§ OSSERVATORIO BANCARIO

VIRTU' CONTRO INTEMPERIE




Alberto Mucci



Risparmiatore "flessibile", possiamo dire, utilizzando un aggettivo alla moda. E' così. Il risparmiatore, da tempo sottoposto a continue docce scozzesi, a temporali, a grandinate, reagisce adattando le sue scelte alle circostanze, ai mutamenti, alle possibilità. Cammina su un dirupo. Di fronte a lui, una possibile caduta. Ma ne è cosciente. Ragiona più d'un tempo. Si muove sulla base di analisi, più che con l'istinto. Utilizza gli strumenti della società dell'informazione. Si muove "in positivo", senza nascondersi i pericoli che lo circondano. Una foto a più colori, tutti peraltro nitidi, quella scattata dall'indagine campionaria Bnl-Doxa-Centro Einaudi: una foto che scandisce l'evoluzione del risparmiatore italiano, le sue capacità, le sue ansie, la sua volontà di reagire alle difficoltà, di adattarsi, di capire.
Lo sappiamo tutti che viviamo un periodo denso di incognite, di incertezze, di preoccupazioni. La globalizzazione dei mercati, la grande conquista di fine secolo, amplia gli orizzonti dei consumatori, moltiplica occasioni per i risparmiatori, per quanti hanno denari da impiegare, ma nel contempo suscita nuovi pressanti interrogativi: gli spostamenti quotidiani di attività finanziarie, da un punto all'altro del pianeta, alimentano speculazioni, creano squilibri, provocano talvolta crisi violente. Nuovi ricchi e nuovi poveri vengono alla ribalta. Una scommessa continua.
Il '94 e il '95 si caratterizzano con una crescita economica marcata che dagli Usa è giunta in Europa. Il Giappone si è invece piegato su se stesso, corroso dalle sue contraddizioni sociali, dall'ingordigia della finanza fine a se stessa. La Cina e le "Tigri d'Oriente" hanno dimostrato (e continuano a dimostrare) una forza interiore, con tassi di sviluppo impensati. C'è un modello Asia che si sta imponendo? Vedremo. Ma nel frattempo la crescita degli Usa e dell'Europa si è attenuata. La previsione è per una "medietà" negli indici della produzione e del benessere nei Paesi sviluppati. L'Italia è "parte" di questa realtà, con le sue contraddizioni e i suoi squilibri.
L'economia produttiva ha preso l'onda della ripresa: maggior produzione, più larghe quote di esportazione. Ma lo Stato è rimasto inefficiente, distruggendo ricchezza. La svalutazione della lira è il risultato di questa discrasia, come lo è il tasso d'inflazione, che resta elevato, triplo di quello degli altri grandi Paesi. I bilanci delle famiglie registrano puntualmente questa situazione. Il disagio economico è cresciuto, frutto non solo dei problemi del passato e del presente, ma anche delle molte incertezze gravanti sul futuro. Il tenore di vita delle famiglie non è migliorato. Il clima di opinione oscilla.
L'indagine fornisce risposte, individua trend. Soprattutto mette in luce le preoccupazioni e le aspettative del risparmiatore. Chiarisce il suo modo dì ragionare, il suo stato d'animo. Punta a disegnare la "qualità" del risparmio e le "scelte" del risparmiatore. Non fornisce dati quantitativi. Ed è proprio l'analisi della qualità che fa scaturire indicazioni e spunti di riflessione. Che permettono di seguire il ragionamento dei risparmiatori quando compiono le proprie scelte.
Il risparmiatore, dunque, è preoccupato. Ma continua a considerare il risparmio una necessità, una scelta utile (diremmo obbligata). La constatazione è importante, in un momento in cui la quantità di risparmio (e non soltanto in Italia) è in diminuzione. Ragioni congiunturali limitano la possibilità di risparmiare. Ma la volontà c'è. Anzi: si va ulteriormente rinforzando. L'indagine fornisce dati inequivoci. I "non risparmiatori" che figurano nel campione hanno raggiunto, nel 1995, un massimo storico (erano il 32,2% del totale nel 1990; sono saliti al 43,71/0). Ma oltre il 631/0 degli intervistati ritiene il risparmio indispensabile o molto utile. La virtù resiste alle intemperie della congiuntura e della cattiva politica. Due, soprattutto, le minacce individuate dal risparmiatore. La prima: l'inflazione è tornata a rialzare la testa. E' stimolata dalla sottovalutazione della lira, ma trova uno "zoccolo duro" nella struttura dell'economia italiana, nell'inefficienza dei servizi, nella cattiva gestione dell'amministrazione pubblica. La seconda: i bisogni della "terza età". Perché la riforma pensionistica, varata dopo un lungo braccio di ferro fra opposti interessi, non ha chiarito le prospettive.
Non ha fornito certezze sul domani. Ha pungolato la volontà del risparmiatore a ricercare strade diverse, personali, per dare sicurezza alla propria "terza" ed ora anche " "quarta" età.
