§ Dibattiti d'attualitą

Promemoria per le privatizzazioni




M. B.



Il programma di privatizzazioni presentato dal governo a metà novembre '92 era divenuto formalmente esecutivo dal 30 dicembre dello stesso anno. Le prime operazioni di privatizzazione previste attendevano la precisazione di metodi, di procedure e di tempi, sebbene la delibera del Cipe dello stesso 30 dicembre e il disegno di legge sull'ampliamento del mercato mobiliare approvato dal Consiglio dei ministri il 15 gennaio '93 avessero specificato alcuni punti. Pertanto il piano di dismissioni aveva raggiunto una fisionomia piuttosto definita per taluni aspetti (perché privatizzare e che cosa dismettere nella prima fase), mentre per altri (come realizzare le cessioni e che cosa dismettere nel periodo più lungo) vigeva una situazione di relativa incertezza, e se si vuole di indecisione (formalmente superata dal principio "caso per caso", con il primo caso incentrato su Credit) tra "nocciolo duro" e azionariato diffuso.
Nelle dichiarazioni d'intenti, gli obiettivi di efficienza economica (sotto forma di rafforzamento della struttura produttiva) e di allargamento della piccola proprietà azionaria prevalgono sulla massimizzazione delle entrate per lo Stato e su altri obiettivi minori. L'oggetto delle prime privatizzazioni programmate include imprese di grandi dimensioni operanti in settori concorrenziali: banche (Credit, appunto; poi Comit), una compagnia di assicurazione (Ina), alcune imprese industriali (Nuovo Pignone, attività industriali della Sme), alcune attività commerciali (la stessa Sme); inoltre, si prevede la cessione di quote dell'Agip e della public utility Snam. Iniziative di ristrutturazione propedeutiche all'eventuale dismissione sono poi previste per Ilva e Iritecna.
Con riferimento al processo di privatizzazione, i caratteri distintivi del contesto italiano sono costituiti dalla modesta redditività delle imprese pubbliche, dal basso grado di sviluppo del mercato borsistico, dall'esigenza di rafforzare la credibilità del programma di dismissioni. Un ulteriore fattore, che si riflette soprattutto sui tempi di attuazione senza avere tuttavia implicazioni dirette sulle modalità di vendita, è costituito dal momento congiunturale poco favorevole, i cui principali sintomi sono rappresentati dalla debolezza della domanda e dalla crescita della disoccupazione. Oltre a riflettersi sul valore delle imprese, e quindi sull'andamento delle quotazioni di borsa, ciò contribuisce a ridurre il cash-flow utilizzabile dalle imprese private per acquistare le azioni delle imprese pubbliche.
La redditività delle imprese pubbliche italiane, al di là del ciclo sfavorevole, risulta insoddisfacente per molteplici cause di carattere strutturale. La dismissione sul mercato richiede la rimozione dei cosiddetti oneri impropri che in passato hanno gravato sulle imprese pubbliche, principalmente a sostegno dell'occupazione; alternativamente, tali oneri debbono essere individuati, al fine di consentire la valutazione finanziaria. Qualora la conduzione dell'impresa risulti insoddisfacente, può essere necessaria la sostituzione della direzione aziendale o un'opera di ristrutturazione, da realizzare prima della vendita o di affidare a un nuovo soggetto controllante, al quale cedere la maggioranza azionaria o l'impresa in blocco. Le aziende in crisi strutturale, in passato sostenute da trasferimenti pubblici, non possono essere vendute e per esse vanno studiate soluzioni ad hoc, in considerazione dei problemi occupazionali e nel rispetto delle norme comunitarie.
Il mercato borsistico è di dimensioni relativamente modeste e non può contare su una forte presenza degli investitori istituzionali. Nel complesso, gli intermediari creditizi non detengono partecipazioni di rilievo, anche a causa di vincoli di varia natura al possesso azionario. La gran parte della ricchezza finanziaria è rappresentata da titoli di Stato detenuti dalle famiglie, in larga misura in via diretta. Pertanto il successo del programma di privatizzazioni considerato nel suo insieme richiederà il coinvolgimento dei piccoli risparmiatori: in Italia la diffusione del possesso azionario ("azionariato popolare") è una necessità prima che un obiettivo. Per questo aspetto, le tecniche di vendita più idonee sono le offerte pubbliche a prezzo fisso.
