§ CONTINENTE RUSSIA

IPNOSI DA FAST FOOD




Evgheni Evtuscenko



La Russia è ancora in bilico fra dittatura e caos. I mutamenti di questi ultimi anni, radicali come sono stati, non sono irreversibili. Aveva ragione l'ex presidente americano Nixon quando diceva che si cela nell'ombra un nuovo dispotismo. Se la nostra giovane ed inesperta democrazia non riuscirà a darci un migliore tenore di vita, i fantasmi del passato che dovessero ritornare si rivelerebbero ancora più mostruosi di prima.
La situazione in cui ci troviamo al momento è del tutto simile a una grande tragedia. L'Unione Sovietica era una sorta di Torre di Babele. Al suo crollo, i feriti sono stati moltissimi; alcuni sono rimasti stritolati tra le macerie. Molte illusioni e molte false idee sono state sepolte anch'esse dai detriti.
Noi tutti siamo ostaggi, in mezzo alle rovine di quanto noi stessi avevamo costruito. A pagare per le colpe degli antenati saranno, come sempre, i nostri figli, tragiche vittime di ogni genere di transizione. Nutro, comunque, qualche speranza per il nostro futuro, poiché talvolta i fiori migliori sbocciano proprio dalle rovine della dittatura.
Come russo, non posso lamentarmi se da un Paese straniero mi viene offerta soltanto una crosta di pane secco anziché un bel filone di pane fresco. Nondimeno, se fossi un americano, farei mia la definizione di Nixon degli aiuti statunitensi alla Russia: "Pateticamente inadeguati", persino dal punto di vista della pura convenienza di chi li fornisce.
Adottando un nazionalismo interessato solo alle questioni interne, nel corso di questo scivoloso e traditore scioglimento delle nevi dopo la Guerra Fredda, l'America tradirebbe innanzitutto il proprio interesse nazionale. E non sarebbe l'unico Paese ad affogare se si immergerà troppo profondamente nelle preoccupazioni nazionali.
Non credo alle mani tese, bensì nel dare una mano. Se le si desse una mano, la Russia potrebbe entrare a far parte della civilizzata Europa e unirsi all'ampia area di democrazie di mercato che stabilizzano l'intero continente. Faremmo parte dell'Europa della nuova era, senza confini né passaporti.
Il potenziale della Russia come partner degli Stati Uniti nel contribuire a questa visione stabile del continente europeo è grande. La Russia è un gigante, un campo ricco di risorse per operazioni commerciali fra diversi Paesi. Da tempo è evidente, a me e ad altri scrittori, che la compatibilità psicologica fra i russi e gli americani può finalmente seguire il suo corso naturale. Come scrisse Walt Whitman molto tempo fa, l'affinità fondamentale tra le due popolazioni risiede nel fatto che entrambe sono figlie di immensi spazi geografici, due pioniere che conoscono la gioia della scoperta della wilderness. Dalla collaborazione fra i nostri astronauti e cosmonauti fino ai trattori Caterpillar, nati per dissodare le zolle di terra del Midwest e utilizzati dai contadini siberiani, tale affinità è chiaramente sotto gli occhi di tutti. In quanto poeta e in quanto russo, tuttavia, persino in un momento tanto disperato e nonostante l'accettazione delle virtù del libero mercato, voglio sottolineare l'importanza delle joint ventures rispetto alle acquisizioni in grande stile, soprattutto in campo culturale.
Condivido appieno il cattivo presentimento del poeta messicano Octavio Paz: "La letteratura e le carte sono oggi esposte a un nuovo pericolo: non più minacciate da una dottrina o da un partito politico, ma dal processo economico di mercato, che è senza volto e senza anima e che non va da nessuna parte. La censura messa in atto dal mercato non è ideologica, perché non possiede idee, essa è a conoscenza dei prezzi ma non sa nulla dei valori". Una delle forme di questo nuovo pericolo si sta concretizzando su tutto il territorio russo e nell'Europa dell'Est, soprattutto a causa dei tagli economici operati nel settore culturale. Ho pensato di chiamarla "Macdonaldizzazione della cultura europea".
Se le Arcate Auree (la grossa "M" gialla che campeggia fuori dal fast food) assurgeranno a monumento rappresentativo del dopo-Guerra Fredda, sostituendo la molteplicità tipica dell'arcobaleno formato dalle diverse culture, il mondo piomberà in un'autistica trance di noia psicotica, lasciando ai margini le culture nazionali e il rischio insito nell'arte. Chi, poi, vorrà fare un viaggio a Mosca, a Varsavia o a Budapest? Cosa ne sarà della meravigliosa katchka polacca quando gli hamburger giganti o i bocconcini di pollo fritto Kentucky avranno catturato il palato locale? Che ne sarà dei grandi registi, come quelli polacchi, ungheresi o russi, se le uniche immagini che graziano i padiglioni teatrali di Varsavia e Budapest e Mosca sono soltanto quelle dei poliziotti o dei rapinatori formato Hollywood?
In particolare detesto la nobilitazione della guerra sul grande schermo, ciò che chiamo "guernografia". Insieme agli americani, i russi potrebbero dar vita a bellissimi film, se riuscissero a collaborare su basi reciproche, anziché essere utilizzati per fornire i fondali a commedie volgari o a thriller di spionaggio. Perché non si cerca di arrivare all'arcobaleno e ci si ferma soltanto alle Arcate Auree?
In assenza di tale collaborazione, sarebbe un errore permettere agli artisti dell'Est di diventare orfani, ora che siamo quasi in bancarotta e che gli aiuti non sono più gestiti dal controllo statale. In Russia dobbiamo preoccuparci innanzitutto della medicina, poi dell'istruzione e dopo ancora delle lettere e delle arti.
In momenti tanto incerti chi può dire di essere ottimista o pessimista? So per certo di non amare i pessimisti di professione. Su questo punto, almeno, condivido le affermazioni del presidente Bush a proposito della Russia. Ma sono anche contro gli ottimisti di professione. Gli uni e gli altri, infatti, spingono l'umanità nel profondo degli abissi.
Gli ottimisti di professione ci spingono in un abisso fatto di nuvole rosa, che nascondono un inganno sia politico sia sociale. Dopo esserci tuffati in quelle nuvole, però, è assai difficile raccogliere i resti delle nostre disastrose illusioni.
Le cupe prospettive presentateci dai pessimisti, tuttavia, calano l'umanità nell'abisso dell'incredulità e della sfiducia in se stessa. E' tempo di risalire quell'abisso. E' ora di fidarsi, senza per questo illudersi.


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