"Un
pò di scena" "regalata" a "chiunque"
"pensa a" "qualcuno" "come" ad un "ventaglio
di meraviglie" che "cambia colore" al "buio inutile",
"mentre tutto intorno" "cuochi ambulanti" "soffriggono"
"chips"!
Le "frasi" tra virgolette sono tratte da:
- P. CONTE, Le parole, Ed. Allemandi, Torino, 1992.
- P. CONTE, Novecento, Ed. Supermusic s.r.l./L'Alternativa s.r.l., 1992.
IL CAMBIAMENTO
L'ultimo ventennio è stato un "arco" di tempo enormemente
rappresentativo per identificare i mutamenti strutturali dell'economia
italiana, condizionata da fattori congiunturali ed accadimenti eccezionali,
"sovente" irripetibili ed in ogni caso esogeni (1).
L'intervallo, infatti, è stato caratterizzato da estesi fenomeni
di ristrutturazione industriale, mediante innovazioni sia di processo
che di prodotto, a seguito di notevoli investimenti tecnologicamente
avanzati.
La tecnologia ha reso possibile l'avvio di un processo innovativo
mirato a rendere più flessibile l'organizzazione delle imprese,
ed il fenomeno ha investito una molteplicità di aspetti che
vanno da quelli finanziari a quelli tecnici, organizzativi, comportamentali,
ed anche della consulenza.
Ciò perché le innovazioni non si distribuiscono equamente
nel tempo ma a grappoli (2), tendendo "comunque" a concentrarsi
in specifici periodi ed investendo una moltitudine di attori: l'età
(giovane-matura) e le dimensioni raggiunte (piccole-grandi) rappresentano
variabili strategiche atte ad indirizzare, nella sua "vita intensa",
lo sviluppo dell'impresa, in quanto "il tempo" in cui gli
accadimenti si verificano incide su come vengono posti, affrontati
e risolti i problemi, che spesso derivano da scelte passate, "e
se mai" da "un vecchio errore" (3).
E' così accaduto che l'uso delle risorse elettroniche, riducendo
le distanze spazio-temporali, ha rivoluzionato sia processi di produzione
che prodotti e prezzi di prodotti, determinando un gigantesco fenomeno
di sostituzione che ha interessato tutti i fattori produttivi tradizionali
(capitale, lavoro, energia, materie prime) e, correlativamente, il
mercato, quindi la domanda-offerta di servizi professionali.
Da ciò un processo di riconversione urgente e profondo, che
pur provocando tensioni ha consentito di superare quelle precedenti,
ma che ha richiesto un "modo" nuovo di interpretare il ruolo
centrale della impresa, (4) le funzioni che sono individuabili al
suo interno ed i rapporti con l'esterno che da esse derivano, tra
cui, preminenti, quelle con nuovi profili professionali.
Il progresso tecnico, insomma, uscendo dai laboratori di ricerca ed
entrando a pieno titolo nei processi produttivi, ha modificato i modelli
organizzativi e quindi le funzioni aziendali: tale mutazione ha generato
una domanda di consulenza specifica, diversa da quella tradizionale
e, consequenzialmente, una offerta di servizi consulenziali sempre
più specialistici, sempre più sofisticati, fondati sull'assunto
che è imperativo guardare "al di là della finestra"
per rinnovarsi e sopravvivere.
Storicamente si è passati così da un'impresa che, nel
corso degli anni Settanta, evidenziava una crescente rigidità
interna imposta da modifiche normative e comportamentali principalmente
nel campo delle relazioni industriali, ad una orientata alla specializzazione-flessibile
(5), che tendeva cioè a deintegrarsi per pervenire al ritorno
della piccola dimensione come effetto di una progressiva esternalizzazione
di numerose funzioni industriali.
La scelta del piccolo è bello privilegiava uno snellimento
delle strutture produttive, una più accentuata flessibilità
alle fluttuazioni delle domande e dei prezzi, l'enfatizzazione di
esigenze tecniche legate alla specializzazione produttiva ed alla
qualità, la possibilità di individuazione di strategie
commerciali volte a diversificare la produzione secondo i mercati.
Il fenomeno si è poi evoluto con la ristrutturazione produttiva,
che ha tipizzato gli anni Ottanta, e che era mirata - anche attraverso
il processo di finanziarizzazione e titolarizzazione - ad affrontare
il mercato globale, il suo "destino segnato", mercé
la contrazione dei costi di produzione ed il contestuale recupero
di efficienza.
In questa fase si è proceduto a sostituire lavoro con capitale,
attraverso processi di automazione spinta, riducendo l'indebitamento
esterno attraverso maggiore propensione all'autofinanziamento, quindi
alla interazione "appassionante" tra aspetti reali e finanziari.
La tendenza che va sotto il nome di ristrutturazione esterna (6),
ha portato al recupero del ruolo della impresa allargata che, se adeguatamente
ristrutturata, è riuscita a far emergere funzioni trasversali
(gestione strategica e orientamento al mercato, marketing, comunicazione,
qualità, controllo di gestione, finanza) che possono agevolmente
svilupparsi su dimensioni di un certo rilievo ma che sono state avvertite
come esigenze prioritarie anche dalle imprese minori.
Ovviamente ciò ha spinto verso un forte processo di internazionalizzazione,
agevolato dalla creazione del mercato interno europeo nel quale esiste
una concorrenza diversa, per affrontare la quale le imprese nazionali
non possono pensare di essere fisicamente presenti sui mercati degli
altri paesi solo come importatori od esportatori, "a cuccia",
bensì come soggetti operanti a pieno titolo in paesi diversi
ma strettamente interdipendenti.
Così impostato il problema richiede capacità di agire
responsabilmente nel nuovo quadro - "opaco e scintillante"
al tempo stesso - che emerge dalla cooperazione tra aree regolamentate,
attraverso un'unica moneta ed una comune cultura propulsiva (7), alla
quale i professionisti d'azienda non sono, e non possono, essere estranei.
Dopo il decentramento produttivo e la ristrutturazione interna, la
ristrutturazione esterna e l'internazionalizzazione appaiono quindi
essere le reazioni dell'impresa italiana al cambiamento: si tratta
di comportamenti e di intuizioni tanto più condivisibili quanto
maggiore è il nesso "dolce e infelice" tra sistema
delle imprese e sistema dei professionisti che ad esse prestano consulenza.
A tale proposito è evidente (ma vale anche il contrario) che
in un ambiente economico evoluto anche se "duro e bugiardo"
sono collocate imprese dinamiche, orientate al mercato, competitive
perché efficienti; al loro fianco esistono "professionisti"
globali che, talvolta pilotandolo e favorendolo, assecondano il loro
sviluppo senza mettere a "repentaglio" la loro "storia"
e che coadiuvano l'imprenditore nelle scelte tattiche e strategiche
in ciascuna branca in cui è scomponibile la gestione. Probabilmente
è questa la scommessa che è chiamato oggi a vincere
l'universo dei professionisti: trasformarsi da "piccioni dalle
ali bagnate" in prestatori di servizi consulenziali evoluti,
cioè sacerdoti che enfatizzano l'umanesimo della tecnologia
che connota i giorni nostri.
GESTIONE STRATEGICA
ED ORIENTAMENTO AL MERCATO
I mutamenti del mercato "teorico", così come definiti,
hanno prodotto una profonda modificazione nella struttura interna
dell'impresa, trasformando anche il modo in cui essa può essere
considerata: sempre più "spesso", infatti, l'impresa
viene definita come un insieme di "risorse" (8) materiali
ed immateriali, piuttosto che come un insieme di elementi statici.
Contestualmente le organizzazioni si sono adattate alle nuove esigenze,
anche se con "sonnolenza", determinando il passaggio della
struttura da un tipo accentrato, formale e burocratico - caratterizzato
da elevata prescrittività di compiti e standardizzazione di
mansioni e ruoli - ad un altro, in grado di rivolgersi agli interlocutori
naturali con maggiore flessibilità ed efficienza, con crescente
articolazione negli organi di staff ed apprezzabile integrazione dal
punto di vista delle relazioni interne, allo scopo di meglio gestire
i mezzi disponibili.
L'elemento più rilevante è certamente la modificazione
e la crescita della cultura aziendale: essa diviene sensibile alle
evoluzioni ed alle trasformazioni, enfatizza la professionalità,
premia i valori imprenditoriali e lo spirito di collaborazione.
A tale ultimo proposito, nella rinnovata configurazione tesa a pervenire
ad una sorta di democrazia industriale, particolare importanza viene
attribuita al ruolo del management, la cui formazione e sviluppo rappresenta
"l'intelligenza degli elettricisti", cioè la professionalità
indispensabile alla crescita delle strutture produttive nell'ambito
delle strategie delineate.
Strategia, infatti, nell'antica Grecia era termine utilizzato alternativamente
nel senso di condurre, comandare ovvero ingannare (il nemico); nell'accezione
moderna l'inganno è da considerarsi come capacità del
soggetto stratega di piegare la natura, facendole assumere o conseguire)
forme (o risultati) che, spontaneamente (o senza guida), essa ignorerebbe.
