§ Per superare la fase recessiva

Nuovi modelli di capitalismo




Carlo De Benedetti



Nessuno poteva immaginare, anche solo un anno fa, che la fine di un regime sarebbe stata così rapida e devastante. In queste condizioni domandarsi che aspetto avrà il Paese quando, nel dopoterremoto, sarà stata completata la ricostruzione, può sembrare a dir poco prematuro.
Ciò non toglie che oggi si debba comunque fare uno sforzo di chiarezza e di razionalità per individuare le azioni e le scelte da compiere perché nel medio e nel lungo termine l'economia italiana possa ritrovare la strada dello sviluppo equilibrato e stabile. Per prima cosa, però, è indispensabile fare alcune premesse.
La prima è che oggi più che mai si deve riconoscere il primato della politica sull'economia. In passato più volte si è detto che la forza dell'economia italiana era frutto in certa misura della debolezza del quadro politico. La latitanza dello Stato - si diceva - lascia maggiori spazi alle imprese. Oggi abbiamo evidenza di quanto errata fosse questa valutazione.
Una seconda premessa che occorre fare riguarda la situazione economica attuale. L'analisi congiunturale mostra che oggi in Italia ci sono alcune condizioni annuali per operare a favore di un rilancio del ciclo di sviluppo nel medio e lungo termine. Di queste condizioni, almeno quattro sono rilevanti:
1) la svalutazione. Non c'è dubbio che finora ha giocato a favore del ripristino della competitività;
2) la de-indicizzazione. L'accordo del 31 luglio 1992 sulla scala mobile, rompendo il tradizionale legame tra prezzi e retribuzioni, ha spianato la strada verso una più generale applicazione del principio della de-indicizzazione;
3) l'assenza di spinte inflazionistiche internazionali;
4) la riduzione dei tassi d'interesse.
Le condizioni economiche di base sono quindi favorevoli per costruire la ripresa. Ma queste condizioni diventano effettive solo se accompagnate da dosi massicce di fiducia e di credibilità.
La terza premessa - o il terzo vincolo di sviluppo - è proprio questa: il ristabilimento della fiducia e della credibilità. La fiducia e la credibilità non si costruiscono con i mass media. Non sono una questione di immagine, ma di fatti reali, di comportamenti corretti e trasparenti, di comprovata capacità di decidere e di cambiare. Sono quindi in primo luogo una questione politica.
Ma in concreto, che cosa si può fare per garantire al Paese una ripresa sostenuta? Credo che un primo punto sia da individuare nella riforma del modello capitalistico italiano. La crisi politica e morale del Paese ha messo a nudo non solo lo sfacelo irrimediabile di un regime politico, ma anche l'inadeguatezza dell'arretrato sistema capitalistico che lo ha accompagnato.
D'altra parte il capitalismo è uno strumento, un modo di gestire l'economia; non è un'ideologia, e quindi evolve continuamente per adattarsi al rapido cambiamento delle condizioni storiche e geo-politiche. Il capitalismo italiano è sempre stato anomalo: un misto di capitalismo di Stato e di capitalismo familiare. La sua crisi non nasce oggi: la denunciavo già verso la metà degli anni Settanta. Ma oggi è diventata palese a tutti.
C'è un primato della politica anche nella ridefinizione del modello di capitalismo verso Coli orientare l'economia e la società italiana. Ritengo che nella ricerca di un nuovo modello di capitalismo vi siano almeno sei principi irrinunciabili:
1) lo Stato non può continuare a operare sul mercato con le vesti di controllore e controllato allo stesso tempo. Questo significa che si deve porre fine al capitalismo di Stato;
2) le regole che disciplinano il mercato devono essere poche, chiare e trasparenti;
3) ampliare quanto più possibile l'area del mercato e della libera competizione nell'ambito di regole prestabilite;
4) ampliare quanto più possibile la partecipazione dei cittadini al mercato azionario e alla proprietà delle imprese (capitalismo democratico e popolare);
5) definire un ruolo più attivo delle banche nella crescita delle imprese, industriali e non. Ovviamente, ciò comporta cambiamenti nell'assetto istituzionale e nella cultura prevalente di molte banche,
6) stimolare l'imprenditorialità ed eliminare le discriminazioni che penalizzano gli investimenti di rischio rispetto ad altri investimenti finanziari.
Il mercato è la prima e più importante infrastruttura di cui un moderno sistema capitalistico ha bisogno. In Italia c'è molto da fare per riscoprire il mercato e per farlo funzionare.
Due interventi, in particolare, possono avere un ruolo cruciale:
1) avviare un ampio processo di privatizzazione.
