1.
Premessa
La realizzazione del mercato unico europeo in ambito bancario è
avvenuta in Italia con l'approvazione del decreto legislativo (DL) n.
481 del 14 dicembre 1992, che ha recepito la seconda direttiva comunitaria
di coordinamento in materia bancaria (n. 89/646). L'occasione del recepimento
delle direttive comunitarie è stata utilizzata dal legislatore
per rimettere ordine nelle leggi bancarie. Il decreto citato, infatti,
costituisce il nucleo centrale del nuovo testo unico in materia bancaria
entrato in vigore con il DL n. 385 del l' settembre 1993 che coordina
e razionalizza la normativa di carattere creditizio e finanziario emanata
in maniera "torrentizia" in quest'ultimo decennio.
Il decreto 481/92 introduce nel nostro Paese la banca universale, consentendo
agli intermediari creditizi di svolgere all'interno di un'unica organizzazione
aziendale un'ampia gamma di attività ammesse al beneficio del
mutuo riconoscimento, preferibilmente nella veste di s.p.a. e secondo
l'operatività prevista dallo statuto (1). La banca universale
viene così ad affiancarsi come modalità alternativa di
esercizio dell'attività d'intermediazione creditizia al gruppo
polifunzionale precedentemente definito dalla Legge Amato (legge 30
luglio 1990, n. 218) e dai relativi decreti di attuazione (in particolare,
DL 20 novembre 1990, n. 356). Si afferma così, definitivamente,
l'orientamento secondo cui il gruppo creditizio non poteva essere considerato
l'unico strumento atto a fronteggiare la concorrenza europea e come
fosse invece necessario consentire al soggetto economico dell'intermediario
finanziario maggiori gradi di libertà e una più estesa
discrezionalità nella scelta del modello organizzativo con cui
operare.
Illuminante appariva, al proposito, la tesi di Guido Carli: "la
memoria e l'esperienza storica della specializzazione devono essere
conservate; tuttavia nella prospettiva di un forte impatto competitivo
- e sulla scia del resto di quanto avviene in altri Paesi - occorre
chiedersi se non sia opportuno far coesistere le due soluzioni (di enti
a vocazione operativa universale e di gruppi polifunzionali) preordinando
tra esse un rapporto di complementarietà, invece che di alternativa,
e lasciando agli operatori la libertà di assumere le più
convenienti scelte organizzative" (2).
In questo lavoro ci si riferisce in primo luogo al modello di banca
universale per eccellenza, quello tedesco, mettendo in evidenza come,
anche nell'esperienza germanica, numerose attività siano svolte
all'esterno della banca universale holding attraverso la forma della
società partecipata. Successivamente, si estende tale approccio
alla situazione italiana, per valutarne le possibilità di utilizzo
nella scelta sul se internalizzare o meno le attività previste
dal DL 481/92.
2. Un esempio
emblematico di banca universale: il modello tedesco.
Le direttive comunitarie in materia bancaria si sono ampiamente ispirate
all'esperienza tedesca nel definire i contorni e le modalità
operative delle nuove banche. Il sistema bancario germanico è,
infatti, considerato vincente da molti osservatori ed analisti. Questo
convincimento è basato su molteplici punti di forza presenti
nel sistema (3).
Innanzitutto il modulo organizzativo basato sulla banca universale
permette uno stretto rapporto banca-impresa; infatti, attraverso le
partecipazioni industriali, l'esercizio del diritto di voto per procura
nei confronti dei propri clienti e i conseguenti mandati dei rappresentanti
delle banche nei consigli di sorveglianza (4) delle imprese, gli intermediari
creditizi stringono con queste un rapporto assai stretto, spesso esclusivo,
che in Germania viene sintetizzato con il termine Hausbank (5).
Questo stretto rapporto permette ad entrambe le controparti di ottenere
considerevoli vantaggi: infatti, con la presenza dei propri rappresentanti
nei consigli di sorveglianza gli istituti di credito possono ottenere
più facilmente notizie relative alla rischiosità dell'attività
di investimento ed alla redditività attesa. In questo modo
la banca può prendere parte ai processi di progettazione e
di pianificazione all'interno dell'azienda offrendo la propria consulenza
nei campi nei quali essa possiede una competenza superiore, ossia
prevalentemente in materie di ordine fiscale, finanziario e giuridico.
Inoltre, la "fedeltà" della banca all'impresa offre
a quest'ultima la possibilità di disporre, per le proprie decisioni
d'investimento, di un orizzonte temporale lungo ovviando allo short
termism che affligge numerosi operatori economici (6).
