§ FINESTRE DI FRONTE

BAJZA DEI RIFIUTI




Concetta Di Bartolomeo



Bajza è un piccolo villaggio situato nel Nord dell'Albania. La calma delle acque del vicino lago di Scutari stride nell'arretratezza della regione. Il paesaggio che si offre ai visitatori è povero, spoglio, desolante, le immagini di miseria si susseguono: contadini ad uno stato primordiale, madri logorate dalla fatica, bambini analfabeti.
Di fronte alla tragedia dei Balcani, volgere uno sguardo a questo piccolo Stato può sembrare assurdo. Eppure, a soli duecento chilometri dal porto di Bari, c'è un Paese che vive un momento cruciale: lentamente e con ingenti sforzi, come altre nazioni dell'Est, anche l'Albania sta cercando di instaurare un sistema di sviluppo di tipo occidentale, spesso rimanendone vittima. Si assiste all'estrema difficoltà del passaggio da un sistema collettivistico alla proprietà privata; non è stato sufficiente distribuire ai contadini piccoli appezzamenti di terreno, ora vogliono qualcuno che li istruisca, che lentamente li traghetti verso l'autonomia.
A questa situazione si è aggiunto il precipitare degli eventi nel Kosovo: dalla regione della ex-Jugoslavia molti albanesi sono ritornati in patria, fuggendo dai serbi e andando ad ingrossare le file dei diseredati.
Viene spontaneo un interrogativo: cosa ha fatto fino ad ora la comunità internazionale? Dalle statistiche si resta interdetti: nel 1992 gli aiuti occidentali hanno costituito il 50 per cento del Prodotto Nazionale Lordo e sono ammontati a quasi quattrocento dollari per abitante. Perché, allora, l'economia versa ancora in uno stato di sussistenza? Forse non sempre l'intervento straniero è stato improntato al principio di solidarietà. In alcuni casi lo sfruttamento è arrivato prima ancora degli aiuti: grazie al basso costo del lavoro (la retribuzione di un operaio è di circa un dollaro al giorno) alcuni imprenditori stranieri hanno scelto l'Albania come "terra di conquista", lasciando ai lavoratori il 20 per cento del raccolto.
Ma c'è altro. Al pari di Cipro, Egitto, Libano e Turchia, negli ultimi due anni l'Albania è stata il punto di approdo di un'ingente quantità di rifiuti tossici provenienti dall'Europa. Nell'estate del 1991, mentre le immagini degli albanesi che tentavano di raggiungere con ogni mezzo le coste italiane colpivano l'opinione pubblica internazionale, tra il governo di Bonn e il ministero dell'Agricoltura albanese si realizzò un affare "speciale": circa 500 tonnellate di pesticidi scaduti o messi al bando dall'Europa comunitaria, provenienti dalla ex Germania Democratica, arrivarono in Albania come "aiuti umanitari".
Da allora, nonostante i ripetuti appelli del ministro della Sanità albanese al governo tedesco perché si riprendesse i rifiuti (l'ultimo risale al 19 novembre 1993), i pesticidi giacciono ancora stoccati nella città di Bajza, Dürres, Milot, Fier, Skhodra e Lushnje. Nella stazione di Bajza, in particolare, sono fermi 17 "vagoni della morte" che rischiano di provocare un disastro ecologico. "Se i governi non interverranno - denuncia Greenpeace - si potrà assistere alla morte geologica del lago di Scutari". Ed è per questo motivo che l'associazione ambientalista è andata sul luogo con esperti e attrezzature. Qui ha chiuso 15 tonnellate di pesticidi, tra i più pericolosi, in contenitori che impediscono la reazione chimica. Non solo. Con un camion, Greenpeace ha silenziosamente riportato al mittente (attraverso un "return to sender") 15 tonnellate di scorie tossiche. Dopo essere approdati al porto di Bari, i volontari sono arrivati al confine tra Francia e Germania, e qui hanno depositato i pesticidi scaduti. Spetta ora al ministro dell'Ambiente tedesco, Toepferr, trovare una sistemazione allo scomodo "carico".
Presto, tuttavia, scadranno anche i tempi utili per l'impiego delle 3.600 tonnellate di fitofarmaci inviati in Albania tra il 1992 e il 1993 con il programma "Eu-Phare". In un rapporto del '93, la Banca Mondiale ha sottolineato l'importanza che i prodotti vengano utilizzati al più presto "onde evitare il loro deterioramento e la conseguente necesssità di distruggerli con costi altissimi". E' evidente che si tratta di "aiuti" in senso eufemistico, poiché l'agricoltura è ancora lontana dal dover utilizzare processi chimici. Chi si è recato sul luogo assicura che i pesticidi in questa zona non servono.
E proprio a Bajza è arrivata un'associazione di volontari abruzzese (Centro Volontario Abruzzese), la quale, ignara dei barili di pesticidi pericolosi ammassati nella stazione, ha messo in atto un progetto per l'insegnamento delle tecniche agricole. Con il contributo volontario dei privati e l'aiuto della Caritas questa associazione è riuscita ad elevare la produzione del grano del 300 per cento. Ogni famiglia albanese che vive a Bajza ha potuto seminare quest'anno 2.200 metri quadrati e ha raccolto mediamente circa 10 quintali di grano con una produzione di 45,5 quintali per ettaro. "In questo modo - affermano i responsabili del progetto - gli agricoltori sono messi in condizione di coltivare e di rendere produttiva la terra da soli".
Costruire un forno per fare il pane può sembrare una cosa da nulla, ma forse è molto se si pensa che dopo un anno di gestione del potere il governo di Aleksander Meksi non è riuscito a superare lo stato di disorganizzazione economica. Se un accenno di ripresa si è avuto nel commercio privato al dettaglio e nel settore agricolo, il problema della distribuzione delle terre ai precedenti proprietari non è stato ancora risolto.
In un Paese dove la sanità e la scuola sono ancora in condizioni catastrofiche, restano gli appelli del presidente Sali Berisha per attirare l'attenzione della comunità internazionale.


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