§ Sintonie italo-maltesi

I poeti della santa luna




Oliver Friggieri



Karmenu Vassallo (1913-1987) è uno dei poeti romantici più importanti di Malta. Lungo il suo itinerario poetico ha svolto un intimo e affettuoso dialogo con il poeta recanatese. Si tratta di una forma di immedesimazione motivata dal profondo bisogno di trovare una persona ideale con cui svolgere un rapporto spirituale basato su una concezione particolare della poesia, e a cui rivolgere in forma sublimata le proprie aspirazioni. La sua lirica, concepita come un fedele rifacimento della vita stessa, elaborata come tiri documento autentico di una esperienza, è ricca di echi leopardiani. Insieme alla componente puramente individuale, la sua opera (Nirien, 1933; Kwiekeb ta' Galbi, 1944; Hamiem u Sricp, 1959; Tnemnim, 1970) da grande rilievo a riflessioni filosofico-letterarie che la legano all'opera leopardiana.
Ciò che segue è una rielaborazione organica del suo pensiero estetico. Questo corpo è il risultato complessivo di idee sparse in numerose opere di prosa e di poesia, qui presentate secondo un filo logico particolare scelto dall'autore.
Le varie idee sono messe a confronto con l'opera poetica, critica e filosofica del Leopardi, e in effetti viste alla luce della loro storia e del loro influsso sulla sensibilità del maltese.

Definizione di letteratura
L'arte può assumere una funzione pratica, e si chiama industriale, e può avere il piacere come scopo, e si chiama liberale. La letteratura dirige e serve la scienza e l'arte, e sintetizza in sé il vero, il buono e l'utile che vi si trovano. Associandole e immedesimandole con la sapienza, con i pensieri e i sentimenti dell'uomo, le indirizza secondo le leggi del bello, per renderle gradevoli e più accettabili. Mediante la forma affascinante che dà ad esse, diventano più comprensibili e convincenti, accessibili a tutti (1).
C'è un intimo rapporto tra il sapiente e il letterato. Il rapporto che esiste tra la scienza e la letteratura, tra la forma e la sostanza, fra il vero, il buono, l'utile e il bello, è fondamentale anche tra il letterato e il sapiente, così come è inscindibile il legame tra anima e corpo. La separazione della scienza dalla letteratura è un divorzio. Sarebbe anche un divorzio a a natura se si tentasse di negare il dono della sapienza al letterato. il vero letterato non può essere insapiente (2).
Lo scopo della letteratura, perciò, (leve essere quello di suscitare nell'uomo, attraverso il diletto, la volontà di essere degno delle grandi tradizioni morali, civili, culturali e nazionali della patria. "L'arte e la letteratura sono l'emanazione morale della civiltà, la spirituale irradiazione dei popoli" (3).
La letteratura coltiva il bello, e lega il bello con il buono e l'utile. Insieme con il diletto, cerca di dare aiuto al progresso morale e civile dell'uomo e della nazione, perché l'ideale letterario, considerato in sé, è più spirituale che materiale. Si serve del bello per avvicinare l'uomo senza sforzo al vero e al buono; il bello si manifesta e si sviluppa insieme al buono e al necessario. Lo scrittore può scrivere per dilettare, o per istruire, o per realizzare tutti e due gli scopi. La fusione delle due funzioni completa l'ideale artistico. Essendo la letteratura la regina della civiltà universale, è anche la diretta responsabile dell'emancipazione spirituale dell'umanità (4).
Fin qui le idee estetiche del Vassallo mostrano una diretta dipendenza dall'estetica classica, o meglio dal suo filone pedagogico, direttamente assimilato dalla tradizione umanistico-oraziana che aveva avuto nell'isola una ininterrotta fortuna dai primi tempi dei Cavalieri fino agli albori del Romanticismo (Ciantar, Testaferrata, Viani, Rigord, ecc.). In questa direzione si giustifica dunque la stretta parentela riconosciuta tra il bello, il vero e l'utile: che è anche parte dell'insegnamento estetico manzoniano, ma che il Vassallo assume senza opposizione dalla cultura isolana, che rimanendo sostanzialmente al di qua della grande bufera romantica aveva potuto ripetere, anche in pieno Ottocento, che la vera poesia è quella che s'investe di alti compiti civili e che attraverso il dilectare realizza con efficacia il prodesse. Ma accanto a queste proposizioni un po' ovvie e ben divulgate dobbiamo segnalare elementi di riflessione estetica ben diversi per genesi e per esplicite referenze, che annoteremo procedendo nel nostro discorso.

La poesia come marcia verso l'infinito
La poesia, una delle forme alte e nobili della letteratura (5), la "regina di tutte la arti" (6), è un fenomeno molto sublime e illustre (7), anzi è addirittura l'ottima creatura che si trova nell'universo (8). E' di origine divina, anzi è "figlia di Dio" (9), e la sua esperienza è "un sogno paradisiaco" (10). E' Dio stesso a scegliere il poeta (11) e a presentargli la parola come testimonianza di pace (12). Per necessità, dunque, i poeti sono pochi (13), e il "vero poeta" è un uomo superiore a tutti gli altri, assai diverso da loro (14), appartenente ad un mondo più elevato (15). E' inevitabile che si tenga al di sopra di quello che è ignobile e falso (16), e perciò i suoi pensieri sono sempre più in alto, delicati, ricchi e misteriosi (17). Un'opera vaga, sublime e suggestiva "come le stelle nella serenità del cielo", non può mai trovare origine in una mente debole o in un'anima chiusa (18). Anzi, fra tutti gli uomini, il più grande e il più nobile è il poeta (19). Il sapiente è degno di gloria, ma nessuno fuorché il poeta merita il nome di "creatore ideale", perché egli crea inesauribilmente (20) e il suo pensiero è, di sua natura, inventivo (21). I più grandi ingegni fanno molte cose, ma non creano. Il genio poetico oltrepassa tutti gli altri proprio perché partecipa alla creazione, che è solamente un'opera divina. E' perciò superiore anche al genio della sapienza, perché nessuno è dotato di una missione tanto sublime alta e utile (22). Anche nel settore strettamente letterario, la poesia è il genere più forte e più meraviglioso. Ciò che si trova nei versi, particolarmente l'aria misteriosa e leggiadra, non si può trovare nell'ottima prosa (23). La poesia, ad esempio, ha il potere di alleggerire ciò che nella prosa appare più "oscuro e terribile", cioè più immediato e vicino alla crudezza della realtà empirica (24).
La causa fondamentale di questa altezza, che identifica pienamente il poeta con l'uomo, sta nella credenza che il poeta nasce tale: "poeta nascitur, orator fit". Il dono poetico si riceve fin dall'inizio (25), e non dipende dall'uomo diventare poeta (26), anzi, per essere più precisi, si inizia la vita umana in uno stato di potenzialità (27) che poi diventa "in actu" con il passare del tempo, con lo sviluppo della maturità che si acquista gradatamente (28). Il compito congenito di un tale uomo è, in effetti, di cantare e di continuare a cantare fino alla morte. il poeta che non canta contraddice la propria missione (29).
A causa di questa altezza, la maggioranza degli uomini non può comprendere il poeta (30), perché il suo "regno" non è comune come lo è ogni altra esperienza umana (31). Essere poeta significa essere un "sacerdote delle Muse" (32), e la poesia è la religione, la fedele compagna della santità religiosa (33). Di conseguenza il dovere del poeta è santo (34), e in realtà esiste una rassomiglianza tra la santità e la poesia, perché le due si accendono nel "cuore di Dio" fin dal principio del tempo, sono rare e antiche, care e benedette, indirizzate verso l'ordine ideale dell'essere. Dominavano fin dal principio sui popoli, prima nella forma parlata e poi in quella scritta, e riconoscevano sempre le loro diverse deità. Erano poeti i profeti, alcuni dei santi padri e dei dottori della Chiesa e vari santi. L'impostazione religiosa si sente anche negli inni più antichi d'Egitto, nelle prime canzoni dell'India e della Cina, e nelle prime opere greche. Platone riconosce nei poeti i maestri del sapere, gli interpreti delle verità divine. Vari poeti latini si consideravano ministri della religione, sacerdoti che identificavano il loro canto con le cose sacre. Prima di leggere i suoi versi, Properzio soleva chiedere il silenzio e il raccoglimento: "Sacra facit vates; sint ora faventia sacris" (35). Orazio voleva che si tenessero lontani da lui quelli che non avevano una predisposizione religiosa e invitava ad avvicinarsi soltanto quelli che erano puri: "Odi profanum vulgus et arceo [ ... ] Musarum sacerdos, virginibus puerisque canto" (36). Ovidio si dichiarava puro sacerdote degli dei della poesia: "Ille ego Musarum purus Phoebique sacerdos" (37). La poesia viene da Dio stesso e avvicina l'uomo al cielo, da dove scende (38). La parola poeta significa miracolo, un altro dio, e la poesia non è altro che mistero inafferrabile (39), domina con tutto il suo incanto meraviglioso e possiede il poeta in un tale modo che spesso egli non è capace di esternare dall'intimo ciò che prova. Il segreto poetico è spesso inesprimibile (40). La parola umana è inadeguata ad esprimere la pienezza dei sentimenti (41), e l'esperienza poetica è sostanzialmente una forma sublime di pazzia, superiore alla pazzia ordinaria (42): di conseguenza la società tende ad emarginare il poeta (43).
Nessun uomo grande e sapiente passa la vita come la passa la maggior parte degli uomini. La pazzia, come condizione necessaria della grandezza interiore, è una forma di delirio che emana la luce, la bellezza e la gloria (44). Il poeta abita in un "regno" diverso, vago, non localizzabile, posto tra il cielo e la terra, sostenuto dalla luce della saggezza e lontano dal male, aspaziale e atemporale, "nascosto dentro il sole e gli arcobaleni [ ... ], posato sulle grandi ali del meraviglioso e dell'incanto del bello, di cui nessun uomo tranne lui è consapevole. infiammato dalle faville dell'amore degli dei del canto, e creato affinché dal nulla del sogno del suo cuore crei anche lui nuovi misteri, il poeta non può trovare il suo regno dove lo trovano quelli che hanno una mente debole e un cuore freddo e che durante tutta la vita non godono mai i baci della poesia." In certi momenti il poeta dimora in un regno di sogno e di bellezza, e trova tutto ciò che desidera nell'intimo del suo pensiero, una fonte di esperienze indescrivibili (45). Questa vita privilegiata si configura - sempre nel linguaggio metaforico del Vassallo - nel rapporto amoroso tra l'amante e la sua donna prediletta, ideale e del tutto affascinante (46).
Si tratta del momento particolare dell'ispirazione, quando il poeta appare "pensoso e sbalordito" e la forza sentimentale bolle e arde in lui (47); il cuore s'infiamma (48) e la mente s'illumina di una nuova luce (49). E' un momento di equilibrio interiore (50), pieno di consolazione e di un senso di felicità (51). I versi, infatti, sono 'li migliori amici" dell'autore (52), una sorgente di rifugio e di rasserenamento nella sofferenza (53), un mezzo efficace di rimembranza e di ravvivamento del passato (54). Quando il poeta è ispirato possiede la facoltà di elevare gli uomini al di sopra del livello della noia comune e di rivelare visioni di incanto naturale e soprannaturale, sensibile e soprasensibile. I vari elementi della natura si trasformano in mezzi di contatto tra il mondo esterno e il mondo interno, e la bellezza oggettiva si traduce in uno stato d'animo in cui il poeta finalmente prova la sensazione di voler fondersi con la Poesia, la "donna" che offre l'appagamento delle esigenze più intime e dell'ansia per l'infinito e l'indefinibile (55).
La sensibilità creativa concede una nuova vita al poeta (56), cambia il mondo empirico in un "paradiso eterno e nascosto" (57), pieno di nuove speranze e di piacevoli illusioni, capace di tradurre la sofferenza in una gioia infinita (58), la pochezza umana in vigore senza limiti (59). La parola si muta in uno strumento magico che permette al poeta di superare le condizioni limitatrici del tempo e dello spazio, e di toccare i vertici della potenzialità emotiva:

... Hila fi Isieni
daqskemm scher ta' I-ghageb fil-holqien.

Jilhaq ilsieni'l hinn minn driegh il-gwerra,
u'I hinn mill-Mewt ukoll;
dak li jorbot fl-imhabba
jew fil-mibeghda ebda sultan ma jholl!
(60)

... Ho capacità di usare la parola
quando c'è incanto meraviglioso nell'universo.

La mia parola trascende il braccio della guerra,
e trascende pure la Morte;
ciò che l'amore o l'odio
uniscono non sarà mai sciolto da nessun re!

E' fondamentale nel pensiero del Vassallo il superamento del problema della limitatezza umana attraverso il tuffarsi spirituale nel "mare" infinito del sentimento, che dischiude un intero universo di "magia", in cui la realtà fluisce nel sogno, la riflessione dell'intelletto nella sensazione dell'infinito:

Jien nghix bil-hobz tal-hsieb, il-hobz tal-hajja,
u nixrob I-ilma bnin, I-ilma ta' dejjem,
mill-eghjun ta' l-allat tal-poezija.

Poeta fost l-ohrajn, mohhi huggiega
ta' lwien u qalbi bahar kbir ta'mhabba,
inhossni jien ukoll waqtiet alla iehor!

Ghax jien ukoll sawwart mix-xejn
ta' xejni ibhra, smewwiet u artijiet ohrajn,
dinjiet godda bla zmien u minghajr wisa'.

Moghnija biss bil-milja ta' zghuziti,
dinjiet godda li tghum fii-holm li nohlom
b'qalb u mohh ta' poeta minghajr tmiem!
(61)

Vivo con il pane della mente, il pane della vita,
e bevo l'acqua fresca, l'acqua eterna,
dalle fonti degli dei della poesia.

Poeta fra gli altri, la mia mente s'avvampa
di colori e il mio cuore è un mare immenso di amore,
delle volte mi sento anch'io un altro dio!

Perché anch'io ho cercato dal nulla
del mio nulla mari, cieli e altre terre,
nuovi mondi senza tempo e senza spazio.

Ricchi soltanto della pienezza della mia gioventù,
nuovi mondi che nuotano nel sogno che provo
con cuore e intelletto di poeta senza fine!

Il poeta sorvola il passato e il futuro, rinnova e ridimensiona l'esistenza. Il residuo dell'esperienza passata diventa malleabile secondo l'indole artistica che ricrea. La parola, "la seconda anima donataci da Dio", trasforma "i mari in soli, la terra in cieli", e forma un altro universo, capace di ridare vita a tutto ciò che è già morto. La parola poetica rivela quello che non si è mai manifestato spiega ciò che è incomprensibile, concede tutto quello che l'uomo non è in grado di dare (62), e prevede pure il futuro (63). L'esaltazione della facoltà sensibile si mostra interamente attraverso l'energia del cuore: "La base di tutto questo è il cuore. Un grande, nobile cuore che è capace di amare e di sentire accende la mente di chi ha un tale spirito e fa di lui una creatura diversa, maestro degli altri" (64).
In tutte queste riflessioni è evidente la presenza del filone mistico-platonico dell'estetica classica, che con maggior aderenza di quello pedagogico fluisce nel grande dibattito della cultura romantica. La divinità e la sublimità dell'arte, congiunte con il ribadito stato di elezione del poeta che solo per natura, non per acquisizioni di precetti, si solleva alle altezze dell'invenzione, si collegano direttamente al platonismo e ai concetti di estasi, entusiasmo, vaticinio che già il Settecento inglese aveva riproposto alla cultura italiana. Dall'antico trattato Del sublime dello pseudo Longino fino al Vico, allo Herder e allo Schlegel entra nelle riflessioni estetiche una componente più o meno irrazionale, che può giungere fino all'esaltazione, ripetuta anche dal Vassallo, della pazzia come condizione naturale del fatto poetico. Qui evidentemente, oltre al filone romantico, è presente anche l'affermazione positivistica e lombrosiana dell'equivalenza di genio e di malattia.
La corsa costante e continua all'infinito e all'assoluto, all'entusiastico, è alla base della definizione vassalliana del poeta e della poesia: "Il poeta è un uomo dotato di una fantasia accesa, uno che trova diletto nel bello e nel buono ideale [ ... ]. E' uno che ama il bello e si soddisfa di ideali elevati [ ... ] e mediante una inclinazione particolare e naturale, e anche per mezzo della forza di una viva fantasia; aiutato sempre dall'arte, esprime in versi i suoi pensieri e sentimenti di amore [ ... ]. Il successo della poesia si misura secondo il punto fino al quale ci trasporta al di là del mondo che abbiamo provato e che conosciamo, verso un altro creato dal poeta Stesso" (65). "La poesia è una tessitura di pensieri espressi con parole che hanno il potere di suscitare nel lettore sentimenti identici a quelli provati dal poeta stesso [ ... ]. E' un'alta espressione di un alto pensiero o di grande impeto del cuore" (66).
L'ispirazione deve essere viva, e l'importanza dell'immaginazione e della fantasia a questo riguardo è indispensabile (67): le due devono essere accese e vigorose (68).
La capacità del poeta è specificamente commisurabile con quanto egli riesce ad esternare di questa creazione interiore, di questa gamma di motivi, conservando sempre l'agitazione "bollente" che l'anima del poeta prova in alcuni momenti speciali e con quanto l'estrinsecazione assume in magia e forza espressiva (69). Dall'altro canto, il poeta deve essere sempre selettivo e deve esaminare attentamente i moti e le agitazioni del Cuore (70): questo è il risultato di una sintesi che combina il contributo di un cuore capace di sentire e quello di una mente che è capace di pensare (71). La vera poesia nasce dalla fusione di pensiero solenne e di viva passione in forma altamente disinteressata (72).