A volte, però, l'ampiezza dei collegamenti tra banca e impresa
ha suscitato forti critiche relative al potere d'influenza della prima
nella gestione della seconda con il conseguente pericolo di abusi
da parte dell'ente creditizio, e in ultima analisi di inefficienze
nell'allocazione delle risorse tanto che nel 1970 fu nominata una
Commissione per indagare sui problemi fondamentali del sistema creditizio.
Le conclusioni a cui giunse la Commissione furono, però, che
il sistema bancario con istituti di credito di tipo universale aveva
dato prova di efficienza e "nel complesso buoni risultati: presunte
o effettive carenze nel sistema bancario attuale non costituiscono
un motivo sufficiente per un cambiamento [ ... ] con il passaggio
ad un sistema fondato sulla specializzazione bancaria potrebbero essere
evitati i conflitti di interesse [ ... ] tuttavia una trasformazione
comporterebbe svantaggi talmente grandi da non apparire giustificata"
(7).
A partire dagli anni '60 le grandi banche tedesche, per rispondere
meglio alle esigenze di un mercato in espansione, diedero vita ad
un'evoluzione dell'intermediario universale (la cosiddetta AlIfinanz
(8), che significa finanza globale) che si realizzò attraverso
un ampliamento verso attività innovative rispetto a quella
creditizia tradizionale con la quale le prime presentavano potenziali
sinergie sia dal lato produttivo che da quello distributivo. E' così
che all'iniziale ingresso nel settore parabancario si affianca negli
anni '70 e '80 l'espansione verso le gestioni fiduciarie, i fondi
comuni d'investimento, il venture capital e la consulenza strategica
(9). Il processo, però, non è avvenuto come si sarebbe
portati a credere solo all'interno dei singoli istituti, bensì,
soprattutto per i servizi più innovativi, attraverso strategie
di acquisizione o partecipazione in società già esistenti
e specializzate nel singolo comparto operativo, nonché attraverso
joint ventures che solo dopo aver verificato la profittabilità
della coalizione sono sfociate in fusioni e concentrazioni.
Questo fenomeno è stato spesso sottovalutato dalla dottrina,
ma può offrire, a mio avviso, alcuni spunti per risolvere i
problemi di internalizzazione/esternalizzazione di talune aree di
business nelle banche italiane, alla luce delle possibilità
operative offerte dal DL 481/92.
Le considerazioni che, nel sistema bancario tedesco, hanno spinto
verso una crescita esterna alla casa madre sono molteplici. Innanzitutto
motivi di ordine legislativo (civilistici e fiscali). Anche in Germania,
malgrado l'ordinamento creditizio sia basato sulla banca universale,
esistono delle attività che devono essere svolte da società
autonome specializzate. Così, il credito ipotecario e i finanziamenti
all'edilizia abitativa possono essere erogati soltanto da particolari
istituti, rispettivamente le banche ipotecarie e le casse di risparmio
all'edilizia (Bausparkassen). Anche i fondi comuni d'investimento,
poi, devono essere gestiti da società all'uopo destinate.
Sotto il profilo fiscale, l'esternalizzazione di un'attività
può essere dovuta alla possibilità di godere di determinati
vantaggi.
L'ordinamento tributario tedesco, a differenza di quello italiano,
consente la tassazione su base consolidata dei gruppi societari, con
la possibilità di compensare le posizioni creditorie e debitorie
d'imposta tra le varie consociate e, quindi, con un minore esborso
finanziario a livello di gruppo. L'articolazione di gruppo consente,
inoltre, d'identificare meglio il risultato economico delle varie
sussidiarie con la possibilità di dismettere le partecipazioni
nelle società meno redditizie.
La scelta delle modalità d'ingresso nei singoli settori operativi,
poi, dipende da considerazioni di ordine strategico-competitivo e
di ordine interno all'azienda bancaria. Per quanto riguarda le prime,
il ricorso alle controllate può essere motivato dalla necessità
di presidiare segmenti di mercato specifici per caratteristiche di
domanda o geografiche. In questa direzione, ad esempio, la Deutsche
Bank demanda alla GEFA l'attività nei territori orientali del
Paese e alla ALD Autoleasing il controllo del comparto automobilistico
(10). Inoltre, l'acquisizione di una partecipazione in un ente specializzato
lo rende più facilmente dismissibile nel caso di mutamento
delle strategie di offerta.
