§ Gli attacchi di Moody's

Perché l'estero non ci crede




M. B.



Questa volta tutti, o quasi, si sono rivoltati contro i giudizi di Moody's sul debito italiano, anche chi era insorto contro il governo alle prime retrocessioni. Eppure, non è così infamante venire paragonati al Portogallo, che ha tentato con qualche successo il ripianamento parziale del debito; né, tanto più, alla Corea del Sud, che vanta un tasso di sviluppo a noi ignoto e che ci precede di misura nella classifica delle prime cinquecento multinazionali non americane: undici la Corea, dieci l'Italia.
Ma il monito di Moody's suonava bene ai tempi in cui, con sciagurata sufficienza, ci vantavamo di essere nientemeno che la quinta potenza industriale del mondo. Diventa scomodo nei tempi del risanamento, e addirittura insultante è stato nel momento in cui alla presidenza del Consiglio si è dovuto chiamare un tecnico di altissimo livello, il Governatore della Banca d'Italia. In sostanza, come per le rituali processioni del Fondo monetario internazionale, i moniti dall'estero valgono e vengono apprezzati (o respinti) solo in chiave interna. Eppure, gli analisti di Moody's hanno dalla loro parte buoni argomenti.
Innanzitutto, le stime di un risanamento già difficile sulla carta sono tutte da rivedere. Le entrate, a causa della recessione, latitano, e le premesse dell'autotassazione sono state nefaste. Le uscite non possono venire compresse oltre una certa misura. La fine di certi automatismi di spesa produrrà senz'altro risultati apprezzabili, ma soltanto in tempi lunghi.
In secondo luogo, il dibattito sul consolidamento dei BOT è ormai più serio di quanto i banchieri internazionali ritengano ammissibile. Tanta pubblicità non piace a nessuno.
Inoltre, per paradosso, proprio la nascita di un governo forte, che ha avuto come protagonista Carlo Azeglio Ciampi, ha aumentato le preoccupazioni. Finché l'esecutivo galleggiava nell'indecisione e nella fragilità delle coalizioni partitiche passate, schiave delle corporazioni, non ci si poteva attendere una qualsiasi inversione di rotta. Ma quando si cambia, si cambia. E proprio Azeglio Ciampi, o per meglio dire il suo successore - argomentano alcuni osservatori - potrebbe avere la forza politica per fare, alla testa dell'azienda Italia, quello che qualunque nuovo amministratore di un'azienda così indebitata farebbe: chiedere la rinegoziazione delle scadenze del debito ai suoi creditori.
Di qui, e continuando col paradosso, si può sostenere che proprio la prospettiva di un'Italia che si accinge ad imboccare la via del risanamento ha suscitato l'allarme tra i grandi della finanza internazionale. Non è che si avvicina la svolta decisiva? Non è che gli italiani prenderanno sul serio i consigli di Modigliani che esorta a una drastica riduzione dei tassi? Un taglio di cinque punti avrebbe come riflesso una minore spesa per interessi di ottantamila miliardi di lire: esattamente quanto si ricava da una manovra lacerante, nell'ordine di quella del governo Amato.
Ma tagliare i tassi può avere conseguenze devastanti sulla lira e sui BOT. A meno che attorno all'esecutivo, grazie ad una forte ripresa delle esportazioni e al contenimento dell'inflazione dovuto alla moderazione salariale, non si creino le condizioni per una manovra finanziaria coraggiosa e complessa. Qualche cosa che, in scala maggiore, ricordi il taglio dei risparmi avvenuto a suo tempo sulle cartelle fondiarie.
Fantasie? E' probabile, ma non deve stupire la cautela degli operatori di Moody's. E' il mestiere che impone loro di esser miopi: sia quando ignorano le premesse della ripresa italiana, sia quando ignorano, come in passato, le conseguenze di una politica dissennata. Perché gli esperti di Moody's sono gli stessi che ci hanno assegnato la "tripla A", quando l'Italia dissipava i mezzi emettendo Bot a raffica nei meravigliosi, ciechi e irresponsabili anni Ottanta.
Ma allora, si sa, l'Italia era di moda. Mentre oggi viene ignorata o punita. E non solo per il nudo linguaggio delle cifre. Basti paragonare la situazione nostra con quella del Belgio, l'unico Paese che continua a precederci nell'ingloriosa classifica del debito pubblico rispetto al prodotto interno lordo. Nonostante la situazione tutt'altro che agevole della finanza pubblica, il Belgio può contare su una valutazione due gradini più su da parte di Moody's e i tassi di interesse sul debito pubblico non vanno oltre un punto in più rispetto alle emissioni della Bundesbank.
Le ragioni? La situazione politica è abbastanza agitata, quella giudiziaria si sta agitando. Sul fronte della coesione nazionale il Belgio, infine, sembra a un passo dalla secessione tra area fiamminga e area dei valloni. E il miglioramento del deficit, già decantato negli anni passati, si è fermato a causa della recessione che ha pesato sulle entrate del fisco belga.
Perché allora un trattamento migliore? Perché i mercati finanziari funzionano meglio, perché la crescita della piazza bancaria e borsistica del Lussemburgo provoca forti vantaggi anche alla vicina Bruxelles che può piazzare lì, al riparo da un fisco indiscreto, buona parte dei suoi titoli.
Perché, infine, l'ombrello garantito dalla locomotiva tedesca è agli occhi di Moody's un ottimo scudo. Almeno per adesso: visto che, sulla media distanza, quegli esperti in genere non ci prendono. O così dobbiamo sperare, da buoni e tartassati italiani.


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