Può quindi ritenersi che strategia sia ad un tempo il culmine
della attività decisionale ed insieme il mezzo attraverso cui
vengono perseguite le finalità che consistono non tanto nella
sopravvivenza quanto nella crescita dell'impresa; evidentemente essa
è anche "un gioco d'azzardo", nel quale il giocatore
quotidianamente conduce una partita dal risultato sempre più
incerto, sempre più condizionato dal rischio d'impresa (9)
che si assomma ai rischi ordinari.
Al riguardo non bisogna però ritenere essenziale che la strategia
debba essere formalizzata ed esplicita: "talvolta" essa
l'appare e scompare e dopo riappare"; perché esistono
strategie mai codificate, implicite, intuitive, non formali le quali,
come quelle formalizzate, si avvalgono di un orientamento di fondo
fatto di idee guida, valori, coinvolgimenti ed atteggiamenti che per
loro natura non sono visibili direttamente ma solo attraverso le scelte
ed i comportamenti concreti che animano (10).
E poiché implicito non è sinonimo di inconsapevole,
deriva evidentemente che anche la strategia implicita può essere
consapevole quanto quella esplicita, con la sola differenza che "l'ultima"
è il risultato di un processo di pianificazione globale, rilevabile
specialmente in imprese di dimensioni apprezzabili, mentre la prima
è la somma delle decisioni (o delle tattiche) dei diversi settori
funzionali dell'impresa di dimensioni minori e che, proprio per questa
sua caratteristica, delega la soluzione di un "mistero"
a professionisti esterni.
Le fasi di una gestione strategica riguardano (11) infatti:
a) la focalizzazione dei problemi;
b) l'individuazione dei soggetti che influenzano lo scenario operativo
dell'azienda;
c) l'anticipazione delle linee evolutive della realtà;
d) la valutazione delle risorse disponibili per gli obiettivi prefissati;
mentre sono da ritenersi componenti della strategia:
a) il soggetto decisionale o soggetto strategico;
b) una o più finalità del soggetto strategico;
c) le risorse o mezzi disponibili;
d) un ambito di riferimento, cioè lo spazio-tempo dentro il
quale si muovono soggetti strategici ed oggetti competitivi.
Nel quadro evolutivo delineato, le caratteristiche espresse dai mercati,
specie in "un'ora molto strana", richiedono un'attenta analisi
e valutazione delle azioni strategiche che l'impresa deve porre in
essere per poter rimanere sul mercato in posizione vincente.
All'imprenditore (che non ritiene di dover restare "sempre più
solo" od al management (che rappresenta "qualcuno che pensa"),
si chiede quindi di "intuire" e di "capire" il
mercato, di conoscere i prodotti dell'azienda, di saperli vendere
con adeguate tecniche, di essere in grado di comunicare con il resto
della struttura organizzativa.
Studiare il mercato significa perciò sviluppare competenze
specifiche nella raccolta sistematica di dati quantitativi e qualitativi,
in forme e modi precisi e precodificati, significa cioè sensibilizzare
gli addetti ad interpretare correttamente i bisogni della clientela
e le mosse della concorrenza (12).
In tale ottica la centralità del cliente, che diventa centralità
ad ogni livello decisionale dell'impresa, è l'ovvio punto di
partenza per elaborare un prodotto od un servizio rispondente alle
concrete aspettative di chi lo domanda, quindi comprende le esigenze
dei consumatori per offrire ciò che essi si attendono rispetto
alle esigenze di cui sono portatori.
Parallelamente l'orientamento al mercato richiede lo sviluppo di capacità
di comunicazione interna all'organizzazione, nel senso che il patrimonio
di informazioni del singolo deve essere esteso a coloro che - con
lui, "forse" "all'ombra" - operano nell'impresa
e che, quindi, possono sfruttarlo economicamente (13); ciò
è possibile attraverso adeguati procedimenti di formazione,
mirati alla trasmissione ed all'apprendimento di competenze tecnico-operative,
ma anche per mezzo d'un idoneo sviluppo della comunicazione, intesa
"piuttosto" come processo di trasferimento di principi idonei
ad incidere sui comportamenti.
La nuova filosofia gestionale sin qui accennata ha comportato una
duplice evoluzione della struttura organizzativa, nella quale può
ben inserirsi il professionista d'impresa, colui che "spiega
alla gente cosa vuol dire...": la prima riguarda una diversa
impostazione del lavoro dei singoli che richiede di essere razionalizzato,
la seconda una diversa organizzazione del lavoro di vertice, mirato
alla individuazione soprattutto di nuove funzioni aventi come obiettivo:
- la definizione di processi di pianificazione dell'attività;
- la creazione di nuovi prodotti e servizi per la clientela;
- l'introduzione di sistemi di programmazione e controllo tarati su
profili competitivi ed in grado di misurare i risultati conseguiti
sulla base dei criteri di mercato.
Siamo dunque al cospetto di una vera e propria evoluzione genetica
che porta l'impresa - dopo aver considerato che più generalmente
la migrazione è nel senso del passaggio da Un mercato del venditore
ad un mercato del compratore - a comprendere che è essa a dover
convivere con il mercato e non viceversa, e quindi che essa deve operare
in guisa da estendere la sua azione a tutte le problematiche che,
in qualche modo, assumono il significato di orientamento al mercato
"al di là" di ogni "questione" e cioè:
- la segmentazione del mercato e la diversificazione del prodotto;
- l'utilizzo delle tecnologie informatiche;
- l'opportuna azione promozionale e di marketing sul prodotto,.
- la gestione delle risorse umane.
IL MARKETING
Secondo il più autorevole studioso della materia (14), il marketing
è l'attività umana diretta a favorire la realizzazione
degli scambi, essendo lo scambio lo strumento più idoneo -
tra soggetti che si chiedono se "qualcuno ci avrà pure
presentati" - per il soddisfacimento dei bisogni e delle esigenze
umane.
Dalla definizione emergono quattro elementi, la Cui analisi circoscrive
il campo di applicazione dell'attività individuata:
- i bisogni e le esigenze umane;
- l'oggetto idoneo al soddisfacimento dei bisogni;
- lo scambio;
- il contesto/mercato.
I bisogni, secondo la teoria economica, rappresentano "generalmente"
il punto di partenza di ogni attività umana, la molla motivazionale
ad assumere determinati comportamenti; essendo di natura diversa,
essi attengono sia al profilo istintivo e materiale che a quello razionale
dell'individuo.
Ciò implica che l'oggetto idoneo al loro soddisfacimento può
consistere sia in un bene od in un servizio che in una "idea"
od in un comportamento, ovvero "diversamente" in un mix
delle manifestazioni richiamate.
Lo scambio, invece, è lo strumento che permette il migliore
soddisfacimento dei bisogni, in alternativa ad altri che si sostanziano
nella auto-produzione, nella supplica e nella coercizione (costrizione
a fare qualcosa): ovviamente i tre strumenti alternativi hanno in
comune la mancanza dell'elemento della collaborazione per cui, implicitamente,
sono meno efficaci.
Può argomentarsi che lo scambio è nato con l'uomo, perché
le prime cose scambiate sono state le idee o forse "le proprie
delusioni", ma nella fattispecie va puntualizzato che esso è
lo strumento per il trasferimento dell'oggetto da una parte proponente
ad una accettante, e si conclude quando le parti manifestano consenso
sulle reciproche proposte. E possibile ipotizzare quali forme possono
assumere proposta e controproposta sia nel campo commerciale sia in
quello sociale.
Il consenso è quindi la prova "più intelligente"
della validità della proposta, commerciale o sociale; la sua
manifestazione richiede naturalmente una serie di azioni idonee a
far conoscere quella "più segreta" alla controparte;
ne derivano azioni di trasferimento c/o comunicazione.
L'ultimo elemento implicitamente presente nella definizione analizzata
e il contesto/mercato; la sua importanza deriva dall'influenza che
esercita sugli altri tre elementi e cioè sull'evoluzione dei
bisogni umani, sull'oggetto in grado di soddisfarli, sulle modalità
di manifestazione degli scambi.
Il contesto, comunque, non è rappresentato "soltanto"
dall'ambiente fisico ma dipende da una serie di ulteriori elementi
(concorrenza, consumatori/cittadini, intermediari, fornitori, mass-media,
legislazione, cultura, base demografica, economia del territorio,
etc.) che, per l'elevato ritmo di cambiamento, condizionano e rendono
più complesso il rapporto tra le parti - "milioni di persone"
- che tendono a realizzare lo scambio.
Da ciò la necessità di esaltare e gestire il consenso
nella maniera "più morbida": in "un'azienda"
ciò si evince "via via" constatando l'acquisto ripetuto
dei suoi prodotti o dei suoi servizi (che rappresenta l'atto finale
di una valutazione del cliente sul prodotto, sull'azienda e sull'immagine
che l'azienda complessivamente comunica), mentre il concetto può
estendersi alle organizzazioni senza fine di lucro (posto che l'esempio
oggi sia calzante, il partito politico riceve consenso con il voto,
che rappresenta l'atto finale della valutazione che il cittadino esprime
con la sua adesione) ed ai singoli (il consenso quale espressione
sociale, che consente all'individuo di autorealizzarsi).
