§ Il mito marxista negli scrittori del Novecento

I racconti di Romano Bilenchi tra memoria e impegno




Albarosa Macrì Tronci



L'opera di Bilenchi (1), pur stringata e concentratissima, si estende per circa un cinquantennio dalle prime prove apparse nel '31-'32, fino all'esito più alto e raffinato del Gelo nell'81; opera disseminata su stampa di periodici e varia editoria di racconti brevi, cronache-racconto, elzeviri, interviste fino alla morte occorsa nel novembre '89. Un cinquantennio peraltro densissimo nella vita letteraria del Novecento, soprattutto nella narrativa. Questa si è sincronizzata, ricevendone stimolo e occasioni, con un periodo storico complesso e drammatico attraverso il fascismo, la guerra, la Resistenza, la nascita e le speranze della democrazia, la guerra fredda, il post e neo-comunismo fino alla crisi delle ideologie e delle stesse istituzioni democratiche. Sì che il panorama culturale-letterario si presenta intricato di esperienze artistiche molteplici e contraddittorie tra salti, ritorni, silenzi, innovazioni, pause, cedimenti, in continuo contrasto tra assoluto e storia, autonomismo artistico e impegno politico-sociale.
In questo senso l'attività narrativa di Romano Bilenchi possiede un alto valore esemplare e testimoniale in seno alla sua generazione, protagonista e interprete della vita letteraria tra le due guerre, maestro e compagno delle successive sul fondamento di fede nella sostanza etica e umana della letteratura, secondo la formula di Carlo Bo, Letteratura come vita (2), significato e riscatto personali e corali affidati alla parola viva della poesia.
L'opera letteraria, quando è sincera, risolve in termini di stile le ragioni della coscienza, il dramma dell'esistenza, così l'itinerario artistico di Bilenchi si qualifica per ogni fase della storia accennata, in cui la sua persona ha risentito e espresso destino e quesiti della sua società, identificando in essi le ragioni della letteratura. Si forma ancora adolescente nella provincia toscana di Colle Val D'Elsa, sua terra di nascita, nell'ambiente strapaesano del "Selvaggio" di Mino Maccari; da lui apprende una fede istintiva e un po' gratuita nelle promesse rivoluzionarie e integraliste del fascismo, fideisticamente interpretato quale sinistra socialista e baluardo contro capitalismo e borghesia. Si impegna in un'attività giornalistica ribelle e anticonformista sulla stampa di regime e fogli di federazione, come molti altri giovani; primi compagni Vittorini e Pratolini. Tra il '30 e il '35 Bilenchi collabora a tre periodici allineati: "Il Selvaggio", "Il Bargello", ''L'Universale'', oltre ad alcuni interventi occasionali in "Critica fascista" (3).
Vero è che i giovani poco più che ventenni (4) giunsero impreparati di fronte alla storia, da cui lo smarrimento di una gran parte. Tra la débâcle del liberalismo giolittiano e il pericolo del bolscevismo sovietico, nella generale resa (finanche di Croce e dei liberali), con sincero fervore di fede politica scelsero o credettero di scegliere, la "via italiana al socialismo", fuorviati anche dalla falsa continuità di Mussolini da socialista a fascista. E' noto lo straordinario potere di seduzione che esercitò la figura del duce, imponente e tirannica nell'immaginario collettivo della generazione, cui si unì, almeno agli inizi, una generosa politica culturale attuata in collaborazione con Bottai (5). In questo spirito celebrativo e sinceramente esaltato, dello stesso anno '32, è il romanzo di un altro giovane che avrebbe sperimentato il dramma della "svolta", Vitaliano Brancati. Dove perfino il titolo, L'amico del vincitore, esprime l'esaltata infatuazione per il duce e l'"abbandono fanatico allo spirito del movimento fascista" (6). Anche Bilenchi in certi interventi sul "Popolo d'Italia" nel '34 si appella con fiducia entusiastica al "Capo" (7) per poi restarne violentemente deluso e disgustato nell'incontro raccontato di palazzo Venezia (8). Il 1936 segna il risveglio e la svolta con l'intervento militare in Spagna (9), che smaschera il vero volto del fascismo reazionario e imperialista, e accelera la chiarificazione ideologica: "fronda" nel movimento giovanile di sinistra, uscita dal partito fascista, adesione al PCI, lotta clandestina nelle formazioni partigiane, attività giornalistica sulla stampa clandestina e su riviste di sinistra dopo la liberazione. Durante la resistenza Bilenchi opera su numerosi fogli clandestini, di cui si son perse le tracce. Dopo la liberazione è caporedattore della "Nazione del popolo", Organo del Comitato toscano di Liberazione (C.T.L.N.), dove intervengono scrittori come Loria, Montale, Luporini. Qui e negli altri fogli affini ("Corriere alleato", "Corriere di Firenze", "Corriere del Mattino") si sperimenta un nuovo modo di fare giornalismo, libero e combattivo, aperto alle varie forze della sinistra, senza alcuna intransigenza dell'ortodossia, in collegamento dialettico con tutte le voci democratiche marxiste e non marxiste. Da quella fervida attività (valse la lezione illustre del partito d'azione (10) ) nascevano le esperienze giornalistiche del dopoguerra. Dopo la "Nazione del popolo" Bilenchi nel '46 fonda e dirige "Società" (11), nel '54 anche "Il Contemporaneo"; dal '48 al '56 è direttore del "Nuovo Corriere", dove si consuma l'esperienza più originale e appassionata del Nostro, che si sforza di conciliare un profondo e rigoroso impegno umanoculturale e la fede nel partito (12).
Va tenuto presente che, almeno nella tensione agonico-mentale di proiezione fuori-da-sé, l'intensa attività giornalistica non è difforme da quella letteraria, anzi si coniuga con essa, essendo coerente il laboratorio del giornalista-scrittore alle sole ragioni del proprio e altrui umanesimo. Impegno letterario e giornalistico si bilanciano nella mens bilenchiana. Nel quinquennio prebellico ('35-'40) di sofferta maturazione politica, lo spazio "vuoto" della prassi viene riempito da un'intensa attività letteraria (seconda e terza fase dopo la prima stagione strapaesana a ragione rifiutata dallo scrittore), anche mediante la collaborazione a riviste quali "Frontespizio", "Solaria", "Circoli", "Campo di Marte", dove pubblica i suoi racconti. Nel dopoguerra la riconquista del credo marxista e l'identificazione nel Partito, sentito come libera convergenza di intendimenti etici prima che politici, aprono una frenetica attività redazionale, parallela al silenzio letterario, che culmina nella redazione del %uovo Corriere. Ma nel '56 l'aggressivo imperialismo dello stalinismo sovietico fuga ogni utopia e speranza. Con un intervento preoccupato sui tragici fatti di Poznan Bilenchi "firma" la brusca chiusura del "Nuovo Corriere", fattosi intollerante il partito verso ogni posizione autonoma e eterodossa (13). Il Nostro profondamente deluso si asterrà da ogni diretta militanza politica e giornalistica, restando soltanto nella redazione della terza pagina della "Nazione".
Testimonianza fedele e appassionata della propria formazione politico-letteraria ha lasciato Bilenchi in quel prezioso volume di memorie, sul discrimine tra arte e vita, che è Amici (14), dove la dimensione diacronica biografico-mentale di approdo al Vero presiede all'intera opera, sia nello sviluppo interno di ogni racconto e ritratto (almeno dei più ampi e significativi), sia nella successione articolata della raccolta, dal primo scritto Torino 1931 (su Maccari e gli anni del "Selvaggio") all'ultimo Un Comunista (su Fabiani e il fervido clima del '48). In particolare enorme importanza assume il racconto Vittorini a Firenze, ivi l'amico Vittorini (insieme a Pratolini insistentemente ricordato) rappresenta il protagonista-confidente (significativa la presenza del carteggio) del comune itinerario umano sperimentato sul doppio versante politico e letterario. Le tappe della formazione si compongono dalla citazione dell'intero testo:

