§ FINANZA PUBBLICA

RISANAMENTO AVVIATO




Lamberto Dini
Presidente Consiglio dei Ministri



La condizione economica dei Paesi industriali, usciti dalla recessione, segna risultati confortanti. Sotto l'impulso del dinamismo del commercio mondiale, la ripresa procede con ritmi elevati, uniformemente prossimi al 3 per cento, e si giova di un'inflazione sostanzialmente controllata.
Si vanno attenuando le disparità cicliche che negli ultimi tre anni avevano dominato le vicende della congiuntura internazionale, contrapponendo in particolare la forte espansione degli Stati Uniti a una condizione di ristagno in Europa e in Giappone. Soprattutto nell'Unione Europea la ripresa ha acquistato vigore con ritmi via via superiori alle attese. A seguito della forte spinta iniziale esercitata dall'incremento delle esportazioni, si registra un progressivo incremento degli investimenti, affiancato da una lenta ma graduale ripresa dei consumi privati.
In questo quadro complessivamente favorevole, permangono alcuni fattori di preoccupazione e di rischio potenziale. Essi riguardano:
- la gravità della disoccupazione, pari in media all'8 per cento nei Paesi Ocse e all'11 per cento nell'Unione Europea;
- la condizione, ancora squilibrata, delle finanze statali, con una pressoché generale tendenza all'accrescimento del debito pubblico in rapporto al prodotto;
- i persistenti squilibri nelle partite correnti, che hanno dato origine in numerosi Paesi a posizioni patrimoniali verso l'Estero anch'esse fortemente squilibrate;
- il permanere delle condizioni di instabilità e perturbabilità dei mercati finanziari, in conseguenza dell'accrescimento impetuoso dei flussi mondiali di capitale, nonché del ritmo e della globalità delle transazioni, che amplificano a dismisura gli effetti della speculazione finanziaria.
Tuttavia va riconosciuto che l'economia internazionale sta attraversando complessivamente una fase ciclica favorevole e, almeno dal punto di vista strettamente produttivo, ha una maggiore stabilità rispetto al recente passato. Questa generale ripresa costituisce, soprattutto per il nostro Paese, un'occasione insperata che, se ben colta, può permettere di raggiungere in anticipo alcuni importanti obiettivi.
Perciò si sta portando avanti con risolutezza l'azione per il risanamento della finanza pubblica, l'attivazione in tempi rapidi del processo di privatizzazione, la lotta alla disoccupazione e la costruzione di un quadro economico complessivamente positivo.
Il giudizio dei mercati internazionali, che si manifesta attraverso quotidiane pressioni sui tassi di cambio e d'interesse, è influenzato in modo decisivo, giorno per giorno, dalla misurazione della distanza che ancora ci separa dal pieno riordino della finanza pubblica, oltre che dalle incertezze del quadro politico nazionale. Se è negativo e permane tale per un lungo periodo, questo giudizio determina il deprezzamento del cambio e perciò dà impulso alla ripresa dell'inflazione interna. Ne consegue una crescita della spesa per gli interessi e del disavanzo dello Stato, da cui si innesca un circolo vizioso che è sempre più difficile spezzare.
Ma il giudizio dei mercati tiene in giusto conto anche i risultati dell'economia reale italiana? Certamente no. Tali risultati, per molti aspetti, sono assai positivi. Sospinto dalla eccezionale crescita delle esportazioni, il prodotto interno lordo è aumentato lo scorso anno del 2,2 per cento e si avvia, per il 1995, a registrare un tasso di sviluppo ancora maggiore, pari al 3 per cento.
Nonostante l'ampiezza del deprezzamento della lira, le tendenze di fondo dell'inflazione restano favorevoli nel medio periodo, soprattutto grazie all'esemplare tenuta di uno schema di politica dei redditi articolato e coerente. La bilancia dei pagamenti correnti registra avanzi consistenti. Il debito estero netto, cresciuto a ritmi accelerati negli anni Ottanta, è avviato ad azzerarsi in pochi anni.
Tali risultati non possono essere spiegati come conseguenza del deprezzamento del tasso di cambio, che, tra l'altro, non ha interessato soltanto l'Italia. Devono essere attribuiti soprattutto alla presenza di un tessuto produttivo vitale e dinamico, capace di cogliere con prontezza le grandi possibilità che di volta in volta gli si offrono nei mercati internazionali, grazie alla qualità e alla concorrenzialità dei propri prodotti e servizi.
Ma gli operatori finanziari, come ho ricordato prima, guardano ai progressi nella riduzione del debito pubblico, all'inflazione, alla stabilità o alla instabilità del quadro politico e istituzionale, alla coerenza e alla costanza dell'azione economica di governo. Era perciò inevitabile che, prima dell'approvazione della manovra correttiva, le valutazioni sulle prospettive della finanza pubblica fossero improntate al pessimismo, anche perché sui giudizi di più lungo periodo incideva il continuo rinvio dell'attesa riforma del sistema previdenziale pubblico.