Il tema della credibilità, come si è detto più volte, e come mette in rilievo uno studio della Banca d'Italia, riguarda tanto il governo quanto i nuovi soggetti controllanti. La credibilità del governo sarebbe rafforzata da iniziative che innalzino il costo finanziario o politico di un'interruzione del piano di privatizzazioni o anche di successivi mutamenti nella regolamentazione che riducano il valore dell'azienda, specialmente per quanto riguarda le public utilities; alcune modalità per accrescere questo aspetto della credibilità sono state già prese in considerazione e, in parte, attuate. La credibilità degli azionisti di maggioranza, ossia le garanzie offerte ai soci di minoranza, richiede iniziative parallele di carattere normativo. Obiettivi come la stabilità degli assetti azionari o la partecipazione di dipendenti alla proprietà dell'impresa non possono che essere perseguiti con gli strumenti già sperimentati all'estero.
In Italia, il perseguimento di questi obiettivi è ancora più complesso che nel Regno Unito o in Francia, a causa della scarsa propensione dei risparmiatori italiani a detenere azioni, anche per la relativa maggiore volatilità delle quotazioni. Inoltre, le esperienze degli altri Paesi suggeriscono che il forte aumento iniziale del numero di azionisti viene riassorbito con rapidità; gli incentivi, sia di carattere finanziario che fiscale, forniti agli investitori, hanno determinato risultati solo parziali, generando piuttosto forti profitti per gli operatori professionali e per i grandi investitori. Infine, la vendita di azioni di valore incerto a investitori con un basso grado di informazione richiede un underpricing molto elevato. Occorre pertanto valutare con grande attenzione i casi in cui è opportuno perseguire tale obiettivo e gli strumenti da adoperare.
In alcuni casi i costi richiesti dall'obiettivo di massimizzare la diffusione delle azioni possono essere compensati dai vantaggi derivanti da una maggiore credibilità del governo. Questo è il caso, come si è detto, delle imprese operanti in settori non concorrenziali (ad esempio, le public utilities), per le quali il rischio di riappropriazione dell'impresa da parte dello Stato - in senso lato, tramite la regolamentazione o con la scelta estrema della ri-nazionalizzazione - è maggiore.
Un modo per fornire un segnale credibile sulla futura politica di regolamentazione del governo in carica e di quelli successivi può appunto consistere nell'accrescere i costi politici di un'operazione di riappropriazione, derivante dall'aver legato parte del reddito e della ricchezza finanziaria di un grande numero di cittadini al valore dei titoli dell'impresa.
La stessa funzione di dare stabilità alle variabili che condizionano il valore dei titoli ceduti e quindi di accrescere la credibilità del governo sarebbe svolta dalla preventiva ridefinizione del contesto regolamentativo del settore. A questo riguardo un ruolo fondamentale è svolto dalla politica tariffaria perché è questa la componente della regolamentazione che incide con maggior immediatezza sulla redditività attesa del titolo.
I programmi di privatizzazione esaminati suggeriscono che una chiara attribuzione delle responsabilità decisionali e un'elevata trasparenza delle procedure rappresentino requisiti fondamentali per la buona riuscita delle dismissioni. Potrebbe essere inoltre opportuno accentrare le decisioni operative relative alle singole vendite presso un solo soggetto, dotato della necessaria autonomia decisionale, e costituire delle strutture di supporto stabili nella pubblica amministrazione, al fine di acquisire esperienza tecnica e capacità negoziale anche nei confronti dei consulenti e degli intermediari finanziari. La trasparenza dell'intero processo richiede che vengano chiarite le principali modalità in cui si articola ciascuna fase dei processo, dalla selezione dei consulenti alla definizione del sovrapprezzo per i partecipanti al nucleo stabile, alla definizione delle clausole di riparto.