Ci confidavamo le impressioni riportate dalle nostre letture, le nostre preoccupazioni, le nostre delusioni: invano ambedue avevamo sperato che il fascismo avrebbe potuto essere una rivoluzione antiborghese, una nuova forma di socialismo. Il 1933 scavò nelle nostre coscienze e fece nascere dubbi più forti e timori ... Poi andavamo alle Giubbe Rosse ... Elio conobbe Vasco Pratolini... un'affettuosa amicizia che durò fino alla morte di Elio... Scoppiò la guerra di Spagna; e noi trepidammo per i "rossi" e soffrimmo il soffribile... Vittorini mise me al corrente del suo piano e mi invitò a seguirlo in Spagna... Proprio in quel tempo Elio, Vasco e io, ormai inseparabili cominciammo a leggere Le Lotte di classe in Francia e altri scritti di Marx... Infine Vittorini si dimise dal partito fascista... Lui, Vasco ed io chiusi per ore e ore in una stanza, elaboravamo progetti di propaganda rivoluzionaria... Elio fu arrestato e poi liberato... partecipavo alla resistenza, finalmente nelle file del partito comunista... Parlammo a lungo del "Politecnico"... A me era stata tolta di mano "Società" proprio per il mio spirito d'indipendenza...

Il complesso delle speranze politiche credute e deluse prima in seno al fascismo, poi, ben più sanguinosamente, nel comunismo importa e determina la lettura critica di tutta l'opera bilenchiana; non solo nella sezione resistenziale, peraltro vasta e articolata in numerosi racconti e in un romanzo (15), ma anche negli scritti di taglio etico-intimista, dove lo spessore ideologico diventa sete di verità, senso tragico di una condizione che lacerato il velo ambiguo della menzogna, vive oltre il dramma.
Molto significativo un passo di Amici sull'arte di Ottone Rosai:

Il motivo più profondo dell'arte di Rosai, quella ribellione contro la società e il mondo, quella particolare forma di amore-odio per l'uomo, conteneva una critica profonda dell'individuo... Una ribellione che finiva per trovarsi diretta non tanto contro un preciso tipo di organizzazione sociale, quella borghese, ma contro il mondo stesso nella sua totalità. Non fermandosi a un determinato momento della storia diventava rivolta assoluta (16).

E' un passaggio chiave, quasi una teorizzazione in proprio risentita sull'arte del maestro-amico Rosai, testimone straordinario di forte, esclusivo impegnò etico-politico sofferto fino allo spasimo esistenziale nelle componenti della propria arte. La rivolta storica si fa esistenziale e metafisica:

Rosai era allora un uomo giovane, taciturno, che interveniva raramente nel discorso che gli si svolgeva intorno se questo non riguardava la pittura oppure se non c'era da difendere qualcuno che avesse patita un'ingiustizia (17).

