L'agricoltura
italiana, ma anche quella europea, si trova ad attraversare una fase
di profonda trasformazione. Gli elementi di tale cambiamento sono diversi
e numerosi, basti pensare alla riforma della politica agricola comunitaria
orientata verso una riduzione sempre più consistente della garanzia
dei prezzi agricoli, alla maggiore competitività dei mercati
dei prodotti agricoli a livello nazionale ed internazionale, all'espansione
delle industrie agro-alimentari e al fenomeno della grande distribuzione.
Tali fattori hanno modificato e modificano sempre più i tradizionali
criteri produttivi tale da rendere necessario un processo di adattamento
sia dal punto di vista strutturale che da quello di mercato.
A tali sollecitazioni come ha reagito l'agricoltura salentina, e quali
strade potrà intraprendere per non subire le condizioni del mercato,
ma andare al passo con l'evoluzione del sistema agro-alimentare nazionale?
Uno sguardo
alla struttura aziendale
Dal punto di vista strutturale, nella lettura del censimento dell'agricoltura,
salta all'attenzione un fatto curioso e anomalo. Il numero delle aziende
salentine nel periodo tra i due censimenti del 1982 e del 1990 è
aumentato del 3%, quando la tendenza nazionale è stata quella
di una riduzione di circa il 7,4%.
Se a questo si aggiunge la riduzione del 3,3% della superficie agricola
totale si può rilevare che la superficie media aziendale in
provincia di Lecce è passata da 2,9 a 2,6 ettari. In Italia
la dimensione media, tra le più modeste d'Europa, si aggira
intorno a 7,5 ettari. Fenomeno in contraddizione con le tendenze dello
sviluppo di un'agricoltura moderna in cui la dimensione aziendale
gioca un ruolo importante nell'applicazione delle economie di scala
e di innovazioni tecnologiche tali da incrementare la redditività
aziendale.
Se si analizzano più in profondità i dati censuari la
situazione non migliora. Infatti possiamo osservare che l'aumento
del numero di aziende si rileva prevalentemente per le classi di superficie
fino a 2 ettari e, seppure in misura minore, per quelle tra 2 e 5
ettari, mentre le aziende superiori a 5 ettari hanno registrato una
generalizzata riduzione sia come numero che come superficie complessiva,
non evidenziando alcun fenomeno di accorpamento (Tabella 1).
Ciò fa pensare che nel corso degli ultimi dieci anni si sia
registrata una proliferazione di piccole aziende di tipo part-time.
Basti osservare l'evoluzione del numero dei conduttori in base all'attività
svolta. Infatti gli imprenditori che svolgono attività esclusivamente
in azienda sono diminuiti dal 1982 al 1990 di circa 11%, quelli con
attività svolta prevalentemente in azienda sono diminuiti del
34%, mentre i conduttori che svolgono attività prevalentemente
extra-aziendale sono aumentati del 15% (Tabella 2).
Ciò deriva da un mutamento della fisionomia dell'impresa agricola
salentina. Infatti se consideriamo i tipi di impresa tra i due censimenti
possiamo riscontrare un notevole aumento delle aziende a conduzione
diretta, sia come numero che come superficie. In diminuzione, invece,
risultano le aziende con salariati, e fortemente ridotta la colonia.
Tali fenomeni possono trovare una giustificazione nella fisiologica
e talvolta necessaria riduzione degli attivi agricoli. Per far fronte
al processo di sviluppo economico e per consentire un incremento della
produttività dei lavoratori agricoli al passo con gli altri
settori uno dei fenomeni principali è il passaggio dei lavoratori
agricoli verso altri settori più redditizi. Ciò è
avvenuto anche nella nostra agricoltura dove l'impiego di manodopera
sia familiare che extrafamiliare si é ridotto negli ultimi
dieci anni del 17% (Tabella 3).