Deriva quindi, per deduzione, la "banalità" che è
alla base della filosofia di marketing: l'ottenimento del consenso
che permette lo scambio può essere ottenuto "davvero"
se il punto iniziale nell'elaborazione della proposta/oggetto è
focalizzato sulla identificazione dei bisogni umani. Ciò significa,
consequenzialmente, che è disponibile per le aziende studiare
l'evoluzione dei bisogni espressi dal mercato e, ad essi, adeguare
la struttura dell'organizzazione, superando le difficoltà connesse
con i cambiamenti di contesto a pena della espulsione o della marginalizzazione
da e nell'ambiente specifico (15).
Una simile situazione, "mezza dolce e mezza amara", si verifica
nelle organizzazioni non imprenditoriali: gli enti pubblici preposti
alla erogazione di un servizio (comuni, ospedali, scuole), per esempio,
evidenziano "ormai" un allarmante distacco dalle esigenze
dei cittadini, mentre i partiti politici e le organizzazioni sindacali
accusano crescenti problemi di rappresentatività, talché
le loro proposte risultano non corrispondenti alle esigenze/istanze
dei cittadini. Il marketing diventa così lo strumento che tende
ad aprire l'organizzazione verso il suo contesto di riferimento, per
verificare i cambiamenti ed adeguare, aghi stessi, i comportamenti.
Nei fatti, l'"agguato di nostalgia" che si sostanzia nell'adeguamento
alle evoluzioni del mercato/contesto avviene se l'uomo (manager od
imprenditore che sia) è capace di attività di analisi
ed è disposto ad assumere comportamenti coerenti con i risultati
analizzati: allorché le risultanze evidenziano che "le
valigie" diventano sempre più "pesanti" e l'organizzazione
è in crisi "abissale", egli deve pensare che è
indispensabile motivare la struttura organizzativa, facendole rinvenire
il suo fine.
Ciò è possibile imponendole di riflettere su alcune
domande fondamentali: "chi siamo noi?". "E dove andiamo
... ? ". Qual è il settore d'affari dell'azienda? Chi
è il cliente? Cosa ha valore per lui? Come cambierà,
in futuro, il settore medesimo? (16).
A tali interrogativi, "senza un sorriso di tregua", è
possibile rispondere solo con l'applicazione delle metodologie di
marketing strategico (17), cioè attraverso un processo di analisi
e di pianificazione volto ad individuare, per il mercato di interesse
- spesso "una jungla", - tutte le variabili che lo caratterizzano
e tutte le opportunità che esso offre.
A questa prima fase di valutazione ambientale (18) occorre far seguire
una serie di comportamenti aziendali che scaturiscono dalla strategia
di marketing (19), cioè dal posizionamento che l'azienda intende
assumere nei confronti della concorrenza, avvalendosi delle sei leve
del marketing-mix (20). Cioè di variabili - "col tempo
e il vento tutto vola via" - controllabili e tra loro correlate
la cui combinazione consente all'azienda di rendere più incisiva
la penetrazione di un suo prodotto (il "caffè"),
di farlo essere più competitivo ("solo mille lire")
di realizzare un maggior volume di vendite, "da inseguire sempre".
Ed a proposito delle leve può argomentarsi quanto segue:
1) Il prodotto è l'offerta tangibile ("cosa mi dai?")
che l'impresa presenta al mercato; esso include le caratteristiche,
la confezione, la marca ed i servizi accessori. Prodotto è
tutto ciò che può essere offerto in termini di attenzione,
acquisizione, uso e consumo, in grado di soddisfare un desiderio od,
un bisogno, e può essere costituito da oggetti fisici, servizi,
persone, località, istituzioni, anche perché è
possibile "comprare un pensiero".
Il suo sviluppo passa attraverso tre livelli:
- il prodotto essenziale, forse l'"acqua", che è
la base ed il mezzo per risolvere il problema;
- il prodotto tangibile, "acqua al tamarindo", cioè
la trasformazione del precedente, con un livello di qualità,
determinate caratteristiche, linea estetica, una marca ed una confezione;
- il prodotto ampliato (21),"acqua al tamarindo" e "un
gelato al limone, con l'odore di spezie", se il produttore decide
di offrire ulteriori servizi o vantaggi.
Consegue che la nuova competizione non si attua fra ciò che
le imprese producono nei loro stabilimenti, ma fra ciò che
aggiungono ai loro prodotti sotto forma di confezione, servizio, pubblicità,
assistenza, finanziamento, termini di consegna, immagazzinamento,
e altri elementi apprezzati dal cliente (22).
2) Il prezzo, costituito dall'ammontare - "qualunque cifra, anche
una follia" - "pagato" dai clienti per poter acquistare
il prodotto. La politica di prezzo è uno strumento con il quale
l'azienda cerca di raggiungere gli obiettivi di vendita che si è
prefissati sul mercato, "il nostro mondo", cioè un
fatturato che copra "la spesa" ed una significativa quota
di mercato. I prezzi devono essere conformi alla percezione di valore
(la quale si tramuta in un atteggiamento psicologico che associa ad
un bene di prezzo elevato un alto livello qualitativo, sicché
il consumatore è formato a riconoscere ad una merce un prezzo
minimo ed uno massimo, al di sotto o al di sopra del quale non è
disposto a pagare) dei prodotti che hanno i potenziali acquirenti,
al fine di evitare di porre l'azienda "fuori margine" sul
mercato, a causa dei listini più competitivi praticati dalla
concorrenza.
Avendo la politica di prezzo un ruolo fondamentale nell'influenzare
il processo decisionale del consumatore, è importante conoscere
quali siano le variabili che portano a tali decisioni, il che è
possibile attraverso una corretta analisi di quel "mondo freddo"
che è il mercato; va però considerato che se un prezzo
è alto, deve essere ben evidente la differenziazione qualitativa
che lo caratterizza, e ciò può essere pubblicizzato
con una campagna promozionale di supporto, essendo fondamentale, in
tal senso, far percepire la differenza di qualità già
sullo stesso prodotto, sulla sua presentazione, sul suo packaging.
Appare ovvio che il raggiungimento di certi "traguardi"
economici e di "quota" di mercato è conseguenza dell'attuazione
di una valida politica mirata ad una corretta determinazione del prezzo
di vendita dei prodotti.
3) La distribuzione, che comprende tutti gli elementi sui quali l'impresa
deve operare per rendere il prodotto accessibile e disponibile per
i potenziali acquirenti. La "genialità" è
impostare "contro luce" funzioni di individuazione, selezione,
coordinamento dei vari operatori intermediari ed ausiliari di marketing,
in modo tale da rendere possibile un efficiente impatto col mercato
obiettivo dei propri prodotti e servizi: l'impresa avrà "così"
una conoscenza completa dei vari canali distributivi e del loro "modo"
di operare, in quanto le scelte di canale condizionano tutte le altre
decisioni di marketing e sono propedeutiche per il futuro sviluppo.
4) La comunicazione, considerata come l'ampio sistema di mezzi comunicazionali
disponibili, tutti aventi come fine ultimo quello di creare e sostenere
la domanda che poi le vendite sono chiamate a sfruttare.
L'intreccio di comunicazioni - tra "voci e bisbigli" - si
rivolge a diversi tipi di pubblico, sviluppando una fitta rete di
comunicazioni orali ed informali fra i diversi gruppi, per cui ogni
gruppo fornisce informazioni a tutti gli altri. Lo scopo del mix comunicazionale
("pubblicità", promozione, relazioni pubbliche, vendita
personale) è molto ampio, e richiede la pianificazione ed attuazione
di molte attività interconnesse, comprendenti (a parte vendite
e pubblicità sui media) Una molteplicità di attività
promozionali (fiere commerciali, missioni d'affari, promozioni sul
punto vendita, congressi, sponsorizzazioni ed appoggi di operazioni
culturali/artistiche, ecc.), delle quali "qualcosa rimane".
5) Le relazioni pubbliche rappresentano una strategia di attrazione,
un servizio, una "avance" a disposizione di una qualsiasi
azienda, ente, organizzazione, al fine di gestire l'immagine della
sua realtà operativa (23) comunicandone all'esterno l'aspetto
maggiormente "travolgente". L'adozione di tale strumento
operativo è la diretta conseguenza di un mutamento nelle decisioni
di acquisto di un prodotto, non più in relazione alle sue qualità
intrinseche ma per l'immagine (status symbol) che esso conferisce,
anche "nei cerchi della notte".
Questo mutamento "feroce" nelle abitudini dei consumatori
ha innescato una serie di reazioni positive il cui confluire ha determinato
l'assoluta rilevanza che l'immagine ha nelle moderne strategie aziendali,
ed in special modo in un contesto di mercato unico, di villaggio globale
i cui prodotti e servizi assumono caratteristiche del tutto simili
o in cui le differenze si basano sugli aspetti immateriali, "eterei"
L'importanza di questi ultimi viene sempre meglio percepita nel confezionamento:
la professionalità, la competenza, un rapporto più personalizzato
con gli utenti, la cortesia e l'educazione del personale preposto
("le ... attitudini perdute"), sono le armi vincenti per
l'azienda o per il professionista ("chiunque": "avrà
più di quarant'anni", "un bell'uomo", "selvaggio",
"giovane" e "audace") che affronti un mercato
sempre più competitivo.
