§ STORIE RIVISITATE

BRIGANTI DEL NORD




A. P.



Celebrando il secondo centenario della Rivoluzione francese, in Italia abbiamo parlato di tutto: delle trasformazioni economiche operate o stimolate dalle riforme napoleoniche e dei rapporti con la tradizione del riformismo Italiano ed absburgico, dei conflitti con la Chiesa e del sentimento religioso delle popolazioni, del Papa prigioniero e delle resistenze del clero, delle municipalità democratiche e della politica ecclesiastica giacobina. Ma c'è un altro anniversario alle porte, quello del 1796, quando l'armata napoleonica attraversò le Alpi e invase la penisola, rovesciandone i vecchi regimi.
E ci sembra l'occasione giusta per ricordare che, come prima conseguenza delle nuove leggi, il Nord anticipò quel che sarebbe accaduto poi nel Mezzogiorno, sviluppando un'epopea brigantesca di cui misteriosamente non si parla molto, o non si parla affatto, nelle ricerche storiche contemporanee.
Eppure, si tratta di cronache altrettanto tremende di quelle vissute col brigantaggio meridionale; e si tratta di un brigantaggio nordista che ebbe in gran parte radici analoghe a quelle sudiste. Ne accenniamo, nella speranza che i professionisti della ricerca storica prendano spunto, al fine di render note (come in parte ha fatto Francesco Frasca, con una recente indagine) pagine inedite del nostro passato. Inedite, e illuminanti, e forse anche equilibratrici di una storia che ha visto il brigantaggio quasi esclusivamente come retaggio delle aree che i positivisti avrebbero ritenuto esclusive generatrici del fenomeno banditesco nella penisola.
Il problema sorse con la questione della coscrizione obbligatoria introdotta nei paesi annessi alla Francia: un avvenimento politico che ebbe effetti sconvolgenti, soprattutto fra le popolazioni rurali. Ciò si verificò soprattutto in un Piemonte orgoglioso delle sue tradizioni militari e del suo esercito, che aveva avuto la sua base nazionale nella milizia fedelissima al re. Il Piemonte, sconfitto dall'armata di Napoleone, venne incorporato alla Francia e riorganizzato in dipartimento: si dette così il via al reclutamento dei soldati piemontesi che, integrati nelle armate francesi, percorreranno fino al 1814 tutti i campi di battaglia d'Europa, battendosi con valore.
Ma non sono le vicende belliche quelle che ci interessano, bensì i limiti e le reazioni dell'altro aspetto importante della politica militare francese: la coscrizione obbligatoria, rivista anche attraverso le carte degli Archivi Nazionali di Parigi, con un'attenzione particolare agli archivi della Divisione criminale del ministero della Giustizia.
Sin dalle prime chiamate di leva si registrano tutti gli abusi di cui è ricca ogni storia di coscrizioni nelle aree rurali fino a tutto il XIX secolo, se non oltre: con la compiacenza o meno dei parroci, sparivano o venivano manomessi i registri di nascita, e quando l'anagrafe fu delegata ai Comuni, in molti casi i genitori non denunciavano le nascite dei figli maschi: le loro braccia erano troppo preziose per il lavoro della terra.
Nell'epoca napolconica, in Piemonte anche le infermità e la mancanza della statura fisica erano motivi sufficienti per rivedere più volte le leggi sulla circoscrizione. Per avere un'idea degli effetti delle riforme basti rilevare come fra il 1806 e il 1810 i riformati ammontarono a 37.733 unità su 88.242 iscritti nelle liste di leva: i due quinti dei coscritti.
Si veniva riformati per le malattie che si contraevano sin dalla giovane età negli opifici per la tessitura o la torcitura e, per lo più, nei lavori delle campagne, dove imperversavano malattie endemiche, come la pellagra, la malaria, il gozzo. Ma molti coscritti venivano riformati per la bassa statura: nel misurare la loro altezza si diventava sempre meno esigenti, a mano a mano che saliva il fabbisogno di nuove classi per rinsanguare le file della Grande Armée, in particolare durante la sanguinosa spedizione in Spagna. Nel 1811 si arrivò al primato di statura per l'idoneità, a un metro e 48 centimetri.
Ma a rendere impopolare la coscrizione erano anche le tante irregolarità e parzialità con le quali veniva gestita: diseguaglianza nell'applicazione, a seconda delle regioni; soltanto chi aveva denaro poteva surrogare la chiamata con quella di un povero volenteroso; l'estrazione a sorte che faceva della coscrizione una lotteria; il mercimonio che si verificava con la concessione delle dispense e delle esenzioni: anche se questi inconvenienti andarono diminuendo con il progresso dei meccanismi di reclutamento immessi dal Carnot.
Con l'intensificarsi della domanda di uomini per la Grande Armée, l'ostilità della popolazione verso la coscrizione si accrebbe fino a determinare la formazione di bande renitenti alla leva e di disertori.
Per i renitenti alla leva c'era, naturalmente, il tribunale. Indagando fra i documenti processuali, si rileva come talvolta il rifiuto alla chiamata era sostenuto dai renitenti con argomenti liberali, se non giacobini. E' riportato il caso di un padre e di un figlio, di nome Operto, pittori, presenti il 17 gennaio 1807 alle operazioni di chiamata alla leva, a Bra, arrondissement di Alba. Il figlio si rifiutò di estrarre dall'urna la scheda che decideva della sua coscrizione, sostenendo che questa operazione era fatta per gli schiavi, "che era un uomo libero e [ ... ] non lavorava che per il ristabilimento della libertà". Intervenne anche il padre in difesa di quanto aveva asserito il figlio: "Quindi rivolgendosi ai presenti invitava il popolo a ricordare quell'albero [della libertà] che era stato piantato". Arrestato subito dalla gendarmeria, l'Operto esibì al sottoprefetto "la coccarda tricolore del proprio cappello, invitandolo a guardare quella divisa degli uomini liberi che lui profanava".