All'alleggerimento di manodopera da parte dell'agricoltura le aziende
hanno reagito mantenendo immutata la propria struttura o addirittura
riducendola, ma hanno estromesso manodopera, che ha trovato impiego
nelle attività industriali o terziarie non lontano dalle aziende.
Si sono formate così molte aziende part-time o meglio molte
famiglie contadine, che, pur mantenendosi unite, hanno assunto attività
molteplici, prevalentemente non agricole (Tabella 4).
A rimediare a tale situazione strutturale non si è riscontrato
alcun beneficio da parte di forme contrattuali di conduzione, quali
l'affitto, strumento essenziale della mobilità del fattore
terra. Lo scarso attivismo a livello locale delle organizzazioni professionali
a dare una regolamentazione di comportamento tra le parti secondo
l'istituzione dei patti in deroga, e la sfiducia e l'incertezza nella
legge per la determinazione del canone e durata dei contratti hanno
ridotto l'orientamento verso tale forma contrattuale.
Infatti, mentre la superficie in proprietà si è mantenuta
tra il 1982 e il 1990 pressoché inalterata, la superficie in
affitto è diminuita del 50% (Tabella 5).
La presenza di aziende in conduzione diretta e condotte da imprenditori
con attività extraziendali può mantenere una sua vitalità
solo se affiancata da un adeguato sviluppo del settore terziario che
possa fornire servizi all'agricoltura e quindi costituire un valido
supporto alla continuazione dell'attività agricola, soprattutto
per coloro che non hanno professionalità e mezzi o per quelle
aziende che, condotte da anziani, non hanno un ricambio generazionale
nell'attività agricola.
In tal senso un segnale positivo sembra essere rilevato dall'aumento
delle imprese fornitrici di mezzi meccanici. Infatti, il numero totale
di aziende che utilizzano mezzi meccanici forniti da terzi, tra i
due censimenti, è raddoppiato raggiungendo più del 60%
del numero totale delle aziende salentine.
Pertanto si può desumere che la scomparsa della colonia e la
riduzione degli attivi agricoli hanno messo in difficoltà l'organizzazione
aziendale. Abbiamo da un lato concedenti e proprietari dediti ad altre
attività professionali, non disponibili a cambiare attività
per dedicarsi completamente all'agricoltura e sprovveduti di fronte
alle difficoltà tecniche, e dall'altro gli ex-coloni poco dotati
di capitale e ormai rassegnati per la forte dominanza di anziani senza
rincalzi giovanili. A tale situazione molti proprietari hanno reagito
mantenendo il terreno e ricorrendo per i mezzi meccanici a contoterzisti.
Tale orientamento, però, può essere interpretato come
un fatto positivo. Infatti, determina una ristrutturazione attraverso
l'ampliamento della base aziendale che è necessaria all'agricoltura
salentina alla ricerca di una maggiore efficienza, e consente un più
razionale utilizzo delle innovazioni ed una maggiore specializzazione.
La crescita del fenomeno delle aziende part-time, come è stato
descritto, può essere in un certo senso inteso come un processo
naturale di un'agricoltura in evoluzione. Ma bisogna far presente
che su tali aziende non si può pretendere di applicare coerenti
politiche di mercato. Tale fenomeno si potrebbe interpretare come
una fase transitoria di un processo evolutivo, in cui le aziende possono
mantenere una loro vitalità con funzioni diverse da quelle
produttive, oppure rappresentare un ultimo tentativo prima dell'abbandono.
Va precisato che le aziende di ampiezze ridotte, derivate da successioni
ereditarie, dalla garanzia patrimoniale della terra, o dalla esigenza
di disporre di una seconda abitazione in ambiente più salubre,
non hanno la dimensione e l'organizzazione per adottare innovazioni
di prodotto e di processo tali da mantenere una vitalità economica,
ma è sulle restanti aziende che bisognerà contare per
realizzare un'attività agricola moderna orientata verso il
mercato. Se vogliamo considerare le aziende con superficie superiore
a 5 ettari, nel Salento queste rappresentano il 9% del numero complessivo,
una percentuale modesta, ma occupano una superficie di circa il 57%
di quella totale, entità sempre al di sotto della media nazionale.
