§ L'impresa moderna

Un problema diverso




Renato Minafra



"Un pò di scena" "regalata" a "chiunque" "pensa a" "qualcuno" "come" ad un "ventaglio di meraviglie" che "cambia colore" al "buio inutile", "mentre tutto intorno" "cuochi ambulanti" "soffriggono" "chips"!
Le "frasi" tra virgolette sono tratte da:
- P. CONTE, Le parole, Ed. Allemandi, Torino, 1992.
- P. CONTE, Novecento, Ed. Supermusic s.r.l./L'Alternativa s.r.l., 1992.


IL CAMBIAMENTO
L'ultimo ventennio è stato un "arco" di tempo enormemente rappresentativo per identificare i mutamenti strutturali dell'economia italiana, condizionata da fattori congiunturali ed accadimenti eccezionali, "sovente" irripetibili ed in ogni caso esogeni (1).
L'intervallo, infatti, è stato caratterizzato da estesi fenomeni di ristrutturazione industriale, mediante innovazioni sia di processo che di prodotto, a seguito di notevoli investimenti tecnologicamente avanzati.
La tecnologia ha reso possibile l'avvio di un processo innovativo mirato a rendere più flessibile l'organizzazione delle imprese, ed il fenomeno ha investito una molteplicità di aspetti che vanno da quelli finanziari a quelli tecnici, organizzativi, comportamentali, ed anche della consulenza.
Ciò perché le innovazioni non si distribuiscono equamente nel tempo ma a grappoli (2), tendendo "comunque" a concentrarsi in specifici periodi ed investendo una moltitudine di attori: l'età (giovane-matura) e le dimensioni raggiunte (piccole-grandi) rappresentano variabili strategiche atte ad indirizzare, nella sua "vita intensa", lo sviluppo dell'impresa, in quanto "il tempo" in cui gli accadimenti si verificano incide su come vengono posti, affrontati e risolti i problemi, che spesso derivano da scelte passate, "e se mai" da "un vecchio errore" (3).
E' così accaduto che l'uso delle risorse elettroniche, riducendo le distanze spazio-temporali, ha rivoluzionato sia processi di produzione che prodotti e prezzi di prodotti, determinando un gigantesco fenomeno di sostituzione che ha interessato tutti i fattori produttivi tradizionali (capitale, lavoro, energia, materie prime) e, correlativamente, il mercato, quindi la domanda-offerta di servizi professionali.
Da ciò un processo di riconversione urgente e profondo, che pur provocando tensioni ha consentito di superare quelle precedenti, ma che ha richiesto un "modo" nuovo di interpretare il ruolo centrale della impresa, (4) le funzioni che sono individuabili al suo interno ed i rapporti con l'esterno che da esse derivano, tra cui, preminenti, quelle con nuovi profili professionali.
Il progresso tecnico, insomma, uscendo dai laboratori di ricerca ed entrando a pieno titolo nei processi produttivi, ha modificato i modelli organizzativi e quindi le funzioni aziendali: tale mutazione ha generato una domanda di consulenza specifica, diversa da quella tradizionale e, consequenzialmente, una offerta di servizi consulenziali sempre più specialistici, sempre più sofisticati, fondati sull'assunto che è imperativo guardare "al di là della finestra" per rinnovarsi e sopravvivere.
Storicamente si è passati così da un'impresa che, nel corso degli anni Settanta, evidenziava una crescente rigidità interna imposta da modifiche normative e comportamentali principalmente nel campo delle relazioni industriali, ad una orientata alla specializzazione-flessibile (5), che tendeva cioè a deintegrarsi per pervenire al ritorno della piccola dimensione come effetto di una progressiva esternalizzazione di numerose funzioni industriali.
La scelta del piccolo è bello privilegiava uno snellimento delle strutture produttive, una più accentuata flessibilità alle fluttuazioni delle domande e dei prezzi, l'enfatizzazione di esigenze tecniche legate alla specializzazione produttiva ed alla qualità, la possibilità di individuazione di strategie commerciali volte a diversificare la produzione secondo i mercati.
Il fenomeno si è poi evoluto con la ristrutturazione produttiva, che ha tipizzato gli anni Ottanta, e che era mirata - anche attraverso il processo di finanziarizzazione e titolarizzazione - ad affrontare il mercato globale, il suo "destino segnato", mercé la contrazione dei costi di produzione ed il contestuale recupero di efficienza.
In questa fase si è proceduto a sostituire lavoro con capitale, attraverso processi di automazione spinta, riducendo l'indebitamento esterno attraverso maggiore propensione all'autofinanziamento, quindi alla interazione "appassionante" tra aspetti reali e finanziari.
La tendenza che va sotto il nome di ristrutturazione esterna (6), ha portato al recupero del ruolo della impresa allargata che, se adeguatamente ristrutturata, è riuscita a far emergere funzioni trasversali (gestione strategica e orientamento al mercato, marketing, comunicazione, qualità, controllo di gestione, finanza) che possono agevolmente svilupparsi su dimensioni di un certo rilievo ma che sono state avvertite come esigenze prioritarie anche dalle imprese minori.
Ovviamente ciò ha spinto verso un forte processo di internazionalizzazione, agevolato dalla creazione del mercato interno europeo nel quale esiste una concorrenza diversa, per affrontare la quale le imprese nazionali non possono pensare di essere fisicamente presenti sui mercati degli altri paesi solo come importatori od esportatori, "a cuccia", bensì come soggetti operanti a pieno titolo in paesi diversi ma strettamente interdipendenti.
Così impostato il problema richiede capacità di agire responsabilmente nel nuovo quadro - "opaco e scintillante" al tempo stesso - che emerge dalla cooperazione tra aree regolamentate, attraverso un'unica moneta ed una comune cultura propulsiva (7), alla quale i professionisti d'azienda non sono, e non possono, essere estranei.
Dopo il decentramento produttivo e la ristrutturazione interna, la ristrutturazione esterna e l'internazionalizzazione appaiono quindi essere le reazioni dell'impresa italiana al cambiamento: si tratta di comportamenti e di intuizioni tanto più condivisibili quanto maggiore è il nesso "dolce e infelice" tra sistema delle imprese e sistema dei professionisti che ad esse prestano consulenza.
A tale proposito è evidente (ma vale anche il contrario) che in un ambiente economico evoluto anche se "duro e bugiardo" sono collocate imprese dinamiche, orientate al mercato, competitive perché efficienti; al loro fianco esistono "professionisti" globali che, talvolta pilotandolo e favorendolo, assecondano il loro sviluppo senza mettere a "repentaglio" la loro "storia" e che coadiuvano l'imprenditore nelle scelte tattiche e strategiche in ciascuna branca in cui è scomponibile la gestione. Probabilmente è questa la scommessa che è chiamato oggi a vincere l'universo dei professionisti: trasformarsi da "piccioni dalle ali bagnate" in prestatori di servizi consulenziali evoluti, cioè sacerdoti che enfatizzano l'umanesimo della tecnologia che connota i giorni nostri.