Pare di leggere il ritratto dello stesso Bilenchi giovane, che si è identificato nel pittore più anziano dalle lontane esperienze strapaesane, attraverso i fraintendimenti del fascismo di sinistra, fino all'utopia marxista di fraterna giustizia. Su questo terreno d'incontro di una esistenza umana-artistica esemplare si determina il modello rosaiano nella componente plastico-coloristica della pagina di Bilenchi, nel gusto delle "nature morte" (18) e nel respiro rinascimentale della campagna toscana, silenziosa e assorta, deserta e animata, classica e interiorizzata, come le tele degli artisti toscani ricordati in Amici (19). Importa rilevare che in Rosai Bilenchi identifica la generazione, che vive in sé, come in ogni altro amico pittore, scultore, poeta, narratore, critico nel confronto di esperienze comuni consumate nel segno dell'amicizia, garanzia di intendimenti unitari nella libertà degli esiti individuali. Firenze è cuna nativa di nutrimento artistico-umano assorbito ed espresso dalla composta e razionale geografia rinascimentale per gli scrittori fiorentini (Luzi, Parronchi, Pratolini) e per i toscani-fiorentinizzati (Bilenchi, Bigongiari), spazio di verifica e di rinascita nella nuova famiglia letteraria per coloro che vi si stabiliscono (Gatto, Landolfi, Macrì, Sereni, Montale, Bo, Vittorini) o si fermano di passaggio nei pomeriggi alle Giubbe Rosse o al Paskovkij. E' l'incanto di ogni grande sodalizio che si rinnova raramente nella storia dello spirito umano: Circolo dei Poeti Novi, Sturm und Drang, gruppo simbolista, Ermetismo (20).
In questo senso Amici è il titolo programmatico della memoria emotiva-speculare di Bilenchi che da l'inventore" si fa "testimone" 21 attivando occasioni di incontri amicali, talvolta minime, divertenti (l'esilarante storia del fiero Marques de Villanova) o tristi (la malattia di Giusto in Vittorini a Firenze), da cui si delinea lo "Zodiaco" del Novecento letterario: numerosissimi i letterati, oltre i già citati Vittorini e Pratolini, Ricci, Montale, Traverso, Bo, Bonsanti, Luzi, Landolfi, Delfini, Parronchi ... ; tra gli artisti Maccari, Rosai, Caponi, Francesconi, Marcucci, Venturi.... cui si uniscono gli amici-maestri dell'educazione politica Leo Franci, Giuseppe Rossi, Sanguinetti, Fabiani, Calamandei, Baccetti, Luporini...
In queste pagine la generazione prende coscienza di sé, tant'è che il volume, dopo la prima edizione del '76 (22), si irrobustisce nella mente individuale-collettiva dello scrittore fino alla nuova edizione dell''88, accresciuta di ben sei racconti, cui va aggiunto il volume postumo, Due ucraini e altri amici, che raccoglie i racconti degli ultimi anni.
L'amicizia da occasione di vita diventa, attraverso la memoria, investimento letterario e mitico, sostanza viva e ideale di un rito antico e umanissimo, quale si scandisce nella misura ritmica e pausata di quella prosa paratattica, tersa e concisa, arcaica e essenziale, che è qualità prima e assoluta, ampiamente riconosciuta (23) della narrativa bilenchiana: gli Amici sono proiezioni e archetipi a un tempo della stessa matrice autobiografica, densa e purissima, alleggeritasi per troppo pensoso ingorgo di materia esistenziale; da cui nasce la vicenda tutta interiore e per questo "vuota" di fatti (24) delle coppie di giovani adolescenti, protagonisti dei racconti bilenchiani (25), rinnovanti la tradizione classica e moderna dei giovani-amici virgiliani e ariosteschi fino a Le Grand Meaulnes, amato dagli ermetici. Il mito romantico dell'adolescenza si omologa sii quello socialista di innocenza e rivolta, riassorbito anche l'evangelismo cristiano; il dramma della Storia si risolve nell'essenzialità della "cronaca" o della parola poetica, senza alcun discrimine tra prosa e verso, da cui si plasmano i giovinetti di Pratolini, Vittorini, Pavese, Fenoglio, Luzi, Montale, Penna...
Si salda così sull'asse esistenziale di una rovente tensione etica risolta in termini di stile, la continuità ideale che a Firenze trova lo spazio di irradiazione, dalla seconda generazione vociana (26) dei De Robertis, Betocchi, Solmi, Gadda... verso gli esiti della quarta Fenoglio, Pasolini, Zanzotto... Ciò va precisato contro ogni fraintendimento e polemica passata e presente nei due versanti falsamente oppositivi di impegno e disimpegno, ermetismo e realismo, fiorentinità asettica e sperimentalismo padano. In specie Bilenchi, e insieme a lui Vittorini e Pratolini, triade della narrativa fiorentina, interpretano e svolgono nell'itinerario politico (fascismo di sinistra-marxismo-isolamento) e letterario (prosa di memoria-realismo resistenziale-recupero della dimensione etica e privata) il complesso della Rivolta-Delusione investito nel Partito e trasceso nella Letteratura. In questo senso è significativo il titolo dell'ultimo romanzo di Pratolini Allegoria e delusione, dove il primo termine dice la trasposizione simbolica del mito ideologico e il secondo il fallimento del Mito Stesso (27).
Importa quindi marcare la sostanza umanissima del marxismo rigenerato e reinterpretato dai nostri scrittori, di pura matrice illuministica sincera e spontanea, priva di alcun rigido dogmatismo e costruita sull'uomo, sulle sue esigenze etico-sociali, eterne e universali; da cui la fede indiscussa nell'internazionalismo sepolto da Stalin e rinnovato per breve nelle speranze dell'eurocomunismo:

Sentivo profondamente l'errore e la minaccia contenuti nelle ideologie che pretendevano di dare da sole una spiegazione del mondo (28).

Non un testo ideologico ricorre nella formazione dei giovani militanti protagonisti dei racconti resistenziali di Bilenchi, appena un Labriola nascosta:

Il primo libro che Marco scrisse era pieno di reminiscenze storiche e denunciava una scarsa conoscenza dei testi marxisti: un pomeriggio Marco e Giulia ... ripetendosi ogni tanto quello che avevano imparato, un libro di Labriola, accuratamente foderato perché non se ne potesse scorgere la copertina (29).

