A)
Il paradosso dell'invarianza
Si è già
detto, nella premessa generale ai racconti di Simeone (1), che gli
argomenti della sua narrativa sono minimi e quotidiani. Voluptas pendendi
ne è un esempio. Si assume un evento occasionale (l'imposizione
di una tassa catastale da parte dello Stato) per poi patinarlo di
riflessi esistenziali che veicolano sgomento, angoscia, impotenza;
non contumace una allusiva connotazione di matrice kafkiana. Domina,
infatti, la lettura distopica della polis iniqua e matrigna che schiaccia,
sotto il peso di una elefantiasi burocratica, gli individui inermi
e proni ("in posizione pecorina, quasi fallica, vigilandosi mutuamente
con feroce sospetto"), sicché quella imposizione, lungi
dall'essere odiata, si risolve, paradossalmente, in masochistica voluttà
di autopunizione, liberatoria e catartica, se non fosse che, fra le
pieghe della coscienza, si affaccia il senso della inanità
dell'atto.
Al fondo di tale atteggiamento, vi è un sentimento di persecuzione
subita, collettiva e individuale, per la quale le leggi dello Stato
paiono gride, impietose e leviataniche, di Un Demone biblico che punisce
e sacrifica i propri figli sull'altare della sua sopravvivenza.
Fatte le dovute proporzioni, qui si ripropone, in più dimessa
veste, il conflitto individuo-società e lo Stato ci appare,
parafrasando, padre... di parto e di voler patrigno. Una disperante
e improvvida inquietudine assale il contribuente in atto di voler
adempiere al suo ufficio. La volontà di pagare si trasforma
in voluttà di fronte agli ostacoli che la vanificano. Si scatena,
così, un meccanismo psicologico che metabolizza il negativo
(l'ordine tassativo) in positivo (voluptas pendendi) e da questo contrasto
scaturisce l'impulso epicureo alla consumazione edonistica della pena.
Su questa dialettica sembra fondarsi lo slancio vitale del cittadino-individuo,
quasi un istinto alla vita pur nella coscienza della tragicità
della vita; su questo gioco sembra reggersi l'autorità dello
Stato, non meno sfingeo della Natura che il leopardiano islandese
incontra e apostrofa, ma senza frutto, nel deserto.
Il livello ideologico sovrasta, dunque, quello tematico e a farlo
prevalere cospira la forza non di una topica e tribunizia invettiva,
ma del sorriso, ironico, fra beffardo e satirico, che attraversa il
racconto in cui lo straniamento (affidato a stilemi e sintagmi latini)
di un dato reale produce esiti grotteschi. Lo stile è, infatti,
il reagente attraverso il quale si attua il processo di metamorfosi;
dal tragico all'ilare, dal normale allo strano e viceversa.
Lo Stato leviatanico, dunque, incombe su ogni esistenza e la fagocita,
fino a stuprare "l'animula del bambinello orfano", sub specie
di democrazia. Inganno ancor più grave, che perpetrato a danno
di chi si fida.
Sul versante stilistico si noterà l'incipit referenziale che
mima il tono dei bollettini di guerra ("Oggi 8 agosto 1992")
e contestualizza il racconto attraverso la funzione conativa commessa
a l'un giornale qualunque", dove l'aggettivo indefinito, in posizione
postnominale, sottolinea la potenza di un organo di informazione,
anche minimo o spregevole e inattendibile, sul destinatario (il cittadino)
inerme e annichilito che vede puntarsi contro l'indice inquisitorio,
donde gli apocalittici sfollamenti delle case ("anche ieri migliaia
di contribuenti [ ... ] hanno fatto la fila fin dalla notte davanti
agli uffici del catasto") in direzione del rifugio terapeutico
e salvifico, ma, ahimé, impietoso e meccanico: il Palazzo.
Il carattere iussivo dell'informazione è semantizzato dai seguenti
semantemi: imposta, da pagare, entro, Catasto, calcolare, tributo;
mentre operazione caotica, conquistare, infernali afferiscono al campo
semantico della guerra e della mischia. Come il combattente, così
il tributario "cerca di moltiplicarsi specularmente in altri
individui di numero il massimo possibile" per far fronte contro
il nemico comune: la legge dello Stato che, sempre religiosamente
invocata dai filosofi come mater et magistra di civiltà, è,
invece, kafkianamente oscura, "nuova" (si osservi il latinismo
già foscoliano, dunque strana), incomprensibile, contraddittoria,
enigmatica. Da qui l'affanno esistenziale che si querela e si oggettiva
nella solidarietà condominiale ("compresi i condomini")
o anonima, sulla. via del rifugio. Al contribuente, allora, non resta
che il cupio dissolvi dei mistici di fronte al Pater (qui "statale")
biblico, in attesa del dies irae.