Un aspetto della trasparenza delle procedure e della stessa credibilità del programma riguarda l'uso che viene fatto delle golden shares, la cui istituzione è stata prevista nella delibera del Cipe e nel disegno di legge sulle disposizioni relative all'ampliamento del mercato mobiliare. Nel caso della cessione di public utilities o di attività giudicate "strategiche", può essere infatti necessario riservare al governo poteri d'intervento. Andrebbero però sempre rispettati due principii fondamentali. In primo luogo, i diritti che lo Stato si riserva debbono essere ben specificati. L'incertezza circa tali diritti, ad esempio circa il potere del governo di impedire l'assunzione di partecipazioni azionarie o su che cosa debba intendersi per divieto di mutare sostanzialmente l'attività caratteristica dell'impresa, può allontanare il più entusiasta dei compratori o, al meglio, deprimere ingiustificatamente il prezzo di vendita. In secondo luogo, l'estensione di tali diritti speciali e il loro eventuale sconfinamento negli aspetti gestionali dell'impresa debbono esser tali da non mettere in dubbio che si stia cedendo il controllo effettivo. La violazione di questo secondo principio ha implicazioni analoghe al caso precedente, e forse più gravi.
Per quanto concerne la stabilità della struttura proprietaria, quando la vendita dia luogo a una proprietà dispersa, va considerato che il modesto sviluppo degli investitori istituzionali, in grado di svolgere il ruolo di azionisti di riferimento, determinerebbe un trade-off fra un'eccessiva esposizione dell'impresa a rischi di scalate e un insufficiente controllo sugli amministratori. In alcuni casi potrebbe essere pertanto opportuna, come previsto dal Cipe in analogia con il caso francese, la formazione di un nucleo stabile di azionisti che detenga un pacchetto consistente di azioni. Le funzioni attribuite ai nuclei stabili debbono tuttavia tener conto delle caratteristiche dell'impresa.
Quando le imprese privatizzate sono caratterizzate da una conduzione ritenuta soddisfacente e il ruolo dei nuclei è in larga misura limitato alla garanzia della stabilità della composizione azionaria, senza che essi prendano parte alla gestione ordinaria dell'impresa, appare preferibile che i nuclei siano composti da numerosi partecipanti, ciascuno con una piccola quota del capitale.
Questa strategia è stata quella più comunemente utilizzata nelle privatizzazioni francesi: la composizione del nucleo, che in generale deteneva nel complesso circa il 30 per cento del capitale, veniva effettuata in sintonia con il management dell'impresa, che non era di norma rimpiazzato. In questo caso l'attribuzione al nucleo stabile o a soggetti con esso collegati di ampi poteri operativi nella gestione dell'impresa non appare giustificato, dato il suo compito; la selezione dei partecipanti può essere effettuata mediante un meccanismo d'asta.
Al contrario, qualora l'impresa sia ritenuta inefficiente, il nucleo stabile può utilmente svolgere un compito più ampio, contribuendo anche alla ridefinizione delle strategie aziendali. In questo caso il nucleo potrebbe essere composto da un numero più ristretto di partecipanti, dotati, singolarmente e complessivamente, di una quota più elevata del capitale rispetto al caso precedente. Inoltre, i componenti del nucleo potrebbero essere scelti tra i soggetti in grado di apportare un contributo determinante al risanamento aziendale. Questo tipo di strategia è stato adottato in Francia nel caso della privatizzazione della "Matra", il cui nucleo stabile deteneva quasi la metà del capitale ed era incentrato su un'impresa multinazionale operante nello stesso settore. Poiché in questo caso la selezione dei partecipanti deve far riferimento in misura maggiore a valutazioni di carattere qualitativo, essa non può essere effettuata unicamente mediante meccanismi d'asta.
Un interesse particolare rivestono le modalità con cui collocare tra i risparmiatori le azioni di un'impresa di ampie dimensioni precedentemente non quotata, con lo scopo di coniugare gli obiettivi confliggenti del massimo ricavo e della più ampia diffusione del titolo. Questo argomento, pur non esaurendo la gamma dei problemi da risolvere in occasione delle cessioni delle imprese pubbliche, rappresenta nondimeno le maggiori difficoltà.