GESTIONE STRATEGICA ED ORIENTAMENTO AL MERCATO
I mutamenti del mercato "teorico", così come definiti, hanno prodotto una profonda modificazione nella struttura interna dell'impresa, trasformando anche il modo in cui essa può essere considerata: sempre più "spesso", infatti, l'impresa viene definita come un insieme di "risorse" (8) materiali ed immateriali, piuttosto che come un insieme di elementi statici.
Contestualmente le organizzazioni si sono adattate alle nuove esigenze, anche se con "sonnolenza", determinando il passaggio della struttura da un tipo accentrato, formale e burocratico - caratterizzato da elevata prescrittività di compiti e standardizzazione di mansioni e ruoli - ad un altro, in grado di rivolgersi agli interlocutori naturali con maggiore flessibilità ed efficienza, con crescente articolazione negli organi di staff ed apprezzabile integrazione dal punto di vista delle relazioni interne, allo scopo di meglio gestire i mezzi disponibili.
L'elemento più rilevante è certamente la modificazione e la crescita della cultura aziendale: essa diviene sensibile alle evoluzioni ed alle trasformazioni, enfatizza la professionalità, premia i valori imprenditoriali e lo spirito di collaborazione.
A tale ultimo proposito, nella rinnovata configurazione tesa a pervenire ad una sorta di democrazia industriale, particolare importanza viene attribuita al ruolo del management, la cui formazione e sviluppo rappresenta "l'intelligenza degli elettricisti", cioè la professionalità indispensabile alla crescita delle strutture produttive nell'ambito delle strategie delineate.
Strategia, infatti, nell'antica Grecia era termine utilizzato alternativamente nel senso di condurre, comandare ovvero ingannare (il nemico); nell'accezione moderna l'inganno è da considerarsi come capacità del soggetto stratega di piegare la natura, facendole assumere o conseguire) forme (o risultati) che, spontaneamente (o senza guida), essa ignorerebbe.
Può quindi ritenersi che strategia sia ad un tempo il culmine della attività decisionale ed insieme il mezzo attraverso cui vengono perseguite le finalità che consistono non tanto nella sopravvivenza quanto nella crescita dell'impresa; evidentemente essa è anche "un gioco d'azzardo", nel quale il giocatore quotidianamente conduce una partita dal risultato sempre più incerto, sempre più condizionato dal rischio d'impresa (9) che si assomma ai rischi ordinari.
Al riguardo non bisogna però ritenere essenziale che la strategia debba essere formalizzata ed esplicita: "talvolta" essa l'appare e scompare e dopo riappare"; perché esistono strategie mai codificate, implicite, intuitive, non formali le quali, come quelle formalizzate, si avvalgono di un orientamento di fondo fatto di idee guida, valori, coinvolgimenti ed atteggiamenti che per loro natura non sono visibili direttamente ma solo attraverso le scelte ed i comportamenti concreti che animano (10).
E poiché implicito non è sinonimo di inconsapevole, deriva evidentemente che anche la strategia implicita può essere consapevole quanto quella esplicita, con la sola differenza che "l'ultima" è il risultato di un processo di pianificazione globale, rilevabile specialmente in imprese di dimensioni apprezzabili, mentre la prima è la somma delle decisioni (o delle tattiche) dei diversi settori funzionali dell'impresa di dimensioni minori e che, proprio per questa sua caratteristica, delega la soluzione di un "mistero" a professionisti esterni.
Le fasi di una gestione strategica riguardano (11) infatti:
a) la focalizzazione dei problemi;
b) l'individuazione dei soggetti che influenzano lo scenario operativo dell'azienda;
c) l'anticipazione delle linee evolutive della realtà;
d) la valutazione delle risorse disponibili per gli obiettivi prefissati;
mentre sono da ritenersi componenti della strategia:
a) il soggetto decisionale o soggetto strategico;
b) una o più finalità del soggetto strategico;
c) le risorse o mezzi disponibili;
d) un ambito di riferimento, cioè lo spazio-tempo dentro il quale si muovono soggetti strategici ed oggetti competitivi.
Nel quadro evolutivo delineato, le caratteristiche espresse dai mercati, specie in "un'ora molto strana", richiedono un'attenta analisi e valutazione delle azioni strategiche che l'impresa deve porre in essere per poter rimanere sul mercato in posizione vincente.
All'imprenditore (che non ritiene di dover restare "sempre più solo" od al management (che rappresenta "qualcuno che pensa"), si chiede quindi di "intuire" e di "capire" il mercato, di conoscere i prodotti dell'azienda, di saperli vendere con adeguate tecniche, di essere in grado di comunicare con il resto della struttura organizzativa.
Studiare il mercato significa perciò sviluppare competenze specifiche nella raccolta sistematica di dati quantitativi e qualitativi, in forme e modi precisi e precodificati, significa cioè sensibilizzare gli addetti ad interpretare correttamente i bisogni della clientela e le mosse della concorrenza (12).
In tale ottica la centralità del cliente, che diventa centralità ad ogni livello decisionale dell'impresa, è l'ovvio punto di partenza per elaborare un prodotto od un servizio rispondente alle concrete aspettative di chi lo domanda, quindi comprende le esigenze dei consumatori per offrire ciò che essi si attendono rispetto alle esigenze di cui sono portatori.
Parallelamente l'orientamento al mercato richiede lo sviluppo di capacità di comunicazione interna all'organizzazione, nel senso che il patrimonio di informazioni del singolo deve essere esteso a coloro che - con lui, "forse" "all'ombra" - operano nell'impresa e che, quindi, possono sfruttarlo economicamente (13); ciò è possibile attraverso adeguati procedimenti di formazione, mirati alla trasmissione ed all'apprendimento di competenze tecnico-operative, ma anche per mezzo d'un idoneo sviluppo della comunicazione, intesa "piuttosto" come processo di trasferimento di principi idonei ad incidere sui comportamenti.
La nuova filosofia gestionale sin qui accennata ha comportato una duplice evoluzione della struttura organizzativa, nella quale può ben inserirsi il professionista d'impresa, colui che "spiega alla gente cosa vuol dire...": la prima riguarda una diversa impostazione del lavoro dei singoli che richiede di essere razionalizzato, la seconda una diversa organizzazione del lavoro di vertice, mirato alla individuazione soprattutto di nuove funzioni aventi come obiettivo:
- la definizione di processi di pianificazione dell'attività;
- la creazione di nuovi prodotti e servizi per la clientela;
- l'introduzione di sistemi di programmazione e controllo tarati su profili competitivi ed in grado di misurare i risultati conseguiti sulla base dei criteri di mercato.
Siamo dunque al cospetto di una vera e propria evoluzione genetica che porta l'impresa - dopo aver considerato che più generalmente la migrazione è nel senso del passaggio da Un mercato del venditore ad un mercato del compratore - a comprendere che è essa a dover convivere con il mercato e non viceversa, e quindi che essa deve operare in guisa da estendere la sua azione a tutte le problematiche che, in qualche modo, assumono il significato di orientamento al mercato "al di là" di ogni "questione" e cioè:
- la segmentazione del mercato e la diversificazione del prodotto;
- l'utilizzo delle tecnologie informatiche;
- l'opportuna azione promozionale e di marketing sul prodotto,.
- la gestione delle risorse umane.

IL MARKETING
Secondo il più autorevole studioso della materia (14), il marketing è l'attività umana diretta a favorire la realizzazione degli scambi, essendo lo scambio lo strumento più idoneo - tra soggetti che si chiedono se "qualcuno ci avrà pure presentati" - per il soddisfacimento dei bisogni e delle esigenze umane.
Dalla definizione emergono quattro elementi, la Cui analisi circoscrive il campo di applicazione dell'attività individuata:
- i bisogni e le esigenze umane;
- l'oggetto idoneo al soddisfacimento dei bisogni;
- lo scambio;
- il contesto/mercato.
I bisogni, secondo la teoria economica, rappresentano "generalmente" il punto di partenza di ogni attività umana, la molla motivazionale ad assumere determinati comportamenti; essendo di natura diversa, essi attengono sia al profilo istintivo e materiale che a quello razionale dell'individuo.
Ciò implica che l'oggetto idoneo al loro soddisfacimento può consistere sia in un bene od in un servizio che in una "idea" od in un comportamento, ovvero "diversamente" in un mix delle manifestazioni richiamate.
Lo scambio, invece, è lo strumento che permette il migliore soddisfacimento dei bisogni, in alternativa ad altri che si sostanziano nella auto-produzione, nella supplica e nella coercizione (costrizione a fare qualcosa): ovviamente i tre strumenti alternativi hanno in comune la mancanza dell'elemento della collaborazione per cui, implicitamente, sono meno efficaci.
Può argomentarsi che lo scambio è nato con l'uomo, perché le prime cose scambiate sono state le idee o forse "le proprie delusioni", ma nella fattispecie va puntualizzato che esso è lo strumento per il trasferimento dell'oggetto da una parte proponente ad una accettante, e si conclude quando le parti manifestano consenso sulle reciproche proposte. E possibile ipotizzare quali forme possono assumere proposta e controproposta sia nel campo commerciale sia in quello sociale.
Il consenso è quindi la prova "più intelligente" della validità della proposta, commerciale o sociale; la sua manifestazione richiede naturalmente una serie di azioni idonee a far conoscere quella "più segreta" alla controparte; ne derivano azioni di trasferimento c/o comunicazione.