Ed ecco l'opzione lessicale che produce, interferendo, lo straniamento:
il latino. Codice linguistico invero grave, austero e solenne, perfettamente
coerente con lo spirito della legge. Ma c'è di più:
il latino è, per antonomasia, la lingua del diritto. Riuscirebbe
difficile immaginare le pandette giustinianee redatte in gotico, in
greco-bizantino, in aramaico. E così il Vangelo, che subì
un processo traslitterativo inverso (aramaico, greco, latino). E il
latino sublimò le "giuste" cause di don Abbondio
contro le ragioni di Renzo. Macrì lo rispolvera e lo adopera
in funzione fática, interferendo sul canale della comunicazione,
parodiandone l'abito di eterno meccanismo del potere occulto, il quale
si affida a una ritualità esoterico-sacrale che si fa istrumentum
regni. L'intonazione parodica si dilata attraverso la solennità
dei richiami alla lingua dei Padri: contrappunto o sordina al più
asettico italiano. Funzione semantica, dunque, del latino nell'infratesto.
Lingua del potere paterno e secolare allegorizza un universo estraneo
ed egemone all'interno del quale vivono meccanismi e progetti misteriosi
(l'Italia dei misteri), indecifrabili, liberticidi. Insomma una teodicea
mostruosa e paralizzante. il latino è il gergo del potere e
della legge, anzi ne è sinonimo nella sfera del diritto. Perciò
il catasto èenfatizzato come possessionum descriptio con i
relativi registri (tabulae), "certezza assoluta e garante nei
secoli bonorum et dominiorum" sicché, nella sonorità
morfosintattica suffissiale dei genitivi, quasi rimbomba la sacralità
dell'avere ("praediorum ac fundoruni"), non dell'essere,
simulacro, il Catasto, per litanie di oranti (Castrum aenigmatis).
Ma in tale contesto, semantico della legittimità, si insinuano
i simboli del fraudolento mercimonio di strumenti operativi organici
alla voluptas pendendi:. i coemptores (bagarini), il diluculum (la
topica buon'ora di seduli e insonni trafficanti), la tabella ("i
numerini") che regolamenta l'accesso all'ostiolum (sportello),
sicché quella voluptas in~ corpora l'altra fallendi fratrem,
fervorino fallico (si noti lo slittamento semantico del radicale di
fallere = ingannare) genetico o solacium per i fraudati dello Stato-pater.
Sullo sfondo, il mito della domus-castrum, fortezza inespugnabile,
non nido, "rivestimento o corazza del cuore" e perciò
lorica, thorax, posseduta perché empta (sotto la specie del
tributo), donde la natura bifronte del possidente-contribuente che
si esalta dinanzi al valore catastale di essa domus, oggettivato e
sacralizzato nelle tabulae, riconosciuto dallo Stato. Scatta così
il meccanismo della festinatio, "l'esatto contrario dello sciopero,
fiscalis abstinentia". Ed ecco una interferenza metanarrativa
sul canale della comunicazione: "Ma non ho capito per quale motivo
ho dato alcuni equivalenti in latino". Simulazione, questa, dell'autore-locutore
che deputa al destinatario la funzione ermeneutica abdicando alla
riflessione epilinguistica. in realtà, siamo all'istmo fra
la prima parte (diegetica) del 'racconto' e la seconda ludicamente
epifrastica: "Tale folle desìo di pagare [ ... ] comprende
una voluptas defecandi [ ... ] dato che il denaro è lo sterco
del Diavolo [ ... ]" poi, più avanti, "sono certo
che gli affetti da grave stipsi etico-fisiologica se ne erano restati
a casa ad arrovellarsi. Sono gli avari che rimandano all'ultimo istante
utile". Infine un divertissement lessicale orchestrato intorno
al lessema katà semantico di sprofondamenti inferi, con vorticoso
calembour seriale di morfemi agglutinati nell'area del suddetto categorema:
catabasi, catacomba, catafalco, catasta funebris ecc. in opposizione
alla vitale funzione del catasto - segno - certificato della vita
fiscale, quindi reale del bene e dell'individuo che lo possiede.