Come difendersi dalle minacce? Come reagire in positivo alle difficoltà? Le risposte disegnano la "flessibilità" del risparmiatore nel '95. Un risparmiatore che torna a puntare su forme di impiego che gli appaiono più sicure, che possano mettere al riparo dai rischi il proprio patrimonio. Un risparmiatore che preferisce nel contempo (entra in gioco il fattore incertezza) mantenersi liquido e quindi ricerca gli impieghi a breve. Un risparmiatore che dimostra capacità di compiere un "mix" di investimenti con l'obiettivo di "traghettare" in sicurezza il valore del proprio risparmio al di là del periodo turbolento che stiamo vivendo. Le caratteristiche di questi "cambiamenti per necessità" possono essere sintetizzate come segue.
Diversificazione degli investimenti (come risposta alla paura dell'inflazione). Cambia il "mix" delle scelte del risparmiatore, secondo una logica che premia la sua capacità di comprendere la realtà, ma che nel contempo dovrebbe costituire un preciso monito per le autorità di governo nella definizione delle politiche economiche. Ecco, allora, il ritorno dei BoT. Un riflusso? Un "passo del gambero"? No. C'è una logica in questa "svolta" rispetto alla tendenza che aveva caratterizzato il periodo 93-94 (la disaffezione del risparmiatore rispetto ai titoli pubblici). Ed è una logica che deve far riflettere.
Vediamo. Azioni fa rima con privatizzazioni. Non più di un anno e mezzo fa si plaudiva al rinnovato interesse del risparmiatore nei confronti dell'investimento mobiliare. Attraverso il collocamento sul mercato di Comit, Credit e Imi, centinaia di migliaia di italiani si avvicinavano alla Borsa, forse per la prima volta. Erano soprattutto insegnanti, dirigenti, impiegati, artigiani, commercianti e operai. Scarso, invece, si mostrava l'interesse di imprenditori e liberi professionisti.
Un anno dopo. Azioni fa rima con frustrazioni. Insoddisfacenti le performances dei titoli azionari delle aziende, privatizzate e non. Avvilente il trattamento riservato ai piccoli azionisti nelle vicende di Super-Gemina e Olivetti. Risultato: la soddisfazione ricavata dai risparmiatori italiani dall'investimento in azioni scende. Anzi, cade a picco. L'indagine fornisce un dato netto: la percentuale di chi è rimasto molto o abbastanza contento dei soldi impiegati in Borsa scende dal 52,5% del '94 al 38,1% del '95. Un calo di poco meno di un terzo diagnosticato quando ancora non si sapeva dell'Opa mancata su Ferfin o degli aumenti di capitale Olivetti.
Non ci si può illudere. Vana la speranza di far uscire il mercato azionario dallo stato di sottosviluppo in cui si trova. Al di là di altre considerazioni, ciò che viene messo drammaticamente in luce è l'esistenza di un nuovo, ennesimo dualismo italiano. Quello che assegna al "grande" capitale privato il potere di fare il bello e il cattivo tempo in Borsa, mentre confina lo spazio di manovra del piccolo risparmio al nirvana illusorio dei BoT, del finanziamento del debito pubblico. L'incancrenirsi di questo dualismo finirà col produrre gravi distorsioni sulla diffusione di una sana e bilanciata "cultura del rischio" nel nostro Paese. Da una parte si gli spazi di "moral hazard" praticabili per il grande capitale". Il mondo dell'alta finanza continuerà a non avvertire il pungolo disciplinatore del riscontro dovuto a una miriade di piccoli azionisti.
Di fronte a gravi dissesti dovuti a insipienti scelte manageriali si tenterà ancora una soluzione ai problemi delle grandi imprese con coni a carico dell'erario.
Specularmente, il "BoT people" consoliderà l'erronea convinzione che alti tassi d'interesse siano il naturale correlato di investimenti a rischio zero. Così facendo, da sta comunità di risparmiatori inebetiti l'oppio dei BoT sarà difficile che promani il sostegno necessario a quella imprenditorialità di piccole e medie dimensioni che rappresenta e rappresenterà ancora il vero fattore di sviluppo della nostra economia.
Un'altra tendenza, che può essere letta in positivo o in negativo, a seconda dei punti di vista, caratterizza il comportamento del risparmiatore nel '95: è l'abbandono della corsa verso gli investimenti all'estero, marcati nel 1993-94. La perdurante crisi della lira, le crisi finanziarie che hanno caratterizzato vari intermediari, anche esteri, hanno indotto alla prudenza, a "tornare a casa". Gli investimenti denominati in valute estere sono stati affrontati dal 4,8% del campione, contro il 6,1% dell'anno precedente.
Quando si raggiunse il livello massimo e la bilancia dei pagamenti segnò un'uscita netta di capitali dal nostro Paese i o tre 40 mila miliardi di lire. Analoga sorte (potremmo chiamarlo "disamore") si registra per i Fondi di investimento. I nuovi sottoscrittori sono soltanto il 2,7% del campione. La volatilità del mercato può avere scrollato la massa dei possessori, separando gli investitori "naïf", che hanno abbandonato l'investimento, da quelli che ragionano a medio-lungo termine, accentuando la diversificazione del loro portafoglio. Il "non investire in un solo modo" è principio di saggezza che trova puntuale conferma (o meglio, accentuazione) nel risparmiatore '95.
