Nell'introduzione
al suo libro Mediterraneo - Un nuovo breviario Predrag Matvejevic' parla
già di un mosaico mediterraneo, e dunque delle difficoltà,
anche metodologiche, che si incontrano quando si cerca di "compilare...
il catalogo delle sue componenti, verificare il significato di ciascuna
di esse e il valore dell'una nei confronti dell'altra: l'Europa, il
Maghreb e il Levante; il giudaismo, il cristianesimo e l'islam; il Talmud,
la Bibbia e il Corano... Qui popoli e razze per secoli hanno continuato
a mescolarsi, fondersi e contrapporsi gli uni agli altri" (1).
Più complesso è il problema che si deve affrontare nei
confronti delle isole. Matvejevic' afferma:
"Le isole sono posti particolari. Si differenziano sotto molti
aspetti: la distanza dalla costa più vicina, le caratteristiche
del canale che da essa appunto le separa... Si diversificano anche dall'immagine
e per l'impressione che suscitano: ci sono isole che sembrano navigare
o affondare, altre che paiono ancorate o pietrificate e sono davvero
soltanto resti del continente, staccate e incompiute, separatesi a tempo
debito e alle volte diventate indipendenti, più o meno bastanti
a se stesse" (2).
Con tali premesse mi appresto a delineare alcuni aspetti della mediterraneità
di Malta, l'isola con cui si chiude il Sud europeo e si apre il Nord
dell'Africa, un fazzoletto di terra su cui hanno lasciato le loro indelebili
impronte alcune delle forze politiche e culturali più importanti
in tutta la storia: i fenici e i cartaginesi, i romani, gli arabi, l'Ordine
dei Cavalieri di San Giovanni, i francesi e finalmente gli inglesi.
L'elenco completo dei dominatori stranieri è assai più
lungo, ma forse sono stati questi ad aver determinato il carattere complesso
dell'identità maltese.
La trasformazione più radicale accadde durante la dominazione
araba (870-1090 AD), un arco di tempo in cui i maltesi sono stati costretti
a subire due profondi sviluppi: terminare, o meglio interrompere, la
loro precedente tradizione cristiana, che risale al periodo romano,
e addirittura all'anno 60, quando San Paolo naufragò sull'isola
e vi passò tre mesi, dando così inizio ad una ricchissima
tradizione di fede e di cultura ancora molto forte presso la piccola
comunità maltese; adottare l'arabo come lingua comune, gettando
in questo modo le basi per la nascita della moderna lingua maltese.
Non si sa molto altrimenti della presenza degli arabi a Malta, e non
vi sono tracce della lingua precedentemente parlata dai maltesi. L'eventuale
rinascita della religione cristiana, in seguito all'arrivo dei normanni
nell'undicesimo secolo, è maggiormente caratterizzata dall'uso
di parole arabe per esprimere un contenuto cristiano, come, ad esempio,
"Alla" (Dio), "maghmudija" (battesimo), "tewba"
(penitenza), "qrar" (confessione), "knisja" (chiesa)
(3).
La lingua maltese è dunque il terreno in cui si manifesta particolarmente
la sintesi tra cultura araba e cultura cristiana. Si tratta di una lingua
di lunga tradizione orale, ufficialmente ignorata nei campi della politica
e della cultura dominante.
Sono relativamente pochi gli scrittori e gli studiosi che nel frattempo
hanno cercato di scrivere in maltese. Una rara eccezione si trova nella
poesia più antica, la Cantilena di Pietro Caxaro (m. 1485), scritta
intorno alla metà del quindicesimo secolo (4). Si tratta di un
caso isolato che non stabilisce la possibilità di un movimento
di poesia popolare "scritta" nel dialetto arabo di Malta.
La Cantilena suggerisce già la linea generale che la lontana
poesia successiva era destinata a seguire (5).
Benché non abbia una sola parola di origine non semitica, cioè
romanza, dovuta alla presenza culturale post-araba, cioè europea,
questa poesia apre la strada per la forma poetica europea, o meglio
italiana, del movimento moderno maltese che ebbe inizio sotto l'influsso
illuministico e romantico. I versi costituiscono un'allegoria, di origine
evangelica, e ricordano la poesia mosarabica della Spagna. In genere,
i versi sembrano modellati sull'endecasillabo. A volte, a causa della
difficoltà presentata dall'ortografia che tenta di trascrivere
arbitrariamente una lingua semitica con l'alfabeto romano, l'armonia
endecasillabica non riesce del tutto chiara. Ciò risulta dalla
inclusione apparentemente superflua di qualche sillaba non accentata
dentro la serie degli accenti principali. Comunque, ogni verso ha un
accento fisso sulla penultima sillaba, corrispondente alla decima, e
alcuni fanno cadere gli accenti principali sulla quarta e sull'ottava:
mensab fil
gueri uele nisab fo homorcom,
..
halex liradi 'al col xebir sura.