L'ultimo elemento implicitamente presente nella definizione analizzata e il contesto/mercato; la sua importanza deriva dall'influenza che esercita sugli altri tre elementi e cioè sull'evoluzione dei bisogni umani, sull'oggetto in grado di soddisfarli, sulle modalità di manifestazione degli scambi.
Il contesto, comunque, non è rappresentato "soltanto" dall'ambiente fisico ma dipende da una serie di ulteriori elementi (concorrenza, consumatori/cittadini, intermediari, fornitori, mass-media, legislazione, cultura, base demografica, economia del territorio, etc.) che, per l'elevato ritmo di cambiamento, condizionano e rendono più complesso il rapporto tra le parti - "milioni di persone" - che tendono a realizzare lo scambio.
Da ciò la necessità di esaltare e gestire il consenso nella maniera "più morbida": in "un'azienda" ciò si evince "via via" constatando l'acquisto ripetuto dei suoi prodotti o dei suoi servizi (che rappresenta l'atto finale di una valutazione del cliente sul prodotto, sull'azienda e sull'immagine che l'azienda complessivamente comunica), mentre il concetto può estendersi alle organizzazioni senza fine di lucro (posto che l'esempio oggi sia calzante, il partito politico riceve consenso con il voto, che rappresenta l'atto finale della valutazione che il cittadino esprime con la sua adesione) ed ai singoli (il consenso quale espressione sociale, che consente all'individuo di autorealizzarsi).
Deriva quindi, per deduzione, la "banalità" che è alla base della filosofia di marketing: l'ottenimento del consenso che permette lo scambio può essere ottenuto "davvero" se il punto iniziale nell'elaborazione della proposta/oggetto è focalizzato sulla identificazione dei bisogni umani. Ciò significa, consequenzialmente, che è disponibile per le aziende studiare l'evoluzione dei bisogni espressi dal mercato e, ad essi, adeguare la struttura dell'organizzazione, superando le difficoltà connesse con i cambiamenti di contesto a pena della espulsione o della marginalizzazione da e nell'ambiente specifico (15).
Una simile situazione, "mezza dolce e mezza amara", si verifica nelle organizzazioni non imprenditoriali: gli enti pubblici preposti alla erogazione di un servizio (comuni, ospedali, scuole), per esempio, evidenziano "ormai" un allarmante distacco dalle esigenze dei cittadini, mentre i partiti politici e le organizzazioni sindacali accusano crescenti problemi di rappresentatività, talché le loro proposte risultano non corrispondenti alle esigenze/istanze dei cittadini. Il marketing diventa così lo strumento che tende ad aprire l'organizzazione verso il suo contesto di riferimento, per verificare i cambiamenti ed adeguare, aghi stessi, i comportamenti.
Nei fatti, l'"agguato di nostalgia" che si sostanzia nell'adeguamento alle evoluzioni del mercato/contesto avviene se l'uomo (manager od imprenditore che sia) è capace di attività di analisi ed è disposto ad assumere comportamenti coerenti con i risultati analizzati: allorché le risultanze evidenziano che "le valigie" diventano sempre più "pesanti" e l'organizzazione è in crisi "abissale", egli deve pensare che è indispensabile motivare la struttura organizzativa, facendole rinvenire il suo fine.
Ciò è possibile imponendole di riflettere su alcune domande fondamentali: "chi siamo noi?". "E dove andiamo ... ? ". Qual è il settore d'affari dell'azienda? Chi è il cliente? Cosa ha valore per lui? Come cambierà, in futuro, il settore medesimo? (16).
A tali interrogativi, "senza un sorriso di tregua", è possibile rispondere solo con l'applicazione delle metodologie di marketing strategico (17), cioè attraverso un processo di analisi e di pianificazione volto ad individuare, per il mercato di interesse - spesso "una jungla", - tutte le variabili che lo caratterizzano e tutte le opportunità che esso offre.
A questa prima fase di valutazione ambientale (18) occorre far seguire una serie di comportamenti aziendali che scaturiscono dalla strategia di marketing (19), cioè dal posizionamento che l'azienda intende assumere nei confronti della concorrenza, avvalendosi delle sei leve del marketing-mix (20). Cioè di variabili - "col tempo e il vento tutto vola via" - controllabili e tra loro correlate la cui combinazione consente all'azienda di rendere più incisiva la penetrazione di un suo prodotto (il "caffè"), di farlo essere più competitivo ("solo mille lire") di realizzare un maggior volume di vendite, "da inseguire sempre".
Ed a proposito delle leve può argomentarsi quanto segue:
1) Il prodotto è l'offerta tangibile ("cosa mi dai?") che l'impresa presenta al mercato; esso include le caratteristiche, la confezione, la marca ed i servizi accessori. Prodotto è tutto ciò che può essere offerto in termini di attenzione, acquisizione, uso e consumo, in grado di soddisfare un desiderio od, un bisogno, e può essere costituito da oggetti fisici, servizi, persone, località, istituzioni, anche perché è possibile "comprare un pensiero".
Il suo sviluppo passa attraverso tre livelli:
- il prodotto essenziale, forse l'"acqua", che è la base ed il mezzo per risolvere il problema;
- il prodotto tangibile, "acqua al tamarindo", cioè la trasformazione del precedente, con un livello di qualità, determinate caratteristiche, linea estetica, una marca ed una confezione;
- il prodotto ampliato (21),"acqua al tamarindo" e "un gelato al limone, con l'odore di spezie", se il produttore decide di offrire ulteriori servizi o vantaggi.
Consegue che la nuova competizione non si attua fra ciò che le imprese producono nei loro stabilimenti, ma fra ciò che aggiungono ai loro prodotti sotto forma di confezione, servizio, pubblicità, assistenza, finanziamento, termini di consegna, immagazzinamento, e altri elementi apprezzati dal cliente (22).
2) Il prezzo, costituito dall'ammontare - "qualunque cifra, anche una follia" - "pagato" dai clienti per poter acquistare il prodotto. La politica di prezzo è uno strumento con il quale l'azienda cerca di raggiungere gli obiettivi di vendita che si è prefissati sul mercato, "il nostro mondo", cioè un fatturato che copra "la spesa" ed una significativa quota di mercato. I prezzi devono essere conformi alla percezione di valore (la quale si tramuta in un atteggiamento psicologico che associa ad un bene di prezzo elevato un alto livello qualitativo, sicché il consumatore è formato a riconoscere ad una merce un prezzo minimo ed uno massimo, al di sotto o al di sopra del quale non è disposto a pagare) dei prodotti che hanno i potenziali acquirenti, al fine di evitare di porre l'azienda "fuori margine" sul mercato, a causa dei listini più competitivi praticati dalla concorrenza.
Avendo la politica di prezzo un ruolo fondamentale nell'influenzare il processo decisionale del consumatore, è importante conoscere quali siano le variabili che portano a tali decisioni, il che è possibile attraverso una corretta analisi di quel "mondo freddo" che è il mercato; va però considerato che se un prezzo è alto, deve essere ben evidente la differenziazione qualitativa che lo caratterizza, e ciò può essere pubblicizzato con una campagna promozionale di supporto, essendo fondamentale, in tal senso, far percepire la differenza di qualità già sullo stesso prodotto, sulla sua presentazione, sul suo packaging.
Appare ovvio che il raggiungimento di certi "traguardi" economici e di "quota" di mercato è conseguenza dell'attuazione di una valida politica mirata ad una corretta determinazione del prezzo di vendita dei prodotti.
3) La distribuzione, che comprende tutti gli elementi sui quali l'impresa deve operare per rendere il prodotto accessibile e disponibile per i potenziali acquirenti. La "genialità" è impostare "contro luce" funzioni di individuazione, selezione, coordinamento dei vari operatori intermediari ed ausiliari di marketing, in modo tale da rendere possibile un efficiente impatto col mercato obiettivo dei propri prodotti e servizi: l'impresa avrà "così" una conoscenza completa dei vari canali distributivi e del loro "modo" di operare, in quanto le scelte di canale condizionano tutte le altre decisioni di marketing e sono propedeutiche per il futuro sviluppo.
4) La comunicazione, considerata come l'ampio sistema di mezzi comunicazionali disponibili, tutti aventi come fine ultimo quello di creare e sostenere la domanda che poi le vendite sono chiamate a sfruttare.
L'intreccio di comunicazioni - tra "voci e bisbigli" - si rivolge a diversi tipi di pubblico, sviluppando una fitta rete di comunicazioni orali ed informali fra i diversi gruppi, per cui ogni gruppo fornisce informazioni a tutti gli altri. Lo scopo del mix comunicazionale ("pubblicità", promozione, relazioni pubbliche, vendita personale) è molto ampio, e richiede la pianificazione ed attuazione di molte attività interconnesse, comprendenti (a parte vendite e pubblicità sui media) Una molteplicità di attività promozionali (fiere commerciali, missioni d'affari, promozioni sul punto vendita, congressi, sponsorizzazioni ed appoggi di operazioni culturali/artistiche, ecc.), delle quali "qualcosa rimane".
5) Le relazioni pubbliche rappresentano una strategia di attrazione, un servizio, una "avance" a disposizione di una qualsiasi azienda, ente, organizzazione, al fine di gestire l'immagine della sua realtà operativa (23) comunicandone all'esterno l'aspetto maggiormente "travolgente". L'adozione di tale strumento operativo è la diretta conseguenza di un mutamento nelle decisioni di acquisto di un prodotto, non più in relazione alle sue qualità intrinseche ma per l'immagine (status symbol) che esso conferisce, anche "nei cerchi della notte".
Questo mutamento "feroce" nelle abitudini dei consumatori ha innescato una serie di reazioni positive il cui confluire ha determinato l'assoluta rilevanza che l'immagine ha nelle moderne strategie aziendali, ed in special modo in un contesto di mercato unico, di villaggio globale i cui prodotti e servizi assumono caratteristiche del tutto simili o in cui le differenze si basano sugli aspetti immateriali, "eterei" L'importanza di questi ultimi viene sempre meglio percepita nel confezionamento: la professionalità, la competenza, un rapporto più personalizzato con gli utenti, la cortesia e l'educazione del personale preposto ("le ... attitudini perdute"), sono le armi vincenti per l'azienda o per il professionista ("chiunque": "avrà più di quarant'anni", "un bell'uomo", "selvaggio", "giovane" e "audace") che affronti un mercato sempre più competitivo.
In tale contesto l'immagine diventa un importante elemento di differenziazione per quelle aziende che riescono a trasmettere una "regina" e non "schiava", che si identifichi con certi valori e stili di "vita", in grado di coinvolgere il consumatore ed influenzare le sue scelte, "ora" e "domani".
6) I rapporti di potere (24), cioè la leva attualmente di più difficile applicazione ed il cui utilizzo deve avvenire, come "l'amor di un giorno", con la massima cautela ed in particolarissime situazioni, per evitare i rischi di comportamenti aziendali "torbidi" sia sotto il profilo etico che sociale. Si tratta, in sostanza, di suscitare le condizioni migliori per l'accettazione di un determinato prodotto, utilizzando gli elementi di offerta, "i piani segreti", che vanno oltre quelli di tradizionale utilizzo. Tali azioni si rivolgono a particolari Soggetti pubblici (partiti politici, sindacati, organi pubblici, ecc.) il cui comportamento od opinione, anche "lieve e superficiale", può essere in opposizione all'azione aziendale; in tal caso scopo precipuo di tale attività è di rimuovere i comportamenti negativi per l'azienda, rilanciandola "molto lontano, troppo lontano" ma nel rigoroso rispetto della legalità.

