§ VENT'ANNI DOPO

SUDPUGLIA ADDIO E' TEMPO DI APULIA




Aldo Bello



A vent'anni dal primo numero questa rivista, che ha sempre assunto nella testata la ragione sociale della Banca che l'ha espressa, deve cambiar nome. Si chiamerà, ora e definitivamente, Apulia, e identificherà nel sottotitolo il nome dell'ente editore. Nel nome del tempo presente è bandita ogni nostalgia. Siamo passati dal piombo fuso nella linotype e dai titoli composti a mano, con il correttore di bozze in agguato, alla trascrizione "a freddo" dei computers.
I diplomati informatici sono subentrati ai nobilissimi tipografi in camice nero che ci guardavano in tralice quando mandavamo in baracca come si diceva le colonne ancora calde pronte per l'impaginazione.
E' la legge del progresso, alla quale sarebbe sciocco, e inutile, opporsi. E il progresso è anche perdita dei "valori" del tatto e dell'olfatto, delle complicità artigianali, spericolatamente sperimentali (ma ci sarà la radice spes in questi termini? Mi piace immaginarlo), che diedero un senso, una ragione al respiro della nostra giovinezza.
Il progetto sarà quello di sempre: quello di una provincia, e per di più una provincia eccentrica e per molti versi centrifuga, un contributo alla più grande e complessa cultura nazionale.
Ponendoci, sotto questo profilo, sulla tradizione della cultura espressa dalla Terra d'Otranto con i suoi rapporti, relazioni e interazioni con Napoli, con Roma, con Firenze, con Parma, con Milano, con Torino; e allargando, per quanto possibile, lo sguardo oltre il ponte italiano e anche europeo. Altro ancora vorremmo fare, ma non siamo in condizione di fare.
D'altra parte, avendo avuto in sorte una storia più tragica che grande, siamo stati costretti, al modo dei cinesi, a fare il balzo dall'aratro al computer, senza poter transitare per la civiltà della macchina a vapore e della meccanica.
Orde sanguigne di saraceni barbareschi, di svevi, normanni e spagnoli ci hanno abituato a metabolizzare ogni trauma con eccellente velocità. Non ci stupisce e non può scalfire il nostro aplomb più niente e nessuno. Neanche chi ci considera "intellettuali di Magna Grecia", evidentemente sinonimo di inetti manutengoli perdigiorno.
Andremo avanti, quindi, con Apulia. Con il computer, con l'asettica confezionatrice e con l'algida imbragatrice che utilizza la plastica al posto del più umano velo cellofanato.
E magari, se proprio così dovrà essere il nostro splendido e disgraziatissimo Paese, da ironici e disincantati separati in casa. Ma, per non sentire stranieri scrittori e colleghi triveneti, altoatesini, piemontesi, lombardi, toscani, centrali, e forse anche meridionali continentali e insulari, parlando e scrivendo in lingua italiana.
Perché all'inferno peninsulare e insulare unitario ci hanno condannato secoli di articolazioni orali e scritte comuni, con sonetti e cantiche, con canzonieri e commedie, con canti e tragedie, con saggi, romanzi, novelle e quant'altro non è stato indegno di una qualche considerazione letteraria, appunto, italiana.
E ci condanna la civiltà classica, dalla quale, piaccia oppure no, tutti quanti discendiamo.
Da tutto questo, e altro ancora, la scelta della nuova testata, e le scelte che essa necessariamente dovrà fare, ora che le aree operative dell'editore si sono ampliate, col rigore scientifico, con l'autonomia, con il prestigio di sempre.
Sudpuglia esce di scena come sfumando in campo lungo, nello stesso momento in cui prende corpo in primo piano Apulia, nel segno della continuità. E visto che vale la pena di continuare a vivere questa storia, non ci resta che augurare a tutti Banca, redazione, collaboratori, tipografia buon lavoro.


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