L'Utopia coincide con la tensione libertaria e solidaristica di ogni rivoluzione, maturata nelle ideologie socialiste europee, che in quegli anni trova in Gramsci l'interprete più puro e originale, guida e orientamento per i giovani fino a oggi. Non a caso egli rappresenta la sintesi del letterato-politico, come esprime lo stesso titolo Letteratura e vita nazionale (30). Ciò che però distingue Gramsci e la sua filosofia della prassi è la fede populista integrale e sincera intorno all'idea nazional-popolare della letteratura, su cui interverranno esasperandola e spesso fraintendendola i gramsciani, che alimentarono negli anni '50 un intenso e acceso dibattito culminato nel famoso saggio di Asor Rosa Scrittori e popolo (31). I nostri scrittori strenuamente tesi a difendere l'autonomia dell'artista rispetto al politico e dell'arte rispetto alla prassi (32), rimasero fedeli alle radici della tradizione letteraria italiana e europea quale si è svolta dalle origini duecentesche a oggi, nella specificità della categoria letteraria, nutrita di storia, ma libera da ogni fraintendimento sociologico di arte popolare o borghese, progressista o conservatrice, o altri equivoci del genere; si incontrava con l'estetica di Vico, Hegel, Foscolo, De Sanctis, che d'altra parte hanno filtrato in Italia la ricezione delle teorie marxiste eterodosse di Lukàcs, Benjamin, Bachtin, dello stesso Gramsci. Giovò ai giovani nella difesa dell'autonomia dell'arte l'appartenenza all'alveo geografico della letteratura toscana che si connota per la profonda fusione di limpida classicità e vigore di impegno civile, secondo la linea dei grandi scrittori-politici Compagni, Dante, Machiavelli, Guicciardini amati dal Nostro (33). Perfino gli eccentrici esperimenti di una cultura "rivoluzionaria" svolti da Vittorini (già fiorentinizzato) nell'ambito dei "Gettoni" e di "Menabò" rimasero esterni alla sostanza ritmico-analogica dell'arte vittoriniana, che si sviluppo dal nucleo lirico prebellico; anzi entrarono in conflitto con essa determinandone l'improvvisa agonia e il silenzio definitivo.
Ecco perché un marxismo così concepito non poteva scontrarsi come quello sovietico, dogmatico e intransigente, con la sostanza cristiana della cultura occidentale con cui anzi s'incontrava e potenziava recuperando la radice profonda della Rivolta evangelica (34), che ogni scrittore ha in sè alle origini della propria educazione arcaico-familiare. Perciò il comunismo europeo (e in specie quello italiano), come ogni formazione laica, fu sempre se non altro rispettoso delle ragioni della fede:

La questione religiosa? No. La religione in sè stessa non è un fatto regressivo, e mai il partito comunista avrebbe iniziato, su quel terreno, una lotta che sarebbe stata, in Italia, senza senso e che ci avrebbe precipitato indietro nei secoli.

Lo scontro era destinato a aprirsi su un altro fronte, quello della prassi politica staliniana che svuota l'Utopia della sua essenza ideale, capovolgendo lo slancio sincero di autoredenzione popolare in controrivoluzione di tipo imperialista e autoritario:

Stalin costituiva la controrivoluzione; impadronitosi del potere lo aveva distrutto fisicamente, dai membri operai ai dirigenti più colti e più efficienti che si richiamavano ai vecchi ideali, e lo aveva sostituito con una polizia politica spietata, padrona di tutto, certamente armata più dello stesso esercito. L'internazionalismo era stato affossato e su tutti gli altri popoli e gli altri partiti prevalevano soltanto gli interessi dell'URSS (36).

I segnali della delusione giungono precoci e inequivocabili: nel '46 lo scontro di Vittorini con Togliatti e la fine del "Politecnico" (37) poi nel '51 l'abbandono del partito; nel '56 la soppressione del "Nuovo Corriere" e l'uscita di Bilenchi dal partito dopo l'aggressione d'Ungheria... E' un "colpo pesante" per i giovani scrittori che hanno sperato, creduto, pagato di persona:

Dinanzi ai giudizi che esprimeva Fabiani, dapprima recalcitrai irritato, poi ricevetti un colpo pesante e sentii dentro di me stracciarsi le passioni, le mie convinzioni... Non mi sembri un giovane che si possa impressionare se crollano dei miti e io preferisco la sincerità alle bugie e alla propaganda (38).

Essi insomma percepiscono con notevole anticipo sui fatti storici il fallimento del Mito scontando terribilmente lo shock ideologico nelle occorrenze biografico-letterarie. Il caso estremo è il suicidio di Pavese che già nel '50 interpreta e comunica il senso dello scacco generazionale. Altri fortunatamente consumano quella stessa morte nella sola dimensione letteraria, com'è il caso di Bilenchi e di Vittorini. Significativo nell'asse di identificazione generazionale il racconto I silenzi di Rosai, che dà anche nome all'elegante raccolta (39) di quel '71 - anno del rientro nel partito - da cui si svolse per dilatazione il libro Amici. Dopo la delusione storica la tensione rivoluzionaria riattinge vigore alle origini profonde della "Rivolta" assoluta e categoriale, nel magma metafisico-esistenziale puro vivificato nella linea della stagione prebellica, in cui s'iscrive la narrativa bilenchiana.