La poesia come tormento
Quantunque il Vassallo insista che, mentre tutti gli uomini sono creature, il poeta è creatura e creatore allo stesso tempo, e nessuno ad eccezione di lui è "un altro dio", a causa del fatto che la poesia è "creatio creativa" (73), e malgrado la forza dell'immaginazione e della fantasia sia il criterio della poesia valida (74), ammette anche la presenza inalienabile della realtà; la realtà e il sogno fluiscono l'una nell'altro: per questo motivo la poesia deve essere "spremuta dall'anima del poeta" (75). Questa constatazione importante porta alla considerazione di due principi fondamentali: il carattere tormentoso della vita dell'autore in quanto uomo grande, e della sua vita in quanto esistenza di un artista, cioè dell'atto creativo. Ad onta della presenza dell'esperienza estatica che caratterizza il momento d'ispirazione, il poeta è "condannato" a passare una vita di sofferenza. E' più poeta della sventura che dell'opera letteraria (76). La prima ragione è sociale: il poeta è un individuo escluso dalla società a causa dell'altezza e dell'integrità morale che necessariamente possiede. L'ambiente dei contemporanei è ostile al suo messaggio e alla sua funzione (77), particolarmente perché è impegnato con la verità (78). Poiché il poeta è definito anche in termini extraletterari, cioè etici e psicologici, e alla luce della sua raffinata sensibilità, così che la sua attività è addirittura tradotta in una forma di attività amorosa (79), egli è primariamente visto come un essere che ama. "Nessun poeta al mondo può essere privo di una forza pazzesca d'amare. Non è possibile al vero poeta di non amare; anzi, ama in un modo quasi pazzesco" (80). E' dotato di necessità di un'anima grande e molto sensibile (81), e sapendo sentire è altresì capace di saper pensare (82). Il suo amore è puro e totale, ed è proprio in lui che acquista il significato più autentico.
"Il cuore di un poeta è un regno d'amore [ ... ], un paradiso di glorie e di felicità", superiore al livello materiale o animale, anzi, l'il poeta è l'amore personificato".
Ma dal punto di vista storico, la maggior parte dei poeti sono stati (e saranno ancora) destinati a non trovare il loro amore corrisposto nella sua dimensione più autentica. E' impossibile al non-poeta realizzare pienamente le idealità che sono alla base delle esigenze spirituali ed emotive dell'artista. La sua superiorità interiore gli nega il compimento sentimentale che, tuttavia, richiede più di tutti gli altri (83). Il destino del poeta, essendo quello di soffrire, è il più duro (84), e la sua solitudine è principalmente la solitudine di chi non può mai essere amato: "L'amore o poeta, non è per te" (85).
La seconda ragione è intrinseca, e fa parte della stessa sostanza della poesia: chi non è tormentato non ha la qualifica che lo rende poeta:

Min qatt ma laqqat kwies I-imrar mill-qiegh,
poeta m'hux, m'hemmx poezija fih
(86).

Chi non ha mai bevuto interi boccali di amarezza non è poeta, non c'è poesia in lui.

La vera poesia è sempre "la figlia dell'affanno" (87), èla forma verbale della sofferenza personale e intima (88). Si tratta di una fase necessaria tra il sentire e il creare, uno stadio intermedio tra l'esperienza (come materia di costruzione) e la sua trasformazione estetica (come materia tradotta in arte). Più il poeta soffre, più sarà purificata e rafforzata la sua opera (89). il dolore è il suo "battesimo di fuoco" (90).

Il rapporto tra poesia ed esperienza personale
Fino a questo punto è già possibile concludere che la definizione dell'uomo-poeta è ormai coestensiva con quella della sua sostanza umana. L'identificazione diviene assoluta quando si consideri che il Vassallo concepisce la poesia come l'autobiografia dell'autore, lo "specchio" dell'anima (91). Poiché l'anima del poeta "batte e costringe le anime a battere insieme a lei e come lei (92), è del tutto indispensabile la piena sincerità. Il poeta lirico canta inevitabilmente ciò che sente il suo cuore, riproduce l'intimità insondabile, perché la lirica è del tutto soggettiva, opera dell'io. Il punto di partenza è personale e interiore, e in questo consistono la ricchezza e l'originalità dell'opera. Il poeta erra quando la sua creazione non si trasforma in un'immagine personale e quando non rispecchia le sue esperienze. La lirica è sempre una dichiarazione che contribuisce alla costruzione di una autobiografia in versi. Anzi, il poeta e la sua poesia non sono due cose distinte che si rassomigliano, non sono la persona e la sua ombra, o il corpo e l'anima di una singolare sostanza umana. Sono la stessa entità, inseparabile e intera (93).
Perciò lo svolgimento dell'opera dipende dallo svolgersi della vita individuale, cammina "pari passu" con le vicende di gioia e di dolore che costituiscono la dimora terrena. Cresce costantemente con l'autore (94) e subisce di necessità i mutamenti dell'andamento del tempo e dell'esperienza, è soggetto alle condizioni dell'ambiente e delle circostanze (95). S'immedesima completamente con l'anima dell'autore, diventa il suo patrimonio più caro (96). Quando il poeta rivela ciò che prova, non s'inganna e non inganna nessuno, e la sua natura non gli permette di agire diversamente (97). Conseguentemente, lo scopo del poeta non è soltanto soggettivo, ma altresì oggettivo, diretto verso gli altri con cui bisogna stabilire un rapporto (98).

La disciplina formale e la sublimità contenutistica
La poesia non è la canzone popolare che s'interessa solamente della versificazione e della rima. L'artista non improvvisa e non compone senza mettersi a pensare (99), perché l'opera non esce meramente dalle labbra e non cerca semplicemente la musicalità verbale (100). Il poeta sviluppa la propria capacità tramite lo studio, il sapere e l'esperienza, finché diventa maestro della propria arte (101). Prima di raggiungere un tale stadio di maturità - e c'è chi raggiunge il vertice della gloria quando è ancora "sulla soglia della gioventù" (102) e c'è chi lo raggiunge nella pienezza della virilità (103) - il poeta deve dedicarsi alla conoscenza delle varie branche di studio sociale, familiare e individuale, pure della psicologia, dei doveri e dei diritti civili della nazione, e dei principi fondamentali della filosofia. Non è necessario che il poeta sia conoscitore di tutto, ma più allargherà i confini della propria cultura, più sarà adatto a interpretare fedelmente la propria arte (104). Per questo motivo deve leggere continuamente. Insieme alla lettura, deve analizzare con metodo e con cautela le opere di altri autori, indagare la struttura dei versi, dei concetti, i rapporti fra le diverse parole, e i mezzi adoperati per riprodurre l'andamento musicale. Insieme alle opere nella lingua nazionale, deve similmente leggere opere in lingue straniere (105).
Non è la vastità tematica a determinare il valore poetico: il poeta viene valorizzato da un punto di vista qualitativo, non quantitativo. Non è neanche l'estensione dei generi poetici dei quali si serve che lo rende artista (106). Quello che è essenziale è che il materiale e i mezzi siano tutti "a capite ad calcem" poetici. Altrimenti non si crea un'opera organica, unita nelle parti, ma frammenti separati che non si fondono in una entità (107). La poeticità, quando si tratta di mezzi formali, include espressioni liriche (108), frasi elevate che sono lontane dall'ambito prosastico (109), la musicalità e l'armonia che si costituiscono in parole belle e scelte accuratamente (110), ricche, sublimi, raffinate (111) e melodiose, organizzate dentro i confini delle forme metriche (112). In questo modo l'opera riesce tutt'una e compatta (113), e la forza del contenuto tematico e la dolcezza verbale si intrecciano a vicenda (114).
Uno dei maggiori requisiti dell'arte della parola è la padronanza della lingua. il poeta deve essere il dominatore del suo mezzo espressivo (115). Ciò non significa ricorrere al purismo linguistico, anzi chi vuole esprimersi fedelmente accetta i vocaboli stranieri quando crede che siano necessari; in alcuni casi, se si scegliesse la parola pura per eliminare una straniera, si diminuirebbe e si affievolirebbe l'efficacia espressiva (116). Il pensiero espresso bene giustifica l'uso di vocaboli stranieri (117). Essenzialmente, la padronanza della lingua significa che questa è disponibile e malleabile nelle mani dell'autore e che questo è capace di modularla con duttile facilità secondo esigenze particolari (118). Ciò risulta nella selezione precisa e cauta della parola idonea, così che nessun altra potrebbe sostituirla, lasciando un effetto migliore; ogni vocabolo deve essere indispensabile per la sua funzione e nel posto in cui funziona. L'insostituibilità della parola implica che sia esplorata con grande rettezza e che sia data una particolare importanza che lo leghi alle altre, perché l'unità appaia anche nell'aspetto verbale (119).
L'effetto più evidente di tale rettitudine è la concisione (120), la qualità che rende il pensiero chiaro e lucido, assai meglio di quanto possa apparire su una stesura di parole più ampia (121). Più le parole sono semplici, più grande e alta è la poesia. Così il lettore non si perde per comprendere e investigare il significato di un vocabolo, ma si perde per sondare l'anima della poesia. Quando il lettore impiega la sua intelligenza e il suo tempo per intendere una parola, non sarebbe ben disposto ad apprezzare il nucleo tematico. Una poesia deve essere facilmente comprensibile e "1uminosa" (122).
Comunque, la parola in se stessa, pur essendo ricercata e raffinata, non costituisce un'opera d'arte, e quantunque i versi siano ben costruiti ed elaborati, non valgono da soli a produrre la vera essenza poetica (123). Alcuni credono che lo spirito della poesia si trovi nella ricercatezza, nell'oscurità e nel culto della parola. Altri cercano la vivacità soltanto nell'andamento e nella squisita melodia dei versi, nella calorizzazione verbale che rende il metro più agile e veloce. Altri si soffermano sulla bellezza secondaria che "uno dei critici letterari più grandi del mondo chiama "belletti di cadavere" (124). "La poesia non si caratterizza dai versi e dai vocaboli belli e distinti, ma fondamentalmente dal contenuto tematico: "padron sia il pensier, serve le rime". I versi e le parole sono il "corpo" dell'opera, ma l'"anima" sta nel pensiero. Per avere una poesia alta, grande, dolce, bella e meravigliosa, bisogna di necessità che il tema sia grande e sublime, e ciò non significa che la scelta lessicale debba essere difficile e troppo ricercata (125).
Nel momento della creazione l'intelletto è attivo (126) e cerca la forza del concetto (127). Come principio fondamentale, dunque, il poeta deve possedere "un'abbondanza di alti pensieri", (128) essendo la sua arte anche un duro e faticoso lavoro della mente (129). Ciò porta all'amalgamazione delle due necessità indispensabili: la ricerca della concisione verbale e il dedicarsi a lunghe sessioni di pensamento profondo. In conseguenza il poeta deve pensare molto e scrivere poco (130); e mettersi a scrivere soltanto quando ha qualche cosa di originale da trasmettere (131). Nonostante ciò, una materia che è stata elaborata e sfruttata varie volte, se cadesse nelle mani di uno scrittore capace di esprimerla di nuovo "more modoque suo", e secondo le suggestioni dell'ispirazione, riuscirebbe fresca e sempre nuova 1(32).
In questo processo, il poeta prima spreme il frutto del suo sapere ed esaurisce grande parte delle sue facoltà fisiche e mentali (133) e poi la sua penna scrive "sulle sudate carte" (134). E' inevitabile, dunque, il duro programma di un lavoro determinato da una netta "precisione nell'uso della lima" (135).
Il tono con il quale Vassallo si rivolge ai poeti maltesi contemporanei è polemico e rigido: "Quanti di voi passano intere notti scrivendo, ripensando e analizzando ció che hanno provato prima? Quanti di voi, all'alba, si trovano ancora assorbiti e perduti in contemplazione (stanchi morti dalla spossatezza della notte), pensando, cancellando e cesellando qualche verso o quei versi che non siano usciti puri e leggiadri, uniti e veloci?" (136). "Una buona poesia richiede molta riflessione e lungo tempo per maturarsi. Si trovano poeti che scrivono una poesia di pochi versi in un tempo relativamente breve, ma spesso dopo aver passato lungo tempo riflettendo sopra, foggiandola e formandola nel profondo del loro intimo prima di arrestarla con la penna sulla carta. Giacomo Leopardi, uno dei poeti lirici italiani più grandi e più forti, afferma che ogni poesia che ha scritto gli costa molto sudore e fatica. Giosuè Carducci è anche lui della stessa opinione" (137). Questo duro e lungo tirocinio si risolve in versi composti con esattezza e con maestria d'arte, così che la parola Iuccica in un modo meraviglioso e affascinante e suggerisce un intrecciarsi di vigore e di soavità" (138).