Infine un'appendice referenziale che prelude alla voluttuosa deriva
di senso cui il locutore cinicamente s'abbandona col solito humour
ludico-parodico-fantastico (il "Buco nero irreversibile"
finale è omologo della profezia di Zeno) che riscatta nella
sfera del gioco e del riso quanto di grave, tragico, ossessivo inerisce
all'assunto, non immune il lessico (si notino i rari arcaismi risementizzati,
es. desìo) dalla maladie di Simeone: l'inganno del lector ingenuus
e impenitente.
A questo scopo assolve uno stile stratificato, iperbolico, incisivamente
rapido, contesto di asindeti ("asfissiato sperduto inerte";
"oscura nuova ignorata"; "rivoluzioni apocalissi diluvi
universali disastri nucleari sommovimenti" ecc.) che semantizzano
la congestionata corsa (la festinatio) del contribuente verso la soluzione
liberatoria. Il tutto in armonia con strutture morfosintattiche in
cui si distinguono le forme implicite ablativali e gerundive proprie
del Macrì critico e creativo ("vigilandosi mutuamente
con feroce sospetto"; "fondendosi pavor ed eros"; "insinuandosi
vocaboli", "costituenti il secondo foglio") o la frequente
ellissi del predicato ("donde il nesso") funzionali ed omologhe
le categorie del grottesco e del fantastico in cui trova sfogo e compenso
una rivolta repressa e si fotografa la realtà di questa fine
del secolo con efficacia maggiore di tanta, pur avveduta, saggistica.
Più che un racconto, Teoria e prassi degli oggetti smarriti
(con un anticipo sulla distrazione) è una prosa 'filosofica'
nella quale l'autore, ribaltando il punto di vista tradizionale del
soggetto che domina (o crede di dominare) la realtà, adotta
quello degli oggetti i quali, apparentemente inerti, rivelano, invece,
un loro demonismo denso di risentimenti, di strategie occulte, di
reazioni dispettose e imprevedibili ("Anche un oggetto animato
[ ... ], un cane, un gatto, un bambino, un vecchio, una donna, non
si muove dal punto dello smarrimento finché da altri non sia
stato interpretato e riscattato in qualità di oggetto smarrito").
Fin dall'incipit ("Fiumi di stupidaggini sono stati versati da
psicologi"), che sottende una forte carica illocutoria, tesa
a modificare la situazione (opinione) del destinatario, emerge il
carattere parodico e apodittico dell'oratoria di Simeone che rivendica
a se stesso il primato nel ribaltamento dei ruoli ("Nessuno si
è messo umilmente dalla parte dell'intenzionalità insita
negli oggetti") intervenendo con atto linguistico conativo sull'orientamento
del lettore ("Qui non si pensi") con il quale è presupposta
una certa intimità, ferme restando l'autorità del locutore
e la gravità dell'argomento ("sciagura millenaria e universale")
le quali non si possono discutere e sono date, come nei procedimenti
algebrici, per incognite assolute e, perciò, a priori.
Nella prima fase, quella dell'approccio al lettore e del suo orientamento,
dominano sequenze dichiarative che hanno i tratti dell'apoftegma enunciato
con particolare veemenza espressiva: es. "Il momento dello smarrimento
è terribile [ ... ]; la fenomenologia è varia [ ...
]; l'OS si perde". il tutto finalizzato ad imporre, dominanti
i morfemi esortativi-imperativi, nel ricevente uno status di disorientamento
rispetto alle precedenti certezze. Allora si polverizza qualsiasi
reazione emotiva (di sospetto) circa un presunto atteggiamento di
frode dell'autore. Ha inizio il gioco che chiama in causa, questa
volta, la filosofia e ne parodia il magistero. Strumento ludico è
la lezione accademica, anch'essa parodiata dal fabulare serioso, 'aristotelico'
("l'investimento noumenico è identico rispetto a qualunque
oggetto che si sia smarrito") che soggioga il destinatario e,
pian piano, lo irretisce nella kermesse pirotecnica degli esempi assunti
dalla sfera di un'oggettistica minima e, insospettatamente, animica.
