§ PLANETARIO

UNO SGUARDO DAL FONDO




Stanley Fisher
Premio Nobel per l'Economia - Vicedirettore generale del Fmi



Non ho consigli freschi da dare. Di rinvio in rinvio, l'Italia continua a trascinarsi vecchi squilibri nei conti pubblici. Sa benissimo come pareggiarli. Basta che si decida a farlo. La recente relazione dei nostri ispettori lo ribadisce: entrate fiscali da stabilizzare, debito pubblico da prosciugare, trattamento di quiescenza da correggere.
Secondo la Banca Mondiale, i sistemi pensionistici stanno per esplodere un po' dovunque. Ma varia l'intensità della deflagrazione. E certamente un problema mondiale, legato all'invecchiamento della popolazione. Ma, in confronto alle altre, le pensioni italiane sono particolarmente generose. Se si fossero chiusi con maggiore severità i buchi neri budgetari, la performance dell'Italia avrebbe potuto forse superare il 3 per cento di crescita prevista per il 1995. Una previsione alla quale non crede Gianni Agnelli, come ha dichiarato a Businessweek. Ma, a mio parere, è corretta e niente affatto ottimistica. E vero che la gente è preoccupata, che tende a risparmiare e a non consumare. E vero che ad un certo punto si era sperato nel varo di politiche fiscali rigorose e che l'attesa è andata delusa. Ma è anche vero che la produzione aumenta, l'export tira, l'inflazione è bassa e i salari sono contenuti. Sull'onda della ripresa generale crescerà anche l'Italia, con la stessa forza di Germania e Gran Bretagna. La Francia farà forse un po' meglio.
Si dice: da analisi specializzate risulta che, in proporzione, i posti di lavoro eliminati in Italia sono stati di più che negli Stati Uniti, mentre quelli nuovi sono stati molto meno. Il fatto è che il mercato del lavoro italiano, come nel resto d'Europa, è più flessibile di quanto comunemente si creda. Ma più non vuol dire sufficientemente. Resta ancora troppo oneroso licenziare. In Italia si sta replicando ciò che è avvenuto altrove, a cominciare dagli Stati Uniti. Si ricorderà, all'inizio della ripresa americana, il gran chiacchiericcio sulla jobless recovery, risanamento senza occupazione. E' in realtà solo una sfasatura nei tempi. Appena la ripresa si assesta, riparte l'offerta di lavoro. Succederà anche in Italia. Anche se i tassi d'interesse rimangono alti. La mancanza di rigore fa lievitare il costo del lavoro, che a sua volta gonfia il debito pubblico, e così via, in un crescendo continuo. Se non si interviene su queste dinamiche perverse e se i tassi non dovessero diminuire nel'95, secondo i nostri ispettori, lo Stato italiano finirebbe col bruciare quel che risparmia. Ciò non vuol dire che l'Italia sia la pecora nera d'Europa. E un Paese che ha tutti i presupposti per far meglio. Nella graduatoria dei Paesi europei, direi che la Germania è la più virtuosa, e anche la Gran Bretagna si sta comportando piuttosto bene.
Un altro problema sul quale riflettere: l'Europa non rischia di perdere il treno della rivoluzione multimediale? Per il momento, no. Ha due decenni di tempo per recuperare. L'interrogativo, allora, è un altro: l'Europa vuole aprirsi o restare un mercato protetto? Ancora non l'ha deciso. Gli Stati Uniti e altri Paesi stanno invece abbattendo gli steccati con crescente decisione. Anche se è vero che da questo punto di vista nessun Paese è perfetto: nell'immediato, il protezionismo rende. Alla lunga, però, diventa un boomerang. Il pianeta intero ha buone prospettive, se non di stabilità politica, per lo meno di benessere economico. Cè una felice e sana ripresa un po' dappertutto: in Asia, nelle Americhe, in Europa, in Australia. L'Africa va un po' meglio, anche se non abbastanza. Ma è come se nessuno ne gioisca. In parte dipende da un sentimento di instabilità diffuso nel mondo. Ma credo che sia dovuto soprattutto alla crescente disuguaglianza tra ricchi e poveri, un trend che si sta aggravando anche nei Paesi avanzati. Prendiamo un Paese emblematico, la Cina. Si dice che il suo risveglio faccia paura. Invece, è un'ottima notizia sia per i cinesi sia per i consumatori di tutto il mondo. Ma purtroppo saranno colpiti i lavoratori poco qualificati e le produzioni labor intensive: sono i costi inevitabili del progresso. Il fatto è che la paura fa vedere le cose nella loro cruda realtà, a differenza dell'ottimismo di maniera. I mercati, certo, non sono perfetti, fluttuano troppo, ma sbagliano poco. E più che duri, sono semmai lenti nel cogliere il deteriorarsi di determinate situazioni. Ci si chiede a volte come mai continuino a fornire crediti a certi Paesi e non perché si decidono a penalizzarli. Si sta creando un'economia globale ed è entusiasmante vedere come si diffonde, grazie anche al veicolo dei mercati, una sempre migliore qualità della vita.


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