§ CRONACHE DI UN FUTURO ANNUNCIATO

NUOVI MODELLI DI SVILUPPO




Aldo Bello



Ecco due modi antitetici di interpretare lo stesso fenomeno. Oppenheimer ha lo sguardo sostanzialmente rivolto al passato, alle cose che potevano essere e non sono state; Galeano ha lo sguardo ugualmente rivolto al passato, alle cose che furono e non dovevano essere. Non a caso abbiamo scelto due scrittori ispano-americani per esemplare il fatto. La letteratura narrativa del Sudamerica ha trovato in Italia da almeno un quarto di secolo spazi ed echi vastissimi, anche al di là dei valori che ha espresso e dei meriti che le si sono attribuiti. La grande operazione promozionale esplose con Borges patrocinato da Domenico Porzio, e prosegue ancora oggi, sebbene la presa d'atto da parte della critica militante di un suo costante "logoramento" - e per altri versi ripetitività e provincialità - la pongano sulla curva discendente del successo. Non a caso, dicevo: perché quelli che continuano a presentarci come gli autori più nuovi e più spregiudicati del pianeta (il che non è) in realtà rappresentano visibilmente la sintesi della crisi intellettuale, politica e di politica economica del pianeta. Oppenheimer che non tiene conto dell'alternanza delle fasi cicliche dell'economia americana è vittima della stessa visione prospettica deviata di Galeano, il quale, accreditando al libero mercato tutto il male possibile della storia, si consegna ad una condizione apodittica e manichea dell'esegesi storica. L'uno e l'altro analizzano ciò che non è più, senza saper esprimere ciò che non è ancora.
Il problema è proprio qui. Ed è un problema di fondo. Perché tutti i valori, in quanto universali, restano; ma debbono cambiare le categorie entro le quali fino ad ora li abbiamo sistemati. La somma e la stratificazione delle esperienze trascorse non sono più sufficienti a guidare il mondo. La scienza di Galileo non era più quella di Aristotele, come la scienza di Einstein non poteva essere più quella di Newton. Allo stesso modo, le categorie entro le quali abbiamo racchiuso le idee-valori di Dio, della patria, della solidarietà, della giustizia sociale, e ovviamente della politica e dell'economia, non sono più sopportabili da parte di società complesse che, ragionando su se stesse e sulle interrelazioni con altre società complesse del villaggio globale, sentono l'insopprimibile necessità di ri-sistemare idee e valori in concetti, in contesti e in ultima analisi in categorie più rispondenti alla domanda di "evoluzione" che viene non più dall'alto, ma dal basso.
Ci sono queste nuove categorie? Non ci sono. Per questo si deve riconoscere lo stato di crisi del pensiero contemporaneo, perché crisi vuol dire passaggio, e siamo tutti in pieno guado. Nel senso che sappiamo tutti soltanto quel che non è più. Sicuramente Dio non è morto, come ipotizzava qualcuno. Ma altrettanto sicuramente non è più da tempo l'avanguardia della conquista, né il cavallo di Troia dei chierici nella cittadella della politica, e meno che mai l'espediente per una penetrazione oscurantista (al modo del Dio saturnino dell'Islam) o neo-coloniale. E non è neanche il Dio della teologia della liberazione, che era nata come matrice di democrazia diffusa, ed è stata poi alibi sanguinario per la distruzione di ogni identità e individualità e dignità umana. Ciascuno di noi sa quel che è stato Dio, ma tutti insieme - e siamo un miliardo di cattolici - non abbiamo idea di come rapportarci collettivamente a lui con la mente e col cuore. Ci stiamo lavorando su.
Così la patria: non più idea nazionalistica, né territorio fichtiano chiuso nell'egoismo assolutistico con frontiere impenetrabili, che diventano erratiche solo nella direzione espansiva, aggressiva di altre patrie, per una storia narrata dai vincitori. Sarà la patria europea occidentale? O dell'Europa dall'Atlantico agli Urali? O federazione di piccole patrie etniche, linguistiche, economiche, culturali, tribali persino, al modo dei micro-nazionalismi che con alterne fortune sono esplosi o sono rivendicati dal giorno della caduta del Muro di Berlino, e che più che confinare ormai soltanto si fronteggiano?
La solidarietà, poi. Che fino ad oggi è stata il grimaldello per tutti gli abusi pubblici e privati, per la latitanza dello Stato, per i conflitti delle accanite ideologie che hanno dominato, condizionato tre quarti del nostro secolo, la politica, infine, che non intende dare il passo al primato dell'etica, e stravolge i significati e i contenuti del suo essere anche politica economica, proponendo un liberismo d'accatto, derivato, malinteso, al posto di un moderno liberalismo.
Accade questo: ci chiediamo "come" e "che cosa" dovrà essere il mondo non di un futuro indefinito, ma di domani mattina, e in questa direzione dovrebbe andare l'impegno costituente di tutti, mentre le vecchie categorie sono dure a morire, oppongono resistenza, diventano ingombrante zavorra. E' l'astuzia della storia? E la malizia di uomini che non intendono far riposare la propria età fra le pagine ingiallite della storia? E la volontà di frenare le spinte, la vis vitalis, e di favorire invece uno stato di compensazione e di bilanciamento, uno stallo dinamico, un terragno motore immobile?
Non si tratta di scenari simulati, perché la crisi di cui parlavo è in atto ed è tattile. Com'è visibile, fra le brume di questa lunga alba, la sfida radicale in corso da tempo ovunque, quindi anche nel nostro Paese, coinvolge due concezioni del mondo: quella del solidarismo e quella del liberalismo. Appunto: solidarietà e libero mercato organizzati.