L'evoluzione
produttiva
L'evoluzione strutturale sopra indicata ha condizionato l'orientamento
produttivo aziendale e le relative scelte tecniche dell'imprenditore.
Se analizziamo l'andamento della produzione lorda vendibile in valori
costanti, ossia deflazionando la serie di dati sulla base degli indici
dei prezzi al consumo, tra il 1980 e il 1991 possiamo riscontrare
una riduzione media di circa il 25%.
La produzione lorda vendibile dell'agricoltura salentina rappresenta
attualmente circa il 13,5% rispetto a quella regionale, quando dieci
anni fa rappresentava circa il 16%.
Nell'ambito dell'economia agraria leccese i settori di maggior contributo
sono: l'olivicoltura con il 27% della PLV complessiva, l'ortofrutta
con il 21%, la floricoltura con il 22% e la viticoltura con il 7%.
Dall'andamento evolutivo della composizione della PLV si possono constatare
alcuni segnali positivi rispetto ai cambiamenti delle esigenze del
mercato. Infatti, tra il 1980 e il 1991 risultano in aumento la floricoltura
e l'orticoltura, mantengono livelli costanti le patate e l'olivicoltura,
sono in diminuzione i cereali, la vite e il tabacco.
Se da un lato possiamo riscontrare fenomeni di intensivazione dell'agricoltura
salentina, dall'altro si denota una forma di disattivazione in cui
le scelte dell'imprenditore sono basate sulla riduzione dell'impiego
di risorse e sulla volontà a non investire. Basta vedere la
risposta ad una direttiva della CEE per la messa a riposo dei seminativi,
in cui nel corso del 1990 risultano 370 aziende che hanno fatto domanda
per una superficie da ritirare di 1.550 ettari. Nel 1992 tali dimensioni
sono triplicate.
L'entità non è rilevante, ma è indicativa nel
delineare una tendenza di estensivazione e di smobilitazione agricola
specialmente per quelle aziende condotte ad economia e di ampie dimensioni,
come risulta dall'analisi delle domande presentate.
La recente riforma della PAC, però, ha eliminato tale direttiva
di messa a riposo dei seminativi facoltativa stabilendo a partire
dalla campagna agraria 1992/'93 una pratica obbligatoria di non coltura
per i cereali e piante oleaginose sul 15% della superficie aziendale
per i cosiddetti imprenditori professionali. Ciò interessa
marginalmente gli agricoltori salentini in quanto per essere considerati
professionali la superficie a cereali o oleaginose deve essere di
almeno 53 ettari.
L'elemento più interessante della riforma, e che può
influenzare l'orientamento produttivo futuro dell'agricoltura salentina,
sono le misure di accompagnamento e in particolare quelle agro-ambientali.
Tali misure prevedono una serie di premi a beneficio di tutti coloro
che realizzano determinate attività produttive, tra cui l'olivo
specializzato, gli agrumi, la cura delle superfici abbandonate, alcuni
tipi di frutta e uva da vino, ecc., mettendo in pratica tecniche di
coltivazione eco-compatibili, cioè orientate alla protezione
dell'ambiente. Ciò potrebbe rappresentare da un lato una possibilità
di ripresa dell'attività agricola salentina, dall'altro un
ulteriore rallentamento della mobilità della terra attraverso
un mantenimento nelle condizioni attuali della situazione strutturale
e produttiva delle aziende.
Ma il problema principale non è solo produrre, bensì
adattarsi ai cambiamenti dei circuiti distributivi che, proprio in
questi ultimi anni, hanno portato ad una radicale trasformazione dei
canali commerciali.