Ad esempio: la spilla di sicurezza smarrita reagisce, appena ritrovata,
pungendo "il ritrovatore"; oppure "alcuni oggetti,
intrinsechi alla persona che da essi dipende, smarriti ne accelerano
la voglia di possederli". E' il caso dell'accendino o del pacchetto
di sigarette omologhi del Deus absconditus dei mistici il quale "svelato
s'annienta e deve rinnovarsi della stessa sua assenza che è
il motivo del desiderio". E qui non occorre svelare il camuffamento
che il gioco ha prodotto. Basti dire che sono posti sullo stesso piano
i 'minimi creaturali' e il Creatore per eccellenza ad elucidare i
meccanismi psicologici che presiedono alla ricerca della verità,
sollecitata dalla sua assenza e, perciò, non assoluta, ma dipendente
dall'occasione e dall'evento che la nega: "Nel caso degli oggetti
smarriti, la reazione di rabbia e disappunto nello smarrimento e di
esultanza nel ritrovamento è quasi identica se l'oggetto sia
materiale o spirituale: le chiavi di casa o del Paradiso". Insomma,
perduto Dio, bisogna ritrovarlo; solo dalla sua assenza germina, nel
mistico, la tensione al suo ritrovamento.
Parodico del sacro e del trascendentale, il discorso di Simeone si
avvia, per straniamenti successivi, a rivelare la metafisica degli
oggetti smarriti e la loro logica: "Cominciamo col dire che la
più fine sua [dell'oggetto] astuzia sta nel non muoversi dal
punto dello smarrimento" ed essa è conseguenza di una
"irritazione" prodotta dall'essere stato rimosso, l'oggetto,
dal posto in cui s'era smarrito. Si noterà lo straniamento
che fa dell'oggetto un soggetto attivo ed agonico, livellando, al
medesimo rango, uomini e cose, la spilla di sicurezza, ad esempio,
e la sposina: "Anche un oggetto animato [ ... ] non emette nessun
segnale, salvo che non sia una bomba", dove all'iperonomo ("oggetto
smarrito") succedono, in rapida successione, gli iponomi (cane,
gatto, bambino ecc.) in coerenza con un ritmo narrativo dinamizzato
dalla serialità dei segni. Si semantizza, attraverso questa
scelta stilistica, il vorticoso turbinio di forme che connota la realtà,
labile e fugace, della vita con tutti i suoi perché. Il lettore
vedrà comparire e scomparire, come dalle mani di un prestigiatore,
un flusso ininterrotto di immagini che si consumano e si avvicendano
con incalzante fluire, dove è difficile distinguere il discrimine
che separa "l'animico oggettuale" dall'intera "umanità
che ha smarrito se stessa". E' qui l'epicentro ideologico di
questa prosa che appare, a un primo livello, lo strologare pretenzioso
(si ricordi l'abrupto "fiumi di stupidaggini"), su una scena
teatrale, di un giullare che si proponga soltanto di divertire. In
realtà, Simeone di-verte (livello simbolico) con il raddoppiamento
di senso che il suo sproloquio comporta. Ma, nelle strutture profonde
del monologo, egli cela una saggezza che non ha altro conforto se
non quello dell'ironia, smarrito l'autore come l'insetto in un campo
di cui non conosce i colori di richiamo.
La lezione fenomenologica mi sembra la vera radice, a livello metanarrativo,
di questa Teoria e prassi degli oggetti smarriti, all'interno della
quale, e sotto il camuffamento ludico e straniante, il vero smarrimento
è quello dell'io che sempre attende di esser ritrovato. Parodico,
fin troppo chiaramente, dei meccanismi proustiani, lo stile di Simeone
è alla convergenza del tragico e del comico, reciproci e complementari
i codici linguistici e le strutture morfosintattiche che agiscono
sul ricevente, modificandone il punto di vista attraverso un messaggio
deformato da continui inserti illocutori, presupposta e implicita
l'autorità dell'emittente che organizza i flussi semantici
in un sistema di referenza intersegnica, ivi compresi gli indici extratestuali
(Madame Sapho) (2).
Si noteranno, in questa sede, solo alcune oscillazioni del dinamismo
comunicazionale: lineare (tema-rema), dove il tema si identifica col
dato e il rema con la novità degli elementi introdotti (es.