NOTE
1) Questo scritto è la prima parte dell'intervento composto per le attività letterarie del "Centro Studi di Girolamo Comi" nell'anno di fondazione 1992-1993. Risulta da un integrale lavoro di revisione e aggiornamento di A. Macrì Tronci, La narrativa di Romano Bilenchi, Nuovedizioni Enrico Vallecchi, Firenze 1977, cui rimando per la bibliografia fino a quella data. Tra gli studi successivi è importante segnalare i volumi monografici AAVV, Contributi critici su Romano Bilenchi, a c. di L. Draghigi e S. Coppini, Edizioni del Palazzo, Prato, 1989; "il Vieusseux", maggio-agosto 1990, n.8; AAVV, Bilenchi per noi, Atti del Convegno di Studi Firenze-Colle Val D'Elsa 1991, Vallecchi, Firenze, 1992.
2) In "Frontespizio", settembre 1938, poi in Otto Studi, Vallecchi, Firenze, 1939. Su Bo e l'ermetismo cfr. G. Langella, Poesia e conoscenza nella teoresi ermetica di Carlo Bo - tra Juan de la Cruz e il Novecento francese, in "Testo", n. 20, 1990, pp. 113-145; O. Macrì, L'intelligenza e il testo, in Per Carlo Bo. 25 gennaio 1991, a c. di G. Tabanelli, Editrice Montefeltro, Urbino 1991, pp, 285-295; inoltre nella sterminata bibliografia sull'ermetismo rimangono fondamentali gli studi di S. Ramat, L'Ermetismo, La nuova Italia, Firenze, 1969; D.Valli, Storia degli ermetici, Editrice La Scuola, Brescia, 1978.
3) Sulla collaborazione di Bilenchi ai fogli di regime cfr. E. Pellegrini, Per una bibliografia di R. Bilenchi, in "il Vieusseux", cit. pp. 47-59; dov'è anche un intervento specifico sul "Bargello" di A. Nozzoli, Su Bilenchi e il Bargello, pp. 69-89.
4) Su questo argomento è d'obbligo riferirsi a R. Zangrandi, Il lungo viaggio attraverso il fascismo, Feltrinelli, Milano, 1963; vedi anche G. Germani, La socializzazione politica dei giovani nei regimi fascisti; Italia e Spagna, in "Quaderni di sociologia", gennaio-giugno, 1969. Sulla situazione generale della cultura, cfr. E. Garin, Cronache di filosofia italiana (1900-1943), Laterza, Bari, 1962; M. Abbate, La filosofia di B. Croce e la crisi della società italiana. Einaudi, Torino, 1955, 1966, 2°.
5) Sono allineate col regime le riviste che ospitano gli ermetici, come "Il Frontespizio" (1929-40), dir. E. Lucatello e P. Bargellini; "Primato" (1940-43), dir. lo stesso Bottai e G. Vecchietti; "la Ruota" (1937-43), dir. M.A. Meschini. Sulle riviste tra le due guerre èfondamentale G. Luti, La letteratura nel ventennio fascista. Cronache letterarie tra le due guerre: 1920-40. La nuova Italia, Firenze, 1972; dello stesso critico Bilenchi, le riviste e i caffè letterari, in Bilenchi per noi, cit. pp. 33-44.
6) O. Del Buono, Quando il duce soggiogò Brancati, in "La Stampa", inserto "Tuttolibri", novembre 1992, dov'è ricordato il racconto del giovane Brancati sul primo affascinato incontro col duce.
7) Sulla collaborazione di Bilenchi al "Popolo d'Italia" cfr. F. Bagatti, Le collaborazioni giornalistiche, in Bilenchi per noi cit. pp. 45-54.
8) Cfr. Amici, Rizzoli, 1988, da cui son prese le citazioni, pp. 69-79; e ancora Un autoritratto attraverso le riviste, a c. di F. Bagatti, Appendice a R. Bilenchi, Due Ucraini e altri amici, Rizzoli, Milano, 1990, pp. 140-141.
9) Cfr. Amici, cit., pp. 122-123.
10) P. Fossi, responsabile del partito d'azione, dirigeva il "Corriere di Firenze", come ricorda C. Ceccuti, Bilenchi e il "Nuovo Corriere", in "il Vieusseux", cit. p. 41.
11) E' importante consultare Cronache degli anni neri (Documenti di "Società") a c. dello stesso Bilenchi e di M. Chiesi, Editori Riuniti, Roma, 1984.
Sull'esperienza di "Società" Bilenchi parla anche in Amici, p. 144. Su questo aspetto segnalo A. Cadioli, Un letterato nella prima "Società", in Contributi, cit. pp. 43-56; C. Luporini, La rivista "Società", in Bilenchi per noi, cit., pp. 221-222.
