§ VENTESIMO SECOLO

UN'EUROPA PRAGMATICA




Alain Friedman



Non solo in Italia, ma anche in Francia e in Gran Bretagna ci sono state importanti scadenze elettorali. E benché si sia trattato soprattutto di avvenimenti politici, ci dicono qualcosa anche di economia. A mio avviso, se c'è un messaggio che è stato lanciato dalle urne attraverso l'Europa, è il seguente: la gente chiede pragmatismo, qualche aiuto per combattere la disoccupazione, e soprattutto meno polemiche e più programmi, specialmente per la stagione dei grandi problemi che toccano le tasche di ciascuno di noi. Uno sguardo più attento indica che le questioni economiche sono ormai al centro di ogni dibattito politico.
Cominciamo dalla Francia, dove il sindaco di Parigi, il gollista Jacques Chirac, è stato eletto presidente battendo un socialista dottrinario, Lionel Jospin. Non è stata una vittoria netta, dato che Chirac ha prevalso con meno del 53 per cento dei voti. Ma è importante notare che entrambi i candidati hanno fatto promesse populiste durante la campagna elettorale, tutte tese a rassicurare i francesi che qualcosa sarà fatta per combattere l'alto tasso di disoccupazione, ormai pari al 12,2 per cento.
In Gran Bretagna, il partito conservatore del primo ministro John Major ha subito una disfatta alle amministrative, e il campo sembra ormai libero per Tony Blair, il leader dei laboristi moderato, centrista, pragmatico e favorevole al mondo degli affari. Blair ha speso tutte le sue energie per ricostruire il partito laborista, adottando una politica economica realistica e impegnandosi a continuare le privatizzazioni.
In Italia ci sono buone speranze per lo sviluppo di quel sistema elettorale bipolare che è mancato negli ultimi cinquant'anni. Gli italiani, in cuor loro, sono più moderati che estremisti. Quello che vogliono è una guida solida, pragmatica, tecnicamente competente. Non vogliono più aspre polemiche, ma politici che proteggano i loro risparmi, i loro investimenti, i posti di lavoro e le pensioni. La speranza è che tutti i leader politici concentrino le loro forze su una chiara e concreta analisi dei problemi, dei programmi e delle proposte per prolungare gli effetti della ripresa economica in corso, in modo responsabile. E questo mi porta a una considerazione finale.
Quando un esponente della destra come Chirac spende tutte le sue energie per parlare di stato sociale e di lotta contro la disoccupazione, due temi normalmente cari al centro-sinistra, questo ha un certo significato. Quando un uomo del centro-sinistra come Tony Blair passa quasi tutto il suo tempo a disquisire sulla necessità di promuovere la crescita economica, la competitività internazionale e un contesto più favorevole agli investimenti, argomenti che normalmente attribuiremmo al centro-destra, anche questa volta vuol dire qualcosa.
Vuol dire che stiamo veramente avanzando verso una fase politica in cui le vecchie etichette di sinistra e di destra non hanno più lo stesso significato di un tempo. Ci muoviamo verso un'epoca politica post-ideologica nella quale i leader verranno giudicati in base alle loro idee, alle loro proposte, alle garanzie che sapranno offrire agli elettori sulla capacità di promuovere il rigore fiscale e condurre una politica economica che porti maggiore equità per tutti, anche per gli investitori sui mercati finanziari.
E se l'economia è divenuta il tema centrale del dibattito politico, allora quei leader politici che spenderanno le loro energie in modo negativo, ostruzionista o egoista meriteranno di perdere il sostegno degli elettori. Questo messaggio vale sia per la destra che per la sinistra, perché entrambe dovrebbero realizzare che quello che la gente vuole più di ogni altra cosa è una gestione solida dell'economia nazionale, in maniera non ideologica.
Questo è il momento di imparare la lezione dell'Europa: la gente, i cittadini, gli elettori chiedono competenza e non retorica, e ricompenseranno chi sembrerà in grado di offrire più azione e meno bla-bla.


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