"Nessuno studioso si è messo umilmente dalla parte dell'intenzionalità
insita negli oggetti stessi"); inverso (rema-tema) con deissi
iniziale (es. "Fiumi di stupidaggini sono stati versati da psicologi,
psicanalisti, sociologi ecc."). Ancora un elemento deittico nel
terzo enunciato conativo: "Qui non si pensi ecc.". Segue
un ordo verborum lineare ("Il momento dello smarrimento è
terribile") con successive espansioni ("di tutto il mazzo
di chiavi") quindi inverso: è come un vuoto mistico"
e via dicendo.
Tale oscillazione strutturale epifanizza quella intima dell'autore
(Macrì), in bilico fra serio e faceto, fra comico e tragico,
la quale presiede e domina l'atto creativo che tutto smaschera e sovverte,
parodia e restaura nell'ordine nuovo che solo il grottesco del Pifferaio
magico può rivelare nella zona fantastica e surreale del riso,
dove un grande, malinconico materialismo, pietoso del dolore e sensibile
all'inadeguatezza di ogni conoscenza, immunizza l'autore (nel gioco
degli specchi Simeone è la "coscienza" di Macrì)
contro le aberranti astrazioni idealistiche e contro ogni tronfio
e 'progressivo' ottimismo.
Mimetico del caos vitale è, dunque, il linguaggio con le sue
impennate ironiche, con gli inserti fàtici, con il rapido e
seriale dinamismo dei gruppi frastici che assicurano una costante
tenuta ritmica. In definitiva, oggetto smarrito è l'uomo. E
con lui la filosofia, parodizzata come enfasi astratta che incatena
la vita mentre si illude di rivelarne l'essenza o il significato.
(II - continua)
NOTE
1) Si veda la prima parte di questo lavoro in "Sudpuglia",
Giugno, 1993, pp. 95-105.
2) Di Madame Sapho, qui evocata da Simeone, basti dire che fu una
maîtresse in una "casa" che i giovani delle Giubbe
rosse frequentarono con slancio più letterario che vitale.
Si veda sull'argomento (e su quella atmosfera), M. CANCOGNI, Quei
frequentatori alle Giubbe Rosse, in "Nuova Antologia", Firenze,
dic. 1992, pp. 226-249.
B) I "racconti" di Simeone / Oreste Macrì
VOLUPTAS PENDENDI
In italiano sarebbe: "Voluttà di pagare", sottinteso
in latino "tributa" e in italiano "le tasse".
Oggi, 8 agosto 1992, un giornale qualunque informa: "L'operazione-Isi,
l'imposta straordinaria sugli immobili da pagare entro settembre,
si sta trasformando in una caotica odissea. Anche ieri migliaia di
contribuenti [tributarii, per stare nel latino] hanno fatto la fila
fin dalla notte davanti agli uffici del Catasto per 'conquistare'
i dati necessari a calcolare l'imposta del tributo relativo alla loro
casa". Insomma, scene infernali in ogni città grande e
piccola.
Non è semplice spiegare psicologicamente tale fenomeno di massa.
Il primo impatto alla comprensione si configura come masochismo terrorizzato
d'individuo che cerca di moltiplicarsi specularmente in altri individui
di numero il massimo possibile. Cerca aria il singolo asfissiato sperduto
inerte contro una legge di Stato oscura nuova ignota complicata da
spiegazioni e chiarimenti sparsi e contraddittori recepiti attraverso
i vari mezzi d'informazione compresi i condòmini e gente incontrata
per strada, preludio alla massificazione.
Emerge il Simbolo, in veste tributaria, del Pater statale, stupratore
dell'animula del bambinello orfano che sta in tutti noi, minacciato
dalla pena pur essa oscura fino al rischio d'annientamento del subietto
passivo.
Intanto, si tenga presente, circa l'irrazionalità totale della
paura, che dall'8 agosto, se non prima, fino al 30 settembre (e oltre
con minima multa) corrono giorni 54 e 84 di tempo per pagare. Eppure
- e anzi per questo -ciascun contribuente prevede nell'inconscio che
altri come lui accorreranno al Catasto. Donde l'immersione (inserere
se turbae) del singolo spaurito nella convulsa immensità della
folla o massa (colluvies; frequentia) all'assalto del Catasto (possessionum
descriptio con le relative tabulae degli iscritti, i tributarii sopra
citati); il Catasