§ STORIA DEL DOLLARO

LA MONETA UNICA USA




M. B.



I banchieri centrali di Boston erano in pieno panico: dopo anni di crescita economica, la crisi valutaria minacciava di sgretolare l'intera comunità. Rinchiusi nel segreto di una villetta privata a Beacon Hill, la collina che dominava la città, i banchieri americani vararono la loro disperata riforma valutaria. Essi proclamarono il "wampum" denaro legale e ne stabilirono il rapporto di cambio fisso: un cent era pari a sei wampum bianchi e a tre neri. Era il 1641 e da quel momento, per circa quarant'anni, il "Commonwealth", la comunità economica del Massachussetts, avrebbe avuto la sua moneta unica e stabile: appunto, il wampum.
Wampum, per la lingua degli Indiani del Nord Est, altro non è se non la "conchiglia", il guscio delle vongole bianche e nere che i pellerossa da secoli raccoglievano a manciate nelle sabbie della costa atlantica. Per generazioni essi le avevano usate come unità di conto, come moneta, per gli scambi di pelli di castoro, di granoturco, di utensili e ciotole fra le tribù contigue al mare e poi con i "pellebianca". Talmente diffuse erano le conchiglie-denaro, che i pionieri avevano deciso di farne la prima "valuta" americana: l'antenato del dollaro. Forse per questo nello slang americano ancora oggi si dice: mi è costato un mucchio di "clams", cioè di conchiglie.
Può sembrare eccentrico, a noi europei del XX secolo, immaginare che i coloni americani del XVII secolo fossero regrediti fino al punto di accettare manciate di conchiglie come denaro. E che avessero fatto degli Indiani del New England, detentori delle conchiglie, la prima "Banca centrale" d'America. Ma se l'idea stessa può far sorridere, il ricordo di quella decisione, di quel gesto disperato dei banchieri bostoniani contiene un'importante lezione. E' la lezione di quanto sia difficile, e sempre imprevedibile, la nascita di una moneta nella realtà. E di quanto sia pretenzioso illudersi di regolare per decreto, ignorando le condizioni reali, il cambio e il corso della vita finanziaria.
La storia del dollaro è dunque una storia che proprio oggi vale la pena di ricordare. Furono necessari tre secoli, dal 1641 al 1935, e non i pochi anni di Maastricht, perché gli Stati Uniti si dotassero di una vera autorità monetaria centrale, la "Federal Reserve". Dovettero trascorrere secoli prima che il vago concetto di "dollaro" inteso come moneta unica per tutti gli States divenisse il denaro che conosciamo oggi. Ancora nel 1910 l'anarchia monetaria dominava gli scenari americani. Il dollaro aveva quotazioni diverse, secondo il luogo. Le miniere d'argento del West battevano moneta per conto loro, senza curarsi del governo.
Oggi, al cuore del sistema monetario statunitense regna, nei suoi solenni, rassicuranti uffici di Washington, la Federal Reserve, l'ente che controlla, attraverso 12 uffici periferici e il Consiglio di amministrazione centrale, la quantità di dollari in circolazione, il loro costo, la vita delle banche commerciali e, in qualche misura, anche il corso del dollaro stesso. Eppure, per quanto robusta e ufficialmente autonoma dal potere politico sia oggi la "Fed", come è chiamata in breve, essa porta ancora ben chiaro il segno della diffidenza che gli americani hanno sempre avuto per ogni forma di autorità centrale. Solo 6.000, delle 12.000 banche americane, ne fanno parte e dunque ne subiscono il controllo. Come sottolinea il suo stesso nome, essa è "Federale" prima che "Riserva": dunque figlia del federalismo e della prudente delegazione di poteri dal basso all'alto che distinguono l'America dall'Europa. La Fed poteva essere dunque il modello federalista sul quale un giorno disegnare la futura "Fed" europea.
Ma non sarebbe potuto essere diversamente nel "Nuovo Mondo". L'idea di un ente centrale onnipotente che controllasse il corso del denaro per tutti era offensiva per i coloni americani. Proprio mentre i mercanti di Boston decidevano di accettare i wampum come moneta (e imparavano in fretta a dipingere con vernice nera le conchiglie bianche per raddoppiare il valore e fregare così i poveri Indiani), gli agricoltori della Virginia, del Maryland, della Carolina, sceglievano invece il tabacco come "moneta", che resterà in circolazione fino in pieno 1800. Più tardi, i cotonieri del Mississippi, della Louisiana e della Georgia preferirono invece come "valuta" le balle di cotone.