La gloria e l'immortalità
Il poeta scrive per ottenere l'onore e la gloria che merita (139), perché il culmine della sua attività sta nel toccare "il vertice dell'eccellenza" (140), e nell'essere confermato nella grandezza del proprio ideale (141). Finalmente si comprende che è glorioso trovarsi "eletto" come "progenie delle Muse" (142). Mentre tutti sono destinati a morire, non tutti sono dimenticati dopo la morte. "La morte non annienta i poeti. La loro opera non finisce con la fine della loro vicenda umana, ma continua a echeggiare nel mondo. La canzone poetica è al di sopra della sovranità della morte, perché la poesia è la seconda anima del poeta (143). Si esauriscono il tempo e lo spazio e tutto il creato, ma il poeta e la sua creazione nascono di nuovo quando muore l'autore per non morire mai (144). I grandi della letteratura, quantunque non glorificati in vita, ricevono la loro gloria dopo la morte, "perché, come canta il poeta italiano del dolore e dello scoraggiamento, 'virtù' viva sprezziam, lodiamo estinta" (145). Essendo la poesia lo specchio e l'immagine dell'autore stesso, la sua opera edifica per lui un "monumentum acre perennius" (146).


NOTE
Per i testi leopardiani cito Opere, voll. I-II, a c. di SERGIO SOLMI e RAFFAELE SOLMI, Milano-Napoli, R. Ricciardi, 1956-'66.
1) Alla taz-zghazagh, Malta. G. Muscat, 1939, p. 14.
2) Ibidem, p. 17. Nel pensiero del Vassallo, la parola gherf (sapienza) include, principalmente la filosofia. Il Leopardi considera la filosofia e la poesia come "le due sommità dell'umano spirito", dell'arte e della scienza umana (Zibaldone, II, p. 635; Il Parini ovvero della gloria, I, p. 560) e benché in altri luoghi riconosca l'amicizia tra le due (cfr.. e.g., Zibaldone, II, p. 360), afferma il rapporto e la complementarietà tra la funzione dell'una e dell'altra. Sono "le facoltà" più affini tra loro, tanto che il vero filosofo è sommamente disposto ad essere gran filosofo e il filosofo ad essere gran poeta, anzi né l'uno né l'altro non può esser nel gener suo né perfetto né grande, s'ei non partecipa più che mediocramente dell'altro genere ( ... ). La poesia e la filosofia sono entrambe dei pari" (Zibaldone, II, p. 635). L'immaginazione contribuisce alla filosofia, perché le due facoltà cercano la somiglianza fra le cose, sono le facoltà che ravvicinano e rassomigliano gli oggetti delle specie più distinte e stabiliscono quali siano i rapporti delle cose. Nella scoperta dei rapporti sta il compito delle due (cfr. Zibaldone, II, pp. 360-361). "A far progressi notabili nella filosofia non bastano sottilità d'ingegno e facoltà grande di ragione, ma si ricerca eziandio molta forza iminaginativa" così che "è comune al poeta e al filosofo l'internarsi nel profondo degli animi umani, e trarre in luce le loro intime qualità e varietà, gli andamenti, i moti e i successi occulti, le cause e gli effetti dell'une e degli altri: nelle quali cose, quelli che non sono atti a sentire in sé la corrispondenza de' pensieri poetici al vero, non sentono anche, e non conoscono, quella dei filosofici" (Il Parini..., I, pp. 553-554). Le due sono congiunte insieme (A Carlo Pepoli, 1826, II, p. 1134. Cfr. anche Il Parini.... I, pp. 547, 551, 558).
3) Alla taz-zghazagh, cit., p. 14. L'aspetto politico e nazionalistico, benché marginale e secondario come nel Vassallo, é presente nel pensiero leopardiano: il fine del poeta dev'essere anche quello "di correggere i costumi, d'infiammare alla virtù, alla gloria, all'amor della patria, di lodare, di riprendere, di accender l'emulazione, di esaltare i pregi della propria nazione, de' propri avi, degli eroi domestici" (Zibaldone, II, p. 677).
4) Alla taz-zghazagh, cit., pp, 14-15, 16 e 23. A causa dell'importanza fondamentale del concetto dell'inganno e del disinganno (che il Vassallo, fedele ultimamente ai principi cattolici, ammette soltanto a livello immaginativo e non metafisico e religioso), il Leopardi non aderisce pienamente al detto oraziano ("omne tulit punctum qui miscuit utile dulci", Ara poetica, v. 343). il fine proprio della poesia è, dunque, il diletto (Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica, I, pp. 778-779, 781, 785, 836; Il Parini.... I, pp. 536, 545, 553; Giacomo Leopardi al Conte Leonardo Trissino, I, p. 187). Ma il poeta può anche mirare espressamente all'utile e ottenerlo indirettamente (Zibaldone, II, p. 6); è il fine secondario (Zibaldone, II, p. 9). Altrove riconosce pienamente questo principio: "Il fine della letteratura èprincipalmente il regolar la vita dei non letterati; è insomma l'utilità loro, ed essi se n'hanno a servire" (Zibaldone, II, pp. 466-467; cfr. anche p. 17), perché la poesia è "la più utile veramente di tutte le facoltà" (Zibaldone, II, p. 635).
5) Il poezija u abna, "Il-Malti", giu. 1962, p. 37. Cfr. Zibaldone, II, p. 103.
6) Hajja qasira "Il-Malti", nov. 1938, p.
12. Cfr. Il Parini..., I, p. 560.
7) Vatum consortium, Malta, Dar tà San Guzepp, 1968, p. XIV; Alla taz-zgha-zagh, cit., p. 86; L-abbar taqbida, v. 25. Cfr. Zibaldone, II, p. 415.
8) Il-poeta u l-kaptan, v. 10. Insieme con la filosofia, la poesia è la sommità dell'umano spirito, la più nobile e la più difficile facoltà a cui possa applicarsi l'ingegno umano (Zibaldone, II, p. 635); è la più rara e straordinaria (Zibaldone, II, p. 636).
9) Rapport ta' l-ezaminatur, "Pronostku Malti", vol. LIII, 1950, p. 84; Thewdin, v. 143. Il Leopardi considera la poesia "prossima al divino", dotata di "indole e ingegno divini", una "cosa veneranda e santissima", una "qualitá ch'è quasi divina" che non può essere generata dall'esperienza e dagli studi umani, una "celeste e divina vergine" (Discorso di un italiano... I, pp. 799, 808, 817-818, 821), una "scintilla celeste ( ... ) impulso sovrumano ( ... ) divina scintilla" che accende gli spiriti di "quel divino fuoco che èpuro dono d'Apollo" (Lettera ai sigg. compilatori della Biblioteca Italiana in risposta a quella di Mad. la Baronessa di Staël Holstein ai medesimi, I, pp. 768-769).
10) Vatum consortium, cit., p. 47. Cfr. anche Lir-rih fuq, vv. 159-160. IL Leopardi parla di "dialetti celesti" e di "dialetti sovrumani" (Discorso di un italiano..., I, pp. 781, 788).
11) Il-poeta u l-kaptan, v. 25.
12) Tliet saltniet, vv. 23-24.
13) L-abbar taqbida, vv. 25-36; Alla tazzghazagh, cit., p. 32; Kelmtejn qabel, Nirien, Malta, 1938, p. 6; Lil Gaspare Pace, v. 218; Vatum consortilum, cit., pp. XIV, 167. Cfr. Pensieri, I, p. 697; Lettera ai sigg. compilatori.... I, p.769; A Pietro Giordani, 21/3/1817, II, p. 897; Il Parini...,I, pp. 537, 539; Giacomo Leopardi al Cavaliere Vincenzo Monti, I, p, 184; Zibaldone, II, p. 453; Discorso di un italiano..., I, pp. 815, 823.
14) F'jum il-ghid tal-qaddis Nikola ta' Bari, vv. 17-20; Il-poezija u abna, "Il-Malti", giu. 1962, p. 37; Alla taz-zgha-zagh , cit., pp. 18, 22 e 86. Il Leopardi insiste varie volte sul concetto del "vero poeta" (cfr. Zibaldone, II, pp; 426, 427, 467, 635, 788, 867; A Pietro Giordani. 30/4/1817, p. 909; Discorso di un italiano.... I, pp. 778, 787, 808; Lettera ai sigg. compilatori..., I, p. 769). E' fondamentale nella sua visione anche il senso della superiorità spirituale del poeta sugli altri. Benché il Vassallo non si riferisca a questa superiorità nel campo dell'azione, è tutt'uno con il Leopardi nel riconoscere al poeta una "maggior vita e maggior bisogno di vita che non hanno gli uomini ordinari" (Zibaldone, II, p. 467). Cfr. anche Discorso di un italiano.... I, pp. 772, 773.
15) Hajja qasira, loc. cit., p. 12.
16) Alla taz-zghazagh, cit., p. 15.
17) Ibidem, p. 18.