Ricerca della pensione sufficiente (come risposta alle paure di una "terza età" meno protetta dallo Stato). La riforma del sistema pensionistico era una necessità. Il "trend" in atto fino a metà del '95 avrebbe portato al collasso. La legge ha introdotto alcuni cambiamenti, insufficienti peraltro a salvaguardare a lungo termine il sistema generalizzato di previdenza pubblica. Il dibattito sul tema pensioni e la legge, comunque venga interpretata, hanno fatto comprendere che l'ammontare della pensione non può non essere rapportato ai sacrifici che ciascuno compie nell'età lavorativa. Lo "Stato-mamma", assistenziale, sta finendo.
L'indagine lo conferma. Il 73,9% dei risparmiatori è d'accordo sul fatto che occorre risparmiare per integrare la futura pensione. Questa scelta non è una novità in assoluto. Da anni emergeva una crescente incertezza pensionistica, alla quale il risparmiatore non poteva far fronte in mancanza di una regolamentazione nazionale della previdenza integrativa, quale secondo pilastro di un sistema previdenziale moderno. Il vuoto legislativo è stato colmato nel 1995. Ma quello attuativo durerà a lungo, data la pluralità di soggetti coinvolti nella nascita di futuri fondi pensione (le incertezze non sono state completamente dissipate, soprattutto le incertezze fiscali). Né va trascurato il fattore disponibilità. Lo Stato non ha ridotto (anzi, ha accentuato) il prelievo contributivo sulle imprese e sui lavoratori per riequilibrare (anche se parzialmente) il sistema pensionistico. Dunque...
La volontà di "risparmiare per" si scontra con la possibilità di "risparmiare per". Un problema che Parlamento e Governo dovranno affrontare, se la "svolta" nella gestione della politica economica dovrà avere un significato concreto.
I risultati dell'indagine forniscono spunti di riflessione anche e soprattutto per il sistema bancario, a sua volta in fase di trasformazione alla luce delle nuove normative comunitarie sull'operare bancario e della globalizzazione dei mercati.
La banca resta il tradizionale punto di riferimento del risparmiatore anche dopo il decollo delle reti di promotori finanziari. La sfida nasce con il fiorire dei servizi telematici: il rapporto diventa più stretto, ma nel contempo più sofisticato (quindi di maggiore qualità). I dati dell'indagine sono anche a questo riguardo inequivoci. Mentre la prevalenza dei risparmiatori non rinuncerebbe a una visita in banca per scegliere o seguire gli investimenti, una parte di essi farebbe volentieri a meno di recarsi materialmente agli sportelli per effettuare pagamenti o semplici trasferimenti di fondi.
Ne derivano due conseguenze: da un lato si giustifica come la pur apprezzata crescita dell'offerta di servizi nuovi e personalizzati non sia riuscita ad affermarsi come il principale fattore della scelta della banca. Dall'altro lato emerge l'interesse per la nascita degli sportelli "virtuali", utilizzabili senza spostarsi da casa o dall'ufficio.
La fase della moltiplicazione degli sportelli si sta esaurendo. Le banche possono ora puntare a "fidelizzare" la clientela, a trovarne di nuova portando a casa dei clienti (di quelli in essere e dei potenziali) i servizi per cui essi non giudicano indispensabile muoversi fisicamente. I "servizi a distanza" attraggono il risparmiatore. Il Bancomat ha avuto successo. La maggioranza dei risparmiatori dice di utilizzarlo "spesso". E parimenti si esprime in termini favorevoli all'ipotesi di fruizione dei servizi di una banca telefonica o di una banca on-line. Il telefono è il mezzo che riscuote maggior consenso, seguito dal personal computer e dal videotel (si conferma la scarsa penetrazione di questo strumento).
L'aumentato interesse dei risparmiatori nei riguardi delle polizze vita è dovuto in gran parte all'intervento delle banche nella distribuzione di queste polizze attraverso i propri sportelli. La banca dà sicurezza. Riesce a vincere più facilmente le diffidenze dei risparmiatori che, in materia di risparmio previdenziale, danno più fiducia alle gestioni bancarie (30,3%) rispetto a quelle assicurative (21,3%) o a quelle pubbliche (l'Inps riceve appena il 10,5% dei consensi). D'altra parte, le polizze sono diventate più attraenti nel corso degli ultimi anni.
Gli spazi potenziali per la banca-assicurazione ci sono, dunque. Come ci sono parimenti per la previdenza integrativa. Resta il problema del risparmio disponibile. Un discorso macroeconomico condizionato dalle scelte della politica economica. Un discorso da fare in altra sede. In questa, ci preme sottolineare come la "flessibilità" sia entrata nelle scelte dei cittadini (si staccano dagli investimenti ripetitivi, mutano gli impegni in funzione delle condizioni operative dei mercati, usano la libertà valutaria con giudizio, eccetera). E come il sistema bancario abbia ancora molte carte da giocare per il risparmiatore. Purché ne sia capace ed applichi anch'esso dosi crescenti di "flessibilità".


Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000