12) Cfr. anche B. SchacherI, Il direttore del "Nuovo Corriere", in Bilenchi per noi, cit., pp. 84-95; dello stesso un ricordo di Bilenchi in "il Vieusseux", cit., pp. 117-120,
13) Cfr. Un autoritratto, cit., pp. 142-147.
14) Tra gli interventi più acuti su quest'opera giova segnalare le parole dei compagni di generazione: G. Contini, Per Bilenchi e i suoi amici, Prefazione a Amici, 1988, pp. V-VIII: M. Luzi, L'amicizia, in Bilenchi per noi, cit. pp. 11-14. E inoltre Anna Dolfi, Il libro raccolto di Bilenchi, in In libertà di lettura, Bulzoni, Roma, 1990, pp. 155-158, e della stessa Bilenchi e gli anni trenta (sulle tracce di un'iscrizione generazionale), in "Il banco di lettura", Edizioni del Tornasole, 1991, poi in Bileirchi per noi, cit., pp. 15-32.
15) Rimando all'inventario di "12 elementi" fatto da O. Macrì, Il tema della Resistenza nella narrativa di Bilenchi, in Contributi, cit., pp. 103-134, a cui vanno aggiunti altri cinque racconti apparsi successivamente nel volume postumo Due ucrani, cit.
16) Amici, cit., p. 66. Sul ruolo guida di Rosai sul giovane Bilenchi cfr. R. Marchi, Bilenchi e Rosai, in "Il Ponte", febbraio-marzo 1974, ricordato da P. Bughignani, Il sodalizio di Berto Ricci, in Bilenchi per noi, cit., pp. 55-83; ivi anche E. Ghidetti, Il memorialista, pp. 198-212.
17) Amici. p. 43. A riscontro si fa notare che anche in Pratolini di Allegoria e derisione, Vieri, sodale del protagonista Valerio, si nasconde in un pittore, essendo l'amico-artista proiezione di sé politicamente consapevole.
18) "E' il trasporto di tale ésprit d'observation dalla realtà inventata (ma poi non troppo) a quella storica che costituisce Amici, questa raccolta pazientemente fabbricata attorno al poeticissimo nucleo, ricco anche di nature morte, per cui la frequentazione di pittori non dev'essere stata inutile, dei Silenzi di Rosai", G. Contini, Prefazione, cit., p. VII.
19) A. Dolfi rileva la presenza di "architetture dechirichiane" lette come controcanto iconico di certa "secchezza stilistica", Bilenchi e gli anni trenta, cit., p. 19.
20) Acuta chiarificazione delle linee letterario-storiografiche in senso comparatistico della civiltà mediterranea classico-romanza li a portato O. Macrì, "Maggiori" e "Minori" o di una teoria dei valori letterari, in Il "Minore" nella sioriografia letteraria, Atti del Convegno Internazionale, Roma, 10-12 marzo, 1983, a c. di E. Esposito, Longo, Ravenna, 1984, pp. 13-54.
21) G. Contini, Prefazione, cit., p. VII.
22) L'opera nasce col titolo Amici -Vittorini, Rosai e altri incontri, Einaudi, Torino, coll. "Saggi", 1976 e comprende otto racconti; nell'88 esce un'edizione ampliata a c. di Sergio Pautasso, dal titolo definitivo Amici, con la citata Prefazione di G. Contini e con una nota giustificativa a fine testo, dove oltre i precedenti otto sono sei nuovi racconti.
23) Sulla prosa bilenchiana fondamentale il saggio di M. Corti, R. Bilenchi ovvero connotazione toscana e denotazione italiana, in Metodi e fantasmi, Milano, 1969, pp. 43-52; della stessa cfr. il recente intervento Nascita e crescita di un romanzo inedito, in Bilenchi per noi, cit., pp. 122-130. Cfr. anche G. Nicoletti, Due paragrafi sulla prosa bilenchiana e un recupero, in "il Vieusseux", cit. pp. 29-38.
24) "Bilenchi difatti vuole un romanzo 'fatto di nulla'; ha capito che il peso di un romanzo è 'vuoto'... ma è la fantasia stessa allo stato puro: Bilenchi sta liberando questa memoria pura", P. Bigongiari, R. Bilenchi, in Prosa per il Novecento, Vallecchi, Firenze, 1970, p. 114.
25) Sul tema dell'infanzia in Bilenchi cfr. J. M. Gardair, le non lieu de dèsir, in "Critique", oct. 1969, pp. 888-894; G. Bosetti. La poetique du myte de l'enfance chez R. Bilenchi, in "Cahier du Cercic", 1984, n. 2, 241-154.
26) Il valore ideale dell'eredità vociana sulla terza generazione è testimoniata in Amici dal racconto del progetto mai giunto a compimento di una Antologia della "Voce", cui lavorarono Luzi e Bilenchi su invito di Vittorini per la "Corona" di Bompiani, pp. 134-138.
