§ Nostoi

Le ombre




Antonio Errico



- Da quale porto giungi, quale vela ti porta a questo tempo senza giorni, dove sogno e dolore, estati e inverni sono solo il ricordo di un ricordo.
Non ti aspettavo, sai, non mi aspettavo di rivederti.
L'attesa è una stagione che passa in altri luoghi, in altre vite. Non ti aspettavo. Però di tanto in tanto dagli spiragli di questa ragnatela guardavo nel vuoto che si apre alle tue spalle, nel fondo scuro da dove sei venuto perché un castigo pietoso mi riporta nel tempo che lasciai.
Non ti aspettavo. Per non aspettarti mutai il mio corpo in ombra, mi nascosi nel luogo dove adesso sei arrivato, ultimo baluardo al desiderio di attenderti.
A lungo ti ho aspettato in altri giorni di presagi e di ossessioni, non so più per che disordine del cuore, se per morbo o passione o spina o fiore che cresce su parete di dirupo.
Ma adesso sei venuto. Mi ritorni col peso di una storia che rifiuto, come lupo affamato dalla neve, eco di fiaba greve che non voglio udire più.
Mai più io voglio udire il nome tuo, né pronunciarlo più. Mai.
Il nome, i nomi sono velieri dentro la memoria, ancore che ci incatenano alla storia, che in essa ci inabissano.
Tu conosci i guerrieri, tu che hai visto guerrieri andare dove regna l'Orco Stigio, sai che cosa dicono nell'ora che brucia ogni fortuna, sai: un nome: un nome che è il destino consumato, oracolo che fuga la paura, un alito di vento, la frescura di un'oasi, la madre, una preghiera.
Forse a quell'ora per un istante il nome si fa eco magica che turbina in un pozzo e il guerriero torna dentro tutta la sua vita, seguendo il suono di una voce che lo chiama, mille voci che lo chiamano; e lui diventa voce: gli occhi, le mani, la gloria che ha sognato, il sogno che ha nascosto come un brivido o un lamento, si alzano nel vento, diventano una voce che si allontana, fugge dal campo di battaglia, sfiora le foglie nuove, gli stendardi, l'orizzonte, torna a un tempo segreto che non ha misura, che non ha cominciamento e non ha fine.
Io non voglio tornare.
La cosa che più ho rimpianto, mia regina, è stato lo stupore dei tuoi occhi, la tenerezza, i tuoi trasalimenti, e quel senso di pace sconfinata che ho provato dentro i tuoi giardini.
Ascolta questa voce che sarà il mio pensiero esatto, l'ossessione, la paura, il desiderio e il tremore, l'angoscia, l'agonia e la mia morte.
Parlerò con l'ira, l'impeto e il dolore che soltanto un pentimento inutile può dare.
Non ho scuse, non ho ragioni per la mia fuga.
Un sogno di potenza mi strappò al tuo sogno più vero.
Cartagine era la felicità ma non era l'impero, non era la forza, il dominio. E io l'impero volevo.
Sì, avevi ragione: chi s'era salvato da Troia aveva travolto la madre ed i figli. Ladri e predoni avevo con me, canaglie, avvoltoi. E ladro e predone son stato.
Ho usato il tuo amore.
Mi accorsi del Mutare del volto, degli improvvisi rossori, e pensai che avrei potuto chiederti il regno ed il sangue. Ma dovevo legarti, dovevo farti impazzire, stravolgerti i sensi e diventare per te il senso della vita, diventare la vita.
Perdonami, se puoi, del dolore che ti ho dato. Chiedo perdono a te donna travolta dalla viltà e dall'inganno, a te bocca occhi seno palpitante fianchi spezzati.
Come potrei scordare mai l'aiuto e il conforto che mi hai dato o come faccio a spiegarti adesso che scappai quando cominciavo ad amarti.
Le parole non hanno peso, scivolano nell'aria, sono fiato, solo fiato.
No, non posso dire niente per sanarti le ferite, niente che possa cancellare ciò che è stato. Né posso bestemmiare gli dei e la sorte.
Gli dei non li ho mai visti e non li vedo. Non so se esiste oltre questo luogo un altro luogo. Ma sospetto il vuoto, il baratro del niente.
Ogni cosa che accadde l'ho voluta: felicità o tragedia, pianto e risa. Niente mi fu imposto; nessun dio mi rivelò destini stabiliti o tracciò la rotta alle mie navi.
Io, io soltanto ho deciso l'ora e il modo di abbandonarti.
- Una sera a Cartagine la luna all'improvviso scomparve.
Dissero i sacerdoti che quello era segno funesto, che dovevamo attenderci forse catastrofi, che tempi luttuosi forse ci attendevano.
Ma era stupendo il giardino senza la luna, senza le ombre che la sua luce decide e comanda.
Ora io non ricordo come fu quella sera - non posso -ma provo a immaginare un ricordo.
Vorrei dirti.
Sul giardino si addensava una nube di fumo, una nube che mi avvolse con manto sottile e leggero, non si udiva un rumore se non il crepitare di un rogo come gelo che si rompe col peso di un raggio di sole.
