§ LA NUOVA DISCIPLINA ITALIANA DI DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO

LEGGE SENZA FRONTIERE




Claudio Alemanno



Le innovazioni introdotte nella legislazione italiana con la Legge 31 maggio 1995, n. 218 costituiscono un utile contributo alla disciplina delle relazioni tra soggetti giuridici con diversa nazionalità introducendo elementi di adeguamento e uniformità rispetto alle regole vigenti nella Comunità internazionale. L'esigenza di semplificazione avvertita nei rapporti tra persone fisiche con diversa cittadinanza e la progressiva internazionalizzazione del sistema economico avevano da tempo reso inadeguate molte norme contenute nelle disposizioni preliminari al codice civile. Per alcune di esse già la Corte Costituzionale aveva pronunciato giudizi di non conformità alla Carta Costituzionale (citiamo le pronunce di illegittimità parziale che avevano colpito gli artt. 18 e 20 delle preleggi in relazione alle leggi regolatrici dei rapporti personali tra coniugi e dei rapporti tra genitori e figli).
Dunque un evento atteso ed in parte scontato poiché i criteri di collegamento adottati in sede di recente interpretazione giurisprudenziale e il richiamo doveroso a norme contenute in Convenzioni internazionali adottate dall'Italia avevano già anticipato in larga misura le innovazioni ora introdotte dal legislatore.
Tuttavia è indubbio lo sforzo dottrinale nel definire certezze legislative ed assetto organico per discipline che, divenute sempre più rilevanti nella dinamica dei rapporti economici e sociali, erano da troppo tempo lasciate alla sostanziale elaborazione interpretativa dei giudici di merito.
Prima di esaminare la riforma varata, una riflessione va rivolta alla nozione generale di "diritto internazionale privato". L'aggettivo "internazionale" in questo caso ha uno stretto significato statuale, riferendosi ad un complesso di norme che concorrono a disciplinare la vita interna dello Stato e nulla hanno a che fare con il diritto regolatore dei rapporti tra Stati. Dunque ogni ordinamento statale è dotato di un proprio sistema di norme di diritto internazionale privato che consente di valutare il grado d'isolamento o di maggiore inserimento dello Stato nella vita civile della Comunità internazionale. Le singole norme si riferiscono a fatti e rapporti che rispetto alle identiche fattispecie regolate dal diritto interno presentano alcuni elementi di estraneità. Perciò in ogni ordinamento statale, accanto alle norme con cui il legislatore disciplina in via generale un dato tipo di fatti e rapporti, operano altre norme desunte da ordinamenti stranieri e utilizzate per regolamentare fatti e rapporti dello stesso tipo caratterizzati però da circostanze che rendono inapplicabili le norme generali del diritto "domestico".
La norma di diritto internazionale privato viene utilizzata per individuare e richiamare l'ordinamento dello Stato con cui i fatti da regolare sono in qualche modo collegati. Essa quindi resta sempre norma di diritto interno. Ciò non esclude che esistano anche in questa materia norme di vero e proprio diritto internazionale (si pensi alle numerose Convenzioni internazionali) che, se recepite, obbligano talvolta lo Stato ad inserire nell'ordinamento interno norme di richiamo nuove o innovative.
La riforma ora introdotta in Italia è stata sollecitata sia dall'aggiornamento che altri Paesi avevano apportato alla loro normativa, sia dall'autorevole spinta al rinnovamento imposta da numerose Convenzioni internazionali succedutesi nel tempo. Trattasi in sostanza di un atto dovuto verso la Comunità internazionale che tuttavia esplica sicuri effetti positivi nei rapporti tra cittadini italiani e stranieri e più in generale nelle relazioni tra soggetti economici con nazionalità diversa (si pensi alle esigenze che le grandi trasformazioni economiche hanno imposto alla disciplina delle relazioni internazionali specie nei settori degli scambi commerciali e delle operazioni bancarie).
