§ Il corsivo

Per non morire ancora di mafia




A. B.



Il "palazzo dei veleni" di Palermo è ancora tale? Le discordie interne, le guerriglie tra magistrati, le fughe di notizie pilotate, le lettere anonime, i documenti informativi fanno ancora parte delle partite di giro" della Procura della Repubblica del capoluogo siciliano? Pare di no. L'arrivo di un procuratore-capo piemontese, in prima linea lungo tutta la storia del terrorismo italiano sembra aver portato aria nuova in un ambiente giudiziario nel quale, fino a poco tempo fa, oltre che torbide, le acque parevano mefitiche. Giancarlo Caselli ha fatto un discorso molto lineare: ciascuno agirà - e sarà giudicato - sulla base delle capacità professionali e delle competenze specifiche; tutti gli snodi delle inchieste saranno controllati dal procuratore-capo; chi non ci sta, sarà estromesso. Nei rapporti conseguenti, massima comunicazione interna, massima riservatezza con l'esterno, stampa compresa. Insomma, patti chiari, collaborazione lunga. Niente sbandieramenti di appartenenza, niente schieramenti ideologici, niente aggregazioni di parte. E' nato un pool quale lo sognava, e non riuscì mai ad ottenerlo, la coppia Falcone-Borsellino, che lo vide sciolto d'ufficio appena messo su, e che si impantanò in una palude mortale quando venne discretamente rimesso in piedi: fino alle tragedie di cui i due protagonisti furono vittime.
Ora sono i giorni delle carte riemerse, delle inchieste tornate alla luce del sole, degli avvisi di garanzia che puntano in alto, degli omissis allegati come completamento di informazione al Parlamento e dei pentiti che parlano senza più reticenze. E qui sta il nocciolo di tutte le questioni e di tutte le polemiche insorte negli ultimi tempi. I pentiti, i "collaboranti", come con un brutto neologismo sono definiti, sono credibili in tutto e per tutto, oppure no? Sono manovrati oppure no? Obbediscono a un progetto della mafia oppure dei servizi - italiani o stranieri -o vanno creduti fino in fondo?
I collaboranti si dividono in tre categorie: quelli storici, quelli affidabili, quelli da prendere in considerazione con cautela. Buscetta è ritenuto a buon diritto un collaborante storico: affidò a Falcone una serie di rivelazioni attendibili, che vennero verificate, che portarono a retate e a processi di grande caratura. Ma rifiutò di parlare del cosiddetto "terzo livello" perché, disse, i tempi non erano maturi. O meglio: ne parlò, ma a patto che nulla venisse verbalizzato o registrato. A Falcone non rimase che prenderne atto. Ascoltò, senza scrivere una sola pagina. Cambiati - o maturati - i tempi, Buscetta ha parlato a tutto campo. Ma, si nota negli ambienti interessati, gli è stato contemporaneamente triplicato il "mensile di protezione". Undicimila dollari, quanti non ne prende neanche un magistrato. E' strano? Non lo è? Chi vivrà vedrà.
Tra gli affidabili ci sono le ultime leve: i Mutolo, i Messina, i Samperi, i quali con le loro confessioni hanno riempito migliaia di pagine di verbali, ricostruendo gli organigrammi mafiosi nelle varie province siciliane e svelando non pochi misteri della drammatica cronaca isolana e italiana, dal caso De Mauro al caso Andò. Non è che le loro rivelazioni siano prive di contraddizioni. Intanto, nella maggior parte dei casi, hanno "sentito" o "appreso", e solo poche volte hanno "visto" o erano "presenti". Per altri versi, anche quel che raccontano senza peraltro essere stati in contatto tra di loro, generalmente coincide. Ma non è chi non veda necessità e urgenza delle verifiche delle loro verità, se non altro per allontanare il sospetto di manovre coordinate da chi potrebbe averne interesse. Emblematico il caso del "bacio" di Andreotti, che semmai fa parte di un racconto "spettacolare", più che reale, e che se negato dai fatti rischia di rendere non credibile l'intera architettura delle confessioni dei collaboranti.
Infine, gli inaffidabili, almeno al novanta per cento: e sono coloro i quali hanno ritrattato, o si sono palesemente contraddetti, o addirittura sono stati incriminati per, falsa testimonianza. Secondo alcuni magistrati, costoro appartengono in buona parte al nuovo gruppo mafioso nato in Sicilia, la Stidda, cioè la mafia parallela formata da gruppi di banditismo urbano alleati con le famiglie mafiose che non fanno parte di Cosa Nostra, o ne sono state cacciate, o non hanno mai voluto entrarvi: perché la Stidda nasce come reazione allo strapotere di Cosa Nostra e dei corleonesi e si è sviluppata non a caso nelle province di Agrigento e di Caltanissetta, mentre non è riuscita a mettere radici nelle aree a più alta densità mafiosa controllate dai boss storici di Cosa Nostra.
Ora, i collaboranti - storici e affidabili - sono anche alle prese con nuove confessioni, che non riguardano solo la ricostruzione degli omicidi eccellenti o i favori di scambio - pacchetti di voti contro impunità e mano libera nelle regioni a rischio - ma anche gli intrecci nazionali e internazionali tra gruppi criminali. Il quadro che emerge è credibile: l'internazionalizzazione della criminalità nel nostro Paese è un fenomeno che si spiega solo in parte con l'immigrazione extracomunitaria. Al Nord, ad esempio, si manifesta nel traffico delle droghe leggere e dell'eroina, che non è più soltanto in mano a Cosa Nostra siciliana, ma anche a bande di turchi, di libanesi e di siriani: gente decisa a tutto, economicamente potente, che opera in assoluta indipendenza dalle cosche siciliane.
Particolarmente attivo questo tipo di criminalità a Torino e Milano, mentre lungo l'asse Napoli-Bari. Sta per prendere piede, e lungo l'asse Foggia-Lecce sta per consolidarsi, per ora in collaborazione con elementi della camorra e della 'ndrangheta. Uso della violenza e capacità di controllo del territorio sono il cocktail esplosivo che si preannuncia per l'immediato futuro.
In altre parole, come confermano i collaboranti, i gruppi mafiosi corrono ai ripari: mentre la magistratura tronca i fili che collegavano affarismo politico e affarismo mafioso e mette in galera chi ne ha usato e abusato, il nuovo gangsterismo decolla con mezzi propri, autonomi, forte delle ricchezze accumulate e delle difficoltà istituzionali ad esplorare il contorto mondo del riciclaggio.
Il pentitissimo autista e pupillo di Totò Riina rivela che il nullatenente boss dei boss è arcimiliardario e gli altri collaboranti confermano che le dichiarazioni dei redditi di centinaia di mafiosi sono false; la Guardia di Finanza accerta e sequestra beni per cifre enormi, che nessuno osa acquistare, se vuole salva la vita; quei beni rischiano di tornare a chi li ha posseduti prima delle rivelazioni: si rischia di girare a vuoto e di non venire a capo di nulla, se non si accertano rapidamente le rivelazioni, se non si verificano subito le confessioni, se non si aprono processi in tempi brevi, per evitare che giganteschi polveroni seppelliscano quanto di buono si è fatto finora e che i veleni tornino a debilitare l'organismo di una magistratura che finalmente funziona a dovere.


Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000