In tale contesto l'immagine diventa un importante elemento di differenziazione
per quelle aziende che riescono a trasmettere una "regina"
e non "schiava", che si identifichi con certi valori e stili
di "vita", in grado di coinvolgere il consumatore ed influenzare
le sue scelte, "ora" e "domani".
6) I rapporti di potere (24), cioè la leva attualmente di più
difficile applicazione ed il cui utilizzo deve avvenire, come "l'amor
di un giorno", con la massima cautela ed in particolarissime
situazioni, per evitare i rischi di comportamenti aziendali "torbidi"
sia sotto il profilo etico che sociale. Si tratta, in sostanza, di
suscitare le condizioni migliori per l'accettazione di un determinato
prodotto, utilizzando gli elementi di offerta, "i piani segreti",
che vanno oltre quelli di tradizionale utilizzo. Tali azioni si rivolgono
a particolari Soggetti pubblici (partiti politici, sindacati, organi
pubblici, ecc.) il cui comportamento od opinione, anche "lieve
e superficiale", può essere in opposizione all'azione
aziendale; in tal caso scopo precipuo di tale attività è
di rimuovere i comportamenti negativi per l'azienda, rilanciandola
"molto lontano, troppo lontano" ma nel rigoroso rispetto
della legalità.
LA COMUNICAZIONE
Nell'impresa moderna la gestione delle risorse umane ha da sempre
rivestito una posizione preminente, fondata sulla considerazione che
l'"uomo" è un vero e proprio fattore produttivo (25)
in quanto sono le sue qualità a determinare il successo od
il fallimento delle iniziative economiche.
L'elemento umano infatti, se adeguatamente motivato, consente all'organizzazione
di prosperare, superando - attraverso Una cultura del cambiamento
sempre più emergente - "le vecchie novità"
rappresentate da modelli organizzativi stantii, per approdare a nuovi
contesti competitivi caratterizzati da una accentuata connotazione
di doti imprenditoriali, tutte orientate alla conquista di vantaggi
durevoli e sensibili, a discapito di ciò che si verifica in
"un mondo che si chiude" e che, "probabilmente",
è rappresentato da una tecnica superata di fare impresa.
In simile contesto il ruolo dei detentori della leadership aziendale
diviene quello "complicato" di valutatori e valorizzatori
delle risorse umane disponibili, di gestori di uomini, posto che l'esigenza
prevalente nell'impresa moderna è quella di fronteggiare l'obsolescenza
della professionalità, ben più grave di quella degli
impianti (26).
La soluzione di tale "enigma" è possibile attraverso
la gestione della comunicazione, cioè dei flussi di informazione
interni alla organizzazione aziendale (dal vertice alla base e viceversa)
ed esterni ad essa (in entrata ed in uscita da e verso l'ambiente
esterno).
La comunicazione, quindi, è come "il tempo" che fluisce
quando "tutto il resto è già poesia", una
dimensione che ogni individuo vive attraverso la serie ininterrotta
dei rapporti che lo attanagliano, e mercé i quali egli comunica,
volutamente o spontaneamente con gli altri. Parrebbe, addirittura,
che essa sia assimilabile all'"anima" (27) in quanto rappresenta
il punto centrale, Il l'incantesimo" della "vita":
le Sue distorsioni - possibili -, le sue patologie - ricorrenti -,
generano tali e tante discrasie che si ripercuotono, talvolta con
effetti devastanti, sulle strutture organizzative entro le quali le
risorse umane operano.
Da ciò, conseguentemente, il fatto che "il film"
da cui si "srotola" "la pellicola" della comunicazione
porta a proiettare, essenzialmente, le immagini di tre protagonisti:
- l'io comunicante, "disperato, antico, eterno";
- le cose, il contesto, "fradicio di magia";
- gli altri, "mille frammenti";
in un "teatro" in cui sono presenti sei assiomi generali:
1) Non si può non comunicare (28). Anche il "silenzio"
- con "la sua calma... più segreta" comunica riflessione,
"sensibilità", malinconia, "tristezza",
"tenerezza", "nostalgia", frustrazione, "sonnolenza",
aggressività, "genialità", depressione, a
seconda dei contesti oggettivi e della situazione psicologica delle
persone, che lo esprimono, magari in un'azienda anch'essa avvolta
in Una nebbia " che la rende "sempre più "grigia".
2) Ogni forma di comportamento è una comunicazione, sia che
attenga a rapporti posti in essere dalla "ultima" impiegata
di line che dal "massimo" esponente di staff.
3) Tutte le comunicazioni hanno un aspetto di contenuto ed uno di
relazione perché il contenuto (oggetto del "discorso")
prende significato dalla relazione ("tipo" di legame) esistente
tra entrambi gli interlocutori.
4) La natura della relazione tra soggetti comunicanti dipende dalla
relazione esistente tra le sequenze di comunicazione che si sono verificate
tra loro (29) (una relazione topdown che si evolve e "si semplifica"
in una tra pari, e viceversa).
Da questa impostazione emergono il `ruolo" della punteggiatura
nelle "parole... scritte a macchina" e del tono della voce
in quella orale; infatti, indipendentemente dal fatto se "tu
capisci e non capisci", tali strumenti servono a porre in evidenza
ciò che è rilevante rispetto a ciò che non lo
è(quindi non "è uguale che non ci sia, o che ci
sia") nel contenuto, in funzione della relazione tra i soggetti
che dialogano (di parità o di subordinazione).
Più in profondità, il giudizio di rilevanza o di irrilevanza
delle varie parti del contenuto di una comunicazione dipendono dalle
caratteristiche della personalità dei soggetti - comunicante
e ricevente, "io ... sempre stato ignorante" da una parte
e "tu che hai studiato" dall'altra - coinvolti in essa,
nonché della loro "storia" o della loro esperienza
personale, la loro "vita d'artista".
"E così" si giunge alla interpretazione della Comunicazione
nel contesto in cui si svolge ed alla tecnica di elaborazione della
risposta, da intendersi non tanto come contro-comunicazione quanto,
e "meglio", come comportamento concreto nella relazione
tra i due soggetti interessati.
Consegue che la rilevanza del contenuto della comunicazione non è
qualcosa di oggettivo (30), "come avere e non avere", perché
non tutti lo interpretano identicamente, ma è l'esposizione
personale che sottostà al giudizio sulla rilevanza-irrilevanza.
5) Gli esseri umani comunicano, fra loro, usando un "linguaggio"
numerico o denotativo, cioè con concetti "uguali"
per tutti, ovvero analogico o connotativo, che procede per libere
associazioni di concetti, le "frasi mai dimenticate".
E' però evidente che le capacità analogiche differiscono
quasi sempre da persona a persona, per cui solo 'Se la frase arriverà"
il significato sarà un "segreto" che "scenderà
dove non era sceso mai ......
6) Tutti gli scambi di comunicazione sono simmetrici o complementari,
sia che si fondino su una relazione di eguaglianza ("io e te")
che di differenza ("giorno" e "notte") tra i soggetti
coinvolti. A seconda della relazione muta certamente il modo di parlare
- comunicare e, addirittura, di recepire l'informazione, sicché
"un ... errore" di interpretazione può addirittura
determinare una crisi nel processo di scambio delle notizie.
Da quanto esposto discende che nella vita, sia umana che aziendale,
la comunicazione si realizza attraverso un discorso maieutico, capace
cioè di indurre a ridiscutere "le proprie" convinzioni
più radicate e, quindi, a rendere disponibili al cambiamento.
E' ora possibile tentare di enucleare una definizione concettuale
del fenomeno esaminato, tenendo presente che:
a) la comunicazione è scambio di informazione, vale a dire
di dati tra loro collegati, organizzati in modo da avere un significato
compiuto di tipo reale o simbolico-valutativo, "mai" solo
"un gesto avaro";
b) per comunicazione si può intendere l'intero comportamento,
che in una situazione di interazione "andante" ha valore
di messaggio, cioè di singola unità di comunicazione
rappresentata sia dalle informazioni che dal comportamento stesso.
"Naturalmente" l'intenzione va intesa come lo scambio di
una serie di messaggi fra due o più persone, "non importa"
in quanto tempo e con quale frequenza;
c) esaminando l'aspetto contenutistico e quello relazionale è
possibile ritenere che il primo - perché non "inventato"
- ha più probabilità di essere trasmesso col linguaggio
numerico, mentre nell'altro - più "romanzante" -
sarà predominante il linguaggio analogico-simbolico.
Deriva così che la divisione di massima dei tipi di comunicazione
utilizzati nelle strutture organizzate per conseguire finalità
economiche è quella tra comunicazioni verbali, fondate sull'uso
delle "parole" scritte od orali (messaggi, colloqui, "discorsi",
comunicati stampa, Una "conferenza", articoli di "giornali",
interviste, etc.), e comunicazioni non verbali, perché "certe
cose non si scrivono", basate sii azioni (comportamenti), situazioni,
oggetti (i simboli grafici dell'azienda: marchi, l'insegne",
"il camion giallo" di "Gondrand"; "Io stile"
del management: comportamento, abbigliamento, "cravatte",
"foulards"; l'organizzazione dell'ambiente fisico: uffici
"marron", stabilimenti).
