§ OPINIONI

IMPRESA PER LO SVILUPPO




Giovanni Agnelli



A volte, guardando certi dati e leggendo certe analisi, ci sembra di non essere lontani dall'imboccare un sentiero virtuoso di risanamento e di sviluppo. A volte, ci sembra invece che il passaggio sia ancora tanto distante da indurre sfiducia e scoramento sulle possibilità di arrivarvi. Queste sensazioni contengono entrambe una parte di verità. Sta a noi saper evitare i grandi pericoli che ancora corriamo e perseverare nel rigore per giungere a un vero risanamento. Dieci anni fa la Confindustria organizzò al Lingotto un grande convegno. Certo, diversa era la situazione dell'Italia, diverso lo scenario internazionale, e diversi erano i nostri interlocutori. Ma anche allora gli imprenditori proposero al Paese e alle sue rappresentanze politiche e sindacali una strategia per lo sviluppo, anzi - per meglio dire - un "patto per lo sviluppo". Anche allora l'obiettivo era quello di affrontare la sfida del cambiamento e vincere la tendenza all'immobilismo, alla stagnazione che era così diffusa in alcune componenti della nostra società.
Con la firma dell'Atto Unico per la creazione del grande mercato europeo, che avveniva in quei mesi, e con alcuni successi nel controllo dell'inflazione e nella crescita, il Paese sembrava incamminato nella giusta direzione. Poi, però, abbiamo dimostrato di avere il fiato corto, di non reggere il passo: e, fermandoci, siamo stati respinti all'indietro.
Questa mancanza di determinazione nell'affrontare la sfida del cambiamento è stata senza dubbio una delle ragioni che hanno condotto a un profondo ricambio della nostra classe politica. Un ricambio che appare travagliato e sofferto non più di quanto era razionale attendersi, ma certamente più di quanto era nelle speranze di tutti.
L'orizzonte si presenta ancora incerto e perturbato: questo è per noi motivo di grandi preoccupazioni. Tuttavia, se guardiamo all'economia reale, possiamo ben dire che abbiamo di fronte grandi opportunità: quella di rendere duratura la nuova fase di crescita, quella di ampliare la base produttiva e dell'occupazione, quella di riagganciarci all'Europa. L'industria italiana è certamente un punto di forza su cui far leva per realizzare questi obiettivi.
In particolare, un punto di forza sono le centinaia di migliaia di imprese più piccole che in questi anni hanno dato prova di saper competere sui mercati mondiali con concorrenti di ben diversa taglia. Con la loro vitalità, con il loro dinamismo, hanno dimostrato una volta di più che quello italiano è un sistema innovativo e flessibile. E' un sistema che più di ogni altro possiede diffuse capacità imprenditoriali che gli consentono di adeguarsi rapidamente ai cambiamenti dei mercati.
E' questa grande capacità di lavoro che sta dietro il successo della nostra industria.
Certo, la svalutazione ci ha dato una mano importante. Ma non è questo il fattore principale. Altri Paesi, che pure hanno potuto godere di una svalutazione rilevante della loro moneta, non hanno registrato successi paragonabili ai nostri.
Detto questo, dobbiamo però far capire a tutti che le imprese italiane sono ben consapevoli dei rischi e degli effetti negativi che avrebbe un eccessivo deprezzamento della lira. L'industria non ha interesse a una deriva valutaria che allontani il Paese dai suoi partner internazionali, e in primo luogo da quelli europei. Come imprenditori e come cittadini, vogliamo ribadire - come già, facemmo dieci anni fa - che per l'Italia non c'è futuro fuori dall'Europa.
Sappiamo bene che l'inflazione è un nemico da cui dobbiamo continuare a difenderci. Sappiamo che il risanamento dei conti pubblici richiede ancora sacrifici e impegno da parte di tutti. Siamo però certi che il risanamento sarà più accettabile e più facilmente realizzabile, se insieme ad esso riusciremo a dare consistenza e stabilità alla crescita che, partita dall'industria, si sta ora diffondendo a tutta l'economia.