L'evoluzione
del sistema agro-alimentare
Con l'aumento del benessere economico, le abitudini alimentari sono
profondamente cambiate. I consumatori hanno aumentato i pasti fuori
casa, il tempo dedicato alla preparazione ed al consumo dei prodotti
alimentari si è notevolmente ridotto e gli acquisti di derrate
agricole si stanno via via concentrando in strutture al dettaglio
che offrono una vasta gamma di prodotti: come i supermercati e gli
ipermercati.
La maggiore attenzione dei consumatori ai prodotti naturali e ipocalorici
e la contemporanea esigenza di arricchire i prodotti di tutti i servizi
richiesti dal consumatore (prodotti pre-lavati e pre-tagliati pronti
per l'uso, cibi pre-cotti, sughi, conserve al naturale, ecc.) hanno
portato ad uno sviluppo della fase industriale.
In questo contesto la domanda di prodotti agro-alimentari viene esercitata
in prevalenza da due figure: le industrie di trasformazione e la grande
distribuzione. Fatta eccezione per alcuni prodotti orticoli e frutticoli
che vengono consumati allo stato fresco, oggi la maggior parte della
produzione agricola raggiunge il consumatore finale dopo un processo
di trasformazione effettuato da parte dell'industria alimentare.
Infatti, l'industria alimentare italiana ha registrato negli anni
'80 una forte espansione con un incremento medio della produzione
del 21%, nettamente superiore a quello registrato dell'industria manifatturiera
nel complesso, raggiungendo un valore aggiunto superiore al 50% di
quello agricolo complessivo.
Le richieste da parte dell'industria alimentare verso i fornitori
di prodotti agricoli sono diventate sempre più consistenti
ed esigenti. Da qui nascono le maggiori difficoltà di adattamento
del settore agricolo rispetto all'industria. Quest'ultima richiede
determinati quantitativi di prodotto a condizioni ben precise in cui
gli standard qualitativi, la serietà professionale, la modalità
di consegne, la forma di pagamento e i prezzi sono i fattori che influenzano
la scelta dei fornitori e quindi degli agricoltori.
Se per alcuni comparti le industrie, pur di grandi dimensioni, possono
essere soddisfatte negli approvvigionamenti da singole aziende agricole,
da piccoli consorzi o da cooperative, come nel caso dell'industria
molitoria, enologica, conserviera, ecc., per altri, come quelli ortofrutticoli,
la domanda è esercitata da gruppi distributivi di dimensioni
tali che un'intera regione a volte può essere insufficiente
come quantità e gamma di prodotti. Basti pensare, ad esempio,
che in Germania Federale solo 5 grandi gruppi di acquisto assicurano
la domanda di ortofrutta fresca per circa il 70% del totale consumo
nazionale.
L'industria alimentare se da un lato influenza la domanda di prodotti
agricoli, essa stessa deve far fronte alle esigenze del mercato e
in particolare a quelle della distribuzione moderna che in questi
ultimi anni in Italia, seppur in leggero ritardo rispetto agli altri
Paesi europei, sta registrando una forte espansione (Tabella 6).
Le vendite in
Italia attraverso supermercati e ipermercati di prodotti agro-alimentari
negli ultimi cinque anni sono più che raddoppiate, raggiungendo
una quota di mercato di circa il 45%. Nel Mezzogiorno, seppur ancora
forte la vendita attraverso negozi tradizionali e ambulanti, la presenza
della moderna distribuzione si fa sempre più incisiva e consistente.
Attualmente raggiunge circa il 20% del mercato dei prodotti agro-alimentari.
Finché esisteva una struttura distributiva estremamente polverizzata,
costituita prevalentemente da piccole imprese artigianali a conduzione
familiare, il problema dei rapporti tra produttori e distributori
non si poneva in quanto il potere contrattuale era decisamente dalla
parte dei primi. Vi era un dialogo diretto tra produttori e consumatori,
senza interferenze delle aziende distributive. La diffusione della
grande distribuzione e la sua progressiva concentrazione hanno provocato
un radicale mutamento della situazione. La distribuzione, attraverso
la strategia mirata a far prevalere la scelta del punto vendita e
non più quella del prodotto, congiunto all'obiettivo incentrato
non più sulla vendita del singolo prodotto ma dell'assortimento,
si pone al centro dell'attenzione influenzando sia il mondo produttivo
che quello dei consumatori.
