§ VENTESIMO SECOLO

CONTINENTE RUSSIA




Aleksandr Solzenicyn



Spesso viene usata l'espressione "questione russa". "Russa" (russkaja) oppure "della Russia" (rossijskaja)? Nel nostro Stato plurinazionale entrambi i termini possiedono un proprio significato e debbono essere conservati. Alessandro III diceva: "La Russia deve appartenere ai russi". L'epoca storica che ci divide da quel tempo, però, equivale a molto più di un secolo e sarebbe ormai illegittimo esprimersi in questi termini. Malgrado le previsioni di molti sapienti, il secolo XX ha conosciuto in tutto il mondo un rafforzamento dei sentimenti nazionali, e questo processo continua ad accentuarsi: le nazioni si oppongono ai tentativi volti a un livellamento delle loro culture. E la coscienza nazionale va rispettata sempre, ovunque, senza eccezioni.
Entrambe le parole, rossijskij e russkij, "della Russia" e "russo", hanno un proprio ambito di comprensione.
Giustamente qualcuno ricorda che nella vastità della pianura russa, per secoli aperte a spostamenti di ogni tipo, un gran numero di stirpi si sono mescolate all'etnia russa. Ma quando parliamo di "nazionalità", noi non ci riferiamo al sangue, ma sempre allo spirito, alla coscienza, alle inclinazioni presenti nell'uomo. Lo spirito e la cultura russi esistono ormai da secoli, e coloro i quali sono fedeli a questa eredità con l'anima, con la coscienza, provando una pena sincera, ebbene, costoro sono russi.
Ai nostri giorni il patriottismo di tutte le ex repubbliche periferiche viene considerato "progressista", mentre nessuno osa chiamare "sciovinismo" l'esasperato e bellicoso nazionalismo presente in quelle regioni. Ciò nondimeno, il patriottismo russo conserva bene attaccata l'etichetta di "reazionario", che risale ai democratici rivoluzionari dell'inizio del secolo XX. E ogni manifestazione della coscienza nazionale viene condannata e addirittura assimilata in modo troppo precipitoso al "fascismo" (che in Russia non è mai esistito e che non può esistere senza il fondamento di uno Stato monorazziale).
Ho già avuto modo di dare una definizione di patriottismo. E sebbene siano trascorsi due decenni, non apporterò alcuna modifica: "Il patriottismo è un integro e perseverante sentimento di amore verso la propria patria e verso la propria nazione, che si accompagna a uno spirito di servizio verso di essa che non conosce adulazioni, che non appoggia le pretese ingiuste, ma che è capace di emettere giudizi sinceri sui difetti e sui peccati". Qualunque nazione ha diritto a un simile patriottismo, e i russi non meno degli altri. Altro è però constatare che, dopo i salassi di sangue subiti dai russi, dopo le perdite prodotte dalla "selezione al contrario", dopo l'oppressione e la perdita della coscienza di sé, oggi il patriottismo in Russia si è sgretolato in unità isolate e non esiste in quanto movimento unitario, dotato di coscienza di sé: molti di quelli che si definiscono "patriottici" avevano trovato sostegno nel comunismo e vi si erano imbrattati. (Costoro inoltre tornano a sollevare con le loro deboli, esili braccia lo spettro del panslavismo, che tante volte ha causato la rovina della Russia e che oggi sarebbe decisamente superiore alle nostre forze).
Una volta Bulgakov scrisse: "Colui il cui cuore sanguinò di dolore per la Patria ne furono al tempo stesso i censori scevri di qualsivoglia ipocrisia. Soltanto un amore dolente, però, conferisce il diritto di compiere questa autoflagellazione nazionale; laddove esso manca, l'insulto alla patria, il dileggio contro la madre suscitano un senso di ripugnanza".
Cosciente di tutto ciò e forte di tale diritto, io scrivo: se non fosse per la profonda decadenza e per il degrado in cui versa oggi il popolo russo, la breve e parziale storia russa di cui parlo qui potrebbe apparire mostruosamente pessimista. Come mai la Russia, un tempo potente e florida, è potuta precipitare tanto in basso? Tre dolorosi periodi di torbidi di siffatta portata - il XVII secolo, l'anno '17 e i nostri giorni - non possono essere un caso: sono la conseguenza di certi vizi radicati nello Stato e nel nostro spirito. Se per quattro secoli abbiamo sprecato la forza del popolo in inutili obiettivi esterni e nel 1917 ci siamo lasciati ciecamente sedurre da facili appelli alle ruberie e alla diserzione, chissà che non sia venuto il momento di pagare. La pietosa condizione in cui versiamo oggi non è forse qualcosa che si è accumulato a poco a poco nella nostra storia?