La letteratura finanziaria sulle offerte pubbliche di azioni ha posto in luce che la componente più rilevante dei costi connessi con le vendite di azioni non quotate è costituita dall'underpricing, ovvero dall'emissione di titoli a un prezzo inferiore alla successiva quotazione di mercato. Occorre pertanto valutare le determinanti al fine di ridurne l'entità.
In primo luogo, l'esperienza delle privatizzazioni inglesi ha sottolineato che l'underpricing viene influenzato dal meccanismo con cui vengono allocati i titoli, risultando superiore sulle offerte pubbliche a prezzo fisso (offer for sale) rispetto alle vendite effettuate mediante meccanismi d'asta (tender offer); tuttavia, queste ultime risultano, sia nel caso delle aste a prezzo differenziato che in quelle a prezzo unico, difficilmente accessibili ai piccoli risparmiatori. Inoltre, per ciascuna modalità di vendita il discount risulta modesto quando i titoli collocati sono già quotati in borsa. Infine, l'underpricing dipende da altri fattori, tra cui l'errata previsione delle successive quotazioni di mercato; pertanto, ogni informazione che possa migliorare tale previsione consente di ridurre l'entità del discount.
In base a tutte queste considerazioni, appare preferibile frazionare le vendite in operazioni successive. Una prima quota del capitale sociale potrebbe essere ceduta mediante un meccanismo d'asta, per poi procedere con rapidità alla quotazione del titolo in borsa; ciò consentirebbe di ridurre l'underpricing iniziale e di generare a un costo contenuto, mediante la quotazione, le informazioni sul valore di mercato dei titoli. La parte rimanente del capitale potrebbe essere venduta in una o due tranches successive, mediante offerte pubbliche. Queste potrebbero avvenire a un prezzo prossimo, sebbene inferiore, al valore di borsa del titolo. Al fine di incentivare la partecipazione degli investitori - in particolare di quelli più piccoli, che spesso si accostano per la prima volta all'investimento azionario - la misura dell'underpticing, cioè la differenza fra il prezzo di collocamento e quello di borsa, dovrà essere graduata a seconda dell'ampiezza desiderata per la diffusione dei titoli fra il pubblico.
Tali suggerimenti comportano tuttavia alcune controindicazioni. Per quanto riguarda la prima vendita, l'asta potrebbe risultare complicata per i piccoli risparmiatori, determinando un'accoglienza poco favorevole dell'operazione; pertanto, qualora si decidesse di utilizzare tale meccanismo, sarebbe preferibile limitare il collocamento iniziale agli intermediari professionali e agli investitori istituzionali, sia italiani sia esteri.
in secondo luogo, i vantaggi determinati dal frazionamento dell'offerta in tranches successive dipendono in misura rilevante dalla credibilità degli annunci del governo. Se la prima tranche rappresenta meno del 51 per cento del capitale sociale, la possibilità che la decisione di vendere la restante quota possa essere modificata (ad esempio, in seguito a un cambiamento del quadro politico) rappresenta un rischio che il compratore sconterà nel formulare le proprie offerte di acquisto. In Francia tale eventualità ha assunto una notevole importanza: nel 1987, quando era elevata la probabilità che le elezioni presidenziali, allora imminenti, avrebbero potuto comportare un arresto per il programma di privatizzazioni, il governo francese decise di effettuare le vendite in un'unica soluzione, al fine di eliminare lo stato di incertezza determinato dal frazionamento delle vendite.
Tale problema può essere risolto in tre diverse maniere.
1) Si può trasferire sin dall'asta iniziale il controllo dell'impresa. Tuttavia, ciò riduce i vantaggi del frazionamento della vendita e, per un'impresa di ampie dimensioni, tale strategia potrebbe risultare di difficile attuazione.
2) Può essere ridotto il pericolo intercorrente tra la prima asta e le successive offerte a prezzo fisso, al fine di ridurre l'incertezza per gli acquirenti. Tale strategia è stata perseguita fino al limite estremo in Inghilterra, con il sistema bookbuilt-simultaneous, in cui le due operazioni avvenivano contemporaneamente e il prezzo dell'offerta al pubblico era determinato in base al prezzo di aggiudicazione dell'asta. L'inconveniente di questa tecnica è costituito dall'eccessiva pressione che potrebbe essere esercitata sul mercato azionario effettuando in tempi ravvicinati le diverse operazioni - nel caso di simultaneità, come nel sistema bookbuilt, il risparmiatore incorrerebbe in un'incertezza sul prezzo dell'acquisto.