Che cos'è la solidarietà? E' l'"unica strada che può portarci alla sopravvivenza comune e individuale", secondo i suoi teorici più convinti. E un concetto germogliato sulle piante endemiche della carità, della beneficenza, del mutuo soccorso, e cresciuto sul tronco robusto della Chiesa militante e su quello delle forze politiche di ispirazione cattolica e di tendenza - opposta - dirigistica. In tutti i testi enciclopedici del Concilio Vaticano II la parola solidarietà ricorre soltanto nove volte. Negli scritti e nei discorsi di Karol Wojtyla lo stesso termine ritorna più di 64 mila volte. Che cos'è mutato dai tempi del Concilio a quelli del papa polacco? Si risponde così: il modello di sviluppo che ha dominato il mondo occidentale nel dopoguerra, quello basato sul ciclo produzione-consumo, aveva garantito un innalzamento del livello di uguaglianza; invece i ricchi sono sempre più ricchi e meno numerosi, e i poveri sono sempre più poveri e più numerosi. E successo che la distanza fra i Paesi agiati e quelli sottosviluppati si è fatta ancora più grande. L'approfondimento di questo solco non farà che accrescere i conflitti e le tensioni, e porterà alla distruzione di quel modello di sviluppo. Sostengono ancora i teorici ad oltranza: la situazione che si è creata non deve stupire, perché è il risultato del privilegio accordato al "privato". E "privato" in greco significa idiota. L'idiota, grazie alla sua cecità, sta camminando verso l'autodistruzione. La solidarietà, invece, è terreno di unità fra mondo laico e cattolico, è quell'amore intelligente che ci permette di comprendere questo, e di spezzare la catena, andando verso l'altro, perché l'altro siamo noi. Ma attenzione: è facile interessarsi al volto sofferente di chi si ha davanti, anche se questo è già molto importante; ma ci sono anche molte nostre azioni che raggiungono gli altri indirettamente e se non c'è un forte senso di solidarietà ciascuno si chiude o nel suo privato o nelle cose che lo gratificano immediatamente. In sintesi conclusiva: la vera sfida che ci attende è quella di trasformare anche l'agire faticoso di ogni giorno a favore degli altri, senza attendere ritorni.
Solidarietà, dunque, è anche essere uomini politici onesti, imprenditori corretti, cittadini esemplari; ed è saper vivere in modo emblematico le proprie responsabilità.
Passiamo sul campo opposto. Il termine "liberalismo" rischia di diventare un'etichetta buona per tutti gli usi e di contribuire così all'odierna confusione generale. Semplificando al massimo, se ne possono individuare almeno tre significati diversi - riferibili alla cultura, alla politica, alla morale -che, sovrapposti, possono dare luogo a gravi equivoci e fraintendimenti. Nell'accezione culturale, il liberalismo, identificato con lo spirito del moderno, designa una società laica e pluralistica che, nei rapporti tra gli uomini, tende a sostituire l'uguaglianza alla gerarchia, la scienza alla tradizione, la libertà all'autorità. Nell'accezione politica, si riferisce a quell'insieme di istituzioni, principi costituzionali, teoriche dei governi, che una plurisecolare corrente di pensiero politico - da Locke a Montesquieu, da Constant a Einaudi - ha considerato essenziali al vivere civile (la divisione dei poteri, le garanzie della libertà, ecc.). Nell'accezione morale, diviene sinonimo di stile di personalità, proprio di élite aristocratica caratterizzata da una elevata coscienza della dignità umana e da un senso radicato della sfera pubblica e della maestà delle leggi.
Nel primo significato, il liberalismo è un tema che riguarda il sociologo delle culture o il filosofo sociale; nel terzo significato, interessa soprattutto lo storico portato a ricostruire la stoffa morale e le qualità intellettuali di cui sono dotate le classi dirigenti di un'epoca e di un Paese. E' solo nel secondo significato -come teoria istituzionale - che il liberalismo ha un rapporto stretto e diretto con la politica, e dunque con l'economia. Se non che, nella lotta tra i partiti, tutti e tre i liberalismi vengono illecitamente messi in campo, anche i due che meno si prestano ad essere utilizzati nella competizione per il potere. Così, se il liberalismo come modernità finisce per legittimare aree politiche che, certamente democratiche e costituzionali, non possono considerarsi liberali in senso proprio, il liberalismo come abito morale diviene l'alibi per squalificare gli avversari, dichiarandoli estranei alla "filosofica famiglia" dei Mill e dei Tocqueville. In un caso, si allarga tanto il concetto da renderlo generico e inutilizzabile; nell'altro, lo si restringe al punto da ridurlo al "noi pochi, noi puri" caratteristico del reducismo azionista recriminatore contro la volgarità delle masse eterodirette. In realtà, nessuno, in politica, può ritenersi il "figlio prediletto" dello Spirito delle Leggi, e pertanto dobbiamo abituarci a considerare liberali quanti propongono riforme che sarebbero piaciute (o meno dispiaciute) a un Einaudi o a un Eron. La fine di un equivoco concettuale può costituire la premessa per la nascita delle nuove categorie, entro le quali re-inserire i valori universali.
Non sappiamo quale delle due concezioni del mondo avrà il sopravvento. Probabilmente, ci sarà anche in questo campo una fase di bilanciamento e di compensazione reciproca, probabilmente molto lunga. Poi dovrebbe prevalere il "vento del nuovo", quale che sia l'idea inizialmente vincente, in nome di una bi-polarità in alternanza che è stata, là dove è viva anche da secoli, la madre di tutte le democrazie.


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