§ Patrimonio liturgico musicale pugliese

Questione di codici




Sergio Bello



Il patrimonio musicale italiano è paragonabile, per ricchezza e importanza, al patrimonio pittorico o architettonico che questa nazione può vantare. Il carattere di unicità che lo distingue non è dato da mere questioni quantitative: il numero ingentissimo di monumenti musicali reperibili sul territorio nazionale o nelle collezioni, negli archivi e nei musei situati fuori confine, è caratterizzato da un livello qualitativo invidiabile Decisamente meno invidiabile, in vece, è la situazione della conservazione e della catalogazione di questi beni: i collezionisti nostrani, ma soprattutto quelli stranieri, non fanno molta fatica a procurarsi manoscritti e documenti di pregio per vie non proprio legali, a condizione che possano pagarli. La mancanza di cataloghi aggiornati - tra l'altro - impedisce anche solo un semplice computo delle perdite. il caso forse più discusso riguarda l'archivio del conservatorio di Napoli; si può facilmente immaginare cosa si nasconde tra quegli scaffali: pensiamo solo ai manoscritti degli operisti sei-settecenteschi, che hanno fatto la storia della musica in Eurona. Eppure, quel ricchissimo archivio è precluso anche agli studiosi più accreditati, che pure farebbero salti mortali per mettervi sopra le mani.
Una sola cosa pare certa: qualunque testimonianza sia lì conservata ha buone probabilità di cambiare proprietario. Sono fin troppi i colleghi di chi scrive i quali, avendo tentato di documentarsi in quell'archivio, si sono visti precludere la possibilità di accedervi per vie legali, ma nello stesso tempo si sono trovati di fronte all'opportunità di entrare in possesso illegalmente di parte dei documenti richiesti con intuibili espedienti.
Sono perdite irrecuperabili, in mancanza di una catalogazione. E sono ancora perdite irrisorie, se pensiamo anche a quel che non regge alla offesa degli agenti che lo stato di abbandono non consente di contrastare.
Il recente coordinamento degli sforzi prodotti da singoli studiosi, bibliotecari, o semplici appassionati, per operare un concreto censimento e il conseguente recupero dei fondi musicali curato dalla Società Italiana di Musicologia, i cui referenti principali sono sul piano nazionale il ministero dei Beni Culturali, e su quello regionale i singoli Istituti di Bibliografia Musicale, sta senz'altro dando risultati rispettabilissimi. L'auspicabile, più diretto coinvolgimento delle istituzioni universitarie, oltre tutto, darebbe nuovo vigore all'intera operazione. E tuttavia, la politica dei finanziamenti per operazioni di questo genere è modellata sulla falsariga dei devastanti finanziamenti a pioggia, che tanto hanno contribuito allo sfascio del Mezzogiorno: finanziamenti piccoli e poco coordinati, che fanno sì che ancora una volta il testimone passi al volontariato. Comunque, nell'ambito di questo quadro così poco rassicurante, esiste una consistente eccezione: la musica liturgica.
I codici liturgici con notazione musicale costituiscono una grossa fetta del patrimonio musicale italiano. Il valore artistico C culturale di cui sono portatori ha giocato un ruolo estremamente importante nel processo di conservazione, il che ha positivamente influenzato il numero dei testimoni giunti fino a noi: le ricche decorazioni, le affascinanti miniature, le poderose legature che spesso - provvidenzialmente - caratterizzano questi codici da una parte, la considerazione del rispetto per il contenuto teologico e per la sacralità della musica posta a commento del testo, dall'altra, hanno fatto sì che queste testimonianze, più di altre, fossero conservate con cura, hanno garantito la loro trasmissione, e hanno favorito il loro recupero.
I luoghi stessi di conservazione hanno positivamente influito sulla trasmissione di queste antiche testimonianze: conventi, monasteri, cattedrali vantano spesso tradizioni secolari ed una solidità, una resistenza di fronte ai devastanti eventi della storia che fondi e collezioni private non posseggono. Va ricordato - a mo' di esempio - che i tedeschi che si ritirarono dall'Italia, quegli stessi che fecero scempio dei nostri musei ed archivi, portarono fuori dalle mura del monastero di Montecassino il patrimonio librario monastico, salvandolo così dal successivo bombardamento alleato.
