§ EUROPA - STATI UNITI

MA ANCHE L'ECONOMIA USA HA BISOGNO DELLO STATO




Lawrence R. Klein



Di fronte al fallimento delle politiche finanziarie ortodosse, della cosiddetta economia dell'offerta e di altre strategie economiche conservatrici" prevalse alla fine degli anni Ottanta, non resta, per curare i malanni del sistema mondiale, che fare ritorno alle teorie keynesiane. Teorie la cui popolarità, nei venticinque anni successivi alla seconda guerra mondiale, apparve giustificata da risultati più che soddisfacenti. Le pressioni inflazionistiche conseguenti allo shock petrolifero degli anni Settanta e la reazione dell'opinione pubblica indussero i politici "conservatori" a varare una serie di restrizioni monetarie. Queste raggiunsero l'obiettivo di frenare l'inflazione, ma provocarono un livello di disoccupazione che ormai appare insostenibile. Tant'è vero che la gente ormai vuol sentir parlare di posti di lavoro ed è scarsamente interessata ad ogni altra questione.
Il problema è di individuare una formula per dosare gli interventi di politica monetaria (rapporti con le altre valute), fiscale (spesa pubblica e imposte indirette) e commerciale (determinazione delle regole per gli scambi con l'estero). Sull'onda della scuola economica "conservatrice" si imposero i principii della deregulation, della presenza ridotta dello Stato nell'attività economica, della privatizzazione e della fiducia nel potere del libero mercato.
Ora, se è vero che il meccanismo di mercato ha pregi evidenti, è anche vero che esso presenta dei limiti, che non gli consentono di riportare in tempi brevi la stabilità economica in un mondo in crisi. Alcuni aspetti positivi della deregulation si accompagnano infatti ad altri aspetti destabilizzanti che ci sconsigliano di ricorrere a questa terapia.
Basti guardare alle linee aeree negli Stati Uniti, dove la deregulation ha creato una situazione di mercato sfacciatamente oligopolistica. Per non parlare del sistema finanziario, nel quale un dirigismo lassista ha generato solo scandali.
Sul piano economico, il problema è la mancanza di un equilibrio tra politica fiscale, monetaria e commerciale che consenta di gestire le situazioni create dalla deregulation, dal processo di ristrutturazione nell'ex Unione Sovietica e nell'Est europeo e dai flussi di immigrazione in un mercato del lavoro debole.
Per rilanciare l'economia americana degli anni Ottanta Reagan ricorse all'arma dei tagli alle tasse, che nelle sue intenzioni non rispondeva certo alle tesi keynesiane. I tagli tendevano infatti a ridurre drasticamente le spese pubbliche e a scoraggiare cosi l'intervento del governo nell'attività economica, in applicazione coerente dei principii di deregulation e di privatizzazione. Il risultato fu invece un pesante indebitamento, che mise in ginocchio non pochi clienti delle banche e lasciò il Paese in una condizione tale da rendere difficile il ricorso alla politica fiscale per combattere la recessione del 1990.
Questo fatto è aggravato dagli squilibri monetari, come dimostra il caso della Germania. Motivi politici (e non economici) indussero il Cancelliere Khol ad operare trasferimenti più che generosi dalla Germania di Bonn ai Länder orientali. Per stabilizzare l'economia, la Bundesbank si vide allora obbligata ad adottare una politica monetaria eccessivamente rigorosa. Scelte politiche così radicali hanno nel frattempo creato le condizioni per un rallentamento dell'economia al limite della recessione. E se le ultime misure adottate dalla Bundesbank verso un allentamento del credito sono benvenute, è difficile pensare però che siano sufficienti a incidere sull'attuale congiuntura.
Quanto al Giappone, il quadro economico dice: recessione. Per correggere la situazione, il governo ha predisposto un piano di rilancio che fa proprio il principio keynesiano del ricorso alla spesa pubblica per stimolare l'economia, un caso evidente di ritorno all'interventismo.
Anche negli Stati Uniti potrebbe verificarsi un fenomeno analogo. Molti economisti - alcuni dei quali esercitano un'influenza sulle strategie economiche di Clinton - sostengono che bisogna anzitutto creare nuovi posti di lavoro, stanziando fondi per le infrastrutture pubbliche (ponti, autostrade, scuole, ecc.). L'Europa non potrà fare altrimenti.


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