3) Il governo potrebbe vincolarsi normativamente o contrattualmente al rispetto del programma annunciato. Ad esempio, in caso di mancato rispetto delle condizioni annunciate potrebbe essere prevista, per gli acquirenti che ne facessero richiesta, la restituzione delle somme investite, più una penale pari al tasso Bot maggiorato del K per cento. Questa soluzione potrebbe consentire la necessaria flessibilità nell'individuazione dei timing con cui effettuare le operazioni successive, al fine di cogliere le opportunità offerte da momenti favorevoli del mercato azionario.
Le operazioni di vendita dei titoli azionari delle imprese pubbliche richiedono la partecipazione di intermediari che, su incarico del governo, prestino l'assistenza necessaria all'operazione. Tra i servizi forniti riveste particolare rilievo quello di underwriting, in base al 'quale l'intermediario si impegna a intervenire in caso di collocamento parziale, acquistando in proprio i titoli invenduti. La prestazione di questo servizio è solitamente giustificata dal cosiddetto risk-sharing, ovvero dal desiderio dell'emittente di trasferire il rischio di un insuccesso dell'operazione dai suoi azionisti alle istituzioni che intervengono quali garanti. Per le operazioni di privatizzazione tale funzione può apparire poco rilevante, poiché il rischio di un eventuale insuccesso dell'operazione di collocamento sarebbe già ripartito su tutti i cittadini attraverso il sistema fiscale. Alcuni autori (Vickers e Yarrow nel 1988, Mayer e Meadowcroft ancora prima, nel 1985) hanno pertanto sostenuto l'inutilità del servizio di underwriting in occasione delle privatizzazioni, e quindi l'ingiustificatezza delle spese sostenute per la sua prestazione.
Tale indicazione non tiene tuttavia conto dell'importanza dell'impegno assunto dall'intermediario al fine di garantire la congruità del valore dei titoli offerti: la valutazione espressa da un intermediario che goda di elevata reputazione e che si impegni ad acquistare al prezzo proposto i titoli invenduti fornisce un segnale di grande importanza per gli investitori. Ciò risulta tanto più vero per le compravendite da effettuare sui mercati internazionali, dove maggiore è l'esigenza di "segnalare" la credibilità della proposta: poiché il rapporto di fiducia Stato-cittadino è assente o è meno cogente nei confronti dei risparmiatori esteri, il governo potrebbe avere un maggiore incentivo a tentare di sopravvalutare i beni; analogamente a quanto avvenuto in Francia, per le offerte da operare sui mercati internazionali sarebbe preferibile che il consorzio di collocamento comprendesse intermediari operanti nel Paese destinatario dell'offerta.
Nelle offerte pubbliche i vantaggi derivanti dalla garanzia offerta dagli underwriters consentono di ridurre in misura significativa il costo sopportato dall'emittente per l'underpricing. In base ai risultati di Carter e Manaster (1990), sul mercato statunitense, nelle offerte pubbliche garantite da istituzioni con la più elevata reputazione, è stato registrato un discount tra il prezzo di emissione e la successiva quotazione di borsa pari a un quarto di quello rilevato in occasione di offerte garantite da intermediari di minore solidità e reputazione.
Qualora le vendite fossero effettuate con la prestazione di garanzia di collocamento, occorre considerare l'insorgere di conflitti d'interesse tra l'emittente e gli underwriters. Infatti, se assumono l'impegno a sottoscrivere il quantitativo rimasto invenduto, gli intermediari hanno l'incentivo a sottovalutare i titoli nel caso di offerte a prezzo fisso o a non formulare offerte in caso di vendita all'asta, al fine di contenere il prezzo di aggiudicazione; in questo secondo caso, qualora il peso degli underwriters tra i potenziali investitori risultasse rilevante, il loro comportamento potrebbe determinare l'insuccesso dell'asta.


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