In questa prospettiva, noi siamo convinti che non sia né un miraggio né un sogno creare un numero importante di nuovi posti di lavoro. E siamo convinti che l'industria italiana abbia le potenzialità per dare una risposta concreta a questa sfida.
Certo, la ripresa tarda a manifestare in modo deciso segnali positivi sul fronte dell'occupazione. Quello che possiamo constatare, però, è che laddove più elevato è il grado di industrializzazione e maggiore è la concentrazione delle imprese - e soprattutto di piccole imprese - la disoccupazione non ha mai superato, neppure nella fase più acuta della recessione internazionale, il livello considerato fisiologico. Oggi, in queste aree, ci si avvicina al pieno impiego.
Vi sono, certo, anche le aree industriali che hanno affrontato più ampi e severi processi di ristrutturazione, accompagnati da un diffuso ricorso alla cassa integrazione. Qui i benefici, in termini di incremento dell'occupazione, sono per il momento meno visibili. Ma il sensibile ridimensionamento nel numero dei cassintegrati e i primi segnali di ripresa delle assunzioni stanno a indicare una ritrovata vivacità del mercato del lavoro.
L'espansione dell'economia può quindi portare nuova occupazione. Tuttavia, dobbiamo dire che la prospettiva di uno sviluppo robusto e durevole è possibile, ma non è scontata né facile. Non dobbiamo commettere errori. Bisogna proseguire sulla strada del risanamento e, insieme, sostenere le potenzialità di crescita delle imprese.
In questo senso, appare indispensabile, per accelerare anche nel breve termine il riassorbimento della disoccupazione, che vengano confermate le politiche di moderazione salariale e che si ponga finalmente mano a una forte innovazione nelle politiche del lavoro. E' necessario dare maggiore flessibilità al mercato del lavoro, cercando di agevolare in tutti i modi possibili l'ingresso dei giovani in cerca di prima occupazione. Un Paese in cui un giovane su tre non trova lavoro non solo viene meno a un suo preciso dovere civile, ma compie uno spreco assurdo di energie.
E' necessario anche accrescere la flessibilità nell'utilizzo degli impianti, che consenta sia di soddisfare le punte congiunturali della domanda, sia, più in generale, di rafforzare la competitività delle imprese.
Occorre, poi, che ci si renda conto che il Mezzogiorno è ancora un problema "straordinario". E' soprattutto qui che si concentra la disoccupazione italiana, raggiungendo l'assurdo livello del 21 per cento. Peraltro, proprio nel Mezzogiorno mancano le strutture produttive che dovrebbero permettere di porre un argine a questa situazione. Non c'è alternativa, dunque, a quella di favorire la moltiplicazione delle iniziative imprenditoriali in queste regioni, adottando tutta la gamma degli stimoli possibili, tra cui va compresa anche una riduzione del costo del lavoro.
La sfida lanciata a tutto il Paese è: costruire il futuro. Credo di poter dire che per quanto ci riguarda questa sfida l'abbiamo già fatta nostra. Ciò non vuol dire che l'abbiamo vinta. Siamo consapevoli che molto resta ancora da fare per affrontare mercati difficili e concorrenti agguerriti. Ma è un fatto che il sistema industriale esce dalla crisi più forte e robusto e intende continuare sulla strada del rinnovamento.
Tuttavia, l'Italia si trova oggi a un passaggio molto delicato per la politica e per l'economia. I pericoli di crisi e di stagnazione dello sviluppo non sono affatto superati. Per sfuggire a questi pericoli, occorre il concorso di tutto il Paese. Abbiamo grandi risorse, anche se non tutte sono utilizzate al meglio. Sbloccare queste risorse, liberare le forze positive che in esse si celano, ampliando il mercato e rendendo lo Stato meno invadente e più efficiente: questo èl'obiettivo che tutti dobbiamo cercare di perseguire.


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