L'esigenza di un profondo riesame dell'intero complesso normativo era già stata avvertita dal Governo dieci anni fa insediando presso il Ministero di Grazia e Giustizia una Commissione di tecnici (professori universitari, magistrati, avvocati, notai) che ha lavorato per quattro anni, licenziando un progetto di riforma che ha costituito la base del disegno di legge discusso in sede parlamentare nel corso dell'undicesima legislatura ed approvato con alcune modifiche nell'attuale dodicesima legislatura.
L'adeguamento del diritto italiano alle Convenzioni internazionali prevede che le disposizioni adottate non pregiudichino l'applicazione delle Convenzioni in vigore e precisa che nell'interpretazione di tali Convenzioni si debba tenere conto del loro carattere internazionale e della esigenza della loro applicazione uniforme.
Merita inoltre rilievo l'approccio di favore riservato al diritto straniero. E' previsto che la sua interpretazione sia rispettosa dei criteri temporali ed interpretativi da esso adottati (art.15). Il sistema giuridico richiamato gode quindi del rispetto pieno dovuto a norme costituenti un'autonoma sfera giuridica, senza limitazioni o manipolazioni di alcun genere. Da ciò è agevole desumere la fondatezza, quindi l'ammissibilità del ricorso per cassazione per falsa o errata applicazione delle norme straniere richiamate. La scelta di un ordinamento straniero, lungi dall'essere arbitraria, avviene per rendere più funzionale l'esigenza di giustizia, applicando alle fattispecie considerate norme ad esse più aderenti che altrimenti non potrebbero operare. Si spiega così che per valutare alcuni rapporti di tipo personale o familiare si faccia ricorso alla cittadinanza o alla residenza; per altri rapporti al luogo in cui è prevalentemente localizzata la vita matrimoniale; per altri ancora al luogo di celebrazione del matrimonio. In caso di società o enti è previsto che venga data rilevanza al luogo in cui l'atto costitutivo è stato perfezionato mentre per le obbligazioni si fa riferimento al luogo in cui si è verificato il fatto (obbligazioni ex lege) o l'evento (obbligazioni ex delietu).
Le circostanze di cui qui si è data una esemplificazione rappresentano i criteri di collegamento che consentono di individuare la legge applicabile. Le vecchie norme contenute nelle disposizioni preliminari al codice civile il più delle volte erano formulate sotto questo profilo in termini generali dando spesso adito a dubbi di natura interpretativa. La normativa ora varata ha notevolmente ridotto l'area della genericità introducendo criteri di collegamento limitativi della norma e proprio per questo più idonei ad individuare con chiarezza la disciplina per cui il richiamo è disposto.
Altre novità interessanti si riscontrano in tema di efficacia in Italia delle sentenze e degli atti stranieri. Superando la tradizione che voleva separati anche nell'ambito del diritto internazionale privato i temi di diritto sostanziale (inquadrati nel codice civile) dai temi di diritto processuale (inquadrati nel codice di procedura civile) si è ora costruito, sull'esempio di altri ordinamenti, un sistema unitario ed omogeneo di diritto internazionale privato.
Le norme che in base al codice di procedura civile del 1942 subordinavano l'efficacia della sentenza straniera al giudizio di "delibazione" pronunciato dalla Corte d'Appello (art. 796 c.p.c. e segg.) sono state abrogate. La disciplina prevista dall'art. 64, Legge 218/1965, dichiara espressamente che "la sentenza straniera è riconosciuta in Italia senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento". L'atteggiamento di chiusura verso gli ordinamenti stranieri che ha prevalso per più di mezzo secolo viene così ribaltato, ricollegandosi alla più antica tradizione liberale che privilegiava il principio dell'automatico riconoscimento delle sentenze straniere. Nel dettato dell'art. 64 il riconoscimento è subordinato al sussistere di alcune condizioni la cui valutazione però interviene soltanto se il riconoscimento è contestato oppure se s'intende procedere a esecuzione forzata sulla base di una sentenza straniera.
