§ CREDITO / MODELLI ORGANIZZATIVI: CONFRONTO CON L'ESPERIENZA TEDESCA

BANCA UNIVERSALE O GRUPPO POLIFUNZIONALE?




Gianluigi Rizzo



1. Premessa
La realizzazione del mercato unico europeo in ambito bancario è avvenuta in Italia con l'approvazione del decreto legislativo (DL) n. 481 del 14 dicembre 1992, che ha recepito la seconda direttiva comunitaria di coordinamento in materia bancaria (n. 89/646). L'occasione del recepimento delle direttive comunitarie è stata utilizzata dal legislatore per rimettere ordine nelle leggi bancarie. Il decreto citato, infatti, costituisce il nucleo centrale del nuovo testo unico in materia bancaria entrato in vigore con il DL n. 385 del l' settembre 1993 che coordina e razionalizza la normativa di carattere creditizio e finanziario emanata in maniera "torrentizia" in quest'ultimo decennio.
Il decreto 481/92 introduce nel nostro Paese la banca universale, consentendo agli intermediari creditizi di svolgere all'interno di un'unica organizzazione aziendale un'ampia gamma di attività ammesse al beneficio del mutuo riconoscimento, preferibilmente nella veste di s.p.a. e secondo l'operatività prevista dallo statuto (1). La banca universale viene così ad affiancarsi come modalità alternativa di esercizio dell'attività d'intermediazione creditizia al gruppo polifunzionale precedentemente definito dalla Legge Amato (legge 30 luglio 1990, n. 218) e dai relativi decreti di attuazione (in particolare, DL 20 novembre 1990, n. 356). Si afferma così, definitivamente, l'orientamento secondo cui il gruppo creditizio non poteva essere considerato l'unico strumento atto a fronteggiare la concorrenza europea e come fosse invece necessario consentire al soggetto economico dell'intermediario finanziario maggiori gradi di libertà e una più estesa discrezionalità nella scelta del modello organizzativo con cui operare.
Illuminante appariva, al proposito, la tesi di Guido Carli: "la memoria e l'esperienza storica della specializzazione devono essere conservate; tuttavia nella prospettiva di un forte impatto competitivo - e sulla scia del resto di quanto avviene in altri Paesi - occorre chiedersi se non sia opportuno far coesistere le due soluzioni (di enti a vocazione operativa universale e di gruppi polifunzionali) preordinando tra esse un rapporto di complementarietà, invece che di alternativa, e lasciando agli operatori la libertà di assumere le più convenienti scelte organizzative" (2).
In questo lavoro ci si riferisce in primo luogo al modello di banca universale per eccellenza, quello tedesco, mettendo in evidenza come, anche nell'esperienza germanica, numerose attività siano svolte all'esterno della banca universale holding attraverso la forma della società partecipata. Successivamente, si estende tale approccio alla situazione italiana, per valutarne le possibilità di utilizzo nella scelta sul se internalizzare o meno le attività previste dal DL 481/92.

2. Un esempio emblematico di banca universale: il modello tedesco.
Le direttive comunitarie in materia bancaria si sono ampiamente ispirate all'esperienza tedesca nel definire i contorni e le modalità operative delle nuove banche. Il sistema bancario germanico è, infatti, considerato vincente da molti osservatori ed analisti. Questo convincimento è basato su molteplici punti di forza presenti nel sistema (3).
Innanzitutto il modulo organizzativo basato sulla banca universale permette uno stretto rapporto banca-impresa; infatti, attraverso le partecipazioni industriali, l'esercizio del diritto di voto per procura nei confronti dei propri clienti e i conseguenti mandati dei rappresentanti delle banche nei consigli di sorveglianza (4) delle imprese, gli intermediari creditizi stringono con queste un rapporto assai stretto, spesso esclusivo, che in Germania viene sintetizzato con il termine Hausbank (5).
Questo stretto rapporto permette ad entrambe le controparti di ottenere considerevoli vantaggi: infatti, con la presenza dei propri rappresentanti nei consigli di sorveglianza gli istituti di credito possono ottenere più facilmente notizie relative alla rischiosità dell'attività di investimento ed alla redditività attesa. In questo modo la banca può prendere parte ai processi di progettazione e di pianificazione all'interno dell'azienda offrendo la propria consulenza nei campi nei quali essa possiede una competenza superiore, ossia prevalentemente in materie di ordine fiscale, finanziario e giuridico. Inoltre, la "fedeltà" della banca all'impresa offre a quest'ultima la possibilità di disporre, per le proprie decisioni d'investimento, di un orizzonte temporale lungo ovviando allo short termism che affligge numerosi operatori economici (6).