Per fare un esempio relativo alla nostra realtà, le esportazioni
di ortofrutta olandesi in Italia sono quadruplicate negli ultimi cinque
anni (nel 1991 sono stati importati circa 3 milioni di quintali di
ortaggi e legumi di provenienza olandese). Più della metà
è costituita da 6 prodotti leader, pomodori, carote, peperoni,
sedani, cavoli e ravanelli. Seguono vari tipi di insalate, cavolfiori
e altri ortaggi, prodotti per i quali il Salento è fortemente
vocato. Le esportazioni pugliesi di ortofrutta, comprendente gran
parte dei prodotti orticoli salentini, sono aumentate solo del 5%
sempre nello stesso periodo. Fatto ancora più grave è
che tale dinamica è avvenuta in un periodo in cui la domanda
di prodotti freschi mediterranei è notevolmente cresciuta.
Alto livello di selezione del prodotto, confezionamento accurato,
puntualità nelle spedizioni, affinata organizzazione commerciale,
vastità dell'assortimento, attenta pianificazione costituiscono
i fattori determinanti del successo delle produzioni olandesi, soprattutto
presso le centrali di acquisto delle catene distributive.
La grande distribuzione infatti in questi ultimi anni non ha solo
acquisito quote di mercato ma, in funzione delle proprie caratteristiche
organizzative, ha anche via via modificato il rapporto con i fornitori,
privilegiando appunto gli aspetti commerciali (standardizzazione produttiva,
logistica, confezionamento, assortimento continuativo nel corso dell'anno)
rispetto a quelli strettamente organolettici. Va rilevato, inoltre,
che la tendenza generale della distribuzione moderna, per essere competitiva,
è quella di introdurre all'interno del loro assortimento prodotti
di marca, cioè identificati da un marchio ben preciso. In questo
caso il consumatore trova nel punto vendita una vasta gamma di prodotti
di marca, la cui qualità è già conosciuta e stimata.
A questo punto lo spazio per i prodotti non di marca, o poco pubblicizzati
dalle piccole imprese, o con prezzi poco competitivi tali che non
consentono al centro distributivo condizioni vantaggiose, rimane molto
ridotto.
L'industria alimentare del Mezzogiorno, come quella salentina, non
sembra essere completamente in sintonia con tali tendenze. Si può
rilevare che le aziende alimentari del Mezzogiorno sono contraddistinte
da una situazione di mercato molto più debole di quelle del
Nord. In questa area le imprese si caratterizzano per un prodotto
generico, pur qualitativamente buono, senza una propria immagine,
da collocare presso aziende che curano altre fasi del cielo produttivo
a più alto valore aggiunto. Le stesse imprese presentano inoltre
una minore capacità di collocazione diretta sul mercato interno
per la cui penetrazione sono costrette ad affidarsi a grossisti, mentre
riescono a collocare quote più modeste sui mercati esteri,
quando addirittura non riescono ad affacciarvisi del tutto (graf.
1).
Va rilevato, inoltre, che l'industria agro-alimentare del Mezzogiorno,
di dimensioni medio-piccole, si occupa prevalentemente della prima
trasformazione dei prodotti e in buona parte è orientata verso
la trasformazione del prodotto agricolo fresco, per cui sono molto
frequenti attività a carattere stagionale e localizzazione
degli stabilimenti in vicinanza delle fonti di approvvigionamento
delle materie prime.
Ciò non fa altro che scaricare tutte le difficoltà del
settore agricolo sull'industria.
Infine, quest'ultime non avendo una ben chiara identificazione, le
industrie alimentari del Sud dovranno sopportare sempre più
in futuro il peso della moderna distribuzione che favorisce l'ingresso
nei mercati delle forti marche commerciali delle grandi industrie
del Nord Italia ed europee.