Anche la disciplina della litispendenza all'estero ha subito profonde innovazioni abbandonando, con l'abrogazione dell'art. 3 c.p.c., la sostanziale posizione di chiusura verso le giurisdizioni straniere. La previa pendenza della medesima causa davanti ad un giudice straniero ora preclude l'esercizio della giurisdizione italiana (art. 7 Legge 218/1995). Naturalmente tale circostanza dev'essere eccepita davanti al giudice italiano che pronuncerà la sospensione del processo solo se si formerà la convinzione che il provvedimento straniero possa essere riconosciuto in Italia. Ne consegue che di fronte al giudice straniero che si dichiara incompetente per difetto di giurisdizione o di fronte ad un provvedimento straniero che non viene riconosciuto in Italia sarà sempre possibile riassumere il processo su istanza della parte interessata. Con questo meccanismo i diritti vantati davanti al giudice italiano non corrono il rischio di cadere in prescrizione durante l'espletamento del processo all'estero.
Sotto il profilo del diritto sostanziale molte norme introdotte con la riforma hanno incidenza diretta sull'evoluzione dell'economia reale. Si pensi alla nuova disciplina prevista per le persone giuridiche (art. 25); per il possesso e i diritti reali (art. 51 e seg.); per le obbligazioni contrattuali (art. 57).
Per le persone giuridiche straniere (società, associazioni, fondazioni e ogni altro ente pubblico o privato, anche privo di natura associativa) è stata per la prima volta adottata una specifica norma che consente l'individuazione della legge applicabile. L'art. 25 della legge 218/1995 ha adottato come criterio per l'individuazione della legge applicabile quello dello "Stato nel cui territorio è stato perfezionato il procedimento di costituzione" della società o dell'ente, con la riserva che si applica comunque la legge italiana "se la sede dell'amministrazione è situata in Italia, ovvero se in Italia si trova l'oggetto principale di tali enti". Il precedente sistema delle preleggi al codice civile non disponendo di una norma espressa ha dato luogo a difficili percorsi interpretativi. Nell'individuazione della legge applicabile ogni qualvolta enti stranieri entravano a vario titolo in contatto con l'ordinamento italiano si è dovuto far ricorso all'applicazione analogica di norme dettate per disciplinare fattispecie diverse. Ora invece l'operatore del diritto dispone di uno strumento certo ed inequivocabile. Già in passato la dottrina e la giurisprudenza avevano finito per adottare lo stesso criterio ora enunciato dalla legge, ma proprio il carisma che ha la legge conferisce un grado di certezza maggiore che sarà sicuramente apprezzato anche dagli operatori stranieri.
Si noti che il fenomeno dell'internazionalizzazione (è palese la continua crescita delle joint-ventures e delle società multinazionali) non è solo riferibile al momento economico-produttivo. In campo culturale e sociale operano ormai enti di tipo diverso (associazioni, fondazioni), spesso qualificati non-profit, che si vanno ritagliando spazi operativi sempre più ampi nei settori della tutela del patrimonio ambientale, artistico e dei servizi sociali. Si va creando cioè nei Paesi più industrializzati un terzo settore strategico posizionato tra lo Stato ed il Mercato con il compito di gestire i fallimenti dell'uno e dell'altro. Adempiendo a compiti d'istituto sempre più spesso tali enti pongono in essere rapporti ed attività sopranazionali la cui disciplina trova nella norma di diritto internazionale privato una guida necessaria nella individuazione del diritto applicabile, cioè della legge che regola la loro esistenza (atto costitutivo) ed i rapporti giuridici conseguenti (c.d. statuto personale dell'ente).
Si richiama inoltre l'attenzione sulla circostanza che l'art. 25, nel tentativo di dare ulteriore chiarezza al principio generale sancito per individuare la legge regolatrice dell'ente, elabora al secondo comma una dettagliata casistica (riferimenti alla natura giuridica dell'ente, alla sua denominazione o ragione sociale, alla formazione, ai poteri e alle modalità di funzionamento degli organi, ecc.) che riteniamo debba considerarsi esemplificativa, non tassativa.