27) E' suggestiva interpretazione critica di O. Macrì in Pratolini romanziere di una storia italiana, Le Lettere, Firenze, 1993, p. 9.
28) Amici, p. 216.
29) R. Bilenchi, Il bottone di Stalingrado, Vallecchi, Firenze, 1972, p. 92 e 113. Il romanzo è poi uscito in nuova edizione con introduzione di G, Gramigna, Rizzoli, Milano, 1983.
30) In Amici Bilenchi esprime il suo apprezzamento per l'opera di Gramsci: "Quelli che molti, forse senza averlo letto, dicono fosse stato Gobetti, a me sembra che sia stato Antonio Gramsci", p. 8.
31) Furiose battaglie letterarie tra marxisti ortodossi e eterodossi, ermetici o postermetici e rinnegati, neorealisti o realisti si accesero in quegli anni su "Officina", "Momenti", "Situazione". Sui questo argomento cfr. G. Manacorda, Storia della letteratura italiana contemporanea (1940-1965), Editori Riuniti, Roma, 1971. Nella nostra terra Vittorio Bodini sull'"Esperienza poetica" (1954-56) da lui diretta, si scontrò con amici fraterni, come O. Macrì. A questo riguardo interessante il carteggio Bodini-Macrì, in preparazione a c. di Anna Dolfi. Intanto cfr. G. Pisanò, Lo spazio creativo di O. Macrì, in "Sudpuglia", 1992, 4, p. 99. Sulla "Esperienza poetica" cfr. D. Valli, Cento anni di vita letteraria nel Salento (1870-1970), Milella, Lecce, 1985, pp. 135-163, utile anche per la disamina delle polemiche letterarie nazionali di quegli anni.
32) "Il politico è l'uomo della prassi, l'artista l'uomo dell'acquisizione del senso ultimo della realtà, il politico guarda all'avvenire, l'artista guarda al passato. Quando il politico dà all'artista un piffero da suonare e pretende che lo suoni in un modo particolare come serve a lui snatura l'artista, lo costringe a essere un politico, un cattivo politico.
L'artista strumentalizzato viene poi spremuto e gettato nel letame e da letame si comporta. Fermenta e puzza. Chi vuole conoscere la società russa prima di Lenin deve leggere Puskin, Tolstoj, Gogol, Dostoevskij, Cecov. Anche la grande rivoluzione d'ottobre sarebbe rimasta senza testimoni se Blok, Mandel'stam, Pasternak, Olesa, Babel', Bulgakov, Platonov, Esenin, l'Achmatova non si fossero rifiutati di diventare dei politici, di lasciarsi strumentalizzare. E anche sui concetti di cultura e di intellettuale, ormai logori e corrosi, c'era molto da discutere. Dalla parte di Lenin. ma percorrendo la strada di Tolstoj", Amici, p. 145-146.
33) Sono gli autori prediletti della biblioteca mentale bilenchiana, come ripetuto nelle interviste, tra le quali cfr. Colloquio interrotto con R. Bilenchi. in A. Macrì Tronci, La narrativa, cit. pp; 233-248.
34) Sulla radice evangelica della rivolta marxista si espresse già O. Macrì, Cronaca familiare di Vasco Pratolini, in "Libera voce", 12 aprile '47, poi in Caratteri e figure del sentimento poetico contemporaneo, Vallecchi, Firenze, 1956: "Come tale, il Cristianesimo in Pratolini è... insieme il segno di una rivolta e di una sconfitta ... Di qui la struttura arcaica di un temperamento rivoluzionario... che sospinge il cristianesimo a una sorta di ansia precomunista", pp. 372-373. L'idea riappare in R. Jacobbi in una diversa formulazione: "Pratolini mostra come il suo marxismo cerchi di assimilare e storicizzare una eredità cristiana (l'idea del peccato)", Introduzione a Un eroe del nostro tempo, Oscar Mondadori, 1972, 1975 2°, p. 15.
35) Amici, p. 250; è anche testimonianza in I giorni della vita. Intervista a Romano Bilenchi, in "il Vieusseux", cit., p. 11.
36) Amici, p. 241.
37) Sul 'Politecnico", oltre la ristampa anastatica, pubblicata da Einaudi nel 1975, cfr. l'Antologia a c. di M. Forti e S. Pautasso, Rizzoli, Milano, 1960, 1975 2°.


Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000