LA COMUNICAZIONE
Nell'impresa moderna la gestione delle risorse umane ha da sempre rivestito una posizione preminente, fondata sulla considerazione che l'"uomo" è un vero e proprio fattore produttivo (25) in quanto sono le sue qualità a determinare il successo od il fallimento delle iniziative economiche.
L'elemento umano infatti, se adeguatamente motivato, consente all'organizzazione di prosperare, superando - attraverso Una cultura del cambiamento sempre più emergente - "le vecchie novità" rappresentate da modelli organizzativi stantii, per approdare a nuovi contesti competitivi caratterizzati da una accentuata connotazione di doti imprenditoriali, tutte orientate alla conquista di vantaggi durevoli e sensibili, a discapito di ciò che si verifica in "un mondo che si chiude" e che, "probabilmente", è rappresentato da una tecnica superata di fare impresa.
In simile contesto il ruolo dei detentori della leadership aziendale diviene quello "complicato" di valutatori e valorizzatori delle risorse umane disponibili, di gestori di uomini, posto che l'esigenza prevalente nell'impresa moderna è quella di fronteggiare l'obsolescenza della professionalità, ben più grave di quella degli impianti (26).
La soluzione di tale "enigma" è possibile attraverso la gestione della comunicazione, cioè dei flussi di informazione interni alla organizzazione aziendale (dal vertice alla base e viceversa) ed esterni ad essa (in entrata ed in uscita da e verso l'ambiente esterno).
La comunicazione, quindi, è come "il tempo" che fluisce quando "tutto il resto è già poesia", una dimensione che ogni individuo vive attraverso la serie ininterrotta dei rapporti che lo attanagliano, e mercé i quali egli comunica, volutamente o spontaneamente con gli altri. Parrebbe, addirittura, che essa sia assimilabile all'"anima" (27) in quanto rappresenta il punto centrale, Il l'incantesimo" della "vita": le Sue distorsioni - possibili -, le sue patologie - ricorrenti -, generano tali e tante discrasie che si ripercuotono, talvolta con effetti devastanti, sulle strutture organizzative entro le quali le risorse umane operano.
Da ciò, conseguentemente, il fatto che "il film" da cui si "srotola" "la pellicola" della comunicazione porta a proiettare, essenzialmente, le immagini di tre protagonisti:
- l'io comunicante, "disperato, antico, eterno";
- le cose, il contesto, "fradicio di magia";
- gli altri, "mille frammenti";
in un "teatro" in cui sono presenti sei assiomi generali:
1) Non si può non comunicare (28). Anche il "silenzio" - con "la sua calma... più segreta" comunica riflessione, "sensibilità", malinconia, "tristezza", "tenerezza", "nostalgia", frustrazione, "sonnolenza", aggressività, "genialità", depressione, a seconda dei contesti oggettivi e della situazione psicologica delle persone, che lo esprimono, magari in un'azienda anch'essa avvolta in Una nebbia " che la rende "sempre più "grigia".
2) Ogni forma di comportamento è una comunicazione, sia che attenga a rapporti posti in essere dalla "ultima" impiegata di line che dal "massimo" esponente di staff.
3) Tutte le comunicazioni hanno un aspetto di contenuto ed uno di relazione perché il contenuto (oggetto del "discorso") prende significato dalla relazione ("tipo" di legame) esistente tra entrambi gli interlocutori.
4) La natura della relazione tra soggetti comunicanti dipende dalla relazione esistente tra le sequenze di comunicazione che si sono verificate tra loro (29) (una relazione topdown che si evolve e "si semplifica" in una tra pari, e viceversa).
Da questa impostazione emergono il `ruolo" della punteggiatura nelle "parole... scritte a macchina" e del tono della voce in quella orale; infatti, indipendentemente dal fatto se "tu capisci e non capisci", tali strumenti servono a porre in evidenza ciò che è rilevante rispetto a ciò che non lo è(quindi non "è uguale che non ci sia, o che ci sia") nel contenuto, in funzione della relazione tra i soggetti che dialogano (di parità o di subordinazione).
Più in profondità, il giudizio di rilevanza o di irrilevanza delle varie parti del contenuto di una comunicazione dipendono dalle caratteristiche della personalità dei soggetti - comunicante e ricevente, "io ... sempre stato ignorante" da una parte e "tu che hai studiato" dall'altra - coinvolti in essa, nonché della loro "storia" o della loro esperienza personale, la loro "vita d'artista".
"E così" si giunge alla interpretazione della Comunicazione nel contesto in cui si svolge ed alla tecnica di elaborazione della risposta, da intendersi non tanto come contro-comunicazione quanto, e "meglio", come comportamento concreto nella relazione tra i due soggetti interessati.
Consegue che la rilevanza del contenuto della comunicazione non è qualcosa di oggettivo (30), "come avere e non avere", perché non tutti lo interpretano identicamente, ma è l'esposizione personale che sottostà al giudizio sulla rilevanza-irrilevanza.
5) Gli esseri umani comunicano, fra loro, usando un "linguaggio" numerico o denotativo, cioè con concetti "uguali" per tutti, ovvero analogico o connotativo, che procede per libere associazioni di concetti, le "frasi mai dimenticate".
E' però evidente che le capacità analogiche differiscono quasi sempre da persona a persona, per cui solo 'Se la frase arriverà" il significato sarà un "segreto" che "scenderà dove non era sceso mai ......
6) Tutti gli scambi di comunicazione sono simmetrici o complementari, sia che si fondino su una relazione di eguaglianza ("io e te") che di differenza ("giorno" e "notte") tra i soggetti coinvolti. A seconda della relazione muta certamente il modo di parlare - comunicare e, addirittura, di recepire l'informazione, sicché "un ... errore" di interpretazione può addirittura determinare una crisi nel processo di scambio delle notizie.
Da quanto esposto discende che nella vita, sia umana che aziendale, la comunicazione si realizza attraverso un discorso maieutico, capace cioè di indurre a ridiscutere "le proprie" convinzioni più radicate e, quindi, a rendere disponibili al cambiamento.
E' ora possibile tentare di enucleare una definizione concettuale del fenomeno esaminato, tenendo presente che:
a) la comunicazione è scambio di informazione, vale a dire di dati tra loro collegati, organizzati in modo da avere un significato compiuto di tipo reale o simbolico-valutativo, "mai" solo "un gesto avaro";
b) per comunicazione si può intendere l'intero comportamento, che in una situazione di interazione "andante" ha valore di messaggio, cioè di singola unità di comunicazione rappresentata sia dalle informazioni che dal comportamento stesso.
"Naturalmente" l'intenzione va intesa come lo scambio di una serie di messaggi fra due o più persone, "non importa" in quanto tempo e con quale frequenza;
c) esaminando l'aspetto contenutistico e quello relazionale è possibile ritenere che il primo - perché non "inventato" - ha più probabilità di essere trasmesso col linguaggio numerico, mentre nell'altro - più "romanzante" - sarà predominante il linguaggio analogico-simbolico.
Deriva così che la divisione di massima dei tipi di comunicazione utilizzati nelle strutture organizzate per conseguire finalità economiche è quella tra comunicazioni verbali, fondate sull'uso delle "parole" scritte od orali (messaggi, colloqui, "discorsi", comunicati stampa, Una "conferenza", articoli di "giornali", interviste, etc.), e comunicazioni non verbali, perché "certe cose non si scrivono", basate sii azioni (comportamenti), situazioni, oggetti (i simboli grafici dell'azienda: marchi, l'insegne", "il camion giallo" di "Gondrand"; "Io stile" del management: comportamento, abbigliamento, "cravatte", "foulards"; l'organizzazione dell'ambiente fisico: uffici "marron", stabilimenti).

 

Quanto esposto, "si sa", è possibile solo attraverso una adeguata comunicazione, mirata ad eliminare qualunque reazione di controdipendenza (rifiuto al messaggio non in quanto tale ma a Causa di un atteggiamento psicologico negativo nei confronti del trasmittente, col quale "non c'è quasi dialogo" sicché gli interlocutori constatano che "siam rimasti lì, chiusi in noi, sempre di più...") in favore di comportamenti diretti ad analizzare la controparte, essendo disponibili ad ascoltarla, sollecitando le sue risposte e, quindi, i suoi bisogni, magari creando "se capita" "un po' di complicità".
Va infine tenuto presente che qualunque attività nel settore della comunicazione interpersonale deve essere indirizzata alla eliminazione delle interferenze che, giusto lo specchietto riportato a lato, possono essere del tipo:
- meccanico, se intervengono sul canale, e sono paragonabili ad "una porta chiusa";
- semantico, se intervengono sul codice, quindi sulle "frasi";
- psichico, e sono le più difficili da controllare, se intervengono sul trasmittente e sul ricevente, allorquando enfatizzano le rispettive "vicissitudini".
Conclusivamente può affermarsi che se è vero che non si può non comunicare, quindi che è cosa "disumana" vivere "solo in un silenzio", è altrettanto rilevante che occorre sempre comunicare, quindi che a tutti i livelli serve:
- definire una strategia di comunicazione;
- controllare con attenzione il proprio processo di comunicazione.
Ciò significa, come sempre e tanto più in azienda, che "è naturale":
a) programmare i contenuti di ciò che si vuole o si deve dire, cioè di "cosa" dire;
b) organizzare il "come" dirlo, vale a dire a chi, quando, con quali mezzi;
c) attuare in maniera "passabile" il processo di comunicazione;
d) controllare l'efficacia dello stesso, il feedback, verificando se i destinatari della comunicazione hanno capito, in che misura, in che "modo", quindi quale tipo di relazione essi hanno impostato con l'emittente (curiosità, disinteresse, "noia", ammirazione, etc).
Catone il Censore - "memorabile" - affermava Tene rem, verba sequuntur, cioè conosci l'argomento, le parole seguiranno (31); in duemila anni il "talento" e l'"arte" hanno fatto evolvere tale concetto nel senso che, oltre a conoscere bene cosa si vuole dire, bisogna comunicarlo efficacemente.
"Un grande inchino": ma "come faccio" se "non ci sono parole"?

