§ GERMANIA ANTI-MAASTRICHT

L'UTOPIA DELLA MONETA UNICA




Roland Vaubel



Secondo recenti sondaggi d'opinione, solo l'otto per cento dei tedeschi ritiene che la moneta unica europea prevista dal Trattato di Maastricht si riveli stabile o forte quanto il marco tedesco. Più dei due terzi della popolazione sono invece concentrati all'unione monetaria europea nella versione di Maastricht. E solo il 38 per cento era favorevole, in passato, alla ratifica del Trattato così com'era. Fra l'altro, 62 docenti di economia tedeschi avevano lanciato un monito contro le disposizioni monetarie del Trattato. Ma oggi ci sono motivi validi per ritenere che la moneta europea possa accelerare l'inflazione?
Lo statuto della Banca centrale europea presenta molte somiglianze con le disposizioni che governano la Bundesbank: indipendente dal potere politico e, quindi, dai governi nazionali e dal Consiglio dei ministri europeo, ha il compito di assicurare la stabilità del livello dei prezzi. Del suo Consiglio direttivo fanno parte i dodici Governatore centrali e sei Direttori nominati dal Consiglio europeo. Mentre questi ultimi sono nominati per un periodo di otto anni, alla fine del quale non possono essere riconfermati, i Governatori centrali devono essere nominati dai rispettivi governi per un periodo non inferiore ai cinque anni e possono essere riconfermati nell'incarico, sempre che lo ritengano opportuno. Quali sono le funzioni che il Consiglio della Banca centrale europea è chiamato ad assolvere?
Le nostre previsioni in materia non devono riposare sulle dichiarazioni del Trattato, che enuncia come obiettivo primario quello della stabilità del livello dei prezzi.
Nessuno, infatti, può impedire al Consiglio di generare inflazione o quanto meno di consentirla, tanto più che non sono previste sanzioni a suo carico in caso di decisioni opinabili. E poiché il Consiglio può fare ciò che vuole, può anche darsi che non faccia ciò che dovrebbe.
Nella teoria dell'economia politica, un banchiere centrale indipendente è la quintessenza del burocrate incontrollato.
Considerato che il suo stipendio non dipende dalle prestazioni, ne consegue che il suo interesse primario consiste nel mantenere e accrescere il proprio prestigio. Questo dipende, notoriamente, dall'opinione pubblica. Nella Comunità europea, però, non esiste un'opinione pubblica comune, dal momento che la diversità delle lingue ostacola lo sviluppo dei media europei. Ogni membro del Consiglio della Banca centrale europea è, quindi, influenzato dall'opinione pubblica di casa sua, dove è assai probabile che faccia ritorno.
Ora, che l'opinione pubblica in materia di inflazione presenti divergenze notevoli all'interno della Comunità europea, è risaputo. Agli occhi di non pochi stranieri, per esempio, i tedeschi appaiono a dir poco ossessionati dall'inflazione. Il fatto che la maggioranza dei tedeschi dia grande importanza alla stabilità dei prezzi è probabilmente dovuto ad una esperienza storica unica, contrassegnata in questo secolo da due iperinflazioni traumatiche. Considerato che la maggior parte degli altri Paesi europei ha espresso altre preferenze, non è azzardato prevedere che lo stesso statuto della Banca centrale che in Germania ha prodotto un livello elevato di stabilità dei prezzi dia luogo a risultati del tutto diversi a livello europeo.
Sostengono alcuni economisti che, durante gli anni Ottanta, la maggior parte dei Paesi membri della Comunità europea è stata "convertita" all'obiettivo della stabilità del livello dei prezzi. Nessuno nega che, nel periodo suddetto, l'inflazione all'interno dello Sme abbia registrato un rallentamento (ma a un tasso inferiore a quello di altri Paesi industrializzati). Ma è anche vero che ad esso contribuì in gran parte il fatto che nel 1983 la Bundesbank fungeva da àncora del sistema ed esercitava un rigoroso effetto disciplinare sulle altre Banche centrali. Pressione competitiva destinata a scomparire una volta che la Bundesbank fungerà da filiale della Banca centrale europea. Per molti tedeschi, le ultime vicende dello Sme hanno confermato la tesi che la priorità da loro accordata alla stabilità dei prezzi non è condivisa da tutti i Paesi membri.
