§ Dalla "Grande Mela"

Terroni a 24 carati




Ada Provenzano, Tonino Caputo, Gianfranco Langatta
Collab. Flavio Albini, Bruno Cordero, Carlo Mastria, Giorgia Cordier



Accadde sessant'anni fa. Un italiano, emigrato dalla Puglia, fu nominato alla carica di sindaco di New York.
Proprio come oggi: sulla più importante poltrona di Stato, proprio nella "Grande Mela", da tempo siede un formidabile "terrone", Mario Cuomo, meridionale per li rami.
Esattamente come Fiorello La Guardia: primo, consistente e storico esempio del successo politico di un emigrato, e per questo motivo inossidabile punto di riferimento per la maggior parte degli undici americani su cento che vantano origini italiane e in primis meridionali.
Nella percentuale rientrano a pieno titolo Thomas Menino, sindaco della coltissima Boston, e altri quattro italo-americani, tutti consiglieri comunali in rappresentanza di una non proprio piccola Italia locale. Anzi: la "Little Italy" che resta nel "North End" di Boston è da decenni ritenuta seconda soltanto a quella della parte bassa di Manhattan, in una classifica che comprende gli insediamenti storici di Chicago, San Francisco, St. Louis, Cleveland.
Fiorello La Guardia è sinonimo di una lunga crociata contro il malaffare nei "Palazzi" americani, per via della praticata dichiarazione di guerra agli intrallazzatori: "Signori della tangente, distruggerò il vostro impero". Una vita da grande romanzo. Sin dai giorni lontani in cui giocava, bambino felice, nella piccola casa al Greenwich Village, quando suo padre, Achille La Guardia, maestro di corno che aveva messo piede per la prima volta negli Stati Uniti come accompagnatore di Adelina Patti, divina signora del bel canto, di casa molto spesso al San Carlo e alla Scala, rifiutò il minestrone preparato dalla moglie, la triestina Irene Luzzato Coen.
Non era credenziale da poco, per La Guardia padre, aver fatto parte del "giro della Patti", il gruppo che di volta in volta, cioè, si formava intorno alla celeberrima cantante che viaggiava a duemila dollari a concerto, pagamento prima di metter piede sul palcoscenico, come si usava e con ogni probabilità ancora si usa per le ultime feste di piazza nel Sud.
Il maestro La Guardia non aveva voglia di mangiare perché aveva intanto fatto indigestione di veleno leggendo sul New York Times, già allora autorevole, un durissimo attacco agli immigrati. Gli italiani non sono una categoria di emigranti che possiamo accogliere senza correre rischi. Per vita di clan, attaccamento alla loro lingua, al loro modo di vivere, alle abitudini del paese d'origine, immigrati italiani e cinesi sono alla pari, per quanto i discussi portatori del codino siano molto più puliti in casa e nella persona. Ma il cinese - continuava l'articolista, anonimo ma esplicitamente xenofobo - raramente dà grattacapi alla polizia e ai tribunali, mentre è noto che non c'è, tra i forestieri con i qua i abbiamo a che fare, gente che più degli italiani prenda a coltellate e ammazzi alla minima provocazione".
Eppure, papà La Guardia non poteva certamente identificarsi con i già attivi manovali della "Mano Nera"; tanto meno con quelle migliaia di ex "sardelle" arrivate con la prima ondata di emigranti a partire dal 1880, rappresentanti in avanscoperta di milioni di cercafatica che, da tutte le parti della penisola, ma soprattutto dalle regioni meridionali, arriveranno fino a tutto il 1924 negli States. Però il già poliglotta maestro di corno, che aveva scelto l'avventura americana decidendo di abbandonare la natia Cerignola e i poderi di famiglia coltivati a grano e il ruolo di solista nella banda della stia città in Capitanata, si sentì ugualmente offeso a morte.
Dal momento dell'arrivo a New York, infatti, si era adattato anche a lavori umili, ma sempre si era fatto sostenere da una grande dignità, in attesa di vincere, senza dover ricorrere a raccomandazioni da parte della "Mano Nera", il concorso pubblico per direttore di bande militari che lo porterà a Prescott, in Arizona, e poi a Tampa, in Florida. Qui, dopo anni di vita grama, potrà garantire alla famiglia (moglie e tre figli; Fiorello era il secondogenito) un'esistenza di tutto decoro.