LA QUALITA' TOTALE
A partire dagli anni Cinquanta in Giappone si è sviluppato, in tutte le aziende manifatturiere, un tipo di approccio alla gestione profondamente innovativo; e grazie ad esso quello Stato, che "diceva e non diceva", pur essendo poverissimo di risorse naturali, è divenuto uno dei paesi più ricchi del mondo, primo in assoluto per capacità competitiva.
Il nuovo tipo di gestione, che si è diffuso "ad angoli e a spigoli" anche nei Paesi all'avanguardia per lo sviluppo economico, prende il nome di Qualità Totale; con esso vengono modificati radicalmente i seguenti aspetti del sistema aziendale:
- i valori e le priorità che guidano il management dell'azienda;
- le caratteristiche della cultura aziendale;
- le logiche prevalenti nella gestione della attività d'impresa;
- le caratteristiche dei principali processi decisionali e gestionali;
- le tecniche e le metodologie applicate estensivamente dal personale,
- il ruolo dei capi e degli operai;
- il clima, inteso come insieme delle percezioni che le persone hanno su relazioni, meccanismi organizzativi, politica del personale e ambiente (32).
E' stato addirittura affermato che al centro della nuova concezione del management vi è la qualità, come "il sole" - che non è solo "un lampo giallo" - è al centro della bandiera giapponese (33).
Paradossalmente è più facile domandarsi "in fondo se ... non sia anche più intelligente" descrivere la non qualità che la qualità, perché la definizione più semplice è proprio il suo esatto contrario, ovvero zero difetti, zero rifiuti, zero ritardi, zero carte, zero stock (34).
Oggi qualità, a differenza del passato in cui la si intendeva "forse" come un semplice attributo del prodotto, è piena soddisfazione del cliente, esprimibile con il seguente rapporto:
QUALITA' = (Prestazioni globali / Aspettative del cliente)
L'obiettivo di una impresa che la persegue è, quindi, di tenere detto rapporto uguale o lievemente maggiore di uno. Tale interpretazione modifica sostanzialmente il modo di pensare secondo cui si separa la qualità di un prodotto/servizio dalla prestazione in se, e la si considera come un qualcosa di aggiuntivo, come un lusso, "una malinconica seta"; la nuova definizione, invece, afferma che essa l'è soltanto normalità", e perciò non è altro che la fornitura di un prodotto/servizio che `frequenta l'anima", in linea con le reali aspettative e necessità del cliente ed è, "così", insita nel prodotto/servizio stesso.
E poiché "dopo e più facile andare oltre i pensieri", si presentano naturali una serie di considerazioni organizzative e culturali che modificano sensibilmente il modo di vedere l'impresa:
- l'attenzione ai processi, perché la qualità è il grado di adeguatezza dell'output ai bisogni dell'utilizzatore;
- il concetto di cliente interno, perché tutti in azienda, svolgendo dei processi, hanno dei clienti che utilizzano i loro output;
- il miglioramento continuo come imperativo aziendale, perché i bisogni della clientela si svolgono nel tempo, quindi anche la prestazione deve adeguarsi;
- una grande attenzione alla percezione della necessità del cliente,
- una grande valorizzazione delle risorse umane presenti in azienda, in quanto ciascuno è gestore di un processo, pertanto può fare qualità;
- il ruolo fondamentale del management nello sviluppo di tale elemento.
Ma la qualità è anche cultura, intesa, anziché come insieme di istruzioni o dottrine acquisite che "pochi capivano", come capacità di trovare una giusta collocazione rispetto alla realtà, "che ti sorride" con l'atteggiamento di chi, avendo assimilato e trasformato in comportamenti vitali le cognizioni apprese, sia capace di vivere nella propria l'epoca, è, insomma, una way of managing, ma soprattutto una way of life; è un comportamento interiore, prima ancora di essere un insieme di regole o metodologie da seguire e da applicare "in fondo al gioco".
A questo punto il significato di Q.T. può essere sintetizzato come l'impegnarsi sul lavoro per fare le cose giuste, la prima volta in tutti i reparti/uffici dell'azienda, per raggiungere la piena soddisfazione del cliente interno ed esterno, in una logica di miglioramento "senza fine", in base ad una forte leadership della direzione orientata in tal senso, così da garantire il successo dell'azienda nel "tempo" (35).
I punti fondamentali di questo tipo di approccio sono:
a) La priorità del cliente, la cui "soddisfazione" si impone in assoluto.
Per comprendere appieno tale significato si può collegare per fini strumentali l'immagine del cliente-essere umano, che per definizione è continuamente insoddisfatto, all'immagine spaventosa del mostro, che presenta le seguenti caratteristiche:
- ha una fame infinita di prodotti/servizi, di "grandi novità";
- è spietato, non guarda in faccia nessuno, "e nessuno lo sa";
- è esigente, perché richiede un impegno continuo per aumentare la sua "meraviglia";
- è un po' timido, nel senso che "cincischia" e non esprime ciò che vuole, né segnala ciò che non gli piace;
- è vendicativo, in quanto qualora non ottenga ciò che desidera "adesso o mai più", si lamenta con tutti apertamente;
- è un po' bambino, cioè quando scopre qualcosa di nuovo si eccita subito, gusta "nell'intimità" le cose nuove che sollecitano il suo interesse, in cambio è riconoscente;
- è invadente, perché vuole essere sempre presente nell'azienda ed a tal fine si camuffa in modi diversi ("i colleghi");
- è egocentrico, vuole essere considerato "diverso" dagli altri.

 

Il mostro, quindi, è il padrone dell'azienda, è "qualcuno" che ha potere di "vita" o "morte" (economica, si intende!) sull'aggregato produttivo, per Cui è necessario rendere non "incomprensibile" il ruolo determinante del suo appagamento, avendo ben chiare le sue caratteristiche e la sua posizione di forza contrattuale.
b) Il miglioramento continuo: poiché le aspettative del cliente si modificano nel tempo, essendo esso per natura "invisibile" ed "assente", occorre lavorare continuamente al miglioramento della qualità del prodotto/servizio e di tutti i processi aziendali, anche se non direttamente collegati allo stesso.
Con la Q.T., il miglioramento va inteso nel senso di piccoli ma numerosi e continui miglioramenti realizzati, magari con "aria insonne", da tutti i collaboratori dell'azienda, cioè come miglioramento Kaizen, a differenza del miglioramento di carattere prettamente occidentale che i giapponesi chiamano Kairyo, cioè quello a grandi passi, su "nuovi sentieri", realizzato da un ristretto numero di persone all'interno dell'azienda, basato sulle innovazioni nel campo della tecnologia (i "chips"), dei processi dell'organizzazione ("tutto il meglio"), e che richiede investimenti molto elevati (in termini di "denari").
Le differenze esistenti fra il miglioramento Kaizen e quello Kairyo sono diverse: innanzi tutto il primo è un processo che va avviato lentamente, il che porta a cambiamenti graduali e costanti, "quasi niente", mentre il secondo è improvviso, "travolgente"; il Kaizen coinvolge tutto il personale dell'azienda, anche quello "ignorante", al contrario nel Kairyo si interessa Una ristretta elite di persone che sente "crescere tutta l'estraneità" nei confronti degli altri; nel Kaizen l'approccio è sistematico, più basato sugli sforzi del gruppo, invece il Kairyo comporta un individualismo spinto.


c) La mobilitazione di tutto il personale dell'azienda.. considerato che la Q.T. mobilita le risorse intellettuali di "tutto il circondario", che comprende l'intero personale dell'azienda, tutti devono essere coinvolti nell'attività economica, per cui il compito dei dirigenti è quello di motivare e guidare i dipendenti verso il miglioramento continuo, mediante la creazione di team di gruppi di lavoro, che "ovunque" vanno assumendo una filosofia dell'uomo e dell'umanità profondamente innovativa.
d) La formazione continua, vista come processo che impegna ogni persona nello sviluppo, arricchimento ed allenamento del proprio intelletto e che consente una continuità ed una "particolare sensibilità" nei confronti dei cambiamenti.
e) Approccio scientifico al problem-solving: si sostanzia in una metodologia basata su dati e "fatti" anziché su "sensazioni"; con la Q.T. si semplifica e standardizza il metodo scientifico, in modo che ognuno possa apprenderlo.
f) Far entrare la clientela in azienda: "il grande lampo" consiste nel fatto che ciascuna attività operativa trova la sua ragione d'essere nella soddisfazione del cliente; nasce, così, il concetto di cliente interno, nel senso che ciascuna unità organizzativa ha un suo cliente ed "insieme a lui" cerca una qualità misurabile del suo grado di appagamento.

IL CONTROLLO
"Dicono" che l'impresa abbia un ruolo centrale, quasi da l'antica amante", in quanto essa coinvolge tutti i soggetti interessati, direttamente o indirettamente, ai suoi risultati periodici (36).
La sua vita, infatti, tende a perseguire un equilibrio dinamico (37) che richiede di essere controllato nella serie innumerevole di operazioni interne in cui si concretizza, tutte mirate non più, o non solo, alla massimizzazione del profitto quanto - "se capita" - a conseguire un risultato soddisfacente in tema di prestazione di prodotti-servizi, erogati da risorse umane qualificate, a prezzi competitivi, con qualità apprezzabile, anche se a scapito della immediata redditività. A seconda delle finalità perseguite la funzione di controllo, quindi, assume un diverso significato, che spazia dall'ambito esecutivo (cioè connesso all'analisi comportamentale delle risorse umane all'interno della struttura aziendale) a quello economico (ossia indirizzato all'appuramento della convenienza degli obiettivi individuati dal piano strategico).
Al riguardo si parla, "proprio così", di controllo allorché ci si riferisce ad operazioni usuali e ripetitive, "un po' giù" nella gerarchia aziendale, tutte "però" fondate sul concetto di retroazione (38): esso si sostanzia nella attivazione di un sistema quasi "prensile" di rilevazione dei fatti aziendali, capace di porre a confronto gli obiettivi dell'impresa (strategici od operativi) con i risultati cui perviene la gestione.
Quanto più sofisticata è l'azione di controllo tanto più "è sicuro" affiancare alla struttura tecnico-contabile, spesso "amara e muta", processi specifici che consentano di effettuare le rilevazioni necessarie: accade così che l'interazione tra processi e strumenti consente lo svolgimento del controllo, attraverso attività i reporting, cioè mediante la produzione di un "insieme" di documenti periodici contenenti gli elementi significativi da cui derivare le informazioni più adeguate.
I subsistemi cui si fa riferimento, tutti armonicamente coordinati al fine di accertare le modalità di formazione del reddito, sono:
- il sistema della contabilità generale;
- il sistema della contabilità analitica;
- il sistema budget a standard;
- il sistema di analisi delle variazioni;
informazioni - queste - che trasformano il "ruolo" della contabilità da semplice collettore di dati storici in quello di dinamico, tempestivo ed attendibile interprete delle risultanze di gestione, e rappresentano l'appagamento della esigenza di informazioni, "una sfida antica", che caratterizza la evoluzione della società da un'era industriale ad altra, post-industriale.
E mentre "il... tempo si sbriciola" una serie di considerazioni consentono di approcciare al controllo di gestione: l'evoluzione del mercato porta continuamente a far emergere la dinamica "particolare" cui è sottoposta la realtà economica e sociale, dinamica che rende la gestione più esposta ai rischi di quanto non lo fosse prima, in "un'epoca lontana", allorché la stabilità ambientale rendeva più facile il raggiungimento di posizioni di equilibrio economico.
Occupare oggi una posizione solida sul mercato è molto più "difficile" e richiede un adeguato sistema di pianificazione e di controllo, tenuto presente che pianificare significa fissare degli obiettivi, quindi definire con "sapienza" gli indirizzi strategici, tenendo conto dello scenario generale, un "palcoscenico", e delle reali possibilità ed opportunità dell'"enigma" rappresentato dalla aggregazione produttiva.
Quando gli obiettivi siano stati stabiliti dall'imprenditore o dai suoi collaboratori di vertice, "ogni volta" dopo estenuanti "decidi tu", per essere realizzati devono essere accettati da chi opera, attraverso una fase di negoziazione; per verificare poi la loro realizzazione bisognerà controllare i dati a consuntivo con le previsioni, onde accertare l'esistenza di eventuali scostamenti.
E "inganno" ritenere che si possa avere uno svolgimento ordinato della gestione senza controllarla: programmare, attuare le scelte, verificarne l'esecuzione e gli effetti sono tre momenti di un unico processo, quasi "ancestrale", sicché il controllo di gestione (39) porta l'impresa a "prende(re) il largo" verso obiettivi definiti, sostanziandosi in un processo "elegante" che organizza, assicura ed interpreta il confronto tra gli obiettivi prefissati ed i risultati ottenuti, allo scopo di impegnare le responsabilità di coloro che sono incaricati di raggiungerli; se manca questo coinvolgimento il controllo è "sospeso a un filo" e potrebbe rappresentare una "conquista" "all'incontrario".
A tal fine col termine di contabilità direzionale (40) si definiscono i metodi, i sistemi e le tecniche contabili che, unitamente alle conoscenze specifiche ed alla preparazione personale, consentono ai responsabili della gestione di adempiere al compito di incrementare i profitti o quanto meno ridurre le perdite, "tanto per non morire".
Accade così che il controllo di gestione diviene un sistema che coinvolge "ineluttabilmente" altre tematiche legate all'organizzazione, alle strategie, ai sistemi informativi, assumendo una posizione essenziale nell'ambito del sistema direzionale.
Si parla di controllo direzionale (41) proprio per indicare che l'attività di direzione è incentrata su un sistema di controllo che interagisce sul sistema di pianificazione strategica, sui sistemi di valutazione delle prestazioni direzionali e di analisi delle strutture organizzative, "e poi" sul sistema di leadership.
Da ciò scaturisce l'esigenza "intensa" di un coordinamento tra i vari insiemi, per realizzare una guida utile ed indispensabile all'imprenditore, od al management, coinvolto nella sfida con un ambiente in continua evoluzione, tenuto conto che il sistema di controllo "del resto" altro non è che un processo di trasformazione - "un sogno fortissimo" - di taluni input in una serie di output: tre input fondamentali (fattori organizzativi, fattori umani, fattori sociali), vengono trasformati infatti in tre output (efficienza direzionale, motivazione, morale) (42) attraverso un meccanismo, che non è "senza una piega", caratterizzato da una struttura organizzativa fondata sulla delega di responsabilità individuali, da una struttura tecnico-contabile dotata di un sistema di contabilità direzionale ed infine da un processo che "saprebbe - potrebbe" essere caratterizzato dalla definizione di obiettivi e dalla valutazione dei risultati.
L'adozione degli strumenti ipotizzati richiede, "naturalmente" ed alla "origine", un rinnovamento della struttura contabile tradizionale mirata alla certificazione dei fatti aziendali per la quale il bilancio, in senso esaustivo, diventa l'una fotografia" nitida della situazione aziendale, di "una giornata" definita, "sensibile" perché condizionata dai fatti di "ieri", che però consenta di "capire" "oggi", per "intuire" "domani".
Le metodiche per sviluppare tale fotografia destinata al mercato sono da ricercarsi nei principi o standard di revisione, cioè in una "sarabanda" di procedure mediante le quali, sulla base di elementi probativi ed evidenze acquisite presso l'impresa, un "maestro" estraneo all'impresa stessa formula un giudizio professionale sulla attendibilità con cui il bilancio evidenzia obiettivamente i risultati, cioè "oltre" gli apprezzamenti soggettivi e la filosofia "algebrica" dell'estensore che, specie se ispirato, "rivali non ha".
L'attività di revisione, per quanto detto, non si risolve quindi in un mero esame formale delle scritture contabili "che abbaglia la gente", "quanto" in una appropriata conoscenza dei comportamenti dell'impresa mirati a pervenire al convincimento che i dati contabili riflettono correttamente la gestione, se non emerge che si naviga "nel mare di guai".
Il "complesso" delle attività evidenziate, che si sintetizza nella relazione di certificazione, consente di ritenere, molto verosimilmente, che l'attività di revisione:
- costituisce elemento di maggior sicurezza per gli stockholders (soci) e per gli altri interlocutori interni (amministratori, sindaci, alta direzione), in quanto attesta l'adeguatezza delle procedure adottate, il rispetto degli obblighi e dei principi contabili ("un sogno che non c'è o un pensiero già svanito"), quindi la conformità della attività degli organi aziendali, indirizzate alla salvaguardia del patrimonio aziendale, posto che "la strada continua" e la gestione "ricomincerà";
- rafforza la credibilità dell'azienda presso gli stakeholders (43) (cioè gli interlocutori esterni rappresentati dai clienti, fornitori, intermediari finanziari, pubblica amministrazione, dipendenti in cassa "integrazione" e non), attribuendo forza ed eliminando "incredulità" nei confronti dell'informazione certificata, attraverso la quale essa dialoga col mercato;
- è indubbia occasione di crescita interna della struttura amministrativa aziendale la quale, nel confronto con i revisori, trova, "purtroppo" non "gratis", la possibilità di paragone, "incantesimo sublime", tra cultura interna ed esterna.