Siamo partiti dall'assunto che i membri del Consiglio della Banca centrale europea debbano restare indipendenti dal potere politico. Ma è un assunto, il nostro, plausibile solo per quei membri che intendono dimettersi alla scadenza dell'incarico, poiché quanti puntano alla riconferma avranno buoni motivi per prestare attenzione agli interessi elettorali del governo da cui dipendono. Quanto ai Direttori, che non possono essere riconfermati, potrebbero volersi assicurare l'assistenza dei rispettivi governi nella ricerca di un nuovo incarico alla scadenza di quello presso la Banca centrale europea. Per i motivi suddetti, non sono quindi da escludere periodi in cui la maggioranza del Consiglio della Banca centrale europea sarà guidato non dall'opinione pubblica di casa propria, ma dagli interessi del governo da cui dipendono.
Molti economisti sembrano convinti che l'Unione monetaria europea porrà fine a cieli economici condizionati dagli interessi politici, in quanto le scadenze elettorali dei Paesi membri non coincidono. E' probabile, invece, che le condizioni all'interno del Consiglio della Banca centrale europea siano formate da membri i cui Paesi di appartenenza hanno più o meno le stesse scadenze elettorali. Ne consegue la possibilità che la coalizione di maggioranza dia vita a un ciclo economico politico, destabilizzando, in tal modo, il livello dei prezzi. Senza dire che i responsabili politici nazionali avranno tutto l'interesse a sincronizzare, laddove sia possibile, le rispettive scadenze elettorali.
Se è vero che la stabilità del livello dei prezzi rappresenta l'obiettivo specifico della politica monetaria (com'è nell'ipotesi del Trattato di Maastricht), allora un eventuale aumento dell'inflazione in concomitanza con le tappe previste dal Trattato per arrivare all'Unione europea non è un problema soltanto tedesco. E' anche vero che alcuni Paesi membri potrebbero beneficiarne, considerato che il tasso d'inflazione potrebbe essere inferiore a quello che gli interessati sono in grado di raggiungere da soli. Ma è altresì probabile un aumento del tasso di inflazione medio all'interno della Comunità dovuto alla scomparsa della pressione competitiva da parte delle altre Banche centrali, e in particolare della Bundesbank. Il che costituirà una perdita per tutta la Comunità.
E che cosa dire sull'entità del futuro tasso d'inflazione comunitario? Ritengo che l'esperienza degli Stati Uniti sia una guida accettabile in materia. In termini di indipendenza, il Federal Reserve System presenta molte analogie con la Bundesbank e con la futura Banca centrale europea. Negli ultimi trent'anni il tasso d'inflazione medio negli Stati Uniti è stato del 5,1 per cento all'anno, mentre negli ultimi vent'anni ha raggiunto punte del 6,3 per cento. Nella misura in cui il tasso d'inflazione europeo si avvicina a quello americano, è probabile che l'America e l'Europa ritornino al sistema delle parità fisse. Sulla base del Trattato di Maastricht, la parità con il dollaro può essere stabilita dal Consiglio dei ministri, in contrasto con il parere esplicito della Banca centrale europea. Ora, l'esercizio dei propri poteri da parte dei responsabili politici europei si traduce in una perdita di controllo da parte della Banca centrale sulla massa monetaria e sul livello dei prezzi, che, stando al Trattato, essa ha il compito di stabilizzare.
