§ LE "DISMISSIONI" DEGLI ALTRI

MANUALE PER LE PRIVATIZZAZIONI




Luigi Cappugi



Lord Moore era incaricato di studiare e avviare il programma di privatizzazioni del governo di Margaret Thatcher. Credo che mai sintesi più efficace sia mai stata scritta su "perché privatizzare" della prefazione di Lord Moore al volume di Marco Niada su Le privatizzazioni degli altri. Scrive Lord Moore: "Lo spirito della privatizzazione si basa sulla convinzione intima che la riduzione della presenza dello Stato nelle imprese conduce a un maggior benessere nazionale. Quando si parla delle ragioni a favore delle privatizzazioni, si citano spesso i vantaggi che esse procurano al bilancio dello Stato. Si tratta senz'altro di un buon motivo, ma ce ne sono altri, a mio avviso anche più pressanti, specialmente nel caso dell'Italia.
Dato l'enorme peso che ha in questo Paese il settore pubblico, un miglioramento dell'efficienza delle imprese statali attraverso le privatizzazioni e la maggiore libertà di allocazione delle risorse umane e materiali che ne possono derivare, sono destinati a generare un enorme quantità di benessere addizionale per l'intera collettività".
Il punto fondamentale di ogni possibile privatizzazione è il postulato di Lord Moore sopracitato: privatizzare è bene per il Paese. F' questo il gancio cui dev'essere attaccata ogni ulteriore azione riguardante le privatizzazioni e ciò richiede, prioritariamente, un inventano dei problemi da risolvere come più volte è stato già fatto anche da chi scrive. E, al riguardo, il merito principale del lavoro di Niada è quello di avere illustrato, con dovizia di esempi, come in tutti i Paesi che hanno intrapreso la strada delle privatizzazioni - non per ragioni ideologiche, ma per migliorare il funzionamento del mercato - i problemi sono sempre, o quasi, stati gli stessi e che non esistono formule magiche per risolverli: basta essere seri. La rassegna dei problemi affrontati e risolti dagli altri Paesi suggerisce che, fondamentalmente, i principali problemi sono tre: cosa privatizzare; come privatizzare; quando privatizzare.
Sul che cosa e sul quando privatizzare, occorre subito privatizzare le aziende in buona salute, a qualsiasi settore appartengano, con la priorità assoluta da darsi alle banche, per evitare che l'intervento di banche ancora pubbliche in aziende private porti all'assurdo di nazionalizzare di fatto larghi settori dell'economia nazionale, nell'ambito di un programma di privatizzazione.
Sulle aziende in cattiva salute va valutato se si possono cedere così come sono e, qualora la risposta fosse affermativa, a valori minimamente decenti, vanno vendute, dato che il più efficace risanatore è, senza dubbio, il privato. Altrimenti vanno risanate e ricapitalizzate, eventualmente ricorrendo alla Borsa, e in ogni caso con importanti interventi da parte delle banche, oppure vanno liquidate.
Spesso i problemi delle aziende a partecipazione statale sono problemi che derivano in primo luogo da un indebitamente eccessivo, conseguente a perdite nascoste sotto forma di capitalizzazioni, e coperte con nuovi debiti. In secondo luogo., i problemi di queste aziende nascono da una produttività troppo bassa. Prima si procede, in questi casi, a privatizzare, più velocemente si procede, meglio è per il Paese. Ad esempio, se si pensa alle ferrovie, occorre procedere subito alla rapida privatizzazione di tutto il patrimonio immobiliare e di tutti i servizi esterni alla gestione ferroviaria vera e propria.
Circa il come privatizzare, le opzioni per lo Stato sono numerose. Esaminiamo i principali problemi:
1) Chi deve condurre il processo di privatizzazione. E', probabilmente, necessario - data l'esperienza delle molte commissioni e dei problemi di compatibilità tra ministri - creare una sorta di Treuhandstald, cui spetti la responsabilità unica sia politica che tecnica di dirigere le operazioni di privatizzazione. E' pure probabile che convenga seguire l'esperienza inglese in luogo di quella francese, ossia direttive parlamentari molto elastiche, di modo che l'autorità cui è delegato il processo di privatizzazione possa procedere con molta flessibilità caso per caso.