LA FINANZA
Un'"azienda" è un sistema (44) "complesso" di risorse materiali ed immateriali organizzate dall'imprenditore allo scopo di produrre beni e servizi perseguendo condizioni di equilibrio, in costanza di numerose variabili economiche e finanziarie presenti nell'ambiente.
Le capacità di tale sistema di stare sul mercato, infatti, si misurano in proiezione del fine per cui esso è stato costituito e che, prevalentemente, è rappresentato dal rendimento del capitale investito nell'attività (45): esso è composto sia da mezzi propri che da mezzi di terzi, per tali ultimi intendendosi i capitali di prestito che finanziano il processo produttivo; da ciò l'assunto che il successo di una iniziativa imprenditoriale è essenzialmente legato alla convivenza (46) apprezzabile degli andamenti economici con quelli finanziari.
Il nesso è evidente: la insufficienza di risorse monetarie, da qualsiasi causa possa essere provocata, influisce sempre in maniera negativa sui risultati economici in quanto pregiudica le possibilità formative del reddito, che rappresenta il "motore" dell'autofinanziamento.
Decidendo di creare una struttura produttiva, pertanto, l'imprenditore deve ipotizzare e risolvere preminentemente il "problema" della determinazione e composizione del capitale di finanziamento, del ciclo di ritorno del capitale investito nonché, in breve, di come far fronte in modo economico a tutti i fabbisogni di liquidità, per consentire che le relazioni fisiologiche tra aspetto reddituale ed aspetto finanziario non pregiudichino l'esistenza dell'azienda stessa.
Ciò è possibile se equilibrio finanziario e margini di redditività coesistono, ma anche se i rapporti tra capitale proprio e capitale di terzi sono compatibili e quelli tra immobilizzazioni e passività consolidate sono coerenti.
La "storia" delle procedure concorsuali insegna che troppo spesso la "fine" di un'impresa è determinata dal fatto che l'attivo fisso è stato finanziato dalle passività correnti, ignorando la strategicità del margine di struttura e la irreversibilità delle relazioni che invece è indispensabile esistano tra immobilizzazioni e passività consolidate: la peculiarità dell'organismo azienda, infatti, non tollera disfunzioni finanziarie, per cui chi immobilizza capitali senza l'adeguata copertura di mezzi propri, ovvero non coordina le entrate (derivanti dai ricavi) con le uscite (per costi o per rate di passività consolidate), vive "un istante opaco" e si candida ad entrare, con "un grande addio", in un area di crisi, spesso insanabile.
Vale perciò la considerazione che le operazioni di gestione hanno doppia valenza, economica e finanziaria, sicché ad uno scompenso economico fa sempre seguito un maggior indebitamento finanziario, che a sua volta genera maggiori oneri i quali erodono ulteriormente la redditività già pregiudicata (47).
Soccorre, al riguardo, la teoria del ciclo di vita dell'impresa (48) che scompone il processo di sviluppo dimensionale di un'azienda in quattro fasi:
a) Tecnica, nella quale prevale l'"istinto" ed il "carattere" dell'imprenditore, teso a perseguire obiettivi di natura produttiva e commerciale. Allorché il prodotto-servizio ha successo, la fase di creatività è caratterizzata da fatturati progressivamente in incremento e da consistenti margini di profitto che generano cospicuo autofinanziamento; tali risultati, però, si flettono quando la realtà aziendale impatta con una situazione critica, "una buccia di banana" che può essere superata solo ipotizzando la diversificazione dell'attività.
b) Funzionale, "eventualmente" successiva alla precedente, caratterizzata da una crescita nell'ambito della quale l'imprenditore
ha la percezione della sua missione, non più "superficiale" ma centrata sulla necessità di pervenire, tra innumerevoli "forse si, forse no ...", alla soddisfazione di una serie di bisogni espressi dal mercato dei consumatori-utilizzatori, dalle "caramelle" agli " aspirapolvere".
In questo periodo la struttura organizzativa, già fondata sul potere gerarchico, si trasforma in altra che individua specifiche professionalità interne ed esterne (il "ragioniere", "l'avvocato", "i viaggiatori di commercio") alle quali delegare, frazionandoli, i poteri gestori, col limite di 'dover superare le disomogeneità, ovvero le "serrande abbassate", che impediscono la comunicazione tra i detentori dei poteri delegati.
c) Finanziaria, in cui l'imprenditore, già con "in testa" la sua missione, deve orientarsi alla ricerca di nuovi spazi di redditività, conseguibili attraverso una politica di crescita esterna che comporta in concreto una "complicata" diversificazione, quindi mediante comportamenti che integrano soluzioni di sviluppo industriale e finanziario.
"E' questo il tempo di lasciarsi sprofondare" in tentativi di acquisizioni, concentrazioni, accordi commerciali e produttivi, "in un attimo" operazioni di finanza straordinaria (49), che abbiano come obiettivo non "sonno, nausea" ma "fantasia", e quindi consentano l'accelerazione della crescita dimensionale dell'impresa, la realizzazione del suo programma di diversificazione, la massimizzazione dei suoi processi di integrazione tecnica, il contenimento del rischio produttivo e di quello finanziario.
Da "tanto" deriva l'esigenza di nuovi indicatori non più "barbari" ma dinamici, quali il reddito distribuibile od il valore dell'azienda o - addirittura - i coefficienti moltiplicativi (price earning ratios), posto che la competizione non è più "finzione" perché si trasla dal mercato "vuoto" a quello mobiliare, e quindi il mutamento da gestire si manifesta non solo nella politica dei finanziamenti (che tende ad ottimizzare l'effetto dell'indebitamento) ma anche nella politica degli investimenti (che dovrà considerare anche gli effetti nel mercato finanziario).
d) Politica, allorché con riferimento ai processi "fatali" di globalizzazione ed internazionalizzazione in atto sui mercati finanziari, l'impresa si denazionalizza, assumendo dimensioni continentali che le consentono di operare su di un mercato quasi "pleistocenico", addirittura svincolata od indenne da effetti di direttive in tema di politica industriale impartite dai singoli Stati.
Quest'ultima fase appartiene in massima parte al "futuro", ad un "domani che (però) è già qui", e rappresenta la evoluzione di quella precedente, originata dal diverso rapporto di composizione (50) tra ciclo di vita dell'impresa e ruolo della funzione finanziaria all'interno della stessa: si passa "così" dal concetto "oramai" da "ultimo approdo" di finanza ristretta - tipico dell'impresa attuale e consistente nel reperimento delle risorse o nella definizione della composizione del fabbisogno finanziario - a quello meno "labile" ma non "folle" di finanza allargata - riservato ad una funzione che comprende la valutazione delle alternative compatibili con la specifica condizione finanziaria dell'aggregato esaminato -, per culminare in altro, legato al conseguimento degli obiettivi strategici dell'impresa moderna.
In tal senso la definizione "più completa" è quella di nuova finanza, nella quale la funzione finanziaria si estrinseca come "un'altalena" nella ottimizzazione degli impieghi, partecipando innovativamente alla parte ideativa degli investimenti: non più, quindi, provvista motivata dalla "sagoma... inconfondibile" delle esigenze generiche ("non ho una lira, questa è la realtà"), quanto proposta puntuale, articolata sulla base di "chi sei, cosa vali, cosa vuoi dire", rivolta non più "a perdifiato" ad un mercato sempre meno "arcano" perché composto da intermediari finanziari tradizionali e sempre più rappresentato da investitori specializzati e, "perché no", da privati in grado di rispondere a "quel che vuoi".
La differenza è "piena di vertigine" se solo si considera quanto si è verificato nel panorama internazionale in recenti "anni che vibrano" ancora, allorchè in nazioni finanziariamente evolute, come l'"America" e la Gran Bretagna, numerose acquisizioni di aziende sono state poste in essere facendo ricorso alla tecnica del leverage buy-out, cioè ad un intervento finanziario che consente di acquisire una proprietà aziendale, magari anche "un piccolo bar", con il minimo esborso di capitale di rischio ed il massimo ricorso possibile al credito.
Leva finanziaria di tale strumento è il valore patrimoniale delle attività acquisite, grazie al quale si possono ottenere "i soldi" necessari al trasferimento della proprietà "senza chimere e tabù", mentre i flussi di reddito che scaturiranno nel tempo della nuova gestione serviranno a "inghiottire" i prestiti in linea capitale ed interessi.
Nell'operazione normalmente intervengono quattro protagonisti, tutti focalizzati sull'obiettivo comune di sfruttare al massimo la leva:
a) il manager, motivato a diventare proprietario dell'azienda che dirige, il quale riscopre il suo "orgoglio";
b) le banche commerciali, che forniscono di solito la maggior parte dei fondi necessari al finanziamento, magari a tasso "molto alto";
c) società di venture-capital, investitori istituzionali o privati, che possono essere partners del manager acquirente in veste di portatori di capitali in posizione minoritaria, finanziando solo in quota l'acquisto attraverso prestiti chirografari. La motivazione che spinge questo tipo di operatore, che "spera di essere prossimamente milionario", è la prospettiva di liquidità dell'investimento a medio termine (tre-cinque anni) con lo smobilizzo in Borsa o con la cessione del pacchetto azionario;
d) le banche d'affari, assenti "in... periferia", che forniscono consulenza per gli aspetti fiscali, legali e contabili specialistici.
In buona sostanza i protagonisti portano l'azienda ad indebitarsi "indifferentemente" sino al limite consentito dalle strutture finanziarie, dalla capacità di produrre reddito e dal livello di rischio che i finanziatori ritengono accettabile per quel tipo di attività.
Ovviamente le imprese che costituiscono "il centro d'attrazione" debbono essere poco indebitate e debbono avere nel management ("una razza triste") uno dei principali punti di forza, oltre che presentare concomitatamente le seguenti caratteristiche:
- redditività e flussi di cassa, la cui "intensità" determinerà la capacità di rimborso e quindi il rischio dell'operazione, da calcolarsi tenendo presente il loro andamento negli ultimi cinque-sette anni.;
- prodotti, che debbono essere "tutti o quasi tutti" vari e ben equilibrati, con una posizione apprezzabile sul mercato, per la quale non necessitano sostegni di marketing troppo onerosi;
- struttura produttiva, che deve essere competitiva ed aggiornata, quindi "costruita" per non richiedere, nel medio termine, investimenti aggiuntivi oltre ai normali tassi di rimpiazzo e di ammortamento;
- attività od unità collaterali, cioè elementi aggiuntivi collegati all'azienda, che possono essere scorporati o ceduti in casi di "tempeste", per far fronte al rimborso dei debiti;
- tassi di crescita aziendale, che debbono essere coerenti e "trattare" alla pari col PIL (prodotto interno lordo), per non favorire l'espansione dell'indebitamento;
- valore di mercato dell'azienda, cioè il suo valore patrimoniale, congruo "prima, durante, dopo", senza tener conto dell'avviamento;
- fattori esterni, anche prospettici, per sventare tempestivamente minacce di tipo concorrenziale, tecnologico o legislativo che potrebbero incidere, come "uragani", negativamente sull'operazione.
Tanto più l'effetto-leva è elevato tanto più l'operazione sarà vantaggiosa in termini di redditività dell'investimento, tenuto conto che le imprese oggetto di attenzione debbono possedere le caratteristiche di scarsa rischiosità intrinseca e di buona redditività complessiva.
Nell'ambito delle operazioni "come si usa dire", di take-over, invece, un fenomeno particolare è rappresentato dai junk bonds (obbligazioni spazzatura), che hanno favorito lo sviluppo di tecniche aggressive nel decennio passato, e che ora non sono più attuali anche a causa della recessione mondiale: si tratta "in verità" di uno strumento di provvista finanziaria utilizzato da imprese che, non godendo di un rating adeguato per affacciarsi sui mercati ufficiali, emettono titoli ad alto rischio, "pieni di fuliggine" ma con rendimenti più elevati (tre-quattro punti percentuali) di quelli corrisposti su altre attività finanziarie.
Come è facile arguire tali titoli sono assimilabili più ad azioni con cedola che ad obbligazioni ordinarie, a causa del profondo coinvolgimento che essi comportano, per il loro possessore, negli aspetti più delicati della vita delle imprese per la cui "caccia" sono stati emessi.
Il collocamento dell'emissione è infatti generalmente connesso all'acquisto delle attività di un'altra società su cui si ripongono, "intanto", ragionevoli aspettative di notevole guadagno.
Se il raid riesce, "come in un dolce sogno" verranno emesse nuove e più pregevoli azioni, che trovano garanzia sulle attività acquisite; in ipotesi contraria, allorché "non si guadagna", il raider onorerà senza "applausi" l'impegno assunto con l'iniziale emissione di junk-bonds, vendendo le proprie attività mobiliari e rimborsando non integralmente, in un mercato che "ribolle", sino a quando avrà disponibilità da "lotteria" e - come insegna l'esperienza - penalizzando clientela "illusa" che forse ha peccato "d'ingenuità": "così è la vita".