A volte, però, l'ampiezza dei collegamenti tra banca e impresa ha suscitato forti critiche relative al potere d'influenza della prima nella gestione della seconda con il conseguente pericolo di abusi da parte dell'ente creditizio, e in ultima analisi di inefficienze nell'allocazione delle risorse tanto che nel 1970 fu nominata una Commissione per indagare sui problemi fondamentali del sistema creditizio. Le conclusioni a cui giunse la Commissione furono, però, che il sistema bancario con istituti di credito di tipo universale aveva dato prova di efficienza e "nel complesso buoni risultati: presunte o effettive carenze nel sistema bancario attuale non costituiscono un motivo sufficiente per un cambiamento [ ... ] con il passaggio ad un sistema fondato sulla specializzazione bancaria potrebbero essere evitati i conflitti di interesse [ ... ] tuttavia una trasformazione comporterebbe svantaggi talmente grandi da non apparire giustificata" (7).
A partire dagli anni '60 le grandi banche tedesche, per rispondere meglio alle esigenze di un mercato in espansione, diedero vita ad un'evoluzione dell'intermediario universale (la cosiddetta AlIfinanz (8), che significa finanza globale) che si realizzò attraverso un ampliamento verso attività innovative rispetto a quella creditizia tradizionale con la quale le prime presentavano potenziali sinergie sia dal lato produttivo che da quello distributivo. E' così che all'iniziale ingresso nel settore parabancario si affianca negli anni '70 e '80 l'espansione verso le gestioni fiduciarie, i fondi comuni d'investimento, il venture capital e la consulenza strategica (9). Il processo, però, non è avvenuto come si sarebbe portati a credere solo all'interno dei singoli istituti, bensì, soprattutto per i servizi più innovativi, attraverso strategie di acquisizione o partecipazione in società già esistenti e specializzate nel singolo comparto operativo, nonché attraverso joint ventures che solo dopo aver verificato la profittabilità della coalizione sono sfociate in fusioni e concentrazioni.
Questo fenomeno è stato spesso sottovalutato dalla dottrina, ma può offrire, a mio avviso, alcuni spunti per risolvere i problemi di internalizzazione/esternalizzazione di talune aree di business nelle banche italiane, alla luce delle possibilità operative offerte dal DL 481/92.
Le considerazioni che, nel sistema bancario tedesco, hanno spinto verso una crescita esterna alla casa madre sono molteplici. Innanzitutto motivi di ordine legislativo (civilistici e fiscali). Anche in Germania, malgrado l'ordinamento creditizio sia basato sulla banca universale, esistono delle attività che devono essere svolte da società autonome specializzate. Così, il credito ipotecario e i finanziamenti all'edilizia abitativa possono essere erogati soltanto da particolari istituti, rispettivamente le banche ipotecarie e le casse di risparmio all'edilizia (Bausparkassen). Anche i fondi comuni d'investimento, poi, devono essere gestiti da società all'uopo destinate.
Sotto il profilo fiscale, l'esternalizzazione di un'attività può essere dovuta alla possibilità di godere di determinati vantaggi.
L'ordinamento tributario tedesco, a differenza di quello italiano, consente la tassazione su base consolidata dei gruppi societari, con la possibilità di compensare le posizioni creditorie e debitorie d'imposta tra le varie consociate e, quindi, con un minore esborso finanziario a livello di gruppo. L'articolazione di gruppo consente, inoltre, d'identificare meglio il risultato economico delle varie sussidiarie con la possibilità di dismettere le partecipazioni nelle società meno redditizie.
La scelta delle modalità d'ingresso nei singoli settori operativi, poi, dipende da considerazioni di ordine strategico-competitivo e di ordine interno all'azienda bancaria. Per quanto riguarda le prime, il ricorso alle controllate può essere motivato dalla necessità di presidiare segmenti di mercato specifici per caratteristiche di domanda o geografiche. In questa direzione, ad esempio, la Deutsche Bank demanda alla GEFA l'attività nei territori orientali del Paese e alla ALD Autoleasing il controllo del comparto automobilistico (10). Inoltre, l'acquisizione di una partecipazione in un ente specializzato lo rende più facilmente dismissibile nel caso di mutamento delle strategie di offerta.