Un altro motivo di ordine strategico-competitivo che può spingere
alla creazione/acquisizione di sussidiarie autonome può essere
dato dalla necessità di far fronte alla crescente disintermediazione
dal lato della raccolta causata dalla concorrenza dei titoli obbligazionari
pubblici e privati e dalle società di assicurazioni. A questo
proposito, le banche di maggiori dimensioni hanno compiuto precise
scelte in ordine allo sviluppo indiretto della raccolta a buon mercato
tramite società del gruppo nazionali ed estere, spesso insediate
in centri off-shore. La Deutsche Bank, ad esempio, detiene una partecipazione
totalitaria in tre società finanziarie con sede a Curaçao,
Dover/USA, Amsterdam, che raccolgono fondi sui mercati internazionali.
Le risorse vengono rastrellate attraverso emissioni di obbligazioni
e di commercial paper in divise estere e poi trasferite alle società
del gruppo (11).
Per quanto concerne le considerazioni di carattere interno all'azienda
bancaria, problemi di congestione organizzativa e di governabilità
di un unico complesso aziendale possono portare naturalmente all'esternalizzazione
di alcune attività che sono più eterogenee rispetto
al business tradizionale e che non presentano significative economie
di produzione congiunta.
L'esternalizzazione può favorire un processo di approntamento
e di sviluppo più rapido delle attività stesse (come
si osserva nel caso di talune attività parabancarie), anche
tenuto conto che lo sviluppo dell'innovazione all'interno della struttura
della banca incontra resistenze e costi di cambiamento.
Una caratteristica peculiare dei gruppi bancari tedeschi è
data dal fatto che essi si presentano fortemente coesi al proprio
interno grazie alla detenzione da parte della casa madre dell'intero
capitale o di quote maggioritarie delle istituzioni partecipate. Ciò
permette di non incontrare difficoltà nella definizione di
guide lines gestionali comuni, di realizzare in tempi contenuti le
sinergie operative programmate e di mantenere forte l'identità
della banca con benefici sulle motivazioni alla vendita dei dipendenti
(12).
3. Prospettive
di operatività delle banche italiane alla luce della nuova
normativa.
Il dibattito teorico sulla superiorità del modello di banca
universale o di gruppo polifunzionale da utilizzare per sfruttare
le possibilità operative offerte dal DL 481/92 non ha messo
in evidenza la superiorità in assoluto di un assetto organizzativo
rispetto ad un altro, la soluzione migliore dipendendo spesso dai
tratti essenziali del singolo ente creditizio: dimensioni, assetti
'proprietari e strutturali di partenza, stile della direzione, cultura
aziendale del management, stadio del cielo di vita della banca rispetto
allo scenario competitivo di riferimento, livelli di professionalità
del personale influiscono in maniera determinante sulle scelte fatte
a livello aziendale (13). Può essere utile, però, ripercorrere
in rapida sintesi i pregi e i difetti dei due modelli organizzativi
al fine di trarre dei suggerimenti sulle possibili strategie che gli
istituti di credito italiani potranno adottare per sfruttare le possibilità
offerte dalla nuova normativa.
A questo proposito, il maggior punto di forza del gruppo creditizio
sembra essere la grande flessibilità nella diversificazione
strategica. La struttura di gruppo permette, infatti, di avviare strategie
di partnership attraverso la costituzione di sussidiarie al cui capitale
possono concorrere enti con esperienza diversificata, accrescendo
così il tasso di imprenditorialità delle iniziative
(14). Inoltre, la marcata autonomia delle singole società consente
una maggiore sensibilità all'evoluzione del mercato che può
essere seguita attraverso una politica di prodotto/prezzo mirata al
segmento di riferimento. Una consociata che opera da tempo in un settore
di attività sviluppa un livello tecnico e una produttività
che le derivano dalla specializzazione in quel settore che sono normalmente
superiori a quelli di una banca universale che, essendo presente in
un'ampia gamma di aree operative, non effettua la loro completa valorizzazione
sul piano della qualità degli strumenti, creando, talvolta,
disparità nell'immagine esterna e nelle preferenze incontrate
presso il pubblico (15).
Il maggior difetto del gruppo riguarda, invece, la possibilità
di realizzare al suo interno economie di scopo derivanti dall'impiego
di fattori produttivi e risorse comuni nell'interesse dell'intera
organizzazione di gruppo. Le attività che possono essere svolte
in maniera "orizzontale" sono numerose: le ricerche di mercato,
la consulenza legale, fiscale e tecnica, la valutazione del merito
creditizio di ogni singolo cliente, alcune funzioni del sistema organizzativo,
ecc. Sennonché, queste economie sembrano più facilmente
raggiungibili all'interno di un unico complesso aziendale, quale la
banca universale, dove le divisioni vengono ricondotte ad unità.