Restai lì come in un sonno profondo, immobile, ignara di abitudini, ansie, segreti, di strade sicure. Restai lì per non so quanto tempo, perduta, rapita da un'ebbrezza - un'ebbrezza mi parve, pacata - di sconosciuto elisire.
Da lontano mi giungevano suoni di corno. Il pensiero mi portava fino a rive di nulla, a strapiombi sul vuoto.
Non mi importava delle catastrofi dei sacerdoti; non mi importa di inganni o di fati o di regni. Scordavo ogni cosa: una cosa ogni istante. Scordavo. E scendevo nel sonno, scendevo scordando parole, i destini, i confini della vita che mi aveva accerchiata coi suoi lacci di affanni, con le trame di sorti, con gli anni frananti sul cuore.
Come faccio adesso a spiegarti che quella sera il dolore si vestì con i veli di un sogno?
- Ti penserò finché avrò pensiero. Sarai per me la vita nella morte. Sarai un miraggio in questa immensa spiaggia che non ha mare, un fiato caldo tra il rumore di onde che sento nelle orecchie.
E' questa, è questa la mia dannazione: il mare che mi ha chiamato e che mi chiama ancora adesso, ma per ritornare non per scappare, per ritornare a te, alla mia storia.
Così io pago il tradimento: col desiderio di riprendere le navi, di sentire la salsedine pungere la carne, con l'incubo delle vele strappate dalla rabbia del cielo, del pallore sul volto dei compagni impauriti.
Vorrei tornare, regina, ritornare. Ma per le mie vele ormai non esistono porti, né donna che può aspettarmi esiste, ormai.
Ora il mare ha solo tombe senza nome, le tombe dei pensieri seccati da millenni di rimorsi.
La gloria, il potere, il fato sono stati un raggiro della vita, nient'altro che un raggiro.
Ascolta, regina: invidio la tua morte per fede, la tua stupenda illusione. Invidio il tuo aver rifiutato ogni consolazione, ogni possibilità di memoria.
La morte per te fu pace e scordanza. Per me fu smania e delirio. Pace è una parola che non capisco, che non ho mai capito. So che vuoi dire battaglia, sangue, furore; so che vuoi dire l'angoscia, la paura, l'insonnia di cento notti.
Conosco la ferocia del mare, l'alfabeto dei venti, ma la pace, ti dico, davvero non so cosa sia.
La morte mi ha dato la smania, regina, il delirio non smemoranza. Mi sono rimasti gli echi di frasi, d'incanti, ed ho nostalgie e desideri.
Bisogna saper morire e non ho saputo.
- Non ti aspettavo, sai, non mi aspettavo di rivederti. Era già passato tutto, eri passato.
Ma adesso ti rivedo, mi ritorni con tutte le parole di un racconto che non avrei voluto più sentire.
Ora che non ti aspettavo mi ritorni, ombra che trascina dietro sé ogni memoria, straniera in ogni luogo.
Mi ritorni; e io volevo perderti, volevo che il tempo fosse unguento alle ferite, che cancellasse il sogno, il desiderio, la risonanza del tuo nome.
Volevo che il tempo fosse lieve, un soffio, fosse rugiada su una foglia, oblio, sfioro di vento, fresco di marina, sussulto che si quieta, nuovo giorno. 0 fosse notte silenziosa e chiara, veglia lunga fino all'alba, lungo sogno, un canto sussurrato all'uscio chiuso.
Ma adesso mi ritorni, mi ritrovi in questo tempo che non ha confini e io ti sento così innocente e vicino, vicino.
Sei salvo. Siamo salvi adesso, ormai, distanti dalla nostra storia, dalle nostre vite, da ogni insidia di vanità e di gloria, liberi ormai dai nodi di una passione che il destino sciolse per pietà o per castigo.
Adesso siamo qui, in questo tempo che non ha tempo. Ora verrà tutto il tempo che a lungo attendemmo, che non è mai venuto.
Tornerà tutto il tempo che abbiamo perduto. Tu sarai naufrago, io sarò calma di porto; tu sai fuggiasco, io sarò perduta; tu sarai mare, furia, tempesta, io spiaggia, brezza, calma, riposo; io sarò il letto in cui si può sognare, tu sarai memoria che non si oscura mai, io femmina e nido, tu maschio e colombo.
Saremo vivi come siamo stati o come non siamo stati forse mai.
Ora posso pensarti, ora tu puoi pensarmi; possiamo pensare alla tua storia, alla mia, come fosse una storia di cui sentimmo il racconto, una storia lontana che può consolarci, che può forse incantarci ma che non ci appartiene, non ci fa più paura. Non so se siamo mai stati, se siamo stati soltanto figure esitanti che un chiarore di lume inventa sulle pareti, non so se io vissi, se tu vivesti mai e non m'importa di sapere, non ha senso.
Mi basta averti avuto nel pensiero, mi basta questo mistero che mi accerchia, il tuo racconto che cela cento trame.
Mi basta l'illusione che rischiara la mia morte, la luce che tu sei nella tenebra che vivo, la voce che mi chiama nel silenzio.
O uomo amato quanto nessun altro uomo potrà essere amato, adesso sei soltanto un'ombra sopra la mia ombra.


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