Un altro motivo di ordine strategico-competitivo che può spingere alla creazione/acquisizione di sussidiarie autonome può essere dato dalla necessità di far fronte alla crescente disintermediazione dal lato della raccolta causata dalla concorrenza dei titoli obbligazionari pubblici e privati e dalle società di assicurazioni. A questo proposito, le banche di maggiori dimensioni hanno compiuto precise scelte in ordine allo sviluppo indiretto della raccolta a buon mercato tramite società del gruppo nazionali ed estere, spesso insediate in centri off-shore. La Deutsche Bank, ad esempio, detiene una partecipazione totalitaria in tre società finanziarie con sede a Curaçao, Dover/USA, Amsterdam, che raccolgono fondi sui mercati internazionali. Le risorse vengono rastrellate attraverso emissioni di obbligazioni e di commercial paper in divise estere e poi trasferite alle società del gruppo (11).
Per quanto concerne le considerazioni di carattere interno all'azienda bancaria, problemi di congestione organizzativa e di governabilità di un unico complesso aziendale possono portare naturalmente all'esternalizzazione di alcune attività che sono più eterogenee rispetto al business tradizionale e che non presentano significative economie di produzione congiunta.
L'esternalizzazione può favorire un processo di approntamento e di sviluppo più rapido delle attività stesse (come si osserva nel caso di talune attività parabancarie), anche tenuto conto che lo sviluppo dell'innovazione all'interno della struttura della banca incontra resistenze e costi di cambiamento.
Una caratteristica peculiare dei gruppi bancari tedeschi è data dal fatto che essi si presentano fortemente coesi al proprio interno grazie alla detenzione da parte della casa madre dell'intero capitale o di quote maggioritarie delle istituzioni partecipate. Ciò permette di non incontrare difficoltà nella definizione di guide lines gestionali comuni, di realizzare in tempi contenuti le sinergie operative programmate e di mantenere forte l'identità della banca con benefici sulle motivazioni alla vendita dei dipendenti (12).

3. Prospettive di operatività delle banche italiane alla luce della nuova normativa.
Il dibattito teorico sulla superiorità del modello di banca universale o di gruppo polifunzionale da utilizzare per sfruttare le possibilità operative offerte dal DL 481/92 non ha messo in evidenza la superiorità in assoluto di un assetto organizzativo rispetto ad un altro, la soluzione migliore dipendendo spesso dai tratti essenziali del singolo ente creditizio: dimensioni, assetti 'proprietari e strutturali di partenza, stile della direzione, cultura aziendale del management, stadio del cielo di vita della banca rispetto allo scenario competitivo di riferimento, livelli di professionalità del personale influiscono in maniera determinante sulle scelte fatte a livello aziendale (13). Può essere utile, però, ripercorrere in rapida sintesi i pregi e i difetti dei due modelli organizzativi al fine di trarre dei suggerimenti sulle possibili strategie che gli istituti di credito italiani potranno adottare per sfruttare le possibilità offerte dalla nuova normativa.
A questo proposito, il maggior punto di forza del gruppo creditizio sembra essere la grande flessibilità nella diversificazione strategica. La struttura di gruppo permette, infatti, di avviare strategie di partnership attraverso la costituzione di sussidiarie al cui capitale possono concorrere enti con esperienza diversificata, accrescendo così il tasso di imprenditorialità delle iniziative (14). Inoltre, la marcata autonomia delle singole società consente una maggiore sensibilità all'evoluzione del mercato che può essere seguita attraverso una politica di prodotto/prezzo mirata al segmento di riferimento. Una consociata che opera da tempo in un settore di attività sviluppa un livello tecnico e una produttività che le derivano dalla specializzazione in quel settore che sono normalmente superiori a quelli di una banca universale che, essendo presente in un'ampia gamma di aree operative, non effettua la loro completa valorizzazione sul piano della qualità degli strumenti, creando, talvolta, disparità nell'immagine esterna e nelle preferenze incontrate presso il pubblico (15).
