§ NORD-SUD:

IL LINGUAGGIO DELLA CRISI




Maria Rosaria Pascali



Riparlare del Sud, in un momento di grave crisi di identità del nostro Paese, è ancora possibile. Occorre, tuttavia, evitare la monotonia del già detto. Occorrono parole, tesi nuove, messaggi lineari e immediati, magari qualche slogan. Non è la storia in sé che insegna: lo abbiamo capito nei recenti appuntamenti elettorali. Ma è il linguaggio adottato, più o meno vicino alle istanze e al linguaggio della gente, che determina la scelta. Chi lo ha intuito si è rivelato vincente su tutti i fronti!
Alle elaborazioni dotte di una Sinistra in piena ascesa, si è contrapposta una mastodontica organizzazione di esperti in marketing. Ai discorsi storici sulle colpe del vecchio regime e sull'eredità di milioni di miliardi di deficit pubblico, si è contrapposto un Berlusconi ben curato e rassicurante promettente un milione di posti di lavoro.
Da una parte, un'approfondita analisi della situazione attuale e soluzioni assai dolorose per chi in questi quarant'anni non ha mai pagato il costo dei propri privilegi; dall'altra, spots elettorali ad effetto che hanno fatto venire la pelle d'oca agli italiani, a tutti gli italiani, del Nord e del Sud, ai lavoratori e ai disoccupati, ai bambini e ai giovani, alle donne e agli anziani.
E' bastato uno spot ad unire il Paese. E nessuna importanza ha avuto il fatto che "Forza Italia" avesse come alleato la Lega Nord, un movimento che vorrebbe il Sud fuori dall'Italia e dalla storia; e che il suo leader, Berlusconi, che grazie al vecchio regime ha costruito il proprio impero, si ponesse dalla parte dell'individuo e del profitto, senza alcun accenno alle esigenze di solidarietà agli interessi della gente comune, quella più debole che mai potrà fruire dei vantaggi di un liberismo sfrenato.
Riparlare del Sud, allora, è riparlare dell'Italia, perché mai come oggi risulta lampante che le esigenze, le speranze e le reazioni delle genti del Mezzogiorno sono analoghe a quelle del popolo settentrionale. Ovunque si verifica una sistematica rimozione degli eventi storici che più hanno segnato il destino del nostro Paese. E anche il Sud sta dimenticandosi.
A Sud come a Nord, c'è voglia di leggerezza a tutti i livelli, di ignoranza storico-culturale. E allora no ai discorsi interminabili, no ad una buona lettura, no all'impegno civile per la difesa dei diritti dei più deboli, no agli anziani, ai neri, ai barboni; e sì, invece, agli slogans ad effetto, ai miti della Tv spazzatura, ai giudizi sommari, all'individualismo più becero.
Ma chi in tempo di crisi si scandalizza di questo si scandalizza della normalità e crea un abisso incolmabile fra le proprie idee, che trascendono i corsi e i ricorsi storici, e quelle del senso comune, di ordine strettamente fisiologico. Non è più sufficiente denunciare l'iniquità che un atteggiamento egoistico di rimozione provoca, per ottenere risultati in senso opposto, di crescita e di senso di solidarietà.
Così facendo, si rischia al contrario di essere terribilmente astratti, di additare ed essere additati, di creare nuove élite e di assistere colpevolmente all'annientamento dei valori fondamentali propri di ogni società che voglia definirsi civilmente progredita.
Occorre invece adottare il "linguaggio della crisi", per contrastare chi ne sta già facendo facile strumento di conquista del potere, e per innescare quella rivoluzione culturale necessaria a far uscire ognuno dal guscio del proprio comodo individualismo.
A Sud, in particolare, questo significa "discutere meno di cultura locale e più di economia e di finanza, meno di classici e più di colture pregiate, di imprese manifatturiere e di terziario avanzato"; significa non cadere più in quel vizio illuminista che portava molti a sostenere che, se non si fosse sviluppato un Sud della cultura, il Mezzogiorno sarebbe stato sganciato dall'Italia e dall'Europa: l'Europa delle culture, infatti, ha da tempo ceduto il passo all'Europa del linguaggio economico-tecnico, "che non è il linguaggio dei governanti europei, ma dei popoli europei".
A Sud bisogna superare soprattutto l'ideologia su cui si è fin troppo attardato il pensiero meridionale, quel meridionalismo archeologico, piagnone e lamentoso che ha prodotto soltanto pessimismo improduttivo. Bisogna ridurre a memoria storica le rivendicazioni territoriali in nome di antiche spoliazioni. E dar vita ad un progetto moderno che veda il Mezzogiorno rivolto finalmente in avanti, a guardare il futuro con intenti meno eroici, ma sicuramente più realizzabili.
Oggi come centotrenta anni fa, i due maggiori problemi del Mezzogiorno restano il lavoro e la criminalità organizzata. E ciò nonostante un'infinità di interventi più o meno straordinari e tantissime leggi speciali.
Davanti alla morte davvero silenziosa del Sud, la nascita di una sorta di Sud del Nord: il Nord-Ovest d'Italia, culla della prima industrializzazione e un tempo moto dell'economia nazionale, si sta trasformando in un'inedita area depressa.
All'annosa e mai risolta questione del Sud, si sta dunque aggiungendo una questione del Nord, sicuramente pericolosa perché determina il crollo delle tradizionali certezze nei riguardi di un Nord sempre in linea con lo sviluppo e sempre in grado di parare i colpi della recessione economica.
Cosa è successo?
Il modello di "dualismo funzionale" e quindi di perfetta specularità di un Nord produttivo e di un Sud assistito sembra definitivamente saltato. E' saltato quando i suoi costi sono diventati insostenibili per il sistema italiano. Allora il Nord, aprendo candidamente gli occhi, ha scoperto che tutti o quasi gli interventi operati nel Mezzogiorno non sono stati altro che l'alibi per sperperi e ruberie di ogni tipo e non obiettivi reali su cui innescare lo sviluppo. Non solo. Ma ha scoperto anche che l'industria non è più in grado di garantire nuovi posti di lavoro, tanto più che essa si rivela scarsamente competitiva nei prodotti rispetto a quella dei Paesi di nuova industrializzazione. Di fronte al vuoto progettuale del presente e al crollo del sistema di equilibri politici ed economici nazionali e locali, Nord e Sud hanno una sola possibilità: guardarsi finalmente in faccia con umiltà, ammettendo di essere stati entrambi parte integrante e complice di connivenze di ogni tipo; parlarsi senza pregiudizi, abbandonando le rispettive mentalità e superando l'idea della specialità sia del Sud sia del Nord; sostituire alla guerra fra localismi e centralismo l'omogeneità dell'azione politica, economica e sociale di tutto il Paese.
Non c'è altra via se si vuole sottrarre l'Italia dal precipizio. "Un Mezzogiorno povero rende l'Italia meno ricca" ed è solo mera illusione credere ancora che la soluzione stia nel dividere il Paese a metà.


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