Di rilevante interesse è poi il disposto dell'art. 25, ultimo comma, che disciplina i trasferimenti di sede statutaria dell'ente da uno Stato all'altro e le operazioni di fusione tra enti di Stati diversi. Il legislatore ha disposto in entrambi i casi un'unica disciplina limitandosi a riconoscere che i trasferimenti di sede e le fusioni hanno efficacia "se posti in essere conformemente alle leggi degli Stati interessati". Quindi in caso di non conformità si può proporre azione per richiedere l'inefficacia e quindi l'annullabilità degli atti. In realtà, in questa delicata materia si è scelto di non scegliere, preferendo semplicemente escludere la prevalenza di una legge nazionale. Ciò nella pratica potrà produrre, per le operazioni di fusione in particolare, difficoltà interpretative di non poco conto per la molteplicità e complessità delle norme che intervengono sotto il profilo del diritto commerciale, finanziario, tributario. Problematica risulterà anche la individuazione degli organi statali preposti al controllo delle posizioni dominanti, con evidenti effetti negativi sulle garanzie di elasticità poste a presidio dei circuiti economico-finanziari al fine di tutelare gli interessi generali del consumo e del risparmio.
In ambito comunitario questo problema è comunque meno avvertito poiché sui criteri adottati dalla legge italiana prevalgono quelli contenuti nella Convenzione di Bruxelles del 29 febbraio 1968 (ratificata dall'Italia con legge 28 gennaio 1971, n. 220) e nei regolamenti e direttive d'attuazione.
Per i diritti reali la nuova disciplina di diritto internazionale privato (art. 51, 52, 53, 54, 55) è caratterizzata da una marcata specializzazione normativa che viene giustamente a sostituire la precedente, sintetica e generica regolamentazione prevista dall'art. 22 delle preleggi.
L'art. 51 fa un richiamo espresso al possesso, alla proprietà e agli altri diritti reali su beni mobili ed immobili (superficie, enfiteusi, usufrutto, abitazione, servitù prediali e personali, pegno e ipoteca) adottando il criterio di collegamento della lex rei sitae per cui tali diritti "sono regolati dalla legge dello Stato in cui i beni si trovano".
A questo principio generale fa eccezione l'acquisto o la perdita di diritti reali per successione, contratto o rapporto di famiglia, casi in cui si è preferito assegnare prevalenza alla legge che regola questi istituti.
Una disciplina specifica, prima non prevista, è stata inoltre adottata per i diritti reali sui beni in transito, quei beni cioè che durante il viaggio attraversano più Stati prima di arrivare a destinazione (restano esclusi navi ed aeromobili i cui diritti reali e di garanzia sono disciplinati dalla legge nazionale della nave e dell'aeromobile).
Ci si riferisce ai beni in transito strictu sensu, merci viaggianti e bagagli dei viaggiatori. Il legislatore ha stabilito che i diritti relativi a tali beni "sono regolati dalla legge del luogo di destinazione" (art. 52). Nell'adozione di questo criterio di collegamento ha prevalso il rispetto per la volontà di coloro che effettuano la spedizione assegnando ai beni la loro destinazione finale. Nella pratica però si può verificare la curiosa circostanza che a seguito di smarrimento o sottrazione delle merci durante il viaggio si debba applicare la legge di uno Stato da esse mai raggiunto. Ciò potrà creare qualche perplessità in sede interpretativa, ma certamente il criterio adottato concorre a fare chiarezza sulla disciplina della particolare categoria dei beni in transito che per sua natura non è facilmente inquadrabile.