Finché rimane una presenza consistente di negozi tradizionali,
le unità produttive salentine possono competere e rimanere
sul mercato in quanto registrano dei vantaggi rispetto alle imprese
che operano su scala nazionale a causa dell'elevato livello dei costi
logistici e commerciali che si devono sobbarcare quest'ultime per
raggiungere i singoli punti vendita. Ma una volta che si avvia lo
sviluppo di nuove forme distributive questo impone nuove regole comportamentali.
Da ciò derivano le preoccupazioni per il futuro del settore,
un futuro caratterizzato dalla sempre maggiore presenza dei gruppi
distributivi.
Non basta più essere specializzati, è necessario ampliarsi
ed associarsi per rispondere alle esigenze di una domanda sempre più
esigente e concentrata. E l'agricoltore salentino non ha manifestato
un grande slancio verso forme di integrazione o di associazionismo
al fine di ottenere sostanziali vantaggi nell'utilizzo delle risorse
finanziarie, nella gestione delle relazioni commerciali e nella valorizzazione
dei propri prodotti.
In Puglia fino al 1991 esistevano 7 associazioni dei produttori ortofrutticoli,
senza alcuna presenza diretta in Salento. Delle altre Associazioni,
riconosciute ai sensi del regolamento CEE 1360/78, in Puglia se ne
contavano, sempre nello stesso periodo, 34, di cui ben 11 operavano
nel settore olivicolo. La forte presenza delle Associazioni in tale
settore è conseguenza dell'applicazione del regolamento 2261/84
che abilita le Associazioni produttori alla gestione degli aiuti alla
produzione.
Le Associazioni dei produttori, non solo nel Salento, ma anche nella
maggior parte del territorio pugliese, non sono state in grado di
svolgere il ruolo per il quale erano state istituite dalla CEE, e
cioè di controllo dell'offerta e di supporto della commercializzazione.
E cioè valorizzazione delle proprie produzioni dapprima attraverso
la riqualificazione del patrimonio varietale, migliore organizzato,
un'offerta idonea sul piano qualitativo e quantitativo, attuazione
di strategie di marketing che possano servire da supporto alla penetrazione
nei mercati per le tante produzioni tipiche.
Le Associazioni seppur presenti nel territorio pugliese e salentino
hanno orientato la loro attività soprattutto verso la gestione
delle misure comunitarie nell'ambito di alcune organizzazioni comuni
di mercato, in affiancamento alle organizzazioni professionali, con
scarso impegno nella attività di regolamentazione del mercato
dei prodotti agricoli.
Qualsiasi forma di integrazione o di associazionismo costituisce un
elemento importante per consentire un dialogo con le diverse forze
di mercato e svolgere un'azione propositiva nell'ambito del sistema
agroalimentare.
Quando in Italia pochi gruppi distributivi disporranno della totalità
della domanda interna di prodotti agro-alimentari, questi vorranno
dialogare con pochi interlocutori che assicurino produzioni in qualità
e quantità e che soddisfino le loro esigenze. Se i produttori
non si adegueranno rapidamente non è difficile prevedere che
la domanda si rivolgerà ai più organizzati ed efficienti
produttori olandesi, spagnoli, ecc.
Conclusioni
Il legame sempre più forte verso la proprietà della
terra, la carenza di strumenti contrattuali che facilitino il rapporto
tra proprietà e impresa, il valore elevato dei terreni non
hanno reso possibile un miglioramento della struttura aziendale salentina,
mantenendo una situazione strutturale tra le più modeste in
Italia. Tale condizione è andata bene fino ad un certo punto.
E cioè fino a che il flusso delle innovazioni di prodotto si
è mantenuto abbondante e fino a che le altre agricolture non
hanno manifestato un interesse verso produzioni fino a qualche tempo
fa esclusive del Sud.