Le difficoltà di conseguirle nel gruppo derivano dall'esistenza
di costi di transazione interaziendale tanto più alti quanto
meno razionali e fluidi sono i rapporti tra gli amministratori delle
varie consociate (16). Un altro aspetto che bisogna considerare è
che il passaggio da un modello organizzativo all'altro implica dei
costi di trasformazione che possiamo dividere in due categorie: costi
determinati dall'assetto normativo e costi connessi alla necessità
di operare modifiche nelle strutture organizzative aziendali. Sul
piano normativo c'è da considerare che l'apertura delle Autorità
italiane per la banca universale è stata tardiva, ed è
avvenuta quando la maggior parte degli istituti di credito si erano
costituiti sotto forma di gruppo polifunzionale. Per cui, adesso,
le banche, soprattutto quelle di grandi dimensioni, dovranno scegliere
fra mantenere la struttura del gruppo, l'unica finora ammessa, oppure
adottare il modello universale, sostenendo i costi della trasformazione.
Una indicazione più chiara sin dall'inizio avrebbe consentito
ai banchieri di impostare meglio i processi strategici e decisionali.
Sul piano aziendale vengono subito ad evidenza le problematiche relative
all'integrazione dei sistemi informativi decentrati, alla ristrutturazione
e ricostituzione dei vari livelli gerarchici all'interno del modello
multidivisionale, ecc. Ma la problematica più importante è
probabilmente legata alla possibile perdita del patrimonio aziendale;
un'impresa autonoma, grazie ad una migliore specializzazione del lavoro
manageriale, consegue un livello tecnico ed una produttività
che difficilmente possono essere trasferiti interamente nella società
nella quale viene assorbita (17).
Come si evince da queste brevi considerazioni, si può ribadire
che non sembra esistere un assetto organizzativo valido in senso assoluto,
la soluzione migliore dipendendo da scelte fatte a livello aziendale.
A questo proposito alcune analisi empiriche non mostrano una relazione
diretta tra redditività e diversificazione; per cui, la scelta
di diversificare deve provenire soltanto da un'esigenza di servire
in modo efficiente e a costi più bassi la clientela al fine
di presidiare la presenza sul mercato.
In questa direzione, tra le attività che, a mio avviso, possono
senz'altro svolgersi all'interno della casa madre va considerato il
factoring. Le banche italiane già da tempo svolgevano direttamente
un'attività simile a quella del factoring sotto le forme tecniche
di cessione di crediti e del rischio di portafoglio. Per cui, una
sua internalizzazione non dovrebbe portare grossi problemi di congestione
organizzativa e di modifiche nelle strutture aziendali.
Diverso, sempre a mio avviso, può essere il discorso per l'altra
attività del settore parabancario e cioè il leasing.
Le banche italiane non sembrano aver sviluppato direttamente le competenze
specifiche relative allo svolgimento della locazione finanziaria (si
pensi, ad esempio, a taluni aspetti della gestione finanziaria che
richiedono risorse umane altamente qualificate che sappiano gestire
la finanza in maniera equilibrata onde ritrovarsi, in ogni istante,
con un livello di liquidità tale da far fronte agli oneri correnti
e consentire gli investimenti occorrenti alla produzione del reddito
(18)), per cui almeno all'inizio queste attività potranno essere
svolte da società controllate direttamente dalla capogruppo.
Questa tesi mi sembra confortata anche da un confronto con l'esperienza
tedesca. In Germania, infatti, tutte le banche di maggiori dimensioni
esercitano la locazione finanziaria tramite società controllate.
Così, ad esempio, la Commerzbank è presente nel leasing
commerciale ed industriale attraverso la Commerz und Industrie Leasing
GmbH, detenuta al 100%, e nel leasing immobiliare attraverso la Deutsche
Immobilien Leasing GmbH, detenuta al 50% (19).
Per quanto riguarda il credito a medio e lungo termine, gli intermediari
creditizi italiani già da tempo immobilizzano una parte dei
loro impieghi sotto forma di credito ordinario rinnovato con regolarità.