18) Ibidem, p. 44. Ciò significa che lo spirito poetico richiede "la forza, l'energia, che lo metta in attività, e lo faccia sentire gagliardamente. L'uomo odia l'inattivita, e di questa vuol essere liberato dalle arti belle" (Zibaldone, II, p. 453); "ci vuole un cuore che sappia aprirsi e diffondersi e palpitare ( ... ) e una mente non al tutto inesperta del fuoco e dell'impeto" (Discorso di un ilaliano; I, p. 774).
19) Alla taz-zghazagh, cit., p. 31.
20) F'jum il-ghid tal-qaddia Nikola ta' Bari, v. 17.
21) Il-bierah, illum u ghada, v. 44.
22) Alla taz-zghazagh, cit., p. 86.
23) Rapport ta' l-ezaminatur, loc. cit., p. 84. Il divario leopardiano è ancora più sostanziale; la poesia è una facoltà divina, e la prosa un'arte umana (Zibaldone, II, p. 869). Cfr. anche Zibaldone, II, pp. 221, 538.
24) Dahla ghal vrusi, Tnemnim, Malta, Empire Press, 1970, p. 23. La distinzione qui è intesa in termini stilistici. Cfr. Zibaldone, II, pp. 221, 492, 535-536.
25) Alla taz-zghazagh, cit., p. 32; Kelmtejn qabel, ANON, Ghanja ta' dghajsa, Malta, Dar ta', S. Guzepp, 1971, p. 6; Hajja qasira, loc. cit., p. 12; Biex niftiehmu minn qabel, Kwiekeb ta' Qalbi, Malta, G. Muscat, 1944, p. 7: Il-poezija u ahna, loc. cit., p. 37; KeImtejn qabel, J. SALIBA, llhna tar-rebbiegha, Malta, Lux Press, 1966, p. 7. Cfr. A Pietro Giordani, 30/4/1817, II, p. 909; Zibaldone, II, pp. 31, 218; Il Parini.... I, p. 565; Dialogo della Natura e di un'anima, I, pp. 492, 495; Discorso di un italiano ..., I, pp. 782, 794, 815, 817.
26) L-abbar taqbida, v. 26; Vatum consortium, cit., p. XI. "Né può meglio chi non è nato sensitivo divenir tale, con tutta la civiltà e la scienza presente, di quello che possa diventar poeta chi non è nato alla poesia" (Discorso di un italiano.... I, p. 817).
27) Alla taz-zgbazagh, cit., p. 32.
28) Ibidem, p. 86. Il Vassallo parla di potenzialità e di attività poetiche e il Leopardi distingue tra le "due naturalezze" del poeta, l'una congenita e l'altra acquisita con l'arte: "E' così è necessario lo studio per ben servirsi di quella natura, senza la quale bensì non si fa niente, ma colla quale sola avreste ben forse potuto quasi tutto, ma non potete più nulla" (Zibaldone, II, pp. 31-32). E' indispensabile la disposizione naturale, congenita, ma l'arte poetica si sviluppa pienamente man mano che il poeta matura (cfr. A Pietro Giordani, 30/4/1817, II, p. 909).
29) Tihux hsieb, vv. 1-4,
30) Lil Gaspare Pace, vv. 165-166; Perfecti mysterium amoris, vv. 9-10.
31) Il-bierah, illum u ghada, vv. 41-42. Si tratta del "regno" dell'immaginazione e della passione, mentre quello degli "uomini superficiali" è basato sulla ragione, nemica della poesia, e perciò questi uomini "non sono capaci né disposti ad essere commossi, sublimati, ecc., dal poeta ( ... ) perché, sebbene intendano le parole, non intendono la verità, l'evidenza di quei sentimenti, il cuore non dimostra loro che quelle passioni, quegli effetti, quei fenomeni morali, ecc. che il poeta descrive" (Zibaldone, II, pp. 131-132). Cfr. anche Il Parini.... I, p. 543; Zibaldone, II, pp. 367-368.
32) Kelmtejn qabel, J. SALIBA, op, cit., p. 7.
33) Vatum consortium, cit., pp. XIV, 109.
34) L-abbar taqbida, v. 25.
35) Properzio, IV, 5, 1.
36) Orazio, III, I, 3-4.
37) Ovidio, Am., III, 8, 23,
38) Mill-art ghas-sema, Malta, Dip. ta' l-Informazzjoni, 1960, pp. 62-66. Nel linguaggio leopardiano è una "facoltà divina" (Zibaldone, II, p. 869).
39) Alla taz-zghazagh, cit., p. 18; Kelmtejn qabel, ANON, op. cit., p. 6. Il concetto della dimensione divina della vita poetica, purché di origine platonica, e adottato anche dai poeti barocchi che, secondo il Muratori, ripetevano l'est deus in nobis di Ovidio (Fast., VI, 5), è rigenerato dagli spiriti del romanticismo e presentato come la giustificazione della singolarità artistica e dell'identificazione dell'uomo con il poeta, e della realtà come illusione. "Chi può credere che una vena così larga di moti così vivi, che una qualità così pura così profonda così beata così meravigliosa arcana ineffabile, sia nata dall'esperienza e dagli studi umani?" (Discorso di un italiano.... I, pp. 817-818). Citando Cicerone, il Leopardi aggiunge che la mente poetica "semper divinum aliquid atque infinitum desiderat" a cui le lorze dell'eloquenza non arrivano (Zibaldone, II, p. 341). Rifacendosi alle satire oraziane, parla anche della "mens divinior" del poeta (A Pietro Giordani, 30/4/1817, II; p. 909, e un'altra lettera al medesimo del 30/5/1817, II, p. 917).
40) II-Muza, vv. 15-16; Lir-rih fuq, vv. 158-162; Formosa, v. 20; Rapport ta' Iezaminatur, loc. cit., p. 84. Mentre il Vassallo giudica l'ineffabilità come una qualità essenziale della sostanza poetica (così anche il Leopardi nel Discorso di un italiano... I, p. 815), per il recanatese è anche la condizione in cui il poeta si trova quando è nel colino dell'entusiasmo e in effetti ha l'anima tutta occupata dall'immagine dell'infinito, così che "non è capace di nulla, né di cavare nessun frutto dalle sue sensazioni' (Zibaldone, II, pp. 215-216).
41) Kelmtejn qabel, Nirien, cit,, p. 6.
42) Kelmtejn qabel, ANON, op. cit., p. 6; Il-ghanja ta'poeta tal-bierah, vv. 1. Cfr. anche Alla taz-zghazagh, cit., . 51.
43) Lehen il-Malti, vv. 5-6, "I letterati e i sapienti per lo più vivono in una certa lontananza dal mondo" (Zibaldone, II, p. 125). Frutto dell'identificazione totale dell'uomo con il poeta è l'esclusione; il poeta èescluso perché l'uomo è escluso. i due autori delineano questo principio attraverso una chiara trasposizione di se stessi. Mentre nel caso del Leopardi c'è la crisi personale, nel caso del Vassallo, insieme a questa, c'è anche la sua disposizione a guardare il poeta italiano e a trovare in lui vari riflessi e parellelismi autobiografici.
44) Alla taz-zghazagh, cit. p. 22. Secondo la natura, il poeta è grande, ma secondo la ragione è pazzo: "il poeta sopra qualunque altro ha bisogno d'illusioni potentissime, e dev'essere in mille cose straordinario e in alcune quasi pazzo" (Discorso di un italiano.... I, p. 787).
45) Hajja qasira, loc. cit., p. 12; Lir-ribfuq, passim. E' centrale nella visione vassalliana la presenza invadente dell'illusione, espressa nella parola holma (sogno), ripetuta costantemente, e dà un senso sia fisico Sia spirituale alla vita poetica. L'infinito del Vassallo è spesso manifestato metaforicamente con la rievocazione dell'indeterminatezza di uno scenario di natura in cui l'esistente dà vita all'inesistente, e da uno spunto apparentemente descrittivo si arriva in realtà ad una manifestazione del vago, ad un sentimento interiore, il geistiges Gefuhl di Federico Schlegel. Questa sintesi del sentimentale con lo spirituale è la sostanza dell'estasi leopardiana "che deriva dalla fantasia, da un sentimento indefinito" (Zibaldone, II, p. 200). "Il sentimento moderno è un misto di sensuale e di spirituale" (Zibaldone, II, P. 249). La marcia verso l'infinito rende indispensabile l'illusione nella poesia (Zibaldone, II, p. 528; Discorso di un italiano.... I, pp. 778, 785). Il poeta è, in fondo, un 'artefice d'illusioni" (Discorso di un italiano..., I, p. 807).
46) Hajja qasira, loc. cit., p. 12; Lill-poezija, vv. 1-66.
47) Thewdin, vv. 140-143. L'esaltazione del sentimento, dell'entusiasmo, del sentire fortemente (cfr., ad esempio, Zibaldone, II, pp. 215-216, 421-422, 532) è la base della dottrina perché coordina tutte le altre credenze e identifica la poesia con la lirica. I vocaboli leopardiani che descrivono l'impeto ispiratore sono frenesia (A Giuseppe Melchiorri, 5/3/1824, II, pp. 1069-1070), smania (A Pietro Giordani, 30/4/1817, II, p. 908), mania e furore (Zibaldone, II, p. 609).
48) Biex niftichum minn qabel, loc. cit., p. 5; Kelmtejn qabel, ANON, op. cit., pp. 5-6; Kelmtejn qabel, J. SALIBA, op. cit., p. 14. Cfr., ad esempio, Il Parini..., I, pp. 546-547, 565; Zibaldone, II, p. 360; Discorso di un italiano.... I, p. 810.