Il futuro primo cittadino della "Grande Mela" - sarà eletto quale candidato di una "Fusion" indipendente e progressista con il simbolo repubblicano - diventa adolescente sentendo sulla pelle le difficoltà riservate agli immigrati, i "non eletti" di un'America puritana, e i ricordi di qualche esperienza annoterà in un diario mai pubblicato. Come questa, datata Prescott, la cittadina nella quale un giorno arrivò un suonatore d'organetto che faceva il suo teatro di strada con l'accompagnamento di una scimmia ballerina.
"L'organetto a manovella, ma soprattutto la scimmia - ricordava La Guardia - richiamarono gran folla. Sento ancora le grida dei ragazzi: "Un dago con la scimmia! Ehi, Fiorello, anche tu sei un dago, dove sta la tua scimmia? Faceva male come una ferita, quella domanda. A peggiorare le cose arrivò papà e cominciò a parlare in napoletano con il suonatore d'organetto. Non aveva parlato la sua lingua per tanto tempo e sembrava prenderci gusto. Forse considerava il suonatore d'organetto suo collega in arte. Sta di fatto che lo invitò subito a casa per un pranzo a base di maccaroni. I compagni mi presero in giro per molto tempo. Non riuscivo a capire perché. Che differenza c'era fra di noi? Molte delle loro famiglie erano arrivate in America dopo la mia".
Quando, nel 1916, Fiorello La Guardia venne eletto alla "House of Representatives", dove rimarrà per quattordici anni, si presentò orgogliosamente come "il rappresentante dei cafoni" ed esibì a voce e per iscritto il vanto d'essere italiano, incominciando con il denunciare il pregiudizio razziale, fondamento della legge sull'immigrazione. Lode ai "maccaroni", alla pizza, alla canzone napoletana e all'inimitabile suo grande amico Enrico Caruso, "Little Flower", come lo chiamavano gli americani ad origine controllata, traducendo alla lettera il suo nome, mostrò anche le mascelle, soprattutto contro il prepotente bossismo dei gruppi irlandesi.
Non lo aiutava apparentemente il fisico, essendo basso e tarchiato, ma aveva i titoli più autentici per presentarsi da leader: l'esperienza di giornalista iniziata all'età di sedici anni alla scuola del già mitico Joseph Pulitzer al Dispatch, quella di addetto consolare a Fiume a vent'anni, la laurea in legge dopo gli studi serali e le mille battaglie da avvocato dei diseredati. E lo aiutava la conoscenza di New York, come l'aveva maturata soprattutto lavorando a Ellis Island, l'isoletta-parcheggio per la quarantena degli emigrati, carne da macello, i grattacieli visti da un luogo di dolore, così imponenti, apparentemente vicini, e in realtà "lontani", e per alcuni irraggiungibili.
"Si definiva un progressista indipendente - scrive Gigi Speroni, che ha pubblicato un'informata bibliografia, Fiorello La Guardia, il più grande italiano d'America - ma c'era chi cercava di dipingerlo come un bolscevico, senza avvertire che i suoi sostenitori valutavano l'uomo e non le etichette che gli venivano affibbiate. E La Guardia, nella società degli intrighi e del profitto, conduceva una vita assolutamente trasparente, mostrava indifferenza al denaro e si schierava sempre dalla parte dei deboli e dei meno abbienti. Perché non avrebbero dovuto votarlo?
Scomodo per repubblicani e per democratici, sempre e soltanto, dunque, dalla parte di chi aveva bisogno: nel giornalismo, in diplomazia, nell'avvocatura, al Congresso, e infine nei dodici anni da sindaco, primato inattaccabile anche per durata, non soltanto per la decisione e per la qualità delle battaglie contro tangenti elette a sistema, voto di scambio, collusioni organizzate dalle centrali politiche e finanziarie della mafia per occupare la pubblica amministrazione.
Per identificare "fisicamente" La Guardia basta riferirsi all'attore Tom Bosley il quale, proprio perché ritenuto molto somigliante all'ex sindaco, fu chiamato nel dicembre del 1959, dodici anni dopo la morte del sindaco italiano, al ruolo di protagonista del musical "Fiorello", destinato a rimanere in scena per tre anni, primo spettacolo interamente dedicato da Broadway ad un uomo politico. Diceva il ritornello che il coro dei sostenitori di La Guardia cantava nel musical:

Le mie ore di riposo sono brevi
da quando mi batto per quest'uomo
dalla parte degli angeli.
Ma sempre più amici, amici, amici
accorrono per aiutarlo
armati delle loro scope
per ripulire questa città.