Quanto esposto,
"si sa", è possibile solo attraverso una adeguata
comunicazione, mirata ad eliminare qualunque reazione di controdipendenza
(rifiuto al messaggio non in quanto tale ma a Causa di un atteggiamento
psicologico negativo nei confronti del trasmittente, col quale "non
c'è quasi dialogo" sicché gli interlocutori constatano
che "siam rimasti lì, chiusi in noi, sempre di più...")
in favore di comportamenti diretti ad analizzare la controparte, essendo
disponibili ad ascoltarla, sollecitando le sue risposte e, quindi,
i suoi bisogni, magari creando "se capita" "un po'
di complicità".
Va infine tenuto presente che qualunque attività nel settore
della comunicazione interpersonale deve essere indirizzata alla eliminazione
delle interferenze che, giusto lo specchietto riportato a lato, possono
essere del tipo:
- meccanico, se intervengono sul canale, e sono paragonabili ad "una
porta chiusa";
- semantico, se intervengono sul codice, quindi sulle "frasi";
- psichico, e sono le più difficili da controllare, se intervengono
sul trasmittente e sul ricevente, allorquando enfatizzano le rispettive
"vicissitudini".
Conclusivamente può affermarsi che se è vero che non
si può non comunicare, quindi che è cosa "disumana"
vivere "solo in un silenzio", è altrettanto rilevante
che occorre sempre comunicare, quindi che a tutti i livelli serve:
- definire una strategia di comunicazione;
- controllare con attenzione il proprio processo di comunicazione.
Ciò significa, come sempre e tanto più in azienda, che
"è naturale":
a) programmare i contenuti di ciò che si vuole o si deve dire,
cioè di "cosa" dire;
b) organizzare il "come" dirlo, vale a dire a chi, quando,
con quali mezzi;
c) attuare in maniera "passabile" il processo di comunicazione;
d) controllare l'efficacia dello stesso, il feedback, verificando
se i destinatari della comunicazione hanno capito, in che misura,
in che "modo", quindi quale tipo di relazione essi hanno
impostato con l'emittente (curiosità, disinteresse, "noia",
ammirazione, etc).
Catone il Censore - "memorabile" - affermava Tene rem, verba
sequuntur, cioè conosci l'argomento, le parole seguiranno (31);
in duemila anni il "talento" e l'"arte" hanno
fatto evolvere tale concetto nel senso che, oltre a conoscere bene
cosa si vuole dire, bisogna comunicarlo efficacemente.
"Un grande inchino": ma "come faccio" se "non
ci sono parole"?
LA QUALITA'
TOTALE
A partire dagli anni Cinquanta in Giappone si è sviluppato,
in tutte le aziende manifatturiere, un tipo di approccio alla gestione
profondamente innovativo; e grazie ad esso quello Stato, che "diceva
e non diceva", pur essendo poverissimo di risorse naturali, è
divenuto uno dei paesi più ricchi del mondo, primo in assoluto
per capacità competitiva.
Il nuovo tipo di gestione, che si è diffuso "ad angoli
e a spigoli" anche nei Paesi all'avanguardia per lo sviluppo
economico, prende il nome di Qualità Totale; con esso vengono
modificati radicalmente i seguenti aspetti del sistema aziendale:
- i valori e le priorità che guidano il management dell'azienda;
- le caratteristiche della cultura aziendale;
- le logiche prevalenti nella gestione della attività d'impresa;
- le caratteristiche dei principali processi decisionali e gestionali;
- le tecniche e le metodologie applicate estensivamente dal personale,
- il ruolo dei capi e degli operai;
- il clima, inteso come insieme delle percezioni che le persone hanno
su relazioni, meccanismi organizzativi, politica del personale e ambiente
(32).
E' stato addirittura affermato che al centro della nuova concezione
del management vi è la qualità, come "il sole"
- che non è solo "un lampo giallo" - è al
centro della bandiera giapponese (33).
Paradossalmente è più facile domandarsi "in fondo
se ... non sia anche più intelligente" descrivere la non
qualità che la qualità, perché la definizione
più semplice è proprio il suo esatto contrario, ovvero
zero difetti, zero rifiuti, zero ritardi, zero carte, zero stock (34).
Oggi qualità, a differenza del passato in cui la si intendeva
"forse" come un semplice attributo del prodotto, è
piena soddisfazione del cliente, esprimibile con il seguente rapporto:
QUALITA' = (Prestazioni globali / Aspettative del cliente)
L'obiettivo di una impresa che la persegue è, quindi, di tenere
detto rapporto uguale o lievemente maggiore di uno. Tale interpretazione
modifica sostanzialmente il modo di pensare secondo cui si separa
la qualità di un prodotto/servizio dalla prestazione in se,
e la si considera come un qualcosa di aggiuntivo, come un lusso, "una
malinconica seta"; la nuova definizione, invece, afferma che
essa l'è soltanto normalità", e perciò non
è altro che la fornitura di un prodotto/servizio che `frequenta
l'anima", in linea con le reali aspettative e necessità
del cliente ed è, "così", insita nel prodotto/servizio
stesso.
E poiché "dopo e più facile andare oltre i pensieri",
si presentano naturali una serie di considerazioni organizzative e
culturali che modificano sensibilmente il modo di vedere l'impresa:
- l'attenzione ai processi, perché la qualità è
il grado di adeguatezza dell'output ai bisogni dell'utilizzatore;
- il concetto di cliente interno, perché tutti in azienda,
svolgendo dei processi, hanno dei clienti che utilizzano i loro output;
- il miglioramento continuo come imperativo aziendale, perché
i bisogni della clientela si svolgono nel tempo, quindi anche la prestazione
deve adeguarsi;
- una grande attenzione alla percezione della necessità del
cliente,
- una grande valorizzazione delle risorse umane presenti in azienda,
in quanto ciascuno è gestore di un processo, pertanto può
fare qualità;
- il ruolo fondamentale del management nello sviluppo di tale elemento.
Ma la qualità è anche cultura, intesa, anziché
come insieme di istruzioni o dottrine acquisite che "pochi capivano",
come capacità di trovare una giusta collocazione rispetto alla
realtà, "che ti sorride" con l'atteggiamento di chi,
avendo assimilato e trasformato in comportamenti vitali le cognizioni
apprese, sia capace di vivere nella propria l'epoca, è, insomma,
una way of managing, ma soprattutto una way of life; è un comportamento
interiore, prima ancora di essere un insieme di regole o metodologie
da seguire e da applicare "in fondo al gioco".
A questo punto il significato di Q.T. può essere sintetizzato
come l'impegnarsi sul lavoro per fare le cose giuste, la prima volta
in tutti i reparti/uffici dell'azienda, per raggiungere la piena soddisfazione
del cliente interno ed esterno, in una logica di miglioramento "senza
fine", in base ad una forte leadership della direzione orientata
in tal senso, così da garantire il successo dell'azienda nel
"tempo" (35).
I punti fondamentali di questo tipo di approccio sono:
a) La priorità del cliente, la cui "soddisfazione"
si impone in assoluto.
Per comprendere appieno tale significato si può collegare per
fini strumentali l'immagine del cliente-essere umano, che per definizione
è continuamente insoddisfatto, all'immagine spaventosa del
mostro, che presenta le seguenti caratteristiche:
- ha una fame infinita di prodotti/servizi, di "grandi novità";
- è spietato, non guarda in faccia nessuno, "e nessuno
lo sa";
- è esigente, perché richiede un impegno continuo per
aumentare la sua "meraviglia";
- è un po' timido, nel senso che "cincischia" e non
esprime ciò che vuole, né segnala ciò che non
gli piace;
- è vendicativo, in quanto qualora non ottenga ciò che
desidera "adesso o mai più", si lamenta con tutti
apertamente;
- è un po' bambino, cioè quando scopre qualcosa di nuovo
si eccita subito, gusta "nell'intimità" le cose nuove
che sollecitano il suo interesse, in cambio è riconoscente;
- è invadente, perché vuole essere sempre presente nell'azienda
ed a tal fine si camuffa in modi diversi ("i colleghi");
- è egocentrico, vuole essere considerato "diverso"
dagli altri.
Il mostro, quindi,
è il padrone dell'azienda, è "qualcuno" che
ha potere di "vita" o "morte" (economica, si intende!)
sull'aggregato produttivo, per Cui è necessario rendere non
"incomprensibile" il ruolo determinante del suo appagamento,
avendo ben chiare le sue caratteristiche e la sua posizione di forza
contrattuale.
b) Il miglioramento continuo: poiché le aspettative del cliente
si modificano nel tempo, essendo esso per natura "invisibile"
ed "assente", occorre lavorare continuamente al miglioramento
della qualità del prodotto/servizio e di tutti i processi aziendali,
anche se non direttamente collegati allo stesso.