49) Lil Gaspare Pace, vv. 161-162; Kelmtejn qabel, J. SALIBA, op. cit., p. 14. Il linguaggio del Vassallo, sia nelle poesie sia nei saggi critici, utilizza spesso la metafora della fiamma per descrivere lo stato d'animo poetico, quasi e abituale e congenito e non soltanto caratteristico di particolari momenti d'ispirazione. Sono di significato fondamentale le seguenti frasi: "huggiega nar", "hgejjeg ta' nirien", "nar tikwi w iddewweb", "tahraqni tista', tiffini le", "theggeg u tahraq bin-nirien tal-poezija". Questa scelta metaforica, emanata dalla convinzione romantica, è indicazione anche dell'altro aspetto della sua poetica del sentimento: la preferenza del sentimento vago, sconvolgente, indefinito, tormentoso, senza forma fissa e precisa. La sua insistenza sulla metafora della fiamma, assumendo una funzione conduttrice e unitaria nella prima raccolta dei versi, Nirien, è una delle cause del suo essere chiamato "il poeta tannirien" (cfr. GUZE' AQUILINA, Studji kritici letterarji, Malta, Lux Pres, p. 308). Conservando la stessa figura, il poeta ha chiamato Tnemnim il suo ultimo libro per indicare il crepuscolo della sua vita d'artista (cfr. Tnemnim, cit., p. 33). La metafora, sempre attribuita alla sensibilità poetica, ricorre spesso negli scritti leopardiani: fuoco (Zibaldone, II, p. 24; Discorso di un italiano.... I, pp. 774, 795; Lettera ai sigg. compilatori..., 1, p. 769), calore (Zibaldone, II, p. 532), s'infiammava (Discorso di un italiano..., I, p. 784), mi riscaldava (Zibaldone, II, p. 106), avvampi (Discorso di un italiano.... I, p. 810), ardentissimo (Zibaldone, II, p. 392), caldissimo (Zibaldone, II, p. 368).
50) Mill-art ghas-sema, cit. p. 22. L'equilibrio risulta dal rapporto reciproco tra il cuore commosso e la mente illuminata. Si riescheggia qui, in modo diverso, il concetto dell'interrelazione tra il filosofo e il poeta, tra la ragione e l'immagine (cfr. Zibaldone, II, pp. 360-361, 392). Insieme al riscaldarsi del cuore, è necessario l'"entusiasmo della ragione' (Zibaldone, II, p. 635).
51) F'jum il-ghid tal-qaddis Nikola ta' Bari, v. 37; Alla taz-zghazagh, cit., pp. 14 e 16
52) Tihux hsieb, v. 10.
53) Alla taz-zghazagh, cit., p. 32; Lill-poezija, vv. 54-60. Cfr. Zibaldone, II, p. 114. Oltre a concedere un 'conforto di queste miserie" (Discorso di un italiano.... I, p. 817), la poesia desta nell'animo t-in "vivo contrasto di passioni e di sentimenti, quella mescolanza di dolore e di gioia" (Zibaldone, II, p. 567).
54) Tifkiriet ta' tfuliti, vv. 90-103. La lotta contro il limite mediante la fuga nel passato produce nei due poeti la poesia della rimembranza. Il ricordare, a causa della carenza tra esperienza umana e concetti estetici, fa gran parte della poeticità del passato, di cui il Leopardi parla varie volte: "Rimembranza è essenziale e principale nel sentimento poetico, non per l'altro, se non perché il presente, quel ch'egli sia, non può essere poetico, e il poetico, in uno o in altro modo, si trova consistere nel lontano, nell'indefinito, nel vago" (Zibaldone, II, p. 874).
55) Lill-poezija, vv. 1-66.
56) Tihux haieb, v. 6. E' probabilmente la robustezza e il nervosismo della "sola forza della natura" che il Leopardi attribuisce agli antichi (Zibaldone, II, p. 321), e su cui fra l'altro, svolge la distinzione tra l'immaginazione dei classici e il sentimento dei moderni. Una analoga distinzione, reminiscente del modo in cui il Leopardi prende la distinzione dello Schiller tra poesia ingenua e poesia sentimentale (cfr., ad esempio, Zibaldone, II, p. 218), esiste anche nell'ultimo Vassallo (cfr. Vatum consortium, cit., pp. 493-497) tra la poesia romantica, cioè quella del suo immediato passato, o addirittura del suo presente che stava ormai per tramontare, e la nuova poesia maltese che è il frutto delle prime reazioni dei poeti giovani che negli anni Sessanta si manifestavano - particolarmente sulla loro rivista "Il-Polz" - contrari al prolungarsi del romanticismo "italianeggiante" a Malta e in favore della poesia cerebrale).
57) Formosa, v. 10. L'insistenza leopardiana è più spesso sull'aspetto negativo. Si sente più l'effetto dell'assenza dell'illusione (e.g., "Trista quella vita - ed è pur tale la vita comunemente - che non vede, non ode, non sente se non che gli oggetti semplici, quelli soli di cui gli occhi [ ... ] ricevono la sensazione", Zibaldone, II, p. 871) che la sua presenza.
58) Kwiekeb ta' qalbi, vv. 1-9; Vatum consortium, cit., p. 109. La poesia converte l'infelicità dei fatti in una felicità ideale; anche quando rappresentano la nullità delle cose, e dimostrano la tristezza della vita con la sua disperazione, le opere d'arte "riaccendono l'entusiasmo, e non trattando né rappresentando altro che la morte, le rendono ( ... ) quella vita che aveva perduta" (Zibaldone, II, p. 114), così che "il piacere infinito che non si può trovare nella realtà si trova nell'immaginazione, dalla quale derivano la speranza, le illusioni" (Zibaldone, II, p. 84).
59) Jien u I-Muza, vv. 1-3. E' implicita l'antinomia tra la ragione e la passione, tra il limite della realtà materiale e l'infinito dello spirito, Il Vassallo non dichiara esplicitamente che la ragione è nemica d'ogni grandezza", ma evidentemente parte da quella premessa ogni volta che cerca di oltrepassare i confini del dato sensibile e di aprirsi verso l'infinito. Cfr Zibaldone, II, p. 16.
60) Lil Gaspare Pace, vv. 167-172. "La fantasia nostra, come spesso e facilmente s'infiammava, come libera e senza freno, impetuosa e instancabile spaziava, come ingrandiva le piccole cose, e ornava le disadorne, e illuminava le oscure" (Discorso di un italiano..., I, p. 784).
61) Alla iehor, vv. 1-12. Il Vassallo enuclea metaforicamente la poetica del vago, basandosi sii una esperienza in cui l'uomo perde il senso dello spazio e del tempo, cioè di ogni limitatezza; in effetti il poeta non è in grado "di fissare le sue idee, tutto quello che vede è infinito, indeterminato, sfuggevole, e così vario e copioso, che non ammette né ordine né regola" (Zibaldone, II, pp. 112-113. Cfr. anche p. 609).
62) Lil Guzè Aquilina, vv. 5-28. Con l'immagine verbale si vede "il mondo come non è; si fabbrica un inondo che non è, in verità, non imita" (Zibaldone, II, p. 868).
63) Lehen il-Malti, v. 8.
64) Alla taz-zghazagh, cit., p. 18. Il Leopardi esalta le "vires animi" e la "forza d'animo" (Zibaldone, II, pp. 217, 374, 454). "Se l'animo degli uomini colti è ancor capace d'alcuna impressione, d'alcun sentimento vivo, sublime e poetico, questo appartiene propriamente al cuore" (Zibaldone, II, p. 574) che è "capace di sentir ( ... ) conoscere intimamente le passioni, gli affetti, il cuore umano, e dipingerlo al vivo" (Zibaldone, II, p. 220).
65) Il-poezija u abna, loc. cit., pp. 38-39. Sulla necessità che il dialogo poetico "trasporti" il cuore cfr. Zibaldone, II, pp. 112, 105, 424; Discorso di un italiano.... I, p. 788. Il linguaggio dei due poeti, quando descrive il presente aspetto, si costruisce su verbi di movimento.
66) Il-poezija u ahna, loc. cit., p. 37. E' importante porsi "nei panni dello scrittore", l'immedesimazione degli animi del poeta e del lettore. Così il sentimento opera, realizza una conformità spirituale e cagiona l'impeto, il gorgogliamento, anzi l'attività, perché l'esperienza poetica è dinamica e fonde l'emozione dell'uno con quella dell'altro (cfr. Zibaldone, II, pp. 65, 105, 132-133, 5677 576-577, 726; Discorso di un italiano.... I, pp. 784, 794; Il Parini.... I, pp. 543-544).
67) Mill-ari qbas-sema, cit., p. 18. Cfr. Zibaldone, II, p. 778.
68) Kelmtejn qabel, JOE SALIBA, op. cit., p. 8. Cfr. Zibaldone, II, pp. 133, 648, 698; Discorso di un Italiano..., I, pp. 783, 817.
69) Vatum consortium, cit., p. 333.
70) Alla taz-zghazagh, cit., p. 31.
71) Ibidem, pp. 17 e 31.
72) Il-poezija u ahna, loc. cit., p. 39. Per illustrare meglio il suo pensiero il Vassallo cita l'ultima strofa di Il poeta del Carducci.
73) Ibidem, p. 31.
74) Ibidem, p. 44.
75) Vatum consortium, cit., p. 493. In contrapposizione alla poesia immaginativa degli antichi, si presenta la poesia dei moderni, sentimentale e necessariamente malinconica, basata sull' "oppressione del cuore", risultante in "un respiro dell'anima" (Zibaldone, II, p. 68: cfr. anche Zibaldone, II, p. 778; Giacomo Leopardi al Conte Leonardo Trissino, I, p. 187). "Quasi tutti gli scrittori di vero e squisito sentimentale, dipingendo la disperazione e lo scoraggiamento totale della vita, hanno cavato i colori dal proprio cuore e dipinto uno stato nel quale essi stessi appresso a poco si sono trovati" (Zibaldone, II, p. 102).
76) Biex niftiehmu minn qabel, loc. cit., p. 3: Tifkiriet ta' tfuliti, vv. 77-89. Il Leopardi afferma: "Io cercavo, come si cerca spesso colla poesia, di consacrare il mio dolore" (Agli amici suoi di Toscana, I, p. 221), ed èsecondo questo giudizio, cioè la presenza della "sventura" come causa di grandezza, che egli sceglie i suoi poeti prediletti, ad esempio il Tasso (cfr. Zibaldone, II, p. 22; Dialogo di Torquato Tasso e del suo genio familiare, I, pp. 520-527; Al. fratello Carlo, 20/2/1823, II, pp. 1051-1053-1 A Giulio Perticari, 9/4/1821, II, p. 1017), il Petrarca (cfr. Zibaldone, II, p. 65), l'Alfieri e il Foscolo (cfr. Zibaldone, II, p. 454). Il poeta nutrì una grande ammirazione verso questi, particolarmente verso il Tasso e il Petrarca, perché vedeva nel loro destino una sventura analoga alla sua, così come poi il Vassallo guardava il Leopardi conte il modello ideale delle sue sofferenze e dunque del sito tipo poetico. Alla base di una tale valutazione, c'è sempre l'identificazione romantica del poeta con l'uomo.
77) L-abbar taqbida, vv. 27-32;Il-poeta u l-kaptan, vv. 37-44; Thewdin, vv. 131-140. Circa le "infinite difficoltà", le "preoccupazioni", il "dispregio e la noncuranza" e gli "ostacoli" che circondano gli animi grandi, cfr. Dialogo della natura e di un'anima, I, p. 494: Il Parini.... I, pp. 538, 559-560, 565-566; Ad Angelo Mai, vv. 145-148, 170-171.
78) Il-ghanja ta' poeta tal-bierah, vv. 39-40;
Il-poezija u ahna, loc. cit., p. 40.
79) Lill-poezija, vv. 1-8, 35-36; Il-poezija u ahna, loc. cit., p. 38.
80) Alla taz-zghazagh, cit., p. 51.
81) Zewg ghidien, v. 30.
82) Alla taz-zghazagh, cit., p. 18. Nonostante il divario tra natura e ragione, il Leopardi aminette che "la ragione senza notizia del sistema del bello, delle illusioni, entusiasmo, ecc. e di ciò che spetta all'immaginazione e al cuore, è essa medesima un'illusione ( ... ). La natura in quanto natura è tutta quanta essenzialmente poetica. Da che natura e ragione sono nemiche per essenza, l'una dipende o èlegata essenzialmente coll'altra, come lo sono tutti i contrari" (Zibaldone, II, p. 392). Ne è effetto la necessità che il poeta senta e anche pensi quando scrive (cfr. Zibaldone, II, pp. 67-68).
83) Alla taz-zghazagh, cit., pp. 22-23. Il Vassallo rievoca le delusioni emotive causate da Beatrice Portinari a Dante, da Laura al Petrarca, (la varie donne all'Alfieri e al Foscolo, da Eleonora d'Este al Tasso, da Teresa Fattorini e da Fanny Targioni Tozzetti al Leopardi. L'esaltazione leopardiana dell'amore nello Zibaldone non arriva alla conclusione specifica della delusione amorosa del poeta, ma è evidente che il Vassallo, attraverso un'altra trasposizione di se stesso nei confronti della figura italiana, trova le basi per questa credenza.
84) L-ahhar taqbida, v. 20. Forse in nessun altro momento il Vassallo è così vicino allo spirito leopardiano. Essere grande scrittore implica "per destino di condurre una vita simile alla morte" (Il Parini.... I, p. 566), essere grande (e per il poeta maltese "il sommo Spirito" è il poeta); significa essere infelice, una condizione congenita e ineluttabile che, in ultima analisi, si traduce in una ragion d'essere della gloria che spetta al poeta dopo la morte. Sono questi i confini entro cui si svolge tutto il Dialogo della natura e di un'anima, I, pp. 492-496, in cui, prendendo le mosse dal eletto "Sois grand homme, et sois malheureux" del D'Alembert (cfr. Eloge de Sacy, 0euvres philosophiques, historiques et littéraires, VII, Paris, Bastien 1805, p. 356), il Leopardi presenta la sventura come la condizione assoluta del genio (cfr. anche Zibaldone, II, pp. 206, 484). Il Leopardi formula il suo pensiero secondo la teoria dell'impossibilita di essere felici, cioè la teoria dei piacere che pervade lo Zibaldone (cfr., ad esempio, II, pp. 82-96), e sottolinea la convinzione fondamentale dei romantici della predestinata infelicità del poeta. Trasferendo se stesso, il poeta italiano passa dalla infelicità universale (abbozzata nel Dialogo) a quella più particolare, cioè poetica (nello Zibaldone). Nel Vassallo l'identificazione della sofferenza umana (lontana, ad ogni modo, dalle fatalistiche conclusioni a cui è giunto il meccanismo leopardiano) con la sventura artistica è l'aspetto più caratteristico del suo primo periodo (1932-1944).
85) Alla taz-zghazagh, cit., p. 27.
86) Lil habibi Karmenu EIlul Galea. vv. 13-14. Il Vassallo riccheggia la verità leopardiana: "Chi non ha provato la sventura non sappia nulla'' (Zibaldone, II, p. 69) e "Chi non è stato mai sventuraro, non sa nulla" (Zibaldone, II, p. 102).
87) Vatum consortium, cit., p. 108; Il-poezija u ahna, loc. cit., p. 40. Cfr. anche Kelmtejn qabel, ANON, op. cit., p. 6.
88) Il-ghanja ta' poeta tal-bierah, vv. 29-36.
89) Il-poezija u ahna, loc. cit., p. 37. Assodato che è "la sofferenza maestra somma della vita" (Zibaldone, II, p. 108), la sventura è necessaria "allo sviluppo ed esercizio" del sentimento (Zibaldone, II, p. 214). Il concetto vassalliano trova una sua giustificazione anche con riferimento alla "conversione filosofica" del Leopardi, che si sentiva destato alla vita intima del sentimento dopo aver "sentito, e non soltanto conosciuto, l'infelicità" (Zibaldone, II, p. 72-73).
90) Kelmtejn qabel, JOE SALIBA, op. cit., p. 18.
91) Alla taz-zghazagh, cit., p. 31; Nirien. vv. 9-12. La differenza tra il pensiero del Vassallo e quello del Leopardi in questo caso sta soltanto nel modo in cui i due arrivano a riconoscere nella lirica la vera, anzi la sola, poesia possibile. Il Vassallo elimina addirittura tutti gli altri generi, mentre il Leopardi li fa convergere in essa: "la cima il colmo, la sommità della poesia" (Zibaldone, II, p, 108). Discutendo le tre divisioni aristoteliche, la lirica, l'epica e la drammatica il Leopardi afferma che il solo che resta per i moderni è il genere lirico, anzi la poesia "consisté da principio in questo genere solo, e la cui essenza sta sempre principalmente in esso genere, che quasi si confonde con lei, ed è il più veramente poetico di tutte le poesie, le quali non sono poesie se non in quanto son liriche" (Zibaldone, II, p. 879; cfr. anche pp. 827-828, 863).
92) Mill-art ghas-sema, cit., p. 90.
93) Alla taz-zghazagh, cit., p. 31; Biex niftiehmu minn qabel, loc. cit., pp. 7 e 11. Cfr. anche L-abbar taqbida, vv. 21-22. "E' sempre il poeta egli stesso che si dipinge" (Zibaldone, II, p. 870). "Si riceve il dettato di esso cuore" e non parla il poeta "ma il cuore del poeta" (Discorso di un italiano..., II, pp. 819-820). Cfr. anche Zibaldone, II, p. 65.
94) Ilajja qasira, loc. cit., p. 12.
95) Biex niftiehmu minn qabel, loc. cit., p. 5-11. Il poeta acquista le sue qualità "in virtù delle circostanze, e in circostanze diverse avrebbe qualità diverse e contrarie" (Zibaldone, II, p. 375; cfr. anche p. 221).