Fiore o aveva portato avanti la sua crociata per pulire la "Grande Mela" dal malaffare mirando di volta in volta verso obiettivi precisi, mai sparando nel mucchio con armi cariche di demagogia e retorica, come avevano fatto altri uomini politici, attaccando - invece - con l'uso costante di un linguaggio sempre chiaro, proprio alla portata di tutti. Come negli anni delle sue popolari trasmissioni radiofoniche che costituivano uno strumento di informazione ai cittadini sull'operato del "Palazzo".
"Abbiamo fatto pulizia di tutti i parassiti, di tutta la feccia che aveva ridotto questa città in condizioni igieniche insostenibili.
Affacciatevi alla finestra e guardate le strade ben ripulite: vi ricordate come erano prima?", disse nel suo primo rapporto radiofonico ai newyorkesi, cento giorni dopo la prima elezione a sindaco.
Lo accusavano di esibizionismo, perché gli piaceva stare da "vedette" su un palco davanti a migliaia di persone, magari per improvvisarsi direttore d'orchestra o solista di corno o interprete baritonale di arie napoletane. Ma "Time" lo assolverà da questo peccato veniale quando scriverà: "In trentadue anni di attività Fiorello La Guardia era stato descritto come un grande liberale e un oculato amministratore. Ma la gente di New York lo aveva sempre considerato, più che una forza politica, una vera e propria esplosione di movimento, di energia rumorosa e stranamente confortante, alla quale ormai tutti si erano abituati come al rumore della metropolitana e al clacson dei taxi".
La sua voce arrivò sulle onde corte anche in Italia nell'immediato dopoguerra, e l'opera a favore dei suoi connazionali, come direttore generale dell'UNRRA, fu apprezzata soprattutto perché veniva dall'uomo che aveva conservato la fierezza delle origini pugliesi, di radici che lo rendevano orgoglioso.
La sua morte per cancro, alle otto del mattino di sabato 20 settembre del 1947, fu annunziata dai quattro rintocchi della campana dei vigili del fuoco di New York.
Allora accadde un fatto straordinario: le sirene accolsero il segnale, quelle delle ambulanze, i clacson dei taxi e infine delle auto. Un concerto assordante, incredibile, lamentoso. E gli abitanti della "Grande Mela" seppero, prima ancora di ascoltare la radio, o di leggere i titoli sui quotidiani.
Se n'era andato per sempre "un uomo incorruttibile come il sole", disse Harry Truman. E Alcide De Gasperi, che lo aveva conosciuto personalmente e lo apprezzava anche come combattente sul fronte italiano nelle due guerre mondiali, lo ricordò con un messaggio: "Gli italiani si inchinano alla memoria del combattente, del politico, ma soprattutto dell'uomo dal cuore generoso e forte".
Noi italiani faremo in tempo a recuperare l'antica lezione del figlio del suonatore di corno contro le tangenti? Il pugliese La Guardia potrà diventare un punto di riferimento? Ci darà ancora oggi un contributo, non archeologico, alla riflessione?