Il maggior difetto del gruppo riguarda, invece, la possibilità di realizzare al suo interno economie di scopo derivanti dall'impiego di fattori produttivi e risorse comuni nell'interesse dell'intera organizzazione di gruppo. Le attività che possono essere svolte in maniera "orizzontale" sono numerose: le ricerche di mercato, la consulenza legale, fiscale e tecnica, la valutazione del merito creditizio di ogni singolo cliente, alcune funzioni del sistema organizzativo, ecc. Sennonché, queste economie sembrano più facilmente raggiungibili all'interno di un unico complesso aziendale, quale la banca universale, dove le divisioni vengono ricondotte ad unità. Le difficoltà di conseguirle nel gruppo derivano dall'esistenza di costi di transazione interaziendale tanto più alti quanto meno razionali e fluidi sono i rapporti tra gli amministratori delle varie consociate (16). Un altro aspetto che bisogna considerare è che il passaggio da un modello organizzativo all'altro implica dei costi di trasformazione che possiamo dividere in due categorie: costi determinati dall'assetto normativo e costi connessi alla necessità di operare modifiche nelle strutture organizzative aziendali. Sul piano normativo c'è da considerare che l'apertura delle Autorità italiane per la banca universale è stata tardiva, ed è avvenuta quando la maggior parte degli istituti di credito si erano costituiti sotto forma di gruppo polifunzionale. Per cui, adesso, le banche, soprattutto quelle di grandi dimensioni, dovranno scegliere fra mantenere la struttura del gruppo, l'unica finora ammessa, oppure adottare il modello universale, sostenendo i costi della trasformazione. Una indicazione più chiara sin dall'inizio avrebbe consentito ai banchieri di impostare meglio i processi strategici e decisionali. Sul piano aziendale vengono subito ad evidenza le problematiche relative all'integrazione dei sistemi informativi decentrati, alla ristrutturazione e ricostituzione dei vari livelli gerarchici all'interno del modello multidivisionale, ecc. Ma la problematica più importante è probabilmente legata alla possibile perdita del patrimonio aziendale; un'impresa autonoma, grazie ad una migliore specializzazione del lavoro manageriale, consegue un livello tecnico ed una produttività che difficilmente possono essere trasferiti interamente nella società nella quale viene assorbita (17).
Come si evince da queste brevi considerazioni, si può ribadire che non sembra esistere un assetto organizzativo valido in senso assoluto, la soluzione migliore dipendendo da scelte fatte a livello aziendale. A questo proposito alcune analisi empiriche non mostrano una relazione diretta tra redditività e diversificazione; per cui, la scelta di diversificare deve provenire soltanto da un'esigenza di servire in modo efficiente e a costi più bassi la clientela al fine di presidiare la presenza sul mercato.
In questa direzione, tra le attività che, a mio avviso, possono senz'altro svolgersi all'interno della casa madre va considerato il factoring. Le banche italiane già da tempo svolgevano direttamente un'attività simile a quella del factoring sotto le forme tecniche di cessione di crediti e del rischio di portafoglio. Per cui, una sua internalizzazione non dovrebbe portare grossi problemi di congestione organizzativa e di modifiche nelle strutture aziendali.
Diverso, sempre a mio avviso, può essere il discorso per l'altra attività del settore parabancario e cioè il leasing. Le banche italiane non sembrano aver sviluppato direttamente le competenze specifiche relative allo svolgimento della locazione finanziaria (si pensi, ad esempio, a taluni aspetti della gestione finanziaria che richiedono risorse umane altamente qualificate che sappiano gestire la finanza in maniera equilibrata onde ritrovarsi, in ogni istante, con un livello di liquidità tale da far fronte agli oneri correnti e consentire gli investimenti occorrenti alla produzione del reddito (18)), per cui almeno all'inizio queste attività potranno essere svolte da società controllate direttamente dalla capogruppo. Questa tesi mi sembra confortata anche da un confronto con l'esperienza tedesca. In Germania, infatti, tutte le banche di maggiori dimensioni esercitano la locazione finanziaria tramite società controllate. Così, ad esempio, la Commerzbank è presente nel leasing commerciale ed industriale attraverso la Commerz und Industrie Leasing GmbH, detenuta al 100%, e nel leasing immobiliare attraverso la Deutsche Immobilien Leasing GmbH, detenuta al 50% (19).