La manovra aggiuntiva è stata approvata. Era di importo significativo. Aveva effetti sia immediati sia permanenti. Ci permetterà di portare l'avanzo primario e il fabbisogno stesso al di là degli obiettivi precedentemente indicati, rendendo quindi più agevole la politica di bilancio per il 1996. Non si è voluto cedere alla tentazione di mettere in ordine i conti di un anno a spese del successivo.
Gli effetti positivi della manovra sul fabbisogno, insieme con quelli derivanti da una crescita del prodotto nazionale maggiore del previsto, potranno consentirci di raggiungere in anticipo la stabilizzazione e subito dopo l'inversione del rapporto fra debito pubblico e prodotto interno lordo. Un'ulteriore riduzione del debito, significativa e duratura, potrà essere ottenuta con le prossime leggi finanziarie.
I risultati positivi in tema di risanamento del bilancio dello Stato saranno resi ancora più agevoli dall'accelerazione che si è deciso di imprimere al processo di privatizzazione. Esso consentirà un più rapido aggiustamento della finanza pubblica, ma faciliterà anche la razionalizzazione e una maggiore efficienza dei mercati e dell'economia.
Le privatizzazioni, realizzate nel quadro di nuove regole efficaci, trasparenti e snelle, costituiscono un'occasione unica per attuare uno dei mutamenti strutturali più profondi in corso nel nostro Paese.
La dismissione delle aziende pubbliche è destinata ad accrescere la competitività dell'intero sistema produttivo, renderà possibile la riduzione del costo dei servizi, migliorandone la qualità, favorirà la nascita di un nuovo rapporto fra Stato, cittadino e mercato.
Ma altrettanta attenzione è necessario rivolgere alla tonificazione dei sistemi produttivi nazionali. In un contesto di ripresa dell'economia il risanamento della finanza pubblica richiede, infatti, il consolidamento di un quadro di riferimento unitario per la politica delle imprese. Esso deve garantire adeguate azioni di accompagnamento, che siano capaci di dare continuità e sostegno allo sviluppo economico.
Non c'è dubbio che per cogliere le opportunità, forse irripetibili, offerte dall'attuale situazione congiunturale, è indispensabile potenziare, in primo luogo, le capacità del sistema produttivo italiano. Ad esso va ricondotto il merito di aver già compiuto un grande sforzo di riorganizzazione e di modernizzazione. I recenti successi raccolti sui mercati internazionali ne sono una precisa testimonianza.
Le piccole e medie imprese rappresentano uno dei punti di forza del sistema industriale italiano. In una recente intervista, il presidente dell'Associazione Industriali della Germania esprimeva la sua ammirazione per la capacità dell'industria italiana di adeguarsi ai mutamenti continui delle condizioni esterne, e individuava proprio nel tessuto delle medie e delle piccole imprese la fonte del dinamismo e della flessibilità della nostra industria.
Non si tratta di un'opinione isolata. La vitalità del sistema di media e di piccola imprenditoria in Italia ha suscitato l'interesse di un vasto numero di esperti e soprattutto di policy-makers, alla ricerca delle ragioni di questo fenomeno, unico al mondo.
Il riconoscimento della funzione trainante della piccola impresa è oggi pressoché universale. Ma non è sempre stato così. Per numerosi anni gli studiosi sono stati quasi unanimi nell'attribuire alle piccole e medie imprese un ruolo del tutto marginale nel processo di sviluppo industriale di qualsiasi Paese. Anzi, secondo alcuni di essi, la piccola impresa sarebbe stato soltanto un residuo dell'economia pre-industriale, destinato a scomparire con l'affermarsi dell'industria moderna.
I fatti e la storia degli ultimi decenni, e direi soprattutto l'esperienza italiana, hanno dimostrato che questi teorici avevano torto. Le piccole e medie imprese non soltanto non sono state poste ai margini del processo di sviluppo. E' successo esattamente il contrario. Negli ultimi vent'anni sono state soprattutto queste imprese a fornire il più significativo contributo alla crescita economica e sociale della maggior parte dei Paesi industrializzati. Ebbene: se sapremo riportare in equilibrio la finanza pubblica; se saremo in grado di definire un ruolo dello Stato più moderno, non più imprenditore ma regolatore, potremo guardare al futuro del Paese con rinnovato ottimismo.


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