Da Lower East Side mosaico di etnie

"Loisaida", nella lingua creola degli ispanici di New York, sta per "Lower East Side": come rileva Francesco Durante, indica uno "dei quartieri di Manhattan più ricchi di storia, di tradizioni, di personaggi. Un quartiere che, come un grande teatro, ha messo in scena negli ultimi cento anni la grande rappresentazione dell'America benigna e democratica, l'America che dava ospitalità a tutti i reietti del Vecchio Mondo, liberandoli dalle catene del pregiudizio, della casta, dello sfruttamento".
Il Lower East Side è il luogo privilegiato del "melting pot", il grande crogiolo delle razze dal quale sarebbe nata una nuova nazione.
L'America di oggi contraddice vistosamente questo mito. Eppure, quella del melting pot è rimasta fino a poco tempo fa una delle idee fondanti, uno dei motori della storia e dell'ideologia americane. Qui, in questo quartiere, milioni di emigranti dall'Europa, dall'Asia, dall'America Latina, hanno eretto le loro cittadelle originarie. E' come se proprio qui avessero pagato il dazio obbligatorio della loro futura assimilazione. Qualche cosa del loro passaggio è rimasto, destinato tuttavia a scomparire lentamente per fare Posto ai segni tangibili di nuove razze C culture.
Oggi la vecchia Little Italy cresciuta a macchia d'olio tra i due secoli è ridotta a una pittoresca sfilata di insegne e di vetrine lungo Mulberry Street: negozi di imbarazzante arredamento che si chiamano "Rome Furniture" o "Milan Furniture", ristoranti dedicati a Napoli e a Palermo, botteghe di souvenir dove ti stampano lì per lì la t-shirt con la tua foto sopra e la dicitura "Honorary Cugino", o dove ti vendono oggetti "tipici" con la scritta "Mulberry Street, la strada di Amore".
Cannoli e "linguini" continuano ad attirare una variopinta clientela. Da queste parti pranzava Marlon Brando, irresistibile parodista di se stesso nel film "The Freshman". Qui, due o tre anni or sono, il romanziere Nelson De Mille ha ambientato alcune delle scene più memorabili del suo romanzo The Gold Coast, centrato sulla figura di un grande "Don", Frankie Bellarosa: personaggio d'invenzione, certamente, ma tanto simile all'autentico John Gotti (della "famiglia" dei Gambino), l'elegantone che pure, prima di beccarsi l'ergastolo, bazzicava il quartiere.
Malgrado queste strenue, cocciute persistenze, Little Italy si è però disintegrata. Meglio cercarla altrove, a Brooklyn, nel Queens, nel North End di Boston, in quella sterminata periferia che, varcato il fiume Hudson, incomincia dal New Jersey e ha termine sulla costa del Pacifico. Qui, nel Lower East Side, anch'essi premuti da più parti dal fenomeno di un mercato immobiliare che ha bisogno di continue "bonifiche", resistono assai meglio i cinesi. Basta andare a Canal Street per trovarsi di colpo in Estremo Oriente: una fiumana di gente, e persino le cabine telefoniche hanno il tettuccio a pagoda. A Orchard Street, invece, domina ancora l'elemento ebraico: negozietti d'abbigliamento, di calzature, di articoli elettronici, presidiati da austeri signori vestiti di nero, tutti uguali, tutti più o meno osservanti, i cui avi vennero qui dai ghetti dell'Europa orientale e balcanica.