Ma nella situazione attuale di globalizzazione dei mercati, di smantellamento
della politica dei prezzi CEE, di ristrutturazione del mondo industriale
e commerciale e di riduzione della disponibilità di manodopera
nel settore agricolo diventa necessaria una rapida ristrutturazione
e riorganizzazione dell'agricoltura salentina.
La tendenza che risulta da quanto esposto è quella di uno sviluppo
dell'agricoltura salentina a due velocità. Da un lato abbiamo
aziende produttive orientate al mercato in cui la spinta verso una
ristrutturazione e una maggiore aggregazione diventa un elemento inevitabile
per essere al passo con le tendenze generali. Dall'altro, abbiamo
aziende che per motivi strutturali e organizzativi hanno rallentato
il processo di sviluppo e sono sempre più orientate verso un'agricoltura
meno produttiva e più ambientale.
Lo sforzo richiesto per adattarsi ai nuovi scenari è notevole
e l'agricoltura salentina non sembra essere pronta a realizzare in
pieno questi adattamenti.
Lo sforzo deve essere compiuto sia da parte del potere pubblico nel
creare le condizioni favorevoli per operare in maniera efficace sui
mercati, e cioè migliore servizio di assistenza tecnica e d'informazione
all'agricoltore, un credito agrario più efficace, miglioramento
delle infrastrutture. Sia, e in misura prevalente, da parte del singolo
imprenditore, che attraverso la sua creatività e professionalità
prenda parte attiva allo sviluppo dell'agricoltura salentina con iniziative
rivolte sempre più verso il mercato e non iniziative di comodo
che conducono a ritardi sempre più incolmabili. Il legame sempre
più forte verso la proprietà della terra e la carenza
di strumenti contrattuali operanti da vincolo tra proprietà
e impresa hanno frenato la mobilità della terra e scoraggiato
gli operatori agricoli a realizzare nuovi investimenti produttivi.
A questo si è aggiunta una carenza nella conoscenza dell'evoluzione
della domanda di beni alimentari e dei relativi canali commerciali
e una lenta capacità di adattamento del settore produttivo
che costituiscono gli elementi indispensabili per mantenere un rapporto
vivo con il mercato.
Tale situazione è andata bene fino ad un certo punto. E cioè
fino a che il flusso delle innovazioni di prodotto si è mantenuto
abbondante e le altre agricolture non hanno manifestato un interesse
verso produzioni fino a qualche tempo fa tipiche del Mezzogiorno.
Ma nell'attuale situazione di smantellamento della politica dei prezzi
CEE con l'avvio della riforma della PAC, ristrutturazione del mondo
industriale e commerciale con la concentrazione dell'attività
e il costituirsi di grandi supermercati impongono una rapida ristrutturazione
e riorganizzazione dell'agricoltura salentina.
Di fronte a tali esigenze le iniziative da intraprendere per rimanere
al passo con le tendenze del mercato sono diverse, tra cui:
- migliorare le strutture produttive, ampliando la dimensione aziendale
attraverso lo sviluppo dell'affitto o di forme societarie che consentano
l'accorpamento di proprietà diverse;
- stabilire rapporti contrattuali con la grande distribuzione organizzata
e con l'industria di trasformazione per realizzare prodotti nella
quantità e nella qualità richiesta e cercando di aggiungere,
nella fase agricola, o in quella immediatamente successiva, tutti
i servizi richiesti dal mercato. Compito importante in cui viene richiesta
una funzione determinante ed efficace delle Associazioni, Consorzi
di aziende, società commerciali, ecc.;
- puntare sulla caratterizzazione e valorizzazione del prodotto con
confezioni, imballaggi, marchi che ne evidenzino chiaramente l'origine
e le caratteristiche qualitative;
- migliorare le infrastrutture, soprattutto i trasporti;
- migliorare il servizio di assistenza tecnica e di informazione agli
agricoltori da parte degli enti pubblici preposti, in maniera tale
da costituire una guida per il rinnovamento del settore agricolo.