Con la Q.T., il miglioramento va inteso nel senso di piccoli ma numerosi
e continui miglioramenti realizzati, magari con "aria insonne",
da tutti i collaboratori dell'azienda, cioè come miglioramento
Kaizen, a differenza del miglioramento di carattere prettamente occidentale
che i giapponesi chiamano Kairyo, cioè quello a grandi passi,
su "nuovi sentieri", realizzato da un ristretto numero di
persone all'interno dell'azienda, basato sulle innovazioni nel campo
della tecnologia (i "chips"), dei processi dell'organizzazione
("tutto il meglio"), e che richiede investimenti molto elevati
(in termini di "denari").
Le differenze esistenti fra il miglioramento Kaizen e quello Kairyo
sono diverse: innanzi tutto il primo è un processo che va avviato
lentamente, il che porta a cambiamenti graduali e costanti, "quasi
niente", mentre il secondo è improvviso, "travolgente";
il Kaizen coinvolge tutto il personale dell'azienda, anche quello
"ignorante", al contrario nel Kairyo si interessa Una ristretta
elite di persone che sente "crescere tutta l'estraneità"
nei confronti degli altri; nel Kaizen l'approccio è sistematico,
più basato sugli sforzi del gruppo, invece il Kairyo comporta
un individualismo spinto.
c) La mobilitazione di tutto il personale dell'azienda.. considerato
che la Q.T. mobilita le risorse intellettuali di "tutto il circondario",
che comprende l'intero personale dell'azienda, tutti devono essere
coinvolti nell'attività economica, per cui il compito dei dirigenti
è quello di motivare e guidare i dipendenti verso il miglioramento
continuo, mediante la creazione di team di gruppi di lavoro, che "ovunque"
vanno assumendo una filosofia dell'uomo e dell'umanità profondamente
innovativa.
d) La formazione continua, vista come processo che impegna ogni persona
nello sviluppo, arricchimento ed allenamento del proprio intelletto
e che consente una continuità ed una "particolare sensibilità"
nei confronti dei cambiamenti.
e) Approccio scientifico al problem-solving: si sostanzia in una metodologia
basata su dati e "fatti" anziché su "sensazioni";
con la Q.T. si semplifica e standardizza il metodo scientifico, in
modo che ognuno possa apprenderlo.
f) Far entrare la clientela in azienda: "il grande lampo"
consiste nel fatto che ciascuna attività operativa trova la
sua ragione d'essere nella soddisfazione del cliente; nasce, così,
il concetto di cliente interno, nel senso che ciascuna unità
organizzativa ha un suo cliente ed "insieme a lui" cerca
una qualità misurabile del suo grado di appagamento.
IL CONTROLLO
"Dicono" che l'impresa abbia un ruolo centrale, quasi da
l'antica amante", in quanto essa coinvolge tutti i soggetti interessati,
direttamente o indirettamente, ai suoi risultati periodici (36).
La sua vita, infatti, tende a perseguire un equilibrio dinamico (37)
che richiede di essere controllato nella serie innumerevole di operazioni
interne in cui si concretizza, tutte mirate non più, o non
solo, alla massimizzazione del profitto quanto - "se capita"
- a conseguire un risultato soddisfacente in tema di prestazione di
prodotti-servizi, erogati da risorse umane qualificate, a prezzi competitivi,
con qualità apprezzabile, anche se a scapito della immediata
redditività. A seconda delle finalità perseguite la
funzione di controllo, quindi, assume un diverso significato, che
spazia dall'ambito esecutivo (cioè connesso all'analisi comportamentale
delle risorse umane all'interno della struttura aziendale) a quello
economico (ossia indirizzato all'appuramento della convenienza degli
obiettivi individuati dal piano strategico).
Al riguardo si parla, "proprio così", di controllo
allorché ci si riferisce ad operazioni usuali e ripetitive,
"un po' giù" nella gerarchia aziendale, tutte "però"
fondate sul concetto di retroazione (38): esso si sostanzia nella
attivazione di un sistema quasi "prensile" di rilevazione
dei fatti aziendali, capace di porre a confronto gli obiettivi dell'impresa
(strategici od operativi) con i risultati cui perviene la gestione.
Quanto più sofisticata è l'azione di controllo tanto
più "è sicuro" affiancare alla struttura tecnico-contabile,
spesso "amara e muta", processi specifici che consentano
di effettuare le rilevazioni necessarie: accade così che l'interazione
tra processi e strumenti consente lo svolgimento del controllo, attraverso
attività i reporting, cioè mediante la produzione di
un "insieme" di documenti periodici contenenti gli elementi
significativi da cui derivare le informazioni più adeguate.
I subsistemi cui si fa riferimento, tutti armonicamente coordinati
al fine di accertare le modalità di formazione del reddito,
sono:
- il sistema della contabilità generale;
- il sistema della contabilità analitica;
- il sistema budget a standard;
- il sistema di analisi delle variazioni;
informazioni - queste - che trasformano il "ruolo" della
contabilità da semplice collettore di dati storici in quello
di dinamico, tempestivo ed attendibile interprete delle risultanze
di gestione, e rappresentano l'appagamento della esigenza di informazioni,
"una sfida antica", che caratterizza la evoluzione della
società da un'era industriale ad altra, post-industriale.
E mentre "il... tempo si sbriciola" una serie di considerazioni
consentono di approcciare al controllo di gestione: l'evoluzione del
mercato porta continuamente a far emergere la dinamica "particolare"
cui è sottoposta la realtà economica e sociale, dinamica
che rende la gestione più esposta ai rischi di quanto non lo
fosse prima, in "un'epoca lontana", allorché la stabilità
ambientale rendeva più facile il raggiungimento di posizioni
di equilibrio economico.
Occupare oggi una posizione solida sul mercato è molto più
"difficile" e richiede un adeguato sistema di pianificazione
e di controllo, tenuto presente che pianificare significa fissare
degli obiettivi, quindi definire con "sapienza" gli indirizzi
strategici, tenendo conto dello scenario generale, un "palcoscenico",
e delle reali possibilità ed opportunità dell'"enigma"
rappresentato dalla aggregazione produttiva.
Quando gli obiettivi siano stati stabiliti dall'imprenditore o dai
suoi collaboratori di vertice, "ogni volta" dopo estenuanti
"decidi tu", per essere realizzati devono essere accettati
da chi opera, attraverso una fase di negoziazione; per verificare
poi la loro realizzazione bisognerà controllare i dati a consuntivo
con le previsioni, onde accertare l'esistenza di eventuali scostamenti.
E "inganno" ritenere che si possa avere uno svolgimento
ordinato della gestione senza controllarla: programmare, attuare le
scelte, verificarne l'esecuzione e gli effetti sono tre momenti di
un unico processo, quasi "ancestrale", sicché il
controllo di gestione (39) porta l'impresa a "prende(re) il largo"
verso obiettivi definiti, sostanziandosi in un processo "elegante"
che organizza, assicura ed interpreta il confronto tra gli obiettivi
prefissati ed i risultati ottenuti, allo scopo di impegnare le responsabilità
di coloro che sono incaricati di raggiungerli; se manca questo coinvolgimento
il controllo è "sospeso a un filo" e potrebbe rappresentare
una "conquista" "all'incontrario".
A tal fine col termine di contabilità direzionale (40) si definiscono
i metodi, i sistemi e le tecniche contabili che, unitamente alle conoscenze
specifiche ed alla preparazione personale, consentono ai responsabili
della gestione di adempiere al compito di incrementare i profitti
o quanto meno ridurre le perdite, "tanto per non morire".
Accade così che il controllo di gestione diviene un sistema
che coinvolge "ineluttabilmente" altre tematiche legate
all'organizzazione, alle strategie, ai sistemi informativi, assumendo
una posizione essenziale nell'ambito del sistema direzionale.
Si parla di controllo direzionale (41) proprio per indicare che l'attività
di direzione è incentrata su un sistema di controllo che interagisce
sul sistema di pianificazione strategica, sui sistemi di valutazione
delle prestazioni direzionali e di analisi delle strutture organizzative,
"e poi" sul sistema di leadership.
Da ciò scaturisce l'esigenza "intensa" di un coordinamento
tra i vari insiemi, per realizzare una guida utile ed indispensabile
all'imprenditore, od al management, coinvolto nella sfida con un ambiente
in continua evoluzione, tenuto conto che il sistema di controllo "del
resto" altro non è che un processo di trasformazione -
"un sogno fortissimo" - di taluni input in una serie di
output: tre input fondamentali (fattori organizzativi, fattori umani,
fattori sociali), vengono trasformati infatti in tre output (efficienza
direzionale, motivazione, morale) (42) attraverso un meccanismo, che
non è "senza una piega", caratterizzato da una struttura
organizzativa fondata sulla delega di responsabilità individuali,
da una struttura tecnico-contabile dotata di un sistema di contabilità
direzionale ed infine da un processo che "saprebbe - potrebbe"
essere caratterizzato dalla definizione di obiettivi e dalla valutazione
dei risultati.
L'adozione degli strumenti ipotizzati richiede, "naturalmente"
ed alla "origine", un rinnovamento della struttura contabile
tradizionale mirata alla certificazione dei fatti aziendali per la
quale il bilancio, in senso esaustivo, diventa l'una fotografia"
nitida della situazione aziendale, di "una giornata" definita,
"sensibile" perché condizionata dai fatti di "ieri",
che però consenta di "capire" "oggi", per
"intuire" "domani".