Ciò non ha provocato pericoli per il raggiungimento degli equilibri
gestionali (economici e finanziari) soprattutto per quelle banche
che sono riuscite a conciliare la maggior durata dei crediti concessi
con una maggiore stabilità della raccolta. Sennonché,
un maggior coinvolgimento nell'erogazione di prestiti con scadenza
originaria formale superiore ai 18 mesi potrebbe portare, a mio avviso,
alcuni problemi. Innanzitutto, le banche non dispongono ancora di
un'organizzazione idonea a gestire i finanziamenti in discorso e a
valutarne appieno i rischi. Inoltre, i crediti a medio e lungo termine
sono erogati, a volte, sotto forma di mutui rimborsabili attraverso
piani di ammortamento prestabiliti che non permettono il realizzo
della funzione monetaria. Infine, i prestiti a protratta scadenza,
così come le partecipazioni azionarie, determinano un coinvolgimento
degli istituti di credito nelle vicende economiche e finanziarie delle
aziende affidate, per cui essi potrebbero essere indotti a concedere
ulteriori finanziamenti al solo fine di non subire perdite più
gravose, determinando un rischio di inefficiente allocazione delle
risorse (20).
A questo proposito, la Banca d'Italia ha fissato dei paletti in modo
da evitare che il venir meno della specializzazione temporale possa
comportare problemi di instabilità finanziaria e di concentrazione
dei rischi stabilendo che le banche commerciali non potranno erogare
finanziamenti a medio e lungo termine per un ammontare superiore al
20% della raccolta a vista.
Non si può sottacere, peraltro, come, da un confronto con gli
intermediari creditizi tedeschi, emerga che in Germania l'attività
di intermediazione a medio-lungo termine è condotta dappertutto
all'interno della capogruppo congiuntamente a quella a breve (21).
Ciò permette alle aziende di credito un miglior monitoraggio
dei rischi delle imprese affidate ed evita la frammentazione dei servizi
e la politica dei fidi multipli cui sono costrette a ricorrere, invece,
le imprese italiane. Eventuali problemi di matching nelle scadenze
sono affrontati dalle banche tedesche ricorrendo al mercato interbancario
e rendendo più duratura la raccolta attraverso l'emissione
di titoli con scadenza superiore a quattro anni (22). Ritengo, quindi,
che, almeno nel breve termine, le banche continueranno ad erogare
il credito a protratta scadenza tramite l'acquisizione o il mantenimento
di istituti appositamente destinati. Ciò è confermato
anche dall'esperienza empirica che mette in evidenza come dei 44 istituti
di credito speciale in attività ben 37 sono legati a banche
holding da rapporti partecipativi (23). Per quanto riguarda il settore
dell'intermediazione mobiliare e della gestione dei fondi comuni d'investimento,
il problema dell'internalizzazione o esternalizzazione non si pone
in quanto la normativa impone, attualmente, che queste attività
siano svolte in società separate.
In definitiva, l'analisi dei pregi e dei difetti dei due moduli organizzativi
non mette in evidenza un assetto valido in senso assoluto, ma piuttosto
la ricerca di un modello misto che integri i punti di forza dei due
modelli. Anche le banche universali tedesche, d'altronde, mostrano
che i due assetti organizzativi possono integrarsi, essendo talvolta
proprietarie di società le cui attività non possono
o non intendono esercitare direttamente, benché i soggetti
coinvolti siano meno numerosi delle consociate che costituiscono di
norma i nostri principali gruppi polifunzionali. Quindi, da un lato,
anche in Germania non esiste un unico modello organizzativo multidivisionale
che polarizzi la produzione di tutti i servizi potenzialmente erogabili,
e, dall'altro, in alcune situazioni, le economie di specializzazione
possono far premio sulle economie di diversificazione produttiva.
Infatti, con l'accrescersi delle dimensioni, della diversificazione
dei prodotti e dell'articolazione della rete territoriale, problemi
sempre più stringenti di congestione organizzativa spingono
alla creazione di società operative autonome e quindi verso
il modello di gruppo magari con al centro una banca universale holding.
NOTE
1) Per un'analisi dei contenuti del DL 481/92 si veda: F. Capriglione
(a cura di), Il recepimento della seconda direttiva CEE in materia
bancaria, Cacucci, Bari, 1993.
2) Cfr. G. Carli, Intervento all'assemblea ordinaria dell'ABI, Roma,
4 luglio 1990, p. 14.
3) Cfr. M. Boschi, Il modello vincente, "Milano Finanza",
13 febbraio 1993.