Neppure la Dichiarazione di Indipendenza, la Rivoluzione e la Costituzione, alla fine del 1700, riuscirono a unificare sulla carta quello che gli interessi obiettivamente diversi delle varie comunità americane tenevano separato. Ufficialmente proclamato moneta statunitense nel 1792 da Alexander Hamilton, il dollaro (dal nome di una moneta spagnola, a sua volta derivata dal "Thaler", il tallero austriaco) era un'etichetta su una bottiglia vuota. La Costituzione vietava agli Stati membri dell'Unione di battere moneta, essendo considerati moneta vera soltanto i conii ufficiali d'oro e d'argento. Ma delle proibizioni i rudi coloni non si curavano granché. A loro serviva denaro, dunque liquidità, per espandere un'economia che le zecche di Stato non potevano certo soddisfare. E allora si fabbricavano quel denaro.
Due tentativi di creare banche centrali di emissione nel corso del 1800 fallirono miserevolmente. Scoppi di "superinflazione" in States come la Virginia, nella quale un abito da uomo giunse a costare nel 1776 un milione di dollari, un miliardo e 600 milioni di lire di oggi, provocati dalle decisioni del governo rivoluzionario, convinsero i coloni e i pionieri che dei decreti governativi era molto meglio diffidare. Leggi sul tallone aureo, la quantità minima di oro necessario nelle casseforti delle banche per poter emettere pezzi di carta - appunto, banconote - furono ignorate o violate.
Nel Massachussetts, nell'onesto, laborioso calvinista Massachussetts, i banchieri tenevano nei sotterranei forzieri colmi di un sottile strato di monete d'oro sotto il quale mettevano "chiodi, lingotti di piombo, cocci di vetro, sassi e pietre", per ingannare gli ispettori di governo, certamente accecati anche da qualche opportuna tangente.
Nei "New Territories" del West, banche di "carpetbaggers", di scavalcamontagne, aprivano e chiudevano nell'arco di poche settimane ai crocicchi di strade polverose, per sparire quando i correntisti si presentavano per incassare. Nessuno teneva conti. Persino il magnifico Benjamin Franklyn, modello per le future generazioni di scolaretti, si scusò con i lettori del suo austero giornale, la Philadelphia Gazette, per l'uscita irregolare del foglio: "Le presse e i torchi di stampa a nostra disposizione sono sovente impegnati a stampare carta di altro genere necessaria al bene di questa nostra comunità ... ". Il vecchietto inventore del parafulmine - si scoprì - stampava allegramente certificati di credito per il bene proprio.
In teoria, il valore del dollaro-oro era stabilito in un peso ufficiale dal governo federale che lo emetteva. In pratica, il valore del dollaro-carta stampato sui "pagherò", sulle note, sui documenti emessi dalle 400 banche operanti negli States a metà del 1800 fluttuava selvaggiamente da un luogo all'altro. Se una banca seria di New York, con una forte riserva d'oro nelle casse, stampava una banconota per il controvalore di 100 dollari-oro, e lo stesso faceva una banca senza riserve auree nel Kansas, è evidente che i 100 dollari di New York coperti da 100 dollari in oro valevano molto più dei 100 dollari del West coperti da nulla. Nessun banchiere avrebbe cambiato "alla pari" 100 dollari di New York contro 100 dollari di Kansas City.
Fu naturalmente una guerra a cominciare il riordino del caos monetario americano: la guerra civile. Abramo Lincoln e il suo ministro del Tesoro, Salomon Chase, il cui nome èrimasto nella "Chase Manhattan Bank", furono costretti a lanciare una colossale emissione di buoni del tesoro per finanziare il milione di soldati nordisti. Stampati in inchiostro verde, furono subito soprannominati "Greenbacks", schiene verdi, un nomignolo che ancora oggi è rimasto appiccicato al dollaro. Tra il 1861 e il 1865, i "Greenbacks" furono dunque il primo, autentico tentativo di unificazione monetaria dell'America intera.
Ma durò poco. Si dovette arrivare all'estate del 1914 per raggiungere il traguardo del dollaro unito. In quell'anno, dopo l'ennesimo crack finanziario americano del 1907, il presidente Woodrow Wilson diede vita al primo embrione della Banca centrale, la Federal Reserve, ma la lasciò ancora in mano alle banche private. Neppure Wilson ci credeva molto, e quando gli fecero osservare che mancava una sede per il primo governatore della "Fed", rispose: "Mettetelo nella caserma dei pompieri, per quel che me ne importa".
La storia gli diede torto. Saldamente legato all'oro, al quale resterà agganciato fino al 1971, rafforzato dalla marea di metallo prezioso che dall'Europa si riversò negli Stati Uniti dopo il 1914, il dollaro divenne rapidamente il colosso monetario che finalmente esprimeva i muscoli della comunità economica americana.
Dovettero passare ancora vent'anni, e il terribile crack del 1929, perché la "Fed" fosse finalmente irrobustita e messa da Roosevelt a guardia della moneta per conto del pubblico. Ma l'età del "Wild West" valutario era finita. li dollaro era nato. E il resto è storia di oggi.


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