Le metodiche per sviluppare tale fotografia destinata al mercato sono
da ricercarsi nei principi o standard di revisione, cioè in
una "sarabanda" di procedure mediante le quali, sulla base
di elementi probativi ed evidenze acquisite presso l'impresa, un "maestro"
estraneo all'impresa stessa formula un giudizio professionale sulla
attendibilità con cui il bilancio evidenzia obiettivamente
i risultati, cioè "oltre" gli apprezzamenti soggettivi
e la filosofia "algebrica" dell'estensore che, specie se
ispirato, "rivali non ha".
L'attività di revisione, per quanto detto, non si risolve quindi
in un mero esame formale delle scritture contabili "che abbaglia
la gente", "quanto" in una appropriata conoscenza dei
comportamenti dell'impresa mirati a pervenire al convincimento che
i dati contabili riflettono correttamente la gestione, se non emerge
che si naviga "nel mare di guai".
Il "complesso" delle attività evidenziate, che si
sintetizza nella relazione di certificazione, consente di ritenere,
molto verosimilmente, che l'attività di revisione:
- costituisce elemento di maggior sicurezza per gli stockholders (soci)
e per gli altri interlocutori interni (amministratori, sindaci, alta
direzione), in quanto attesta l'adeguatezza delle procedure adottate,
il rispetto degli obblighi e dei principi contabili ("un sogno
che non c'è o un pensiero già svanito"), quindi
la conformità della attività degli organi aziendali,
indirizzate alla salvaguardia del patrimonio aziendale, posto che
"la strada continua" e la gestione "ricomincerà";
- rafforza la credibilità dell'azienda presso gli stakeholders
(43) (cioè gli interlocutori esterni rappresentati dai clienti,
fornitori, intermediari finanziari, pubblica amministrazione, dipendenti
in cassa "integrazione" e non), attribuendo forza ed eliminando
"incredulità" nei confronti dell'informazione certificata,
attraverso la quale essa dialoga col mercato;
- è indubbia occasione di crescita interna della struttura
amministrativa aziendale la quale, nel confronto con i revisori, trova,
"purtroppo" non "gratis", la possibilità
di paragone, "incantesimo sublime", tra cultura interna
ed esterna.
LA FINANZA
Un'"azienda" è un sistema (44) "complesso"
di risorse materiali ed immateriali organizzate dall'imprenditore
allo scopo di produrre beni e servizi perseguendo condizioni di equilibrio,
in costanza di numerose variabili economiche e finanziarie presenti
nell'ambiente.
Le capacità di tale sistema di stare sul mercato, infatti,
si misurano in proiezione del fine per cui esso è stato costituito
e che, prevalentemente, è rappresentato dal rendimento del
capitale investito nell'attività (45): esso è composto
sia da mezzi propri che da mezzi di terzi, per tali ultimi intendendosi
i capitali di prestito che finanziano il processo produttivo; da ciò
l'assunto che il successo di una iniziativa imprenditoriale è
essenzialmente legato alla convivenza (46) apprezzabile degli andamenti
economici con quelli finanziari.
Il nesso è evidente: la insufficienza di risorse monetarie,
da qualsiasi causa possa essere provocata, influisce sempre in maniera
negativa sui risultati economici in quanto pregiudica le possibilità
formative del reddito, che rappresenta il "motore" dell'autofinanziamento.
Decidendo di creare una struttura produttiva, pertanto, l'imprenditore
deve ipotizzare e risolvere preminentemente il "problema"
della determinazione e composizione del capitale di finanziamento,
del ciclo di ritorno del capitale investito nonché, in breve,
di come far fronte in modo economico a tutti i fabbisogni di liquidità,
per consentire che le relazioni fisiologiche tra aspetto reddituale
ed aspetto finanziario non pregiudichino l'esistenza dell'azienda
stessa.
Ciò è possibile se equilibrio finanziario e margini
di redditività coesistono, ma anche se i rapporti tra capitale
proprio e capitale di terzi sono compatibili e quelli tra immobilizzazioni
e passività consolidate sono coerenti.
La "storia" delle procedure concorsuali insegna che troppo
spesso la "fine" di un'impresa è determinata dal
fatto che l'attivo fisso è stato finanziato dalle passività
correnti, ignorando la strategicità del margine di struttura
e la irreversibilità delle relazioni che invece è indispensabile
esistano tra immobilizzazioni e passività consolidate: la peculiarità
dell'organismo azienda, infatti, non tollera disfunzioni finanziarie,
per cui chi immobilizza capitali senza l'adeguata copertura di mezzi
propri, ovvero non coordina le entrate (derivanti dai ricavi) con
le uscite (per costi o per rate di passività consolidate),
vive "un istante opaco" e si candida ad entrare, con "un
grande addio", in un area di crisi, spesso insanabile.
Vale perciò la considerazione che le operazioni di gestione
hanno doppia valenza, economica e finanziaria, sicché ad uno
scompenso economico fa sempre seguito un maggior indebitamento finanziario,
che a sua volta genera maggiori oneri i quali erodono ulteriormente
la redditività già pregiudicata (47).
Soccorre, al riguardo, la teoria del ciclo di vita dell'impresa (48)
che scompone il processo di sviluppo dimensionale di un'azienda in
quattro fasi:
a) Tecnica, nella quale prevale l'"istinto" ed il "carattere"
dell'imprenditore, teso a perseguire obiettivi di natura produttiva
e commerciale. Allorché il prodotto-servizio ha successo, la
fase di creatività è caratterizzata da fatturati progressivamente
in incremento e da consistenti margini di profitto che generano cospicuo
autofinanziamento; tali risultati, però, si flettono quando
la realtà aziendale impatta con una situazione critica, "una
buccia di banana" che può essere superata solo ipotizzando
la diversificazione dell'attività.
b) Funzionale, "eventualmente" successiva alla precedente,
caratterizzata da una crescita nell'ambito della quale l'imprenditore
ha la percezione della sua missione, non più "superficiale"
ma centrata sulla necessità di pervenire, tra innumerevoli
"forse si, forse no ...", alla soddisfazione di una serie
di bisogni espressi dal mercato dei consumatori-utilizzatori, dalle
"caramelle" agli " aspirapolvere".
In questo periodo la struttura organizzativa, già fondata sul
potere gerarchico, si trasforma in altra che individua specifiche
professionalità interne ed esterne (il "ragioniere",
"l'avvocato", "i viaggiatori di commercio") alle
quali delegare, frazionandoli, i poteri gestori, col limite di 'dover
superare le disomogeneità, ovvero le "serrande abbassate",
che impediscono la comunicazione tra i detentori dei poteri delegati.
c) Finanziaria, in cui l'imprenditore, già con "in testa"
la sua missione, deve orientarsi alla ricerca di nuovi spazi di redditività,
conseguibili attraverso una politica di crescita esterna che comporta
in concreto una "complicata" diversificazione, quindi mediante
comportamenti che integrano soluzioni di sviluppo industriale e finanziario.
"E' questo il tempo di lasciarsi sprofondare" in tentativi
di acquisizioni, concentrazioni, accordi commerciali e produttivi,
"in un attimo" operazioni di finanza straordinaria (49),
che abbiano come obiettivo non "sonno, nausea" ma "fantasia",
e quindi consentano l'accelerazione della crescita dimensionale dell'impresa,
la realizzazione del suo programma di diversificazione, la massimizzazione
dei suoi processi di integrazione tecnica, il contenimento del rischio
produttivo e di quello finanziario.
Da "tanto" deriva l'esigenza di nuovi indicatori non più
"barbari" ma dinamici, quali il reddito distribuibile od
il valore dell'azienda o - addirittura - i coefficienti moltiplicativi
(price earning ratios), posto che la competizione non è più
"finzione" perché si trasla dal mercato "vuoto"
a quello mobiliare, e quindi il mutamento da gestire si manifesta
non solo nella politica dei finanziamenti (che tende ad ottimizzare
l'effetto dell'indebitamento) ma anche nella politica degli investimenti
(che dovrà considerare anche gli effetti nel mercato finanziario).
d) Politica, allorché con riferimento ai processi "fatali"
di globalizzazione ed internazionalizzazione in atto sui mercati finanziari,
l'impresa si denazionalizza, assumendo dimensioni continentali che
le consentono di operare su di un mercato quasi "pleistocenico",
addirittura svincolata od indenne da effetti di direttive in tema
di politica industriale impartite dai singoli Stati.
Quest'ultima fase appartiene in massima parte al "futuro",
ad un "domani che (però) è già qui",
e rappresenta la evoluzione di quella precedente, originata dal diverso
rapporto di composizione (50) tra ciclo di vita dell'impresa e ruolo
della funzione finanziaria all'interno della stessa: si passa "così"
dal concetto "oramai" da "ultimo approdo" di finanza
ristretta - tipico dell'impresa attuale e consistente nel reperimento
delle risorse o nella definizione della composizione del fabbisogno
finanziario - a quello meno "labile" ma non "folle"
di finanza allargata - riservato ad una funzione che comprende la
valutazione delle alternative compatibili con la specifica condizione
finanziaria dell'aggregato esaminato -, per culminare in altro, legato
al conseguimento degli obiettivi strategici dell'impresa moderna.