Per i diritti sui beni immateriali (proprietà letteraria ed artistica, ditta, insegna, marchio, invenzioni, modelli e disegni industriali soggetti a brevetto) si è fatto utilmente ricorso ad una specifica norma. Si è scelto come criterio di collegamento il rinvio alla legge dello Stato in cui il bene viene utilizzato, ma restano salve ed hanno priorità tutte le norme che le Convenzioni internazionali e comunitarie dettano in materia.
Per le obbligazioni contrattuali l'art. 57 stabilisce che esse "sono in ogni caso regolate dalla Convenzione di Roma del 19 giugno 1980... senza pregiudizio delle altre Convenzioni internazionali in quanto applicabili". La Convenzione richiamata è entrata in vigore in Italia il 1° aprile 1991. Per determinare la legge applicabile essa fa generale riferimento alla volontà delle parti. Pertanto la sovranità della volontà negoziale è assoluta, con la sola eccezione del rispetto dovuto per le norme imperative (c.d. norme di applicazione necessaria). L'art. 3.3 della Convenzione stabilisce che la scelta della legge applicabile non può arrecare pregiudizio alle norme imperative operanti nello Stato prescelto per regolare i vari elementi del contratto. Da ciò si desume che tali norme non possono essere derogate dalla volontà delle parti ed ove ciò accadesse il contratto sarebbe viziato per nullità e quindi assoggettato alla disciplina statuale per essa prevista.
Va precisato tuttavia che diverse ipotesi di obbligazioni contrattuali non rientrano nella disciplina della Convenzione di Roma. L'art. 1.2 di tale Convenzione formula un lungo elenco di eccezioni. In questa sede vengono indicate quelle di maggiore rilevanza per gli interessi d'impresa. Sono escluse le obbligazioni che derivano da cambiali, assegni e vaglia cambiari; i compromessi, le clausole compromissorie e le convenzioni sul foro competente; le questioni inerenti al diritto delle società, associazioni e persone giuridiche; i contratti d'intermediazione; la costituzione di trust; i contratti di assicurazione (art. 1.3), mentre rientrano nella normativa generale della Convenzione i contratti di riassicurazione.
Per tutte le obbligazioni escluse dalla disciplina della Convenzione di Roma non è comunque ipotizzabile alcun vuoto legislativo perchè esse sono soggette alla disciplina di altre Convenzioni internazionali in ragione del richiamo operato dall'art. 57, legge 218. Per le obbligazioni da fatto illecito si è disposto che la responsabilità venga regolata "dalla legge dello Stato in cui si è verificato l'evento" (art. 62). Pertanto, se il danno si è prodotto all'estero mentre la condotta lesiva si è manifestata in Italia resta applicabile la legge italiana.
L'esame degli istituti di maggior interesse per i rapporti d'impresa consente comunque di apprezzare la ratio che ha mosso lo spirito riformatore. La preoccupazione principale è stata rivolta alla ricerca di soluzioni soddisfacenti per le dispute e i dubbi interpretativi che il vecchio assetto legislativo aveva evidenziato in ragione della complessità e dell'accresciuta importanza dei rapporti internazionali.
Sicuri segnali di maggior credito verso le giurisdizioni straniere vengono dalla nuova disciplina di diritto internazionale privato. Va quindi sottolineata in positivo l'opera di ammodernamento e revisione delle concezioni formalistiche e di preminente esclusività della giurisdizione italiana che il vecchio legislatore aveva privilegiato.
L'auspicio è che il buon lavoro prodotto nel settore del diritto internazionale privato possa far riflettere il legislatore sulla necessità di mettere ordine ulteriore in alcuni vetusti istituti dell'ordinamento civile "domestico", con particolare riferimento a quelli che coinvolgono interessi collettivi e quindi assumono rilevante valenza istituzionale nell'assetto della vita economica e sociale.
Proprio la maggiore apertura verso le giurisdizioni straniere predispone alla ricerca di maggiore uniformità nella disciplina dei singoli istituti civilistici e quindi ad un esame introspettivo più attento delle leggi codificate.


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