§ VECCHI E NUOVI PROTEZIONISMI

IMPRESE CEE VULNERABILI DA TOKYO




P. A. S.



Il periodo che è seguito alla seconda guerra mondiale può ben definirsi un'epoca caratterizzata da una diffusa accelerazione, connotata da una serie di "rincorse": l'Europa ha accorciato le distanze con l'America in fatto di tenore di vita, e a sua volta il Giappone ha quasi raggiunto i livelli delle aree più ricche del Vecchio Continente. Quali prospettive ha l'Europa occidentale di superare in corsa, entro l'anno 2000, l'America? E quali prospettive ha il Giappone di superare l'Europa entro la medesima scadenza?
Osserviamo da vicino alcune aree più circoscritte: possiamo forse prevedere che l'Italia superi la Gran Bretagna in termini di prodotto reale pro-capite? O che la Spagna raggiunga appieno i livelli del Belgio e dell'Austria? Sarò la Germania unificata in grado di riconquistare in ambito economico la medesima posizione di predominio mondiale cui il Kaiser Guglielmo Il aspirava in ambito politico?
Nemmeno il più attento economista può dare una risposta credibile a tutti questi interrogativi sul futuro che ci attende.
Joseph Schumpeter, Friedrich Hayek e Milton Friedman si sono dimostrati alquanto scettici sulle effettive possibilità che una Economia Mista - "Il capitalismo in una tenda ad ossigeno", come la definì Schumpeter già nel 1940 - possa presentare un indice di sviluppo superiore a quello del capitalismo puro pre-'29.
Nikita Kruscev predisse negli anni '60 che l'Urss avrebbe "sotterrato" le economie occidentali entro il 1984! Lo statistico - quale fu ad esempio il premio Nobel Simon Kuznets con il suo ostinato studio nel tempo di ogni tendenza e di ogni sua possibile accelerazione, può forse illuminarci più di quanto non riesca a fare il filosofò o l'ideologo sia pure dalla visione cosmica. In quest'ottica penso che, per poter raggiungere il reddito medio degli Stati Uniti nei prossimi anni di questo ultimo decennio del secolo-millennio, i Paesi leader d'Europa dovranno realizzare una crescita di tre volte superiore all'indice pro-capite americano. A sua volta il Giappone dovrò raggiungere un livello di produttività quadruplo rispetto a quello americano, se vorrà a sua volta raggiungere la parità con Europa e Stati Uniti entro il 2000. Nel corso degli anni '80, gli Stati Uniti realizzarono una crescita reale media superiore a quella della maggior parte dei Paesi della Cee; nello stesso periodo il Canada ebbe un tasso di crescita pari, se non addirittura superiore, a quello giapponese!
Personalmente prevedo che l'Europa occidentale avrà negli anni '90 un tasso di crescita superiore rispetto a quello americano; per contro, penso anche che il Giappone batterà, sia pure di poco, l'Europa nel suo insieme. Si tratta però di risultati che non comporteranno grandi spostamenti in seno alle gerarchie economiche mondiali. Cerchiamo di spiegare perché si prevedono così scarsi sommovimenti.
Partendo da una accurata valutazione dei vari tenori di vita all'inizio del 1994, notiamo come una parte dell'Europa - comprendente Germania, Francia, Paesi Bassi e Italia - si trovi in ritardo di circa il quindici per cento sugli Stati Uniti. Nonostante la scarsa attendibilità dei calcoli eseguiti sul potere d'acquisto dei vari Paesi che rientrano nella giurisdizione della Banca Mondiale, il Giappone risulta di pur sempre il venticinque per cento al di sotto della posizione leader americana in fatto di reddito globale pro-capite. L'analista che volesse arrischiare potrebbe anche - nella valutazione degli effetti delle più recenti tendenze di sviluppo - andare al di là di codeste meccanicistiche proiezioni.
Quale sarà l'impatto economico della caduta dell'impero sovietico e della liberalizzazione del Paesi del Centro-Est europeo? Considerato che l'Europa occidentale è geograficamente prossima a queste aree turbolente, si potrebbe pensare che tali effetti debbano gravare più sull'Europa che sull'area del Pacifico e sul Nord-America.
Non sono d'accordo con una tale tesi: il mondo si è rimpicciolito con l'avvento dell'era informatica. Il Giappone, che dispone di fondi liquidi da investire, potrebbe avere un ruolo di primo piano qualora in Europa centrorientale e nella neonata Confederazione russa si dovesse verificare un boom nel settore degli investimenti. Penso tuttavia che vi siano scarse prospettive che un tale boom si verifichi: il bisogno non implica necessariamente domanda in un sistema capitalistico concreto. Soltanto nel caso della Germania che effettua trasferimenti ed investimenti nell'ex Germania orientale possiamo obiettivamente attenderci che si verifichino effetti di un certo rilievo come conseguenza della dissoluzione dell'impero creato da Stalin. Non sono d'accordo nemmeno sulla portata degli investimenti giapponesi nella Cina post- Mao. Altrove in Asia, invece - Taiwan, Indonesia, Malaysia e Filippine (sempreché permanga una certa stabilità politica) - negli anni '90 si avrà un flusso di capitali giapponesi. Il Nord-America non farà alcun passo per riconquistare negli anni '90 la sua posizione di nazione creditrice. Sono convinto che gli Stati Uniti farebbero bene a contenere gli investimenti esteri nel Paese.
Esiste tuttavia un drammatico interrogativo, carico di significanza mondiale: riusciranno il Giappone e la Banda dei Quattro (Corea, Taiwan, Singapore, Hong Kong) ad invadere l'Europa negli anni '90, come fecero con l'America negli anni '60- '80? In buona sostanza, riuscirà l'Europa comunitaria a difendersi, una volta abbattute le principali barriere economiche in seno al Vecchio Continente, dalla concorrenza dei Paesi asiatici?
L'America ha avuto molto da guadagnare dai suoi scambi con l'Asia; ma - a mio avviso - ci ha anche rimesso quando è stato raggiunto il livello tecnologico delle industrie americane tradizionalmente esportatrici da parte della concorrenza asiatica, come lo è stata l'industria americana. In seno al Mercato Comune, Francia e Italia hanno insistito perché fossero prese misure protezionistiche nei confronti della concorrenza esterna al nuovo mercato interno. Germania e Gran Bretagna hanno invece caldeggiato un mercato relativamente libero.
Partendo da una visione puramente egoistica del reddito medio pro-capite dell'Europa occidentale, temo che i pericoli insiti nell'iperprotezionismo superino quelli insiti nell'ipoprotezionismo. In effetti, è mio timore che una politica democratica di stampo populistico possa portare in Europa ad una situazione di iperprotezionismo. Mi auguro di essere in errore, perché il benessere d'Europa.- per non parlare del benessere a livello mondiale - dipende con tutta probabilità essenzialmente dalla nostra capacità di mantenere e allargare le divisioni internazionali sul piano del lavoro che tanta importanza hanno avuto per la prosperità economica del dopoguerra.


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