In alcune zone dell'Italia - a conferma di quanto detto - si può poi affermare che, a dispetto della dispersione ingentissima in cui sono incorse le testimonianze musicali profane, si è preservato in grandissima percentuale il patrimonio musicale connesso con la liturgia: questi dati confortanti, frutto dei primi sforzi di catalogazione operati dagli organismi citati, riguardano in particolare la Puglia.
Addirittura, questa regione vanta testimonianze liturgico-musicali uniche al mondo: è il caso, ad esempio, dei rotoli liturgici - i famosi ExuItet conservati a Bari e di cui ci siamo occupati su queste stesse pagine -, dei codici beneventani dell'XI secolo, del "tesoro" di San Nicola a Bari.
Malgrado l'unicità delle testimonianze liturgico-musicali conservate in questa regione, ma soprattutto originate in questa regione, spesso non si riconosce il carattere peculiare che tali testimonianze vantano rispetto al più noto e meglio studiato repertorio beneventano. Ma una che ci si avvicina più da presso ai codici apuli, assieme ai caratteri peculiari di queste fonti si fa esperienza anche dell'impressionante quantità di legami che vantano con le civiltà, le culture artistiche e confessionali più disparate.
Frutto ora di semplice continuità, ora di bellicose incursioni, ora - come nel caso delle crociate, nel corso delle quali la Puglia divenne ponte verso Gerusalemme - di invasioni pacifiche, queste contaminazioni, quando non smarriscano lo studioso, ci forniscono un quadro ben delineato del ruolo polarizzante che ha avuto questa regione in epoche non lontane. Il benedettino Anselmo Susca, studioso noto per l'impegno profuso nello studio di queste testimonianze, in un intervento scritto in occasione di un convegno dedicato appunto ai codici liturgici pugliesi notati, tenutosi nel 1986, intenzionato a fornire un inquadramento preliminare all'intera questione, non tralascia di tracciare a grandi linee un prospetto delle varie contaminazioni riscontrabili nei codici dell'Italia meridionale.
Nel suo prospetto, dotto e sintetico, con riferimento diretto ai codici pugliesi, cita contatti - anche se testimoniati indirettamente - con il mondo giudeo-cristiano della Palestina; sempre relativamente alla Terra Santa, menziona l'esistenza di un nutrito patrimonio documentario liturgico-musicale che presenta molti rapporti con la Puglia; quindi, collegandosi alle crociate per la liberazione della Terra Santa stessa, accenna alle popolazioni transalpine, franche e germaniche in particolare, transitate nella regione; ricorda quindi il combattuto insediamento dei normanni in tutto il Meridione; si dilunga infine sugli influssi - senz'altro più studiati o semplicemente più noti - derivati dalle civiltà greco-bizantina ed ottomana. Un quadro così articolato può apparire estremamente interessante, è vero, ma è senz'altro sufficientemente disorientante da selezionare all'origine gli studiosi intenzionati a dedicare i propri sforzi nel mettere a nudo i caratteri peculiari delle testimonianze pugliesi, così particolari, così articolate, così dense.
L'intrecciarsi di legami con civiltà tanto distanti fra loro rappresenta un pesante impedimento: più che a singoli ricercatori, imprese di studio di questa portata sarebbero accessibili a gruppi di ricerca. Sono progetti che allo stato attuale appaiono difficilmente realizzabili, eppure una coscienziosa valorizzazione di questo nostro patrimonio capovolgerebbe l'immagine di terra povera anche culturalmente che persiste ancora oggi: non ci sono solo Montecassino e Nonantola, ma la gente - anzi, gli uomini di cultura - sembrano non saperlo. Bisogna quindi in qualche modo dirglielo; è necessario che lo recepiscano. Potrebbe forse essere solo una questione di codici.


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