96) Marija, vv. 11-12.
97) KeImtejn qabel, Nirien, cit., p. 6. I due poeti insistono sulla possibilità dell'errore; il poeta sbaglia se imita la natura (un concetto che non appare nel Vassallo e che nel Leopardi è alla fine superato), anzi "la natura parla dentro di lui e per la sua bocca ( ... ). Così il poeta non è imitatore se non di se stesso. Quando colla imitazione egli esce veramente da se medesimo, quella propriamente non è più poesia" (Zibaldone, II, p. 869). Il Leopardi insiste ancora sulla via da battere: "Chi nega che poetando non ci dobbiamo giovare della cognizione di noi medesimi, nella quale siamo tanto avanti? Gioviamocene pure e poiché ci conosciamo bene, dipingiamoci al vivo" (Discorso di un italiano..., I, p. 822). Cfr. anche Zibaldone, II, p. 867.
98) Alla taz-zghazagh, cit., p. 46.
99) Il-poezija u ahna, loc. cit., p. 37.
100) Alla taz-zghazagh, cit., p. 31.
101) Biex nftiliehmu minn qabel, loc. cit., p. 7. Si sente qui un riccheggiamento delle due attitudini leopardiane, la naturale e quella dell'arte. Cfr. Il Parini... I, p. 546.
102) Cfr. "il limitare di gioventù", A Silvia, vv. 5-6.
103) Alla taz-zghazagh, cit., p. 87.
104) Ibidem, p. 32. Cfr. Lettera ai sigg. compilatori... I, p. 768.
105) Il-poezija u ahna, loc. cit., p. 40. Cfr. Zibaldone, II, pp. 31, 104, 149, 375, 390, 443; Discorso di un italiano.... p. 807.
106) Biex niftiehmu minn qabel, loc. cit., p. 6.
107) Rapport ta' l-ezaminatur, "Pronostku Malti", vol. L, 1947, p. 76.
108) Rapport ta' 1-ezaminatur, "Pronostku Malti", vol. LIII, 1950, p. 84.
109) Rapport ta' l-ezaminatur, "Pronostku Malti", vol. L, 1947, p. 76. Cfr. Zibaldone. II, pp. 285, 288, 384, 790.
110) KeImtejn qabel, JOE SALIBA, op., cit., p. 11. Cfr. Zibaldone, II, pp. 13, 521, 522.
111) Alla taz-zghazagh, cit., pp. 78-79.
112) Il-poezija u ahna, loc. cit., pp. 37-38.
113) Alla taz-zghazagh, cit., p. 40.
114) Kelmtejn qabel, JOE SALIBA, op. cit., p.11.
115) Poezija gdida, v. 2.
116) Dahla ghal vrusi, loc. cit., p. 32, Cfr. Zibaldone, II, pp. 223, 270-271, 459.
117) Vatum consortium, cit., pp. 332-333.
118) Dahla ghal vrusi, loc. cit., p. 31. Cfr. Zibaldone. II, pp. 214, 223.
119) Alla taz-zghazagh, cit., pp. 39-40.
120) Il-poezija u ahna, loc. cit., p. 40; Rapport ta' l-ezaminatur. "Pronostku Malti", vol. L, 1947, p. 76. Cfr. Zibaldone. II, p. 422.
121) Alla taz-zghazagh, cit., p. 40.
122) Ibidem, pp. 33, 39. Cfr. Zibaldone. II, pp. 58, 244, 301-302, 311, 521, 542, 543, 648, 654, 863: A Vincenzo Gioberti, 17/4/1829, II, p. 1188; Appunti su Plauto, Le poesie e le prese. II, 8° ed., a c. di F. Flora, Milano, Mondadori, 1965, p. 1122.
123) Dahla ghal vrusi, loc. cit.. p. 31.
124) Concludendo che il Monti non ha saputo vivificare la mitologia, il De Sanctis sintetizza così il suo giudizio: "Restano i versi sonanti, la maestà del periodo, e la copia, e la felicità, e l'eleganza, belletti di cadavere" (Sulla milologia - Sermone di Vincenzo Monti alla Marchesa Antonietta Costa, Saggi critici, 6° ed., Napoli, A. Morano, 1890, p. 52).
125) Alla taz-zghazagh, cit., p. 33. La stessa metafora (cioè che il tema è l'anima e gli elementi formali sono il corpo della poesia), ribadendo sempre l'interdipendenza di contenuto e forma, si trova in Zibaldone, II, p. 484.
126) Ibidem, p. 17.
127) Kelmtejn qabel, JOE SALIBA, op. cit., p.11
128) KeImtejn qabel, ANON, op. cit., p.6
129) Alla taz-zghazagh, cit., p. 31.
130) Ibidem, p. 39.
131) Rapport ta' l-ezaminatur, "Pronostku Malti", vol. LIII, l950, p. 85; Il-poezija u ahna, loc, cit., p. 40. Il Vassallo ritiene che la poesia scritta per un'occasione, o a richiesta, riesce debole perché priva della motivazione personale (Dahla ghal vrusi, loc. cit., p. 32). Cfr. A Giuseppe Melchiorri. 5/3/1824, II, pp. 1068-1069.
132) Kelmtejn qabel, JOE SALIBA, op. cit., p. 18. "Quando anche queste cose non sieno niente né belle, né grandi, né vaste ecc., nondimeno questa sola qualità dello stile basta a dar piacere all'anima ( ... ). Lo stile anche separato dalle cose possa essere una cosa, e grande; tanto che uno può essere poeta, non avendo altro di poetico che lo stile (Zibaldone, II, p. 424).
133) Alla taz-zghazagh, cit., p. 45.
134) Ibidem, p. 31. Cfr. il v. 16 di A Silvia e le espressioni: "con sudori e con disagi incredibili" (IL Parini..., I, p. 541), "bisognerà far conto ( ... ) di avere e studiato e sudato da pazzi" (Discorso di un italiano..., I, p. 773) e "frutto di sudori infiniti" (Il Parini..., I, p. 539). Cfr. anche "le sudate carte" del Sonetto alla repubblica Cisalpina, v. 5 di Giov. Pindemonte, e il "sudato verso" di Pel taglio di un bosco, v. 36, dello Zanella.
135) Rapport ta' l-ezaminatur, "Pronostku Malti", vol. L, 1947, p. 76. Il Leopardi adopera la stessa metafora (di origine oraziana: "Iimae labor et mora", Ars Poetica, v. 291) nei vv. 14-15 dello Scherzo: "Musa, la lima ov'è? ( ... ). La lima è consumata". Cfr. anche Zibaldone, II, pp. 543, 779: Il Parini... I, pp. 540, 548. Così pure lo Zanella: "Dopo alcun dì, se alla severa lima / io pongo man" (Opere di natura e d'arte, vv. 5-6) e il Fusinato: "A' miei scherzi dà tu l'ultima lima" (Tre ritratti, v. 316).
136) Vatum consortium, cit., p. 108.
137) Il-poezija u ahna, loc. cit, p. 37. Il riferimento è al brano seguente: "Soglio sempre aspettare che mi torni un altro momento, e tornandomi (che ordinariamente non succede se non di là a qualche mese), mi pongo allora a comporre, ma con tanta lentezza, che non mi è possibile di terminare una poesia, benché brevissima, in meno di due o tre settimane" (A Giuseppe Melchiorri, 5/31/1824, II, pp, 1060-1070).
138) KeImtejn qabel, ANON, op. cit., p. 6. Considerando quanto il Vassallo ha detto a proposito della necessità del momento "bollente" dell'ispirazione, si vede che si sta distinguendo tra la poesia come esperienza psicologica, un sentimento fisico-spirituale, e la poesia come componimento letterario. Per la seconda si richiede la calma, non l'entusiasmo, ma "la memoria dell'entusiasmo" (Zibaldone, II, p. 113), perché I'infinito non si può esprimere se, non quando non si sente, bensì dopo sentito" (Zibaldone, II, pp. 215-216). Donde il carattere del secondo momento, in cui il poeta deve tradurre il sentimento in parole.
139) Alla taz-zghazagh, cit., p. 74; Il-poezija u ahna, Ioc. cit., p. 36; Lir-rih fuq, vv. 156-158. Cfr. A Pietro Giordani, 21/3/1817, II, p. 898 e Zibaldone, II, p. 889.
140) Alla taz-zghazagh, op. cit- p. 15. Per la stessa metafora, che illustra lo stesso motivo, cfr. Il Parini... I, p. 555.
141) Kelmtejn qabel, JOE SALIBA, op. cit., p. 18.
142) Ibidem, p. 7.
143) Mill-art ghas-sema, cit., p. 26. Nel pensiero leopardiano la poesia è una "seconda vita più cara della comune" (Discorso di un italiano..., I, p. 817).
144) Mojja qasira, loc. cit., p. 12. Questo concetto include la gloria della posterità come qualità autentica e naturale dell'opera artistica. Cfr. Il Parini..., I, pp, 560, 561; Discorso ai un italiano..., I, p. 815: Dialogo della natura e di un'anima, I, p. 496; A Carlo Leopardi, 16/12/1822, II, p. 1040.
145) Alla taz-zghazagh, cit., p. 20. La citazione, che si trova anche in ult. cit., p. 87, è il v. 30 di Nelle nozze della sorella Paolina. La gloria immortale è qui vista come il premio ideale per la sofferenza inevitabile subita dal poeta lungo la vita. Entro questa visione è impostato tutto il Dialogo della natura e di un'anima, I, pp. 493-496. Cfr. anche Zibaldone, II, p. 635.
146) Kelmtejn qabel, Nirien, cit., p. 6. Cfr. anche Lehen il-Malti, vv. 39-40; Lil Gaspare Pace,, vv. 239-240; Alla taz-zghazagh, cit., pp. 74, 93; Lil?, v. 12; Lil habibi P. G. Delia, vv. 13-14.


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