Inoltre, un verso
ripetuto è composto perfettamente da un ottonario e da un quinario:
fen timayt
insib il gebel / sib tafal morchi.
Lingua semitica,
forma poetica europea, contenuto metaforico e allegorico cristiano:
ecco le tre componenti che costituiscono l'identità di questa
poesia, partecipe di una tradizione continentale che ha avuto grande
fortuna presso gli scrittori maltesi. Anche il problema del modo in
cui si può scrivere una lingua araba fuori dei limiti della
stessa cultura araba è risolto in un modo tipicamente maltese,
cioè tramite una romantizzazione. Il maltese è un raro
esempio di trascodificazione, costituendo così una mirabile
sintesi tra le culture tipiche di due continenti diversi.
Per interi secoli Malta svolgeva una vasta letteratura in italiano,
il frutto di intelletti educati "italianamente" che seguivano
costantemente l'architettura stilistica e la gamma tematica degli
autori italiani. Quando poi ebbe inizio lo sviluppo di una letteratura
in maltese, raggiungibile da tutti, benché per lungo tempo
priva di alte pretese artistiche, lo scrittore era in grado di interpretare
fedelmente il sentimento proprio e collettivo, e non più l'ambizione
accademica. L'autore non poteva più rinchiudersi nel santuario
delle sue precettistiche e dei suoi formalismi, ma doveva incontrarsi
con il popolo e ispirarsi alle sue esperienze. A Malta il principio
della popolarità della letteratura, un'eredità illuministica
che il romanticismo modificò secondo nuove esigenze, non poteva
realizzarsi pienamente in italiano. La lingua di origine araba doveva
essere utilizzata, per motivi di comunicazione popolare, ma sempre
secondo i modelli letterari importati dall'Italia.
Un tale processo di sviluppo in lingua maltese è nato circa
verso la prima metà dell'Ottocento - se si vuole parlare in
termini di movimento diffuso e piuttosto nazionale - quando chi scriveva
in maltese non poteva prescindere dal fatto che, nonostante il substrato
semitico del suo idioma, la tradizione, la struttura dell'espressione
e l'intera educazione letteraria (letterati e pubblico) erano esclusivamente
italiane. Perciò la nuova produzione in maltese era inevitabilmente
costretta a seguire la stessa direzione, e in effetti a mantenere
la continuità storica. Il detto sfondo è il quadro che,
a cagione dell'inscindibile rapporto tra storia politica e attività
creativa che la dottrina romantica tanto accentuava (particolarmente
in Italia, dove i problemi dell'identità e dell'unificazione
nazionale furono sentiti più che altrove in Europa), spiega
e giustifica le conquiste ed anche le limitazioni del movimento romantico
maltese. In tal modo la letteratura in lingua maltese, superando gradualmente
gli svantaggi storici del pregiudizio e della noncuranza, poteva godere
il vantaggio concesso dalla mentalità letteraria dell'epoca:
il riconoscimento del concetto europeo del popolo come il poeta che
sente e scrive autenticamente, cioè di necessità nella
propria lingua, che non è europea. Mentre, da un canto, si
continuò a scrivere la letteratura italiana della classe socialmente
elevata, dall'altro le prime opere letterarie in maltese toccavano
l'animo del popolo e lanciavano una sfida a chi provava la tentazione
di cimentarsi con la lingua cosiddetta "incolta".
Durante l'Ottocento e la prima metà del Novecento, lo scrittore
in lingua maltese doveva far fronte alla sfida di elevare con dignità
un veicolo non curato a livello di lingua letteraria, a cui mancava
fino a circa mezzo secolo fa anche un sistema ortografico normalizzato.
Ciò significa che, in ultima analisi, la polemica tra l'italiano
(come lingua rispettata della classe colta) e il maltese (come lingua
orale più antica dell'isola) non doveva influire gravemente
sul procedimento del maltese come mezzo letterario. Nel campo dell'ortografia
si doveva trattare di una sintesi tra parola araba e alfabeto latino.
Nel campo letterario si arrivò con naturalezza ad una sintesi
tra la tradizione e il presente, cioè all'affermarsi del principio
della continuità storica. Gli autori maltesi, infatti, conservavano
il ricco deposito che avevano ereditato da varie fonti (tradizione
popolare, cultura continentale, consapevolezza della vicinanza di
Malta alla penisola), e lo modificarono quasi istintivamente in maltese.