I guai più seri vennero ai francesi dal brigantaggio, che nel Piemonte, come anche in Liguria e in Toscana, era alimentato dall'opposizione politica. Ovviamente, al motivo dell'anticoscrizione si aggiungevano le prospettive, per i banditi, dei saccheggi e dei taglieggiamenti.
Filo da torcere, fra le numerosissime bande piemontesi, diede quella che era capeggiata da Mayno, soprannominato l'imperatore delle Alpi, sulla cui testa venne messa una grossa taglia: finì, come spesso accadeva in queste storie, tradito da due renitenti, che così speravano di ottenere l'amnistia. Altra banda che dette alla gendarmeria molto da fare fu quella di Narzola, che fu attiva attorno a Cherasco, a Saluzzo e a Racconigi: "Questi briganti - osservò il direttore generale di polizia di Torino (siamo nel 1808) - spesso si separano, ma sono sempre più numerosi dei gendarmi (ve ne sono tre in ogni paese). Hanno spie che pagano molto caro [ ... ], esercitano le più crudeli vendette su quelli che li denunciano".
Queste bande godevano del sostegno non soltanto dell'opposizione politica rimasta fedele ai Savoia, ma anche dell'Inghilterra che le finanziava. Contro i gruppi e le organizzazioni brigantesche venne costituito un corpo di gendarmi, selezionato e specificamente addestrato alla lotta contro i crimini.
Interessanti le motivazioni con cui venne giustificata l'istituzione del nuovo corpo della gendarmeria piemontese: non si poteva ricorrere al reclutamento dell'ex soldato piemontese, ritenuto poco disciplinato, incline a non sentire il vincolo del giuramento e, quel ch'è peggio, "completamente analfabeta".
Analoghe storie di resistenze, di difficoltà frapposte alla coscrizione si ebbero in Liguria: gli operai che sarebbero dovuti essere chiamati alla leva se ne andarono a lavorare in Toscana o nel Regno d'Italia. In un rapporto della polizia a Fouché (12 settembre 1809) si legge che la classe degli artigiani e dei lavoratori si sarebbe adattata alla coscrizione "se i preti e i monaci non se ne servissero per coltivare in fra di esso i motivi di lamentela".
Il problema del reclutamento e dell'incorporazione di piemontesi, liguri, toscani, lombardi nella Grande Armée, come anche il problema della coscrizione obbligatoria, non investiva l'attitudine alle armi delle popolazioni: i secoli passati avevano visto il sorgere di bene organizzate e varie milizie a servizio degli Stati italiani. C'era invece una resistenza ai modi della coscrizione, agli abusi e alle ineguaglianze che ne accompagnarono l'applicazione, forse anche all'incertezza delle situazioni politiche e alla gravità delle condizioni economiche. Secondo Piero del Negro, la risposta della società alla leva "fa intravedere piccole isole di consenso circondate da un oceano ricoperto da uno strato, quasi sottile, di passività e di rassegnazione". Tuttavia, resta il fatto politico che, pur fra resistenti, bande e rassegnati, si formò nelle regioni del Centro-Nord un'intelligenza nuova del problema italiano e anche un'occasione per la borghesia illuminata di riprendere e rivitalizzare il nucleo eccezionale di una ricca tradizione riformistica, liberata dalle suggestioni del paternalismo absburgico e immersa nell'alveo della riscoperta di un'identità nazionale.
Certamente, svolse un importante ruolo nel mare magno delle passività e delle resistenze il sentimento religioso (fra l'altro, il timore dei coscritti di morire senza i sacramenti), ma ci fu anche il consenso, e nell'ambito del consenso la ricerca di una possibile autonomia dell'armata italiana, come piedistallo di una Repubblica indipendente: era l'idea di Melzi d'Eril, "il più accreditato per i suoi lumi, interamente devoto all'indipendenza dell'Italia", come lo ricordò Napoleone nei giorni dell'esilio a Sant'Elena; anche il Melzi ritenne più opportuno e realizzabile per allora uno Stato lombardo-italiano. Ma anche così limitato, quello Stato non piaceva a Bonaparte, che ebbe sempre cura di tenere separata in corpi diversi l'uno dall'altro l'armata d'Italia, specialmente in guerra. Nella lettera del 21 maggio 1803 di Murat a Bonaparte le preoccupazioni francesi sono espresse con realismo politico: "Sono intimamente convinto che non è nostro interesse che la Repubblica italiana abbia un'armata, e con l'attività che si sta dispiegando si arriverà ad averne una, se voi non frapporrete degli ostacoli".
La soluzione del dilemma fu di distribuire sui vari fronti europei le divisioni italiane. Con tutto ciò è incontestabile che nell'armata d'Italia si sia sviluppato, come riconobbe e attestò Cesare Balbo, per la prima volta il sentimento di una nazione italiana: "Non Vera indipendenza, è vero - scrisse -, ma non ne furono mai speranze così vicine". Allora, aggiunse, "prima i piemontesi, poi i lombardi e romagnoli, e via via toscani, romani, napoletani corsero a quell'esercito (della guerra), e vi furono affratellati a quel militari, avanzati e lodati in questi eserciti vincitori d'Europa".


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