In tal senso la definizione "più completa" è
quella di nuova finanza, nella quale la funzione finanziaria si estrinseca
come "un'altalena" nella ottimizzazione degli impieghi,
partecipando innovativamente alla parte ideativa degli investimenti:
non più, quindi, provvista motivata dalla "sagoma... inconfondibile"
delle esigenze generiche ("non ho una lira, questa è la
realtà"), quanto proposta puntuale, articolata sulla base
di "chi sei, cosa vali, cosa vuoi dire", rivolta non più
"a perdifiato" ad un mercato sempre meno "arcano"
perché composto da intermediari finanziari tradizionali e sempre
più rappresentato da investitori specializzati e, "perché
no", da privati in grado di rispondere a "quel che vuoi".
La differenza è "piena di vertigine" se solo si considera
quanto si è verificato nel panorama internazionale in recenti
"anni che vibrano" ancora, allorchè in nazioni finanziariamente
evolute, come l'"America" e la Gran Bretagna, numerose acquisizioni
di aziende sono state poste in essere facendo ricorso alla tecnica
del leverage buy-out, cioè ad un intervento finanziario che
consente di acquisire una proprietà aziendale, magari anche
"un piccolo bar", con il minimo esborso di capitale di rischio
ed il massimo ricorso possibile al credito.
Leva finanziaria di tale strumento è il valore patrimoniale
delle attività acquisite, grazie al quale si possono ottenere
"i soldi" necessari al trasferimento della proprietà
"senza chimere e tabù", mentre i flussi di reddito
che scaturiranno nel tempo della nuova gestione serviranno a "inghiottire"
i prestiti in linea capitale ed interessi.
Nell'operazione normalmente intervengono quattro protagonisti, tutti
focalizzati sull'obiettivo comune di sfruttare al massimo la leva:
a) il manager, motivato a diventare proprietario dell'azienda che
dirige, il quale riscopre il suo "orgoglio";
b) le banche commerciali, che forniscono di solito la maggior parte
dei fondi necessari al finanziamento, magari a tasso "molto alto";
c) società di venture-capital, investitori istituzionali o
privati, che possono essere partners del manager acquirente in veste
di portatori di capitali in posizione minoritaria, finanziando solo
in quota l'acquisto attraverso prestiti chirografari. La motivazione
che spinge questo tipo di operatore, che "spera di essere prossimamente
milionario", è la prospettiva di liquidità dell'investimento
a medio termine (tre-cinque anni) con lo smobilizzo in Borsa o con
la cessione del pacchetto azionario;
d) le banche d'affari, assenti "in... periferia", che forniscono
consulenza per gli aspetti fiscali, legali e contabili specialistici.
In buona sostanza i protagonisti portano l'azienda ad indebitarsi
"indifferentemente" sino al limite consentito dalle strutture
finanziarie, dalla capacità di produrre reddito e dal livello
di rischio che i finanziatori ritengono accettabile per quel tipo
di attività.
Ovviamente le imprese che costituiscono "il centro d'attrazione"
debbono essere poco indebitate e debbono avere nel management ("una
razza triste") uno dei principali punti di forza, oltre che presentare
concomitatamente le seguenti caratteristiche:
- redditività e flussi di cassa, la cui "intensità"
determinerà la capacità di rimborso e quindi il rischio
dell'operazione, da calcolarsi tenendo presente il loro andamento
negli ultimi cinque-sette anni.;
- prodotti, che debbono essere "tutti o quasi tutti" vari
e ben equilibrati, con una posizione apprezzabile sul mercato, per
la quale non necessitano sostegni di marketing troppo onerosi;
- struttura produttiva, che deve essere competitiva ed aggiornata,
quindi "costruita" per non richiedere, nel medio termine,
investimenti aggiuntivi oltre ai normali tassi di rimpiazzo e di ammortamento;
- attività od unità collaterali, cioè elementi
aggiuntivi collegati all'azienda, che possono essere scorporati o
ceduti in casi di "tempeste", per far fronte al rimborso
dei debiti;
- tassi di crescita aziendale, che debbono essere coerenti e "trattare"
alla pari col PIL (prodotto interno lordo), per non favorire l'espansione
dell'indebitamento;
- valore di mercato dell'azienda, cioè il suo valore patrimoniale,
congruo "prima, durante, dopo", senza tener conto dell'avviamento;
- fattori esterni, anche prospettici, per sventare tempestivamente
minacce di tipo concorrenziale, tecnologico o legislativo che potrebbero
incidere, come "uragani", negativamente sull'operazione.
Tanto più l'effetto-leva è elevato tanto più
l'operazione sarà vantaggiosa in termini di redditività
dell'investimento, tenuto conto che le imprese oggetto di attenzione
debbono possedere le caratteristiche di scarsa rischiosità
intrinseca e di buona redditività complessiva.
Nell'ambito delle operazioni "come si usa dire", di take-over,
invece, un fenomeno particolare è rappresentato dai junk bonds
(obbligazioni spazzatura), che hanno favorito lo sviluppo di tecniche
aggressive nel decennio passato, e che ora non sono più attuali
anche a causa della recessione mondiale: si tratta "in verità"
di uno strumento di provvista finanziaria utilizzato da imprese che,
non godendo di un rating adeguato per affacciarsi sui mercati ufficiali,
emettono titoli ad alto rischio, "pieni di fuliggine" ma
con rendimenti più elevati (tre-quattro punti percentuali)
di quelli corrisposti su altre attività finanziarie.
Come è facile arguire tali titoli sono assimilabili più
ad azioni con cedola che ad obbligazioni ordinarie, a causa del profondo
coinvolgimento che essi comportano, per il loro possessore, negli
aspetti più delicati della vita delle imprese per la cui "caccia"
sono stati emessi.
Il collocamento dell'emissione è infatti generalmente connesso
all'acquisto delle attività di un'altra società su cui
si ripongono, "intanto", ragionevoli aspettative di notevole
guadagno.
Se il raid riesce, "come in un dolce sogno" verranno emesse
nuove e più pregevoli azioni, che trovano garanzia sulle attività
acquisite; in ipotesi contraria, allorché "non si guadagna",
il raider onorerà senza "applausi" l'impegno assunto
con l'iniziale emissione di junk-bonds, vendendo le proprie attività
mobiliari e rimborsando non integralmente, in un mercato che "ribolle",
sino a quando avrà disponibilità da "lotteria"
e - come insegna l'esperienza - penalizzando clientela "illusa"
che forse ha peccato "d'ingenuità": "così
è la vita".
CONCLUSIONE
A "spiegare" la vita di un'impresa "non basta un attimo";
essa, infatti, si articola tra "mille sfumature", in un
"mondo adulto" pieno di "ma chissà, però"
che si trasforma continuamente, come una matassa che si "arrotola"
e si "srotola" e che è difficile dipanare, tra congiunture
di crisi e congiunture di normalità, alle quali l'imprenditore
deve opporre la perenne ricerca di soluzioni, su basi progressivamente
più avanzate. Nell'ambito dei cicli economici, infatti, la
struttura può evolversi "oltre le illusioni", più
o meno legittime, ed all'opposto involversi in "delusioni",
più o meno scontate, al primo accenno di "acqua gelida"
che indica una inversione di tendenza: si susseguono così non
azioni, comportamenti di routine ovvero innovativi.
Poste simili alternative, il detentore "illuminato" del
potere-decisionale deve ammettere che è una "acrobazia"
(magari "appassionante") programmare e prevedere in astratto
tutta l'esistenza di una organizzazione produttiva, cioè in
maniera assoluta (quasi "religiosamente") e definitiva (per
"l'eternità"); piuttosto, ragionevolmente, egli ipotizzerà
che è possibile pianificare concretamente lo sviluppo controllando
criticamente le risultanze gestionali - per quello che "dicono"
e che lasciano "intuire" - e la loro coerenza con le esigenze
del mutevole contesto generale.
Ciò è possibile se chi governa le funzioni aziendali
(imprenditori, managers, "professionisti") è conscio
degli obiettivi che si è proposto ("quello che vuoi"),
conosce profondamente e dall'interno ("nell'anima") la struttura
in cui opera (pregi, difetti, disponibilità al cambiamento,
assetto finanziario, "quello che sai"), ma essenzialmente
identifica i limiti oltre i quali non può andare ("quello
che puoi") in una sorta di continuo inseguimento tra risultati
ed aspettative, come "volersi e desiderarsi, facendo finta di
essersi persi".
Se il circuito è perverso "l'ansia" farà premio
e ricorrerà la "amara" constatazione che "più
niente resterà del nostro mondo", quindi, che l'impresa
- al massimo della sua "infelicità" - è costretta
ad uscire di "scena"; viceversa, se il circuito è
virtuoso, anche i periodi congiunturali negativi possono essere superati,
senza "inquietudine", perché l'equilibrio organizzativo
si assesterà su "piste" "sempre nuove",
sulle quali l'impresa rinnoverà la sua "puntuale"
sfida al mercato, proponendo, "ancora" una volta, "una
commedia" che "ricomincerà.... parlando piano tra
noi due ...".
NOTE
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