4) Il consiglio di sorveglianza (Ausichstrat) è un organo frapposto
tra il management e gli azionisti composto dai rappresentanti dei
dipendenti e degli azionisti, previsto dalla legge per tutte le s.p.a.
e per molte s.r.l. Ad esso è affidato il compito di sorvegliare
l'amministrazione della società, di nominare ed eventualmente
revocare gli amministratori e di compartecipare, insieme all'organo
amministrativo (Vorstand), ad alcune decisioni importanti per la vita
dell'impresa (art. 84 ed art. 111 della legge sulle s.p.a. - Aktiengesetz
-del 1965).
5) L'Hausbank è considerata una banca di fiducia che assiste
l'azienda cliente in tutte le operazioni di natura finanziaria in
senso lato, fornendo una consulenza globale. Cfr. P. Schwizer, La
banca universale, "Bollettino dell'Associazione nazionale banche
popolari", n. 11 - 12, 1990.
6) Cfr. A. Barzaghi, La Repubblica Federale Tedesca, in AA.VV., Sistemi
creditizi a confronto, Servizio Studi della Camera dei Deputati, Roma,
1988, p. 75 e ss.
7) Cfr. Ministero delle Finanze della Repubblica Federale Tedesca,
I problemi fondamentali dell'ordinamento creditizio della Germania
Federale, Il Mulino, Bologna, 1981, p. 253.
8) Sul concetto di Allfinanz si notano opinioni contrastanti tra i
diversi autori. Alcuni sostengono che si tratti di una strategia di
diversificazione volta ad ampliare il più possibile la gamma
dei prodotti offerti; in questo modo l'Allfinanz si identificherebbe
con il concetto di "supermercato finanziario". Altri affermano
che si tratti di un peculiare tipo di approccio ad un determinato
segmento di clientela, volto a "fidelizzarla", attraverso
un rapporto fiduciario e duraturo, offrendo un'assistenza globale
idonea a soddisfare esigenze specifiche. Sul punto si veda C. Schena,
Strategie di espansione e politiche di gestione di un campione di
banche, in R. Locatelli (a cura di), Il sistema finanziario tedesco,
Il Mulino, Bologna, 1991, p. 209 e ss.
9) Cfr. P. Schwizer, op. cit.
10) Cfr. Banca Commerciale Italiana, Tendenze monetarie, n. 68, marzo
1993, p. 13 e ss.
11) Cfr. C. Schena, Strategie di espansione..., op. cit., p. 186 e
ss.
12) Cfr. R. Locatelli, La recente evoluzione del modello di sistema
finanziario e di banca universale nella prospettiva dell'integrazione
europea, in R. Locatelli (a cura di), Il sistema finanziario tedesco,
op. cit., p. 247 e ss.
13) Cfr. V. Nastasi, Banca universale o gruppo polifunzionale: una
scelta strategica per l'impresa, in F. Capriglione (a cura di), Il
recepimento..., op. cit., pp. 95-96.
14) Cfr. F. Riolo, Incerta competizione tra gruppi polifunzionali
e banca universale, "Bancaria", n. 4, 1990.
15) Cfr. F. Colombini, Banca specializzata, banca universale e gruppo
creditizio, elementi per un confronto, "Il Risparmio", n.
2, 1993.
16) Cfr. R. S. Masera, Banca universale e gruppo creditizio: sollecitazioni
di mercato e disciplina prudenziale, "Economia italiana",
n. 3, 1992.
17) Cfr. Banca Commerciale Italiana, op. cit., p. 18 e ss.
18) Cfr. A. Dell'Atti, Alcuni aspetti della funzione finanziaria dell'azienda
di leasing, in A. Dell'Atti, P. Maizza (a cura di), Nuovi profili
di finanza aziendale, Cacucci, Bari, 1991, p. 109 e ss.
19) Cfr. AA.VV., Connotati strutturali, analisi dei bilanci e caratteristiche
tecniche di un campione di banche, in R. Locatelli (a cura di), Il
sistema finanziario tedesco, op. cit., p. 247 e ss.
20) Cfr. R. Ricci, La banca moderna, Utet, Torino, 1988, p. 103 e
ss.
21) Cfr. M. Onado, Senza cambi azionari la banca universale si perderà
per strada, "Il Sole-24 Ore", 31 marzo 1993.
22) Cfr. R. Locatelli, Banche universali, banche specializzate ed
integrazione comunitaria, in R. Locatelli (a cura di), Il sistema
finanziario tedesco, op. cit., p. 83 e ss.
23) Cfr. C. Baldinelli, A. Pilati, Avvio della banca universale: prime
esperienze nel sistema creditizio italiano, "Bancaria",
n. 6, 1994.
|