§ PORTO FRANCO

E L'ASIA VOLA




Leo Morabito



Si sono detti soddisfatti gli asiatici per avere trovato in Europa nuovi amici. E anche gli europei, che aprono alle loro anemiche economie maggiori sbocchi nella zona più dinamica del mondo, e che assumono un ruolo politico fuori dalle vecchie sfere d'influenza.
Il primo vertice fra i due continenti è stato un tale successo, che i funzionari dei Dieci Paesi orientali e dei Quindici dell'Unione europea si interrogano sulle possibilità di gestire la massa di programmi varati. Soddisfatti si dichiarano anche i rappresentanti delle industrie europee, poiché potranno fruire di un migliore accesso al mercato asiatico e delle strutture di sostegno che saranno messe in opera dall'Unione europea, con una particolare attenzione per le piccole e medie imprese. Il vantaggio sarà particolarmente sensibile per le società italiane, che erano penalizzate rispetto a quelle tedesche, francesi, britanniche, meglio sostenute dai loro governi nazionali. Il segreto della buona riuscita è stato proprio questo: per la prima volta i leader dell'Asia hanno discusso con i leader occidentali su un piano di perfetta parità. Quando hanno discusso con gli Stati Uniti, invece, si sono sentiti guardati dall'alto in basso.
Gli europei hanno imparato in fretta il codice del buon comportamento asiatico e, senza rinunciare a sostenere i valori dell'Ovest, hanno accettato il principio secondo cui si parla in pubblico di ciò su cui si è d'accordo, mentre in privato si affrontano le divergenze e si cercano compromessi. Le regole richieste dall'Asia per un dialogo efficace sono state assorbite nel principio del rispetto reciproco e della non interferenza negli affari interni. Fra i successi raggiunti: la disponibilità della Cina ad affrontare con gli europei anche i problemi più spinosi; il primo colloquio, dopo ventuno anni, fra Lisbona e Giakarta sul problema di Timor Est; gli incoraggianti progressi per la restituzione di Hong Kong alla Cina; l'assenso di Londra e Parigi al trattato per la denuclearizzazione del Sud-Est asiatico.
Tale nuovo rapporto fra Europa ed Asia smussa l'influenza degli Stati Uniti nel Far East, poiché gli asiatici potranno appoggiarsi sul lato europeo del triangolo strategico. Era uno degli scopi dell'Oriente. Lo era anche per l'Unione europea? In un certo senso, sì: era importante far sentire che nel mondo non esistono solo gli Stati Uniti. E questo è stato il risultato di maggior rilievo raggiunto negli incontri thailandesi di Bangkok. L'Europa ha dimostrato di esserci. E di poter contare anche più degli Usa e dello stesso Giappone, che a quegli incontri era attivo come non mai. Non a caso si è parlato di "una sfida di prim'ordine" per l'Europa, di cui anche la politica e l'economia dell'Italia dovranno sempre più tenere conto.
1) Già oggi l'Asia genera il 25 per cento del reddito mondiale (il 32 per cento in termini di potere d'acquisto), quanto gli Usa e poco meno dell'Europa dei Quindici. Agli attuali tassi di crescita medi (5-6 per cento all'anno), si calcola che il Pil asiatico nel 2025 sarà il 40 per cento del Pil mondiale, pari cioè a Nord Europa ed America messe insieme. Da sottolineare: tranne poche eccezioni (Corea, Taiwan), la forte crescita si è accompagnata ad una sensibile riduzione delle disuguaglianze nella distribuzione del reddito e a un calo impressionante del peso delle fasce di popolazione al di sotto della linea della povertà. Chi ha detto che crescita e disuguaglianza marciano insieme?
2) Tutto ciò è derivato non soltanto dalla cosiddetta accumulazione primitiva (crescita della popolazione e del capitale investito), come suggerisce un brillante, provocatorio, ma poco documentato saggio del noto economista americano Paul Krugman, ma da una potente miscela (pur entro modelli-Paese molto diversi tra di loro) di: politiche macro-economiche efficaci (inclusi tassi di cambio non sopravvalutati ed estrema sobrietà nell'impiego di prezzi amministrati distorsivi del mercato), forte coinvolgimento degli investimenti privati accanto ad incisive politiche pubbliche di sostegno all'industria e al sistema finanziario, massicci investimenti in scolarità e in addestramento professionale, riforme agrarie con effetti sorprendenti sulla produttività e sul reddito dell'ancora imponente quota della popolazione agricola, spinta contemporanea su esportazioni e importazioni, decisa attrazione di investimenti e di tecnologie dall'estero (e in primo luogo dal Giappone). In una parola: strategie prevalentemente "market friendly", anni luce lontane dalle fallimentari politiche di molti Paesi africani e latino-americani. Una bella lezione per tutti, e forse anche per casa nostra.
3) Su questi mercati così dinamici la quota del commercio con l'Europa è andata purtroppo calando nell'ultimo quarto di secolo, a favore del Giappone, degli Stati Uniti e degli stessi scambi intra-asiatici. Non si può dunque continuare a considerare quest'area come un'interessante curiosità, un pericoloso concorrente dal quale difendersi, o un impenetrabile mercato.
4) Il primo foro di cooperazione euro-asiatica ha fornito stimolo di riflessione e di azione anche sul terreno delle strategie di integrazione internazionale. Europa ed Italia debbono mettersi subito e concretamente al lavoro. Questi Paesi (e soprattutto la Cina) domandano molto "partnerariato", vale a dire investimenti e trasferimenti di tecnologia, e non solo scambi commerciali. E proprio su questo terreno l'intera Unione europea, per non parlare dell'Italia, è ancora molto indietro, nonostante azioni eccellenti di alcune imprese.
Ebbene: quest'Asia che decolla e vola non ritiene di doversi dotare di una moneta unica, e meno che mai di una moneta unica trainata - o peggio, ancorata - allo yen, cioè alla potenza economica e ai costi presenti in Giappone. L'Europa ha motivo di riflettere anche su questo, e sui motivi che hanno portato la Germania a misure di riduzione di spesa per oltre 50 mila miliardi di lire nel mese di maggio. Il progetto di un'Europa dei Quindici sotto l'ala protettrice della Germania prosegue. Nessuno faccia finta di non accorgersi. Euro o non euro, questo è il problema.


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