Vari scrittori hanno cercato di formare nuovi vocaboli tramite il
sistema del trilitterismo arabo: una intera cultura europea veniva
espressa così con parole arabe.
Vari scrittori di origine culturale italiana hanno cercato di utilizzare
tutto il lessico semitico della lingua maltese, risuscitando parole
arcaiche, arabizzando anche la struttura sintattica.
Alla base di questa loro disposizione a non distinguere tra la cultura
ereditata e la cultura che si aspettava da loro, c'è l'incapacità
di distinguere nettamente tra cultura italiana e cultura maltese o
indigena, da un lato, e tra italiano come lingua scritta e maltese
come lingua parlata, dall'altro. Quello che segue è un brano
da Il-Jien u lilhinn minnu (L'io e al di là dell'io), un poema
di Dun Karm (1871-1961), il poeta nazionale di Malta, pubblicato nel
1938. Il verso è l'endecasillabo italiano, la figurazione è
di origine biblica e dantesca, mentre i vocaboli sono tutti arabi,
l'insieme è tipicamente maltese in quanto esprime una situazione
umana in chiave cristiana, immedesimando il senso del malessere con
la speranza e con l'attesa:
Hsiebi bhal
aghma; biex isib it-trejqa
itektek bil-ghaslug kull pass li jaghti;
jimxi qajI qajl u qatt ma jaf fejn wasal;
dalma kbira tostorlu l-kif u l-ghala,
u d-dawl li hu jixtieq qatt ma jiddilu.
Hsiebi bhal
aghma, u dik id-dalma sewda,
bhal marda li tittiehed, tmissli 'l qalbi
u ddawwarha bin-niket, bhalma z-zragen
tax-xewk u tal-gholliq idawru x-xitla
tal-ward u johonquha. Minn gol-hondoq
tad-dwejjaq kiefra jien ghajjatt imbikki:
"Ghajjew ghajnejja thares bla ma tara,
u qalbi nfniet ....".
Tale sintesi,
reale e implicita lungo una intera tradizione, si trasformò
in piena e matura coscienza nazionale durante l'epoca romantico-risorgimentale,
a causa del rapporto culturale e politico con l'Italia. Comunque,
la nascita di una vera letteratura in maltese non poteva avvenire
prima della "conversione", non di spirito e di cultura ma
per necessità di lingua, di qualche membro della classe privilegiata
dei letterati, che avevano per secoli ignorato il dialetto arabo e
si erano espressi in italiano. Nel 1796 Mikiel Anton Vassalli (1764-1829)
parlò per la prima volta del bisogno sociale e culturale di
coltivare la "lingua nazionale". Vassalli, che si educò
a Roma dove pubblicò alcune sue opere (6), nutriva idee liberali,
fondate sulla necessità della partecipazione popolare alla
cultura e della diffusione democratica del sapere. Il suo spirito
illuministico lo costringeva a concedere una particolare importanza
alla funzione della lingua nativa: "In un secolo in cui le arti
e le scienze han fatto progressi sì grandi ed ammirabili, che
quasi non restano fra di esse più dipartimenti da illustrare,
pareva che non si dovesse tralasciare incolto, senza dissotterrarlo
dall'oblivione, uno de' più antichi monumenti, qual è
la lingua maltese" (7).
Tramite la sua partecipazione alla cultura europea, e particolarmente
italiana, Vassalli era dunque in grado di scoprire il valore della
lingua semitica, analizzando la sua origine, mettendo in un insieme
il suo sistema grammaticale, raccogliendo i suoi vocaboli e i suoi
idiomi. Una intera tradizione popolare maltese viene così riconosciuta
come degna di cultura, alla pari della cultura dominante. Non a caso,
dunque, Vassalli ha scelto il latino e l'italiano per le sue opere
sulla lingua maltese.
Rifacendosi al pensiero di vari autori italiani e francesi, Vassalli
diede inizio alla formazione di un modo moderno maltese di pensare.