2) Quanto al chi cedere le azioni delle aziende da privatizzare, tra il metodo dei noccioli duri di scuola francese e il metodo dell'azione d'oro di scuola inglese, il suggerimento è di procedere con il molto più elastico e flessibile metodo dell'azione d'oro, che riserva allo Stato la possibilità di intervenire nel caso che l'azienda privatizzata non segua politiche compatibili con l'interesse generale, senza per questo richiedere la formazione di sindacati tra azionisti di riferimento, come nel caso dei "noccioli duri", che dovrebbero per forza essere scelti tra i "soliti noti" del club di Mediobanca.
Non ci stancheremo mai abbastanza di ripeterlo, un Paese come l'Italia ha bisogno di almeno quattro o cinque Mediobanca se vuole risolvere in modo razionale e nel rispetto dell'interesse generale i propri problemi di trasformazione e di crescita.
3) Come fare il prezzo e raccogliere il controvalore. Il suggerimento è di procedere caso per caso, in funzione del tipo di azienda e del particolare momento economico e congiunturale scelto per la privatizzazione. Tra i vari possibili metodi, tutte varianti dell'asta pubblica, oppure dell'offerta pubblica di vendita, il suggerimento che emerge dall'esperienza è quello di offrire mediante asta titoli di Stato a basso tasso d'interesse, accompagnati da warrants vendibili in Borsa con gradualità nel tempo, corrispondenti a diritti di cambio di titoli di Stato in azioni delle società da privatizzare. L'enorme dimensione assunta dal mercato dei titoli di Stato italiani dovrebbe consentire di collocare con facilità e rapidità l'intero capitale delle aziende da privatizzare, cogliendo altri tre obiettivi contemporaneamente: abbassare il costo del servizio del debito pubblico, ammortizzare con le privatizzazioni parte dello stock di debito, diluire nel tempo l'impatto economico-finanziario delle privatizzazioni.
Concludendo, possiamo rilevare che la "lezione dell'esperienza" suggerisce che nell'analisi dei problemi che la privatizzazione delle aziende di proprietà dello Stato pone si possono distinguere tra due classi di questioni:
- le questioni che un Emmanucì Kant redivivo potrebbe definire "metafisiche"; questioni, in altri termini, non decidibili in base a esperienza, ma solo in base a convinzioni, in base a "fede"
- le questioni invece circa le quali può soccorrere l'esperienza, soprattutto quella degli altri.
Circa i problemi della prima classe, si deve in primo luogo porre il tema del "perché privatizzare", per il quale si ritiene validissimo il postulato di Lord Moore. Da ciò si deduce anche un programma di privatizzazione il più rapido e il più ampio possibile.
Quanto ai problemi del come privatizzare, l'esperienza altrui soccorre soprattutto nell'indicare la necessità di procedere mediante il metodo del caso per caso, il più flessibilmente possibile; appare importante creare per legge, e non con i soliti decreti che in Parlamento vengono regolarmente boicottati, una struttura politica e tecnica cui affidare il buon fine dell'operazione; appare pure l'opportunità rappresentata dalle enormi dimensioni del mercato dei titoli di Stato italiani, ultimamente impiegabile per rimediare alle ridotte dimensioni della Borsa italiana e alle altre debolezze strutturali del sistema finanziario italiano.
Last but not least, occorre ricordare che il successo delle privatizzazioni è legato alla presenza di "cani da guardia" dotati di capacità tecnica e di potere adeguati al controllo del mercato, volto a impedire che aziende da sempre impregnate di cultura monopolistica, continuino, una volta privatizzate, a coltivare aspirazioni e comportamenti di tipo monopolista. Anche in questo settore il salto di qualità che si richiede allo Stato è gigantesco.


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