Sembra che per il passato si siano verificati frangenti in cui la politica monetaria americana è stata disciplinata dalla minaccia di deprezzamento in rapporto al marco tedesco. Ma poiché l'Unione monetaria europea dovrà eliminare la pressione competitiva della Bundesbank, è lecito prevedere che l'inflazione americana supererà i livelli attuali. A ciò si aggiunga che, per una serie di motivi, le economie che crescono più rapidamente tendono a sperimentare un "apprezzamento reale" (un aumento relativo dei prezzi) in rapporto alle economie che crescono a un tasso più lento, il che vuol dire che, in presenza di un sistema di parità fisse, il tasso d'inflazione europeo dovrà essere superiore a quello americano.
Con ciò si vuol dimostrare che il Trattato di Maastricht presenta una sorta di "deficit", in quanto la Banca centrale europea non godrà dell'indipendenza e degli incentivi necessari per raggiungere lo scopo istituzionale rappresentato dalla stabilità dei prezzi. In termini d'indipendenza, due sono le modifiche che si impongono: il controllo esclusivo dei tassi di cambio da parte del Consiglio della Banca centrale; l'estensione del mandato della maggioranza dei membri del Consiglio fino all'età del pensionamento. Ciò comporta, naturalmente, che i candidati alla nomina abbiano raggiunto un certo limite di età.
Per quanto riguarda la questione degli incentivi, sono state dibattute una serie di soluzioni. A mio avviso, la più efficace è quella proposta dal Premio Nobel James Buchanan e auspicata dalla Commissione-ombra per il libero mercato negli Stati Uniti. La soluzione, molto semplice, è stata adottata nella Nuova Zelanda nel 1989: se, nell'arco di diversi anni, il tasso d'inflazione supera un limite critico determinato (diciamo il 3 per cento annuo), oppure il livello dei prezzi scende, il Consiglio della Banca centrale viene sollevato dall'incarico, e possibilmente senza diritto alla pensione. Dopo tutto, è la stessa sanzione che il mercato impone all'azienda privata che persista nel non adeguare l'offerta (nel nostro caso: la massa monetaria) alla domanda.
Se sarà possibile risolvere il problema dell'inflazione in questo o in un modo simile, l'Europa potrà trarre dall'Unione monetaria vantaggi considerevoli, dal momento che il costo del cambio e i rischi relativi al tasso saranno eliminati all'interno della Comunità. Resta tuttavia l'interrogativo sull'opportunità, da un punto di vista esclusivamente economico, di introdurre la moneta europea negli anni Novanta.
L'apertura del mercato unico, la riunificazione della Germania e il processo di riforma economica in atto nell'Est europeo comportano massicce riforme strutturali all'interno della Comunità. Queste esigono, a loro volta, notevoli variazioni dei prezzi relativi tra i panieri di beni e servizi prodotti dai singoli Paesi membri. Gli economisti di scuola keynesiana e quelli che si rifanno al pensiero classico moderno concordano nel sostenere che sono i riallineamenti del tasso di cambio a provocare con maggiore facilità le variazioni del prezzo relativo. E ciò soprattutto quando la mobilità della manodopera è molto bassa (come di fatto è tra i Paesi membri della Comunità).
Per i motivi esposti, gli anni Novanta sembrano particolarmente inadatti alla transizione verso una moneta comune europea. E' stato spesso ripetuto che la creazione di un mercato unico non può prescindere da quella di una moneta unica. In realtà, è vero il contrario. Come Bela Balassa sottolineava già vent'anni fa, è consigliabile introdurre contemporaneamente una moneta e un mercato comuni. Dal punto di vista economico, la scadenza del 1999 indicata dal Trattato di Maastricht è irresponsabile. Bene farebbe la Comunità ad attendere fino a quando le variazioni del prezzo relativo tra i panieri nazionali di beni e servizi non saranno scese ai livelli tipici della metà degli anni Ottanta o degli anni Sessanta. Anche perché le circostanze non sono più quelle dell'epoca in cui il progetto prese corpo.


Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000