C'è poi il vivissimo elemento afro-americano, e c'è quello ispanico: portoricano, soprattutto. E c'è questo attivismo frenetico in tutti i campi di una creatività spesso di strada, radicale, "politica", alternativa. Piccole gallerie d'arte, teatri del circuito off, bar che diventano centri d'incontro. "Loisaida" conserva ancora oggi il fascino multietnico che aveva nel periodo eroico: quando la povera gente si stipava negli enormi caseggiati chiamati "tenements"; quando le donne andavano a fare il lavoro nero negli "sweatshops", i capannoni dove per l'appunto "si sudava" a confezionare abiti o fiori finti; quando anarchici e socialisti ordivano le loro trame sovversive contro l'amministrazione di Woodrow Wilson o quando, ancor prima, il futuro presidente Theodor Roosevelt faceva i suoi giri notturni nelle strade di quell'inferno dei vivi per cercare di capirne i problemi in compagnia di Jacob Riis, il giornalista che per primo documentò tutto questo e fece vedere agli americani How the Other Half Lives, come cioè, giusta il titolo del suo libro più famoso, vive l'altra metà, aprendo la via a un'intera stagione letteraria, quella che va dalle inchieste dei giornalisti "muckrackers" come Hutchins Hapgood e Lincoln, Steffens fino ai romanzi sociali di tanti autori come Upton Sinclair (il cui nome è peraltro legato agli scenari inquietanti della sanguinolenta "Packingtown", la "Porcopoli" dagli immensi mattatoi: Chicago).
Al tempo in cui comincia la leggenda del Lower East Side, come ricorda Mario Maffi, che questo quartiere ha studiato in modo esemplare, gli italiani erano ancora i "dagoes", i "wop", i "grease balls", i "ginzoes" e le altre mille caricature disegnate dalla mentalità "nativista" dei buoni bianchi, anglosassoni, protestanti. Li si raffigurava armati di coltello, puzzolenti di aglio, vestiti in abiti primitivi, provvisti dell'immancabile "bandana", intenti a lucidare scarpe o a far ballare una scimmia al suono dell'organetto di Barberia. Erano i tempi della "Mano Nera" contro la quale si batteva Joe Petrosino e sulle gesta della quale campava tutta una letteratura "etnica", il cui maggior rappresentante emblematico fu Bernardino Ciambelli, autore di epici "dime novels", romanzi venduti a dispense da dieci centesimi, dai titoli eloquenti, come I misteri di Mulberry Street.
Erano venuti dalle province dell'osso appenninico: dopo i tedeschi, dopo gli irlandesi che li consideravano diabolici mangiapreti, e più o meno insieme con gli ebrei e poco prima dei cinesi: per non parlare di tutte le altre etnie dell'Europa sud-orientale che, come del resto gli italiani, per lungo tempo non vennero ascritte alla razza bianca. All'inizio, il loro fu un universo eminentemente maschile: "uccelli di passo", venivano per raggranellare qualche piccola fortuna e per far ritorno al paese.
Con gli anni, fecero venire anche le famiglie, e spezzarono il cordone che li legava alla madrepatria. Era l'atto di nascita di un mondo e di una cultura: quella di una piccola Italia "coloniale" dotata di tipi, tradizioni, mentalità, persino di una lingua, proprie. Un tesoro culturale che l'Italia ufficiale continua colpevolmente a conoscere troppo poco. E proprio grazie a quella cultura che per troppo tempo è stata liquidata come retrograda, raccogliticcia, improvvisata, quei "cafoni" fecero il loro ingresso nella Storia, in quel privilegio che nella loro amata terra d'origine non avevano potuto mai esplorare. Una delle più vitali espressioni di quella cultura fu il teatro, che ebbe in Eduardo Migliaccio, in arte "Farfariello" (Cava de' Tirreni 1880 - New York 1946), uno dei suoi campioni. Migliaccio debuttò nel 1897 al "Villa Vittorio Emanuele", café chantant di Mulberry Street. Le sue "Neapolitan Machiette" occupano tiri posto di primo piano nella memoria dell'Italia "coloniale", costituendo la più veridica raffigurazione di un tipo caratteristico: il "cafone" alle prese con la vita della metropoli.
Dal repertorio di Migliaccio, autore geniale che fece propria la lezione di Maldacea, ravvivandola con originalissimi contributi propri (fra l'altro, con una musica che aggiornava la tradizione partenopea al gusto del ragtime e del jazz) riportiamo nelle pagine seguenti alcuni testi che ci sembrano illuminanti.