L'Italia è l'unico tra i maggiori Paesi industriali che non ha compiuto negli ultimi dieci anni alcun passo concreto verso la privatizzazione delle imprese pubbliche (intesa nel vero senso della parola, e cioè come cessione ai privati del controllo dell'impresa e non solo di una quota azionaria).
Siamo in ritardo rispetto a Francia, Gran Bretagna, Germania e Spagna; ma siamo in ritardo anche rispetto a Messico, Pakistan e Argentina;
2) la ridefinizione delle norme sugli appalti pubblici.
Rafforzare il mercato non basta. Per rendere credibile la prospettiva di un ritorno allo sviluppo sostenuto bisogna anche investire in due aree critiche: l'innovazione tecnologica e la formazione. Spendiamo per R&S meno di qualsiasi altro Paese industriale; operiamo in settori fortemente esposti alla competizione di prezzo, pur avendo un sistema di costi elevati; abbiamo una limitata presenza in quei settori innovativi che mostrano una crescita più elevata della domanda internazionale. Clinton e il suo vice, Al Gore, hanno raccolto uno straordinario consenso attorno a un progetto che rilancia una verità semplice quanto dimenticata: i migliori investimenti per il consolidamento di un sistema economico sono quelli indirizzati allo sviluppo delle nuove tecnologie e alla formazione delle risorse umane. Sulla base di queste ovvie considerazioni, la nuova amministrazione americana sta avviando progetti concreti, che prevedono lo sviluppo di nuove reti infrastrutturali di comunicazione basate sulle nuove tecnologie (information superhighways), con forte sviluppo soprattutto delle applicazioni legate all'educazione e alla formazione.
In fondo, non è molto diverso l'approccio che negli ultimi vent'anni ha consentito al Giappone uno straordinario sviluppo, nonostante la carenza di energia e di risorse naturali. Il know-how tecnologico, l'intelligenza, la conoscenza: queste sono le risorse strategiche per lo sviluppo. Con queste considerazioni ho inteso sottolineare le condizioni, le scelte e le azioni che a mio parere sono indispensabili per riportare l'economia italiana su un sentiero di sviluppo. La valutazione dello scenario economico di lungo termine non può essere ricondotta a una semplice questione di ottimismo o di pessimismo. Le fasi storiche, come quella che stiamo vivendo, così come il futuro in larga misura ce li possiamo costruire noi, con scelte meditate, corrette e adeguate. Ma il tempo a disposizione è poco. I pilastri rappresentati dall'economia e dalla democrazia reggono a fatica: il pilastro dei partiti e della politica si è sbriciolato. Bisogna ricostruirlo al più presto, prima che anche gli altri due pilastri cedano.
Ma l'Italia ce la farà? A questa domanda, che sistematicamente ogni giornalista, banchiere o imprenditore straniero che incontro mi rivolge, oggi mi sento di rispondere con un atteggiamento di fiducia. Non per generico e immotivato ottimismo, ma perché vedo che le scelte, le azioni necessarie per risanare la politica e le istituzioni, per riformare il modello capitalistico e rilanciare l'economia sono alla nostra portata.
Vi è un numero crescente di indizi che mostrano come il Paese si stia liberando da una ingessatura insopportabile, che lo soffocava, ne impediva ogni cambiamento, ogni possibilità di adeguamento a uno scenario mondiale in rapidissima mutazione.
Insieme al Muro di Berlino, in Italia sono crollati tanti altri muri, piccoli, ma non meno invalicabili, che servivano a nascondere privilegi e corruzione, accordi sotto banco fatti sulle spalle del mercato, della libera concorrenza, della trasparenza nei rapporti economici e sociali. La spinta al cambiamento è divenuta brutale e impietosa. Non è solo la magistratura che si muove; è la nazione, che chiede di voltar pagina e che rende ormai impercorribile ogni tentativo di arretramento e di restaurazione. Le condizioni economiche di base sono favorevoli a una ripresa della sviluppo. Certamente oggi l'economia è una molla compressa, pronta a liberare tutta la sua energia non appena le condizioni esterne glielo consentiranno. Le risorse sane del Paese sono ancora tante, così come le sue qualità, la voglia di riscatto, di rinascita.
Ricostruiamo un valido e moderno quadro di riferimento politico e istituzionale: riaffermiamo i valori della democrazia, del mercato, della trasparenza nei rapporti politici ed economici. Se questo saremo capaci di fare nell'arco di pochi, pochissimi mesi, allora non sarà più utopia immaginare una nuova fioritura di imprenditorialità. In una parola, non sarà più utopia, come oggi può sembrare, la prospettiva di un'Italia risanata e rinnovata, capace di tenere il passo con lo sviluppo degli altri Paesi europei.


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