Per lui la lingua nativa si presentò come l'oggetto più
raro dell'antichità dell'isola, degno delle ricerche dei letterati
e della più raffinata cultura (8). Pur ammettendo che il dialetto
arabo era, o pareva essere a primo aspetto, rozzo e pieno di barbarismi,
concludeva che ciò accadeva perché era trascurato. Il
suo concetto, pregno di sapore nazionalistico, era un intelligente
compromesso tra il movimento illuministico che stava morendo e l'avanzata
del nuovo spirito romantico. Così scoprì il valore supremo
della patria, e giunse ad una mediazione proprio nel modo in cui utilizzò
tutto quello che aveva imparato in Europa con l'intento di modernizzare
il proprio Paese. Vassalli fu altresì il primo a riconoscere
che la lingua maltese spicca nel campo poetico: "La vivezza delle
espressioni, le sentenze prodotte dal fervore della fantasia maltese,
la semplicità e la naturalezza attrattiva unite alle doti naturali
della lingua, benché l'idee siano qualche volta ristrette,
formano il bello delle nostre canzoni. Sarebbe impresa molto degna
che alcun de' nostri si mettesse ad illustrare questo articolo; ma
per riuscirvi dovrebbe tenersi lontano dagli usi poetici di quelle
nazioni eterogenee di lingua riguardo alla nostra, dei quali non credo
che sia troppo suscettibile un'antica 9 lingua orientale" (9).
Di particolare significato è l'ultima opinione; nella seconda
parte discute se la poesia maltese, essendo il maltese un germoglio
dell'albero delle lingue semitiche, non debba adottare la tecnica
prosodica orientale. L'ambiente, molto recettivo quando si trattava
di influssi latini, ben lontano per vari secoli dagli influssi del
mondo arabo, e l'intera tradizione poetica italiana dell'isola non
potevano facilitare l'uso del maltese in sede poetica e favorire il
richiesto riconoscimento se i poeti successivi decidevano di battere
una nuova strada, assai accademica e contraria ai dati della storia,
adottando la metrica semitica.
Le conclusioni che derivano dall'analisi della storia della lingua
e della letteratura di Malta riassumono in sé la complessa
identità di tutto l'essere maltese:
1) la lingua maltese, pur avendo una sottostruttura semitica, è
scritta nell'alfabeto latinolo;
2) la poesia tradizionale maltese non si costruisce secondo le regole
prosodiche di qualche dialetto di origine semitica, o secondo la struttura
del canto ebraico e di quello che si compone nel Medio Oriente, ma
secondo la metrica italiana;
3) gli autori maltesi hanno sempre insistito sul primato dei vocaboli
semitici per quanto riguarda la poeticità e la letterarietà
del testo, mentre si aprono liberamente alle forme e alle idee europee.
La mediterraneità di Malta, dunque, è allo stesso tempo
araba ed europea. Si tratta di una fusione imposta dalle condizioni
storico-culturali, tradotta poi quasi istintivamente in una scelta
consapevole con l'arrivo del romanticismo. Altri esempi possono essere
citati dal campo del culto religioso, del modo di pensare politico,
dell'architettura e dei costumi. La sintesi linguistica e letteraria
si configura in una specie di microcosmo di tutta l'identità
maltese, composta com'è da vari e diversi elementi di natura
intercontinentale. L'unicità del fenomeno sta nella capacità
dello spirito maltese di ricevere con giudizio, di plasmare ogni dato
secondo le proprie inclinazioni, di riconoscersi tra i due estremi
dell'isolamento e dell'integrazione.
NOTE
1) Predrag Matvejevic', Mediterraneo - Un nuovo breviario, (trad.
Silvio Ferrari), Garzanti Editore, Milano, p. 18.
2) Ibidem, p. 25.
3) Cfr. Joseph Aquilina, Papers in Maltese Linguistics, Royal University
of Malta, 1961, p. 46.
4) Cfr. Godfrey Wettinger-Mikiel Fsadni, Peter Caxaro's Cantilena,
Lux Press, Malta, 1968.
5) Cfr. Oliver Friggieri, Storia della letteratura maltese, Edizioni
Spes, Milazzo, 1986, p. 88.
6)Cfr Ninu Cremona, Mikiel Anton Vassalli a Zminiiietu, 2° ed.,
a cura di Oliver Friggieri, Klabb Kotba Maltin, Malta, 1975, pp. 3-4
e passim.
7) Ktieb il-Kliem Malti, A. Fulgonio, Roma, 1976, p. VII.
8) Ibidem, p. XIII.
9) Ibidem, p. XIX.
10) Joseph Aquilina (op. cit., p. 81) analizza i vari sistemi ortografici
proposti, dai primi scritti di G. F. Bonamico (1672-1675) fino al
1934 (quando il sistema dell'Ghaqda tal-Kittieba tal-Malti raggiunse
un livello scientifico), e distingue nettamente tra i romanisti e
gli arabisti: "The Arabists were those who, basing themselves
on the fact that Maltese is a semitic language, akin to Arabic or,
as some others wrongly believed, to Hebrew, favoured the use of the
Arabic alphabet".
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