveva queste parole non era un reazionario nemico del popolo. Era, poco meno di settant'anni fa, Antonio Gramsci, in quei Quaderni dal carcere che lui in realtà nel '34 aveva intitolato Americanismo e fordismo.
Queste parole, secondo Geminello Alvi, confermano "anzitutto che noi italiani siamo governati dagli scarti... scarti di un passato che nemmeno conoscono. Bertinotti saprà tutto della pensione della moglie, Cossutta ancora nega a una a una le infamie compiute dai comunisti in ogni dove durante il '900. Ma dell'ideologia per cui pure si commuovono fino alle lacrime televisive poco sanno. Sono scartine ideologiche. Tengono sì in mano una bandiera dietro cui, come nell'Inferno dantesco, corrono i loro tifosi; ma è una bandiera rossa che usano, indegni eredi, per significare il contrario di quello che una volta significava".
In altre parole, si debbono rileggere i classici marxiani. Si scoprirà allora che il marxismo e Gramsci erano produttivisti. Lenin era entusiasta di Taylor e della catena di montaggio che avrebbe favorito il mitico sviluppo delle forze produttive, così come Gramsci spregiava gli statalismi dell'Italia, insieme con i suoi redditieri. Coloro che oggi dicono di ispirarsi a Lenin e a Gramsci, così come i sindacalisti che sono pronti a ricattare ogni governo (di destra o di sinistra che sia), sono invece per il non-lavoro, si applicano per evitare il lavoro a se stessi e "alle vaste plebi italiche per cui dai tempi dei tempi il lavoro è un'onta".
"Se in una famiglia un prete diventa canonico, subito il lavoro manuale diventa una vergogna per l'intero parentado", scriveva Gramsci. Ma da decenni proprio a questo è servita tanta attività sindacale, marce e imponenti dimostrazioni di forza comprese, (a fini salariali, e mai, quasi senza eccezione, di progettualità complessiva benessere/sviluppo): a montare pezzo dopo pezzo "uno Stato che reincarna il parente canonico di allora, e come lui garantisce il non-lavoro". Il non-lavoro dei padri serve del resto a mantenere i figli disoccupati, in un circuito di italico non-senso. "E' l'esito grottesco del movimento proletario in Italia".
Al Gran Sardo l'Italia degli anni '20 sembrava intrisa del parassitismo che era prevalso dopo la decadenza del primo capitalismo rinascimentale. E ai proletari (quelli veri) assegnava il compito di riformare questa assurdità: "Poiché al poco capitale risparmiato corrisponde una spesa inaudita, qual è quella necessaria per sostenere spesso un livello di vita elevato di tanta massa di parassiti assoluti ... ". Per una lunga età, al contrario, i suoi eredi si sono battuti perché fosse aumentata la spesa dello Stato per tappare i buchi dell'Inps e degli altri istituti, portando il Paese sull'orlo della bancarotta. C'è una differenza fra l'Italia di Gramsci e quella odierna: allora i beneficiari dell'assurdo erano una minoranza; oggi, fra statali e pensionati, sono diventati una maggioranza schiacciante in ogni senso: inatteso effetto di quello che Marx, "pigro supponente", chiamava il movimento reale delle cose.
(A latere: sarà utile apprendere che il fenomeno del pensionamento anticipato era stato già individuato da Ferdinando II di Borbone sin dal 1842. Per limitarlo, come si legge nella premessa del real decreto del primo giugno di quell'anno, "considerando avere una trista esperienza confermato che spesse volte questo beneficio si rivolge in un calcolo di particolare interesse privando lo Stato di coloro che sono ancora in grado di prestare ancora utili servizi", era stabilito che "rimane vietato di accogliersi domande di pensioni di ritiro, se prima non si giustifichi di essersi oltrepassata l'età di anni sessantacinque per gli impiegati civili e di anni sessanta pei militari".
Con un minimo di ironia, possiamo dire che Ferdinando ebbe una fortuna davvero sfacciata: non era stato ancora inventato il Welfare e non aveva in Parlamento, che prudentemente sciolse, parlamentari già sindacalisti, dal momento che non erano stati ancora inventati neanche i sindacati, altrimenti avrebbe sciolto anche quelli. Ferdinando, insomma, era per il premierato forte).


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