UNA MONETA COMUNE PER UN MERCATO UNICO




Victoria Curzon Price
Docente di Economia all'Università di Ginevra



L'Uem merita di essere seriamente discussa perché è oggetto di un trattato internazionale, sottoscritto informa solenne da Paesi normalmente rispettosi dei propri obblighi contrattuali. Fra i capi di Stato che nel dicembre 1991 firmarono il Trattato di Maastricht, solo il cancelliere Kohl, probabilmente, potrà onorare di persona la sua firma; gli altri sono usciti di scena per effetto di sconfitte politiche, o non sono più in vita. Ma, negli Stati di diritto, i successori sono tenuti a mantenere gli impegni dei predecessori.
A misura che la data, o meglio, le date fatali si avvicinano, colpisce sempre più l'estrema ambizione del progetto, quand'anche dovesse coinvolgere solo alcuni tra i membri dell'Unione. La rinunzia alla sovranità monetaria rappresenta un passaggio sconvolgente. Se tutto andrà bene, le teorie neo-funzionaliste dell'integrazione avranno la loro rivincita; in questo solo caso, in questo particolare momento: ma di rivincita si tratterà comunque. Sul piano concettuale, dal mettere in comune carbone e acciaio al mettere in comune la moneta passa una linea diretta. E i federalisti europei sperano che il processo continuerà, estendendosi alla sfera politica e creando un governo europeo o, quanto meno, una politica estera e di sicurezza europea.
A motivare il progetto non sono certo i risparmi in termini economici, tutt'altro che spettacolari (e controbilanciati da svantaggi). Le ragioni sono politiche. La classe politica tedesca, a quanto pare, è disposta a sacrificare una moneta di successo come il marco (e una Bundesbank a tratti fastidiosamente indipendente) alfine di partecipare a (e magari controllare) una politica estera europea. E' abbastanza comprensibile che la Germania possa desiderare di avvolgersi nel mantello europeo con la speranza di accrescere la propria influenza sui Paesi centro-orientali del Continente.
Quanto alla Francia, Pascal Salin osserva che l'Uem è sostenuta da tutti i membri della classe politica, da sinistra a destra, animati da "vaghi sentimenti politici, fondati sull'idea che il mantenimento della Pace in Europa richiede la creazione di un forte legame politico tra Francia e Germania". L'Uem, in questa prospettiva, sarebbe una specie di fede nuziale, un simbolo di unità, un pre-impegno credibile in vista di un insieme indefinito di futuri progetti di cooperazione politica.
La probabilità dell'Uem dev'essere valutata appunto sul metro di queste motivazioni, e non studiando le minuzie di quell'intrico di indicatori economici più o meno idiosincratici a cui si riducono i famosi "criteri di convergenza".
Germania e Francia insieme hanno negli affari della Comunità un peso tale che l'analisi politica potrebbe anche fermarsi qui. Se questi due Paesi aderiscono all'Uem, molti altri seguiranno, non fosse altro che per entrare a far parte di quella che appare una squadra vincente. Altri (in primo luogo l'Inghilterra) rimarranno a guardare, senza nessun desiderio di fondere la propria moneta, men che meno la propria politica estera o di difesa, disapprovando energicamente lo sviluppo nel Continente di una coalizione così forte, ma incapaci di impedirlo. Poi, se la storia insegna qualche cosa, dopo un lungo periodo di indecisione chiederanno a malincuore di entrare (e saranno, forse a malincuore, accettati).
Dal mio punto di vista, una delle ragioni per cui questo ambizioso progetto dev'essere preso sul serio è che con la rinunzia alle valute nazionali Francia e Germania compiono un gesto solo e soltanto simbolico. Non ci rimettono nulla di sostanziale: le politiche monetarie e di cambio hanno perso la capacità di stimolare una crescita reale aggiuntiva (ammesso che l'abbiano mai avuta), mentre la manipolazione del tasso di cambio è inutile come strumento per compensare gli shock.
Ciò che si vuole, tuttavia, è una moneta stabile, sia perché l'inflazione è indifendibile dal punto di vista della democrazia (provoca infatti nella popolazione trasferimenti reali di reddito che non sono stati votati) sia perché produce "rumore di fondo" nella struttura dei prezzi relativi, e dunque influenza negativamente l'allocazione delle risorse. A questo riguardo, la sostituzione di un insieme di Banche centrali serventi rispetto al potere politico con una sola davvero indipendente mi sembra un netto miglioramento. Pur essendo improbabile che tra Banca centrale e politica si instauri un rapporto di tipo neo-zelandese, le regole di Maastricht riflettono quelle sulla cui base opera la Bundesbank (con la politica monetaria che è responsabilità della Banca, mentre quella del cambio è affidata al governo). Questo arrangiamento istituzionale ha prodotto una moneta ragionevolmente stabile nel caso del marco tedesco, sicché si può sperare che funzioni anche per l'euro. Alternative più esplicitamente orientate al mercato, quali un regime di concorrenza tra monete aventi corso legale in tutti gli Stati membri o l'assoluta libertà di emissione (la privatizzazione della moneta), possono ben essere preferibili, ma sono troppo radicali per potersi guadagnare accettazione politica.
Comunque stiano le cose, vedo nell'Uem un grande vantaggio e un grande svantaggio: il vantaggio è quello di preservare il mercato unico, mentre lo svantaggio è legato al rischio lontano della "fortezza Europa". Essendo la mia preferenza temporale orientata al breve, concedo maggior peso al vantaggio rispetto allo svantaggio. "Mais de ça se discute", come direbbero i francesi.


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