Per quanto riguarda il credito a medio e lungo termine, gli intermediari creditizi italiani già da tempo immobilizzano una parte dei loro impieghi sotto forma di credito ordinario rinnovato con regolarità. Ciò non ha provocato pericoli per il raggiungimento degli equilibri gestionali (economici e finanziari) soprattutto per quelle banche che sono riuscite a conciliare la maggior durata dei crediti concessi con una maggiore stabilità della raccolta. Sennonché, un maggior coinvolgimento nell'erogazione di prestiti con scadenza originaria formale superiore ai 18 mesi potrebbe portare, a mio avviso, alcuni problemi. Innanzitutto, le banche non dispongono ancora di un'organizzazione idonea a gestire i finanziamenti in discorso e a valutarne appieno i rischi. Inoltre, i crediti a medio e lungo termine sono erogati, a volte, sotto forma di mutui rimborsabili attraverso piani di ammortamento prestabiliti che non permettono il realizzo della funzione monetaria. Infine, i prestiti a protratta scadenza, così come le partecipazioni azionarie, determinano un coinvolgimento degli istituti di credito nelle vicende economiche e finanziarie delle aziende affidate, per cui essi potrebbero essere indotti a concedere ulteriori finanziamenti al solo fine di non subire perdite più gravose, determinando un rischio di inefficiente allocazione delle risorse (20).
A questo proposito, la Banca d'Italia ha fissato dei paletti in modo da evitare che il venir meno della specializzazione temporale possa comportare problemi di instabilità finanziaria e di concentrazione dei rischi stabilendo che le banche commerciali non potranno erogare finanziamenti a medio e lungo termine per un ammontare superiore al 20% della raccolta a vista.
Non si può sottacere, peraltro, come, da un confronto con gli intermediari creditizi tedeschi, emerga che in Germania l'attività di intermediazione a medio-lungo termine è condotta dappertutto all'interno della capogruppo congiuntamente a quella a breve (21).
Ciò permette alle aziende di credito un miglior monitoraggio dei rischi delle imprese affidate ed evita la frammentazione dei servizi e la politica dei fidi multipli cui sono costrette a ricorrere, invece, le imprese italiane. Eventuali problemi di matching nelle scadenze sono affrontati dalle banche tedesche ricorrendo al mercato interbancario e rendendo più duratura la raccolta attraverso l'emissione di titoli con scadenza superiore a quattro anni (22). Ritengo, quindi, che, almeno nel breve termine, le banche continueranno ad erogare il credito a protratta scadenza tramite l'acquisizione o il mantenimento di istituti appositamente destinati. Ciò è confermato anche dall'esperienza empirica che mette in evidenza come dei 44 istituti di credito speciale in attività ben 37 sono legati a banche holding da rapporti partecipativi (23). Per quanto riguarda il settore dell'intermediazione mobiliare e della gestione dei fondi comuni d'investimento, il problema dell'internalizzazione o esternalizzazione non si pone in quanto la normativa impone, attualmente, che queste attività siano svolte in società separate.
In definitiva, l'analisi dei pregi e dei difetti dei due moduli organizzativi non mette in evidenza un assetto valido in senso assoluto, ma piuttosto la ricerca di un modello misto che integri i punti di forza dei due modelli. Anche le banche universali tedesche, d'altronde, mostrano che i due assetti organizzativi possono integrarsi, essendo talvolta proprietarie di società le cui attività non possono o non intendono esercitare direttamente, benché i soggetti coinvolti siano meno numerosi delle consociate che costituiscono di norma i nostri principali gruppi polifunzionali. Quindi, da un lato, anche in Germania non esiste un unico modello organizzativo multidivisionale che polarizzi la produzione di tutti i servizi potenzialmente erogabili, e, dall'altro, in alcune situazioni, le economie di specializzazione possono far premio sulle economie di diversificazione produttiva. Infatti, con l'accrescersi delle dimensioni, della diversificazione dei prodotti e dell'articolazione della rete territoriale, problemi sempre più stringenti di congestione organizzativa spingono alla creazione di società operative autonome e quindi verso il modello di gruppo magari con al centro una banca universale holding.


NOTE
1) Per un'analisi dei contenuti del DL 481/92 si veda: F. Capriglione (a cura di), Il recepimento della seconda direttiva CEE in materia bancaria, Cacucci, Bari, 1993.
2) Cfr. G. Carli, Intervento all'assemblea ordinaria dell'ABI, Roma, 4 luglio 1990, p. 14.
3) Cfr. M. Boschi, Il modello vincente, "Milano Finanza", 13 febbraio 1993.