Eccoci dunque giunti alla Grande Catastrofe Russa degli anni Novanta del secolo XX. Nel corso di questo secolo molte cose si sono intrecciate: l'anno '17, settant'anni di corruzione bolscevica, i milioni di uomini mandati nell'Arcipelago Gulag, i milioni di vite sacrificate senza riguardo in guerra, cosicché sono pochi i villaggi russi che hanno visto i loro uomini fare ritorno, e infine l'attuale "crollo del Dollaro", che si abbatte sul popolo, circonfuso dall'aureola dei giubilanti "nouveaux riches" e dei ladri che se la ridono a crepapelle.
Nella catastrofe rientra innanzitutto la nostra estinzione. E queste perdite aumenteranno: nella sconfinata miseria dei nostri giorni, quante donne decideranno di avere figli? E alla Catastrofe bisogna ascrivere anche i bambini menomati e infermi, che si moltiplicano a causa delle condizioni di vita e della smodata ubriachezza dei loro padri. E il completo fallimento della nostra scuola, incapace oggi di formare una generazione morale e istruita. E una penuria degli alloggi come il mondo civilizzato non conosceva da tempo. E un apparato statale che brulica di individui che intascano tangenti, tra i quali c'è chi arriva a cedere sotto costo i nostri giacimenti petroliferi o i nostri metalli rari a concessioni straniere.
La Catastrofe è anche nella differenziazione dei russi in qualcosa che paragoniamo a due nazioni: da una parte l'enorme blocco rurale e provinciale, dall'altra un'esigua compagine metropolitana, che non gli assomiglia affatto, che la pensa diversamente ed è imbevuta di cultura occidentale. La Catastrofe è nel carattere amorfo che oggi presenta la coscienza nazionale russa, nella grigia insensibilità verso i compatrioti colpiti dalla sventura. La Catastrofe è anche nei nostri intelletti, mutilati dall'epoca sovietica: l'inganno e la menzogna del comunismo si sono a tal punto stratificati nelle coscienze che molti non riescono neppure a distinguere il velo dinanzi ai loro occhi. E ancora la Catastrofe consiste nell'avere pochissimi uomini per la conduzione dello Stato, i quali siano saggi, coraggiosi e disinteressati: non c'è modo di riunire queste tre qualità in un nuovo Stolypin.
Lo stesso carattere popolare russo, ben noto ai nostri avi, tanto rappresentato dai nostri scrittori e osservato dagli stranieri più riflessivi, questo stesso carattere è stato oppresso, offuscato e mutilato lungo l'intero periodo sovietico. Dalla nostra anima sono scomparsi, si sono dissolti il carattere aperto, la rettitudine, l'enorme ingenuità, la naturale disinvoltura, la socievolezza, la fiduciosa accettazione del destino, la longanimità, la costante pertinacia, il distacco dal successo esteriore, la disponibilità all'autoaccusa, al pentimento, la modestia nel compiere grandi imprese, la compassione e la magnanimità. I bolscevichi hanno svigorito, frantumato e ridotto in cenere il nostro carattere, accanendosi soprattutto sulla compassione, sulla disponibilità ad aiutare gli altri, sul sentimento di fratellanza, e se gli hanno infuso dinamismo, ciò è avvenuto in maniera negativa, crudele, che peraltro non ha compensato un nostro grave difetto nazionale, vale a dire la scarsa attitudine allo spirito d'iniziativa e all'organizzazione autonoma.
Il crollo subito dal dollaro e dal rublo negli anni Novanta ha ancora una volta, e in modo nuovo, scosso il nostro carattere: coloro i quali sembravano i virtuosi tratti di un tempo sono apparsi più impreparati al nuovo stile di vita, degli inetti, dei buoni a nulla, degli sventurati, incapaci di guadagnarsi da vivere; sono rimasti con gli occhi sbarrati, travolti dalla nuova razza e dal nuovo grido: "Profitto! Profitto a qualunque prezzo! Sia pure con l'inganno, con la corruzione, con lo stupro, con la vendita dei beni della propria madre (la Patria)!". Il "profitto" è divenuto la nuova (e del tutto insignificante) Ideologia. Questa trasformazione rovinosa e devastatrice, che per ora non ha portato nulla di buono, nessun successo alla nostra economia, ha fatto sentire il fiato grosso della disgregazione sul carattere del nostro popolo. E Dio non voglia che tale disgregazione diventi irreversibile.
