§ DIBATTITI / UOMINI DEL "NUOVO MERIDIONALISMO"

RICORDANDO SARACENO




Mario Talamona



Pasquale Saraceno, una delle figure più importanti nella storia economica italiana dell'ultimo sessantennio, ma soprattutto maestro del "nuovo meridionalismo", scomparve all'età di 88 anni, mentre proprio il Mezzogiorno d'Italia, in certe sue parti, poneva al Paese interrogativi angosciosi. L'idea stessa dell'attenuazione e dell'eliminazione dei divari socio-economici fra le "due Italie" degli anni Cinquanta e Sessanta, come una delle facce del problema complessivo della crescita economica e civile dell'Italia unita, era profondamente in crisi di fronte a processi centrifughi che traevano origine, in misura non trascurabile, dall'inefficienza pubblica e dalla corruzione connessa con un perverso intreccio, divenuto purtroppo organico, fra politica deteriore, assistenzialismo e clientelismo nell'impiego delle risorse intermediate dallo Stato e dagli enti locali.
Saraceno, nato a Morbegno, in Valtellina, nel 1903, da padre siciliano, aveva certamente vissuto con acuta preoccupazione l'esito di un processo che, ancora alla metà degli anni Ottanta e persino in epoca più recente, minacciava così tremendamente i risultati attesi da quelle politiche d'intervento straordinario, imperniate sull'industrializzazione e poi sulle infrastrutture, che aveva concepito e promosso con grande lucidità e determinazione.
Gli effetti della crisi degli anni Settanta e successivamente la ripresa accelerata dello sviluppo nel Centro-Nord, nonostante la nuova mappa "a macchie di leopardo" di un relativo decollo meridionale in certe aree, lo avevano profondamente toccato, inducendolo anche a una revisione coraggiosa e realistica delle impostazioni precedenti degli interventi a favore del Mezzogiorno.
Quando mi accadde di scrivere, sul Sole-24 Ore e sul Corriere della Sera, di una "questione settentrionale" come dell'altra faccia di quella "meridionale", in una visione complessiva e unitaria dei nostri problemi di crescita, l'attenzione di Saraceno si rivelò vivissima e appassionatamente incoraggiante. In una lettera del 1983 scriveva fra l'altro: "Peccato non avere chiaccherato insieme di queste cose nei 25-30 anni trascorsi da allora!". Fino a poco tempo fa, e forse ancora oggi, da un punto di vista, diciamo così, "accademico", l'Italia, che ha conosciuto soltanto la Controriforma, è rimasta tuttavia al criterio "Cuius regio, eius religio"... Per nascita, sempre accademica, s'intende, la mia "regio" non era quella di Saraceno: di qui un forse tardivo, ma sincero e reciproco rimpianto.
C'erano stati intensi dibattiti di politica economica e corrispondenti polemiche intorno a questioni fondamentali, rispetto alle quali Pasquale Saraceno era stato sempre uno dei più decisi e convinti protagonisti. Ciò, soprattutto, all'epoca dell'avvento del centrosinistra e dei tentativi di realizzare in Italia una programmazione globale dell'economia, dopo infinite e spesso nominalistiche dispute sui caratteri di quest'ultima, se "indicativa" o "coercitiva", conforme al mercato o correttiva e strutturalmente riformatrice rispetto all'esistente. Una realtà che, a sua volta, non aveva (e non ha) di certo i requisiti teorici e pratici presupposti dalle pretese di ottimalità di un sistema di prezzi non "disturbato" dagli interventi pubblici. Questione correlata e altrettanto fondamentale, quella del ruolo delle imprese pubbliche e in particolare dell'originale tipologia italiana delle partecipazioni statali. Negli anni Cinquanta un editoriale dell'ingegner Colombo sul Sole-24 Ore era intitolato: "La giostra del saracino", con evidente riferimento a Saraceno, che molto se ne offese.
Saraceno si era laureato alla Bocconi seguendo i corsi serali e già negli anni Trenta faceva parte del brillante gruppo dei giovani economisti e statistici, insieme a Lenti, Di Fenizio, Brambilla, Boldrini, oltre a Paolo Baffi, che frequentava l'Istituto di Giorgio Mortara. Ai tempi della grande crisi, Saraceno fu uno dei più stretti collaboratori di Alberto Beneduce e soprattutto di Donato Menichella, nella fase di costituzione dell'Imi, poi dell'Iri nel 1933 e della promulgazione della Legge Bancaria del 1936. Fu uno dei padri dello "Stato imprenditore" che, prospettato a Mussolini anche con il determinante apporto di Raffaele Mattioli, portò, da un lato, alla fine della "banca mista" e, dall'altro, alla costruzione di un poderoso strumento di intervento pubblico nell'economia attraverso la "formula Iri" per la gestione delle partecipazioni bancarie e industriali.
Saraceno, al quale va fra l'altro il merito di aver magistralmente avviato la trasformazione nelle nostre università della vecchia tecnica industriale in una moderna e più rigorosa economia industriale, come consulente economico era rimasto sempre legato all'Iri. Nel dopoguerra fu uno degli artefici dei piani per l'acquisizione e l'impiego degli aiuti americani all'Italia per la ricostruzione, dall'Unrra al Piano Marshall. Esponente di quella che diverrà la sinistra democristiana, era contrario alle soluzioni liberistiche della "linea Einaudi" e alle concezioni dei Bresciani, dei Del Vecchio e altri. Ma nel 1977, in un'ammirevole "Intervista sulla Ricostruzione 1943-53", ne riconoscerà, a posteriori, la fondamentale giustezza. Sarà quindi l'ispiratore dello "schema Vanoni", l'unico piano mai autorealizzatosi in Italia nelle sue previsioni macroeconomiche. Sulla strada della programmazione economica, dopo l'esperienza della "Commissione Papi" (tecnicamente diretta da Di Fenizio), la nazionalizzazione dell'industria elettrica vide Saraceno favorevole alla formula dell'irizzazione, ben diversa da quella adottata.
A Saraceno, accanto a Rossi-Doria e a Compagna, risale il "nuovo meridionalismo", imperniato su successive fasi di industrializzazione e, in linea di principio, sull'intervento diretto dello Stato, anziché sulle politiche assistenziali o di puro trasferimento teorizzate nell'epoca precedente.
Sua è la concezione dell'intervento straordinario, quindi della Cassa per il Mezzogiorno, successivamente rivista alla luce di esperienze non corrispondenti alle attese, ma di sicuro diametralmente lontane dalla prassi sciaguratamente instauratasi nei decenni più recenti.
In questa appassionata vocazione meridionalista di Saraceno rientrano anche la fondazione della Svimez (che fu palestra di Claudio Napoleoni), la produzione di importanti rapporti sull'economia del Mezzogiorno, e verso la fine degli anni Cinquanta, fra breve e lungo periodo, significativi dibattiti connessi con l'ipotesi dell'emigrazione meridionale verso il Nord, originata da lucide analisi controcorrente di Vera Lutz. Con Bruno Pagani, a quell'epoca, Saraceno fu anche molto vicino a Mondo Economico.
Con lui l'Italia perdette uno dei protagonisti della sua storia moderna, un notevole economista, un uomo coraggioso: una perdita che induce a riflettere sul prezioso capitale umano di cui questo Paese ha pur potuto disporre e che l'inesorabile legge del tempo sembra impoverire troppo al di sotto delle nostre esigenze e delle nostre aspirazioni. Lo ricorderemo sempre con rimpianto, con ammirazione e con affetto.


Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000