4) Il consiglio di sorveglianza (Ausichstrat) è un organo frapposto tra il management e gli azionisti composto dai rappresentanti dei dipendenti e degli azionisti, previsto dalla legge per tutte le s.p.a. e per molte s.r.l. Ad esso è affidato il compito di sorvegliare l'amministrazione della società, di nominare ed eventualmente revocare gli amministratori e di compartecipare, insieme all'organo amministrativo (Vorstand), ad alcune decisioni importanti per la vita dell'impresa (art. 84 ed art. 111 della legge sulle s.p.a. - Aktiengesetz -del 1965).
5) L'Hausbank è considerata una banca di fiducia che assiste l'azienda cliente in tutte le operazioni di natura finanziaria in senso lato, fornendo una consulenza globale. Cfr. P. Schwizer, La banca universale, "Bollettino dell'Associazione nazionale banche popolari", n. 11 - 12, 1990.
6) Cfr. A. Barzaghi, La Repubblica Federale Tedesca, in AA.VV., Sistemi creditizi a confronto, Servizio Studi della Camera dei Deputati, Roma, 1988, p. 75 e ss.
7) Cfr. Ministero delle Finanze della Repubblica Federale Tedesca, I problemi fondamentali dell'ordinamento creditizio della Germania Federale, Il Mulino, Bologna, 1981, p. 253.
8) Sul concetto di Allfinanz si notano opinioni contrastanti tra i diversi autori. Alcuni sostengono che si tratti di una strategia di diversificazione volta ad ampliare il più possibile la gamma dei prodotti offerti; in questo modo l'Allfinanz si identificherebbe con il concetto di "supermercato finanziario". Altri affermano che si tratti di un peculiare tipo di approccio ad un determinato segmento di clientela, volto a "fidelizzarla", attraverso un rapporto fiduciario e duraturo, offrendo un'assistenza globale idonea a soddisfare esigenze specifiche. Sul punto si veda C. Schena, Strategie di espansione e politiche di gestione di un campione di banche, in R. Locatelli (a cura di), Il sistema finanziario tedesco, Il Mulino, Bologna, 1991, p. 209 e ss.
9) Cfr. P. Schwizer, op. cit.
10) Cfr. Banca Commerciale Italiana, Tendenze monetarie, n. 68, marzo 1993, p. 13 e ss.
11) Cfr. C. Schena, Strategie di espansione..., op. cit., p. 186 e ss.
12) Cfr. R. Locatelli, La recente evoluzione del modello di sistema finanziario e di banca universale nella prospettiva dell'integrazione europea, in R. Locatelli (a cura di), Il sistema finanziario tedesco, op. cit., p. 247 e ss.
13) Cfr. V. Nastasi, Banca universale o gruppo polifunzionale: una scelta strategica per l'impresa, in F. Capriglione (a cura di), Il recepimento..., op. cit., pp. 95-96.
14) Cfr. F. Riolo, Incerta competizione tra gruppi polifunzionali e banca universale, "Bancaria", n. 4, 1990.
15) Cfr. F. Colombini, Banca specializzata, banca universale e gruppo creditizio, elementi per un confronto, "Il Risparmio", n. 2, 1993.
16) Cfr. R. S. Masera, Banca universale e gruppo creditizio: sollecitazioni di mercato e disciplina prudenziale, "Economia italiana", n. 3, 1992.
17) Cfr. Banca Commerciale Italiana, op. cit., p. 18 e ss.
18) Cfr. A. Dell'Atti, Alcuni aspetti della funzione finanziaria dell'azienda di leasing, in A. Dell'Atti, P. Maizza (a cura di), Nuovi profili di finanza aziendale, Cacucci, Bari, 1991, p. 109 e ss.
19) Cfr. AA.VV., Connotati strutturali, analisi dei bilanci e caratteristiche tecniche di un campione di banche, in R. Locatelli (a cura di), Il sistema finanziario tedesco, op. cit., p. 247 e ss.
20) Cfr. R. Ricci, La banca moderna, Utet, Torino, 1988, p. 103 e ss.
21) Cfr. M. Onado, Senza cambi azionari la banca universale si perderà per strada, "Il Sole-24 Ore", 31 marzo 1993.
22) Cfr. R. Locatelli, Banche universali, banche specializzate ed integrazione comunitaria, in R. Locatelli (a cura di), Il sistema finanziario tedesco, op. cit., p. 83 e ss.
23) Cfr. C. Baldinelli, A. Pilati, Avvio della banca universale: prime esperienze nel sistema creditizio italiano, "Bancaria", n. 6, 1994.


Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000