(Tutto ciò ha trovato il suo riflesso nella lingua, specchio del carattere del popolo. Durante l'intero periodo sovietico i nostri compatrioti hanno inesorabilmente perduto la lingua rossa propriamente detta, ma è oggi che le viene inferto il colpo decisivo. Non mi riferisco agli uomini d'affari della Borsa né ai giornalisti più banali e neppure alle scrittrici metropolitane, il cui mondo è tutto in una stanza; il fatto è che persino i letterati di origine contadina respingono con disgusto l'idea: dove trovare il coraggio di usare le vere e colorite parole russe, che da sempre esistono nella nostra lingua? Anche costoro ritengono più comprensibili queste mirabili novità della lingua russa, che essi trovano prive di difetti, come briefing, pressing, marketing, rating, holding, voucher, establishment, consensus e molte altre ancora. La sordità è ormai completa ... ).
Alla fine del secolo XX la "questione russa" si pone senza ambiguità: il nostro popolo dovrà essere o non essere? Sì, l'intero globo terrestre è percorso da un'ondata di volgare e banale livellamento delle culture, delle tradizioni, delle nazionalità, dei caratteri. Molti però sono coloro i quali gli resistono, senza vacillare e persino con fierezza. Ma di certo non noi. E se le cose dovessero continuare così, si può credere che tra un secolo bisognerà cancellare la parola "russo" dai dizionari.
Abbiamo l'obbligo di uscire dal nostro attuale stato di umiliazione e di smarrimento: se non per noi, almeno in memoria dei nostri avi e per i nostri figli e nipoti. Oggi non sentiamo parlare che di economia, e infatti la nostra, tanto estenuata, ci soffoca.
L'economia, però, andrà pure bene a un materiale etnico anonimo, ma noi abbiamo bisogno di salvare anche il nostro carattere, le nostre tradizioni popolari, la nostra cultura nazionale, il cammino della nostra storia.
La nostra storia ci appare perduta, finita; ma se la nostra volontà si impegnasse in sforzi adeguati, questa stessa storia potrebbe ricominciare proprio ora - assolutamente assennata, volta a proteggere la sua salute endogena, e all'interno delle sue frontiere, senza quelle ingerenze negli interessi altrui che abbiamo visto così numerose.
Dobbiamo costruire una Russia morale - o altrimenti nessun'altra, perché allora non avrebbe più importanza. Abbiamo il compito di custodire e coltivare tutte le buone sementi che per miracolo non sono state ancora calpestate. (La Chiesa ortodossa ci aiuterà? Durante gli anni del comunismo essa più di chiunque altro è stata vittima di devastazioni. Inoltre, i tre secoli di sottomissione al potere statale l'hanno minata interiormente, cosicché essa ha perduto l'impulso a un'azione energica nella società. Oggi noi, a causa dell'attiva espansione in Russia di confessioni e sette straniere ricche di mezzi economici, a causa del "principio delle pari opportunità" tra queste e la misera Chiesa russa, l'ortodossia sta per essere eliminata dalla nostra vita. Del resto, la nuova esplosione di materialismo, questa volta "capitalistico", costituisce una minaccia per tutte le religioni, nessuna esclusa).
Ciò nondimeno, grazie alle numerose lettere che nel corso di questi anni ho ricevuto dalla provincia russa, dalle sue vaste distese, ho avuto modo di conoscere uomini spiritualmente sani, spesso giovani, disseminati in questi spazi immensi; costoro però sono isolati, privi di nutrimento spirituale. E' proprio su questo nucleo sano di uomini vitali che sono riposte le nostre speranze. Può darsi che essi crescendo, influenzandosi a vicenda, unendo le loro forze, realizzino il graduale risanamento della nostra nazione.
Sono trascorsi due secoli e mezzo, e la Salvaguardia del Popolo, eredità di Suvalov, si erge ancora irrealizzata dinanzi ai nostri occhi. Nulla è più importante per noi, oggi. Ed è proprio in questo che risiede, alla fine del secolo XX, la "questione russa".


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