 

'O CAFONE C' 'A SCIAMMERIA 1

Me piace questa terra americana,
Perché qua siamo tutte quante eguale
E il presidente m'hadda da' la mano,
A me come la da' al frato carnale.

Mo che saccio ll'America
Nun tengo cchiu' crianza,
Ammarcio col principio,
Niscíuno è meglio 'e me,
Si tu si nnato principe
O tu si scenziato.
Io tengo la sciammeria
E songo o stesso 'e n'ato.
Dezze bicos Francì. Mi laiche dis contrì.
(1)

A lu paese mio pe fa ll'ammore,
Te 'a mettere il cortiello nella sacca
O lu pate o lu frate per ll'onnore
La monta de lu naso te ll'ammacca.

Ma qua ll'ammore è olrraite (2),
Overamente è bello,
Il padre penza 'e dollare,
Il frate penza 'e ghelle
(3),
Perciò la strada è libera,
Aperta so' li porte.
La chiamme: Come daune
(4)
T'a pigli e te la puorte.
Dezze bicos Francì.
Mi laiche dis contrì.

Si tu te nzure dalli parte noste,
Passe li guai e nun ce fai cchiu' niente,
Quell'è e quell'è cumpa', care te costa,
O fosse ollraite o fosse malamente.

Ma qua dentro all'America,
Si nun te pare bbona,
Scasse lu matremmonio
E te la vai a cagnà,
Dice: misto noi laiche
(5)
Fai na carta mbollata,
E quello lesto il sinneco,
Te ne prepara n'ata.
Dezze bicos Francì.
Mi laiche dis contri.

Io sento sempre dì che un taliano,
Scoprì sta terra qua ma nun è overo
Cristofano fu il primo crestiano
Che la piglio'. Fu il primo passaggiero.

Ma si ho parlato proprio,
c'uno c' 'o ssape e dice,
Che un tale 'e coppa il bronchese
(6)
Trovò sta terra qua,
Te pare che in America
ca sanno il bisinisso
(7),
quello po' ti facevano
scoprì sta terra a isso?...
Dezze bicos Francì.
E' comme te dich'i'.

E la stagione vai a Cunailando (8)
Lu paraviso. Quante belli ccose
Il lupo il lupo. Dentro il drimilando
(9)
Li vvide cietri ccose curiose.

Li specchie te ncuieteno
Mannaggia e che resate
Li scale che t'abballano,
La rota fa accussì.
Che mbruoglie. Uommene e femmene
Chi allucca, chi te votta
S'abbracciano, se vasano
Oscuro sotto 'a grotta.
Dezze bicos Francì.


NOTE
1) Sta per "That's because (la forma corretta sarebbe "That's why"), Francis, me (correttemente "I") like this country", cioè: Ecco perché, Francis, amo questo paese.
2) "All right".
3) "Girls".
4) "Come down", scendi.
5) "Mister, I don't like her": Signore, non mi piace.
6) "Bronx".
7) "Business".
8) "Coney Island", il parco dei divertimenti di New York.
9) "Dream Land", letteralmente "Terra dei sogni": una delle attrazioni di Coney Island.


Pazzy 'O Pazzariello 2

Da che stongo in America
io perdo la ragione
nun me fa cchiu' 'mpressione
qualunque cosa cchiu'.
Ma chisto è 'o munno 'a smerza
ma chesta è 'a pazzaria,
i cca' parola mia
me spasso comm'a cche'.

Riro comme 'a nu pazzo
Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah!
si veco nu palazzo
Ah!...
Ncielo la ferrovia
Ah!...
Ma chesta è 'a pazzaria
Ah!...

Saccio che a questa terra
cagna mestiere 'a gente,
come si fosse niente
tutto se mette a ffa.
Si si' n'accida cane
ti miette a ffa 'o duttore,
si si' fravecatore
faie 'o ncigniere cca'.

E mare chi nc'ancappa
Ah!...
Ll'ommo 'e talento zappa
Ah!...
E chi adda zappa'
Ah!...
Fa 'o prufessore cca'.

Dicette un avvocato
ca tu nun saie la legge,
te mannano a la seggia
sta accorto a nun manca'.
Si dentro qualche carro
sputasse sulamente
qualunque presirente
nun te facesse ascì.

E po s'accrasta 'a gente
Ah!...
nisciuno dice niente
Ah!...
Vide cierta gentaccia
Ah!...
Ca tu 'e sputasse 'nfaccia
Ah!...

Quanno sposò Matteo
na ghella americana
(1),
invece 'e na taliana
come faceva o blof,
'O primo juorno avette
nu faite 'ncopp'o naso
(2),
Quanno fu persuaso
'e n'ato fatto po!...

cercaie 'o sciuglimento
Ah! Ah!
Denne 'o mantenimento
(3)
Ah! Ah!
Mo chella cu nu 'ngrese...
Ah...
E isso pav'e spese
Ah...

Come arrivate 'America
all'uocchie vuoste appare
mpustate miez'o mare
'a statua 'a libertà!...
Segno c'ognuno è libero!
Tu faie bona azione,
Chillo fa 'o mascalzone,
Può fa chello che vuo'!

Pecche' e' fri contri (4)
Ah! Ah!
Stenno, capisce mi?
(5)
Ah!
Tu fri contrì 'a me,
Ah!
Io fri contri 'a tte
Ah! Ah!


NOTE
1) Una "girl".
2) "Fight", fare a botte e, per estensione, una botta.
3) "Then" (poi).
4) "Free country", nazione libera.
5) "Do you understand me?".


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