CONCLUSIONE
A "spiegare" la vita di un'impresa "non basta un attimo"; essa, infatti, si articola tra "mille sfumature", in un "mondo adulto" pieno di "ma chissà, però" che si trasforma continuamente, come una matassa che si "arrotola" e si "srotola" e che è difficile dipanare, tra congiunture di crisi e congiunture di normalità, alle quali l'imprenditore deve opporre la perenne ricerca di soluzioni, su basi progressivamente più avanzate. Nell'ambito dei cicli economici, infatti, la struttura può evolversi "oltre le illusioni", più o meno legittime, ed all'opposto involversi in "delusioni", più o meno scontate, al primo accenno di "acqua gelida" che indica una inversione di tendenza: si susseguono così non azioni, comportamenti di routine ovvero innovativi.
Poste simili alternative, il detentore "illuminato" del potere-decisionale deve ammettere che è una "acrobazia" (magari "appassionante") programmare e prevedere in astratto tutta l'esistenza di una organizzazione produttiva, cioè in maniera assoluta (quasi "religiosamente") e definitiva (per "l'eternità"); piuttosto, ragionevolmente, egli ipotizzerà che è possibile pianificare concretamente lo sviluppo controllando criticamente le risultanze gestionali - per quello che "dicono" e che lasciano "intuire" - e la loro coerenza con le esigenze del mutevole contesto generale.
Ciò è possibile se chi governa le funzioni aziendali (imprenditori, managers, "professionisti") è conscio degli obiettivi che si è proposto ("quello che vuoi"), conosce profondamente e dall'interno ("nell'anima") la struttura in cui opera (pregi, difetti, disponibilità al cambiamento, assetto finanziario, "quello che sai"), ma essenzialmente identifica i limiti oltre i quali non può andare ("quello che puoi") in una sorta di continuo inseguimento tra risultati ed aspettative, come "volersi e desiderarsi, facendo finta di essersi persi".
Se il circuito è perverso "l'ansia" farà premio e ricorrerà la "amara" constatazione che "più niente resterà del nostro mondo", quindi, che l'impresa - al massimo della sua "infelicità" - è costretta ad uscire di "scena"; viceversa, se il circuito è virtuoso, anche i periodi congiunturali negativi possono essere superati, senza "inquietudine", perché l'equilibrio organizzativo si assesterà su "piste" "sempre nuove", sulle quali l'impresa rinnoverà la sua "puntuale" sfida al mercato, proponendo, "ancora" una volta, "una commedia" che "ricomincerà.... parlando piano tra noi due ...".

 

NOTE
BIBLIOGRAFIA
1) REY M. GUIDO, Le grandi trasformazioni della economia reale, in Economia Italiana, n. 3/1990.
2) SHUMPETER J., Teoria dello sviluppo economico.
3) MINAFRA R., Strategie d'impresa, in Terra d'Otranto, n. 4/1991.
4) MINAFRA R., L'impresa come entità sociale, in Economia Brindisina, n. 3/1992.
5) BARCA F. e MAGNANI M., L'industria tra capitale e lavoro, Il Mulino, Bologna, 1980.
6) GROS-PIETRO G.M. e ROSA G., Investimenti, processi innovativi e riflessi sulle strategie d'impresa, in Rivista di Politica Economica, Roma, febbraio 1987.
7) SALSI A. e DONA' DOMENEGHETTI R., PMI in Europa, in Amministrazione e Finanza, n. 3/1992.
8) MINAFRA R., Realtà e prospettive della situazione economico-produttiva nel Salento, in Sudpuglia, n. 1/1993.
9) PANATI G. e GOLINELLI G.M., Tecnica economica industriale e commerciale, La Nuova Italia scientifica, Roma, 1991.
10) BRUNETTI, AIROLDI, CODA, Lezioni di economia aziendale, Il Mulino, Bologna, 1989.
11) PANATI - GOLINELLI, opera citata.
12) PAOLONI M., Modelli di management e produttività d'impresa, una verifica empirica, Giappichelli Editore, Torino, 1990.
13) GUATRI L., Trattato di economia delle aziende industriali, Egea, Milano, 1988.
14) KOTLER F., Marketing management: analisi, pianificazione e controllo, ISEDI Editore, 1991.
15) DE DONNO R., Analisi del sistema distributivo, in Terra d'Otranto, n. 4/1991.
16) DRUCKER P., Management; tasks responsabilities practices, HARPER 6 ROW, 1973
17) ABELL D.- HAMMONDI J., Marketing strategico, IPSOA, Milano, 1986.
18) HAX A.C. - MAILUF N.S., Direzione strategica, IPSOA, Milano, 1984.
19) HOFER C. W. - SCHENDEL C. W., La formulazione della strategia aziendale, Franco Angeli, 1978.
20) KOTLER F., Marketing management..., già citato.
21) CHERUBINI S., Il marketing dei servizi, Franco Angeli, 1991.
22) LEVITT, The marketing mode, MC GRAW - HILL, 1969.
23) KOTLER F. - REIN I. - STOLLER M., Alta visibilità: marketing delle celebrità, Isedi Editore, 1990.
24) KOTLER F., Quattro P? Ora sono sei, parola di Kotler, MARKETING ESPANSIONE, Agosto 1987.
25) MINAFRA R., La gestione delle risorse umane in banca, in Terra d'Otranto, n. 4/1992.
26) GIANNINI M., Le risorse umane come fattore strategico ed organizzativo, Giappichelli Ed., Torino, 1990.
27) HILLMANN J., Anima, Edizioni Adelphi, 1991.
28) WATZLAWICH BEAVIN, JACKSON, Pragmatica della comunicazione umana, Edizioni Astrolabio, 1967.
29) GOFFMANN E., Il comportamento in pubblico, Einaudi, 1971.
30) HABERMAS J., Teoria dell'agire intercomunicativo, Il Mulino, 1971.
31) GRANDI L., Corso di tecniche di comunicazione, (appunti delle lezioni, 1990).
32) GALGANO A., I sette strumenti della Qualità Totale, Ed. Il Sole-24 Ore, Milano.
33) PIETRI R., La scelta della qualità, in Qualità n. 3/1989.
34) PIETRI R., opera citata.
35) GALGANO A., I sette strumenti, opera citata.
36) MINAFRA R., L'impresa come entità sociale, in Economia Brindisina, n. 3/1992.
37) PASINI A., Esigenze, di chiarezza in tema di controllo aziendale, in Amministrazione e Finanza, n. 20/1988.
38) BIFFIS P., La contabilità analitica come metodologia del controllo di gestione, in AA. VV., Pianificazione e controllo della gestione nelle imprese bancarie, Arti Grafiche Spinelli, Milano, 1980.
39) MEYER J. - LAUNOIS S., Il controllo budgetario, F. Angeli, 1985.
40) BATTY J., Manuale di contabilità direzionale, F. Angeli, Milano, 1988.
41) ANTHONY R.N., Principi di contabilità aziendale, Etas Libri.
42) SAITA M., Il controllo di gestione, Giuffrè, Milano, 1980.
43) FREEMAN E., Strategie management: a stakeholder approach, PITMAN, Boston, 1984.
44) AMADUZZI A., L'azienda nel suo sistema e nell'ordine delle sue rilevazioni, UTET, 1953.
45) DELL'ATTI A., La redditività della gestione bancaria, Cacucci, 1984.
46) D'ANGELO P. - MAZZANTINI M., Trattato di tecnica bancaria, Villardi Editore, 1972.
47) MINAFRA R., I motivi all'origine della crisi dell'azienda, in Terra d'Otranto, n. 2/1985.
48) DONNA G., Finanza strategica, L'IMPRESA, n. 6/1989.
49) JOVENITTI P., Le operazioni di finanza straordinaria, in Trattato di Economia delle Aziende Industriali, Egea, 1988.
50) HAX A.C. - MAJLUF N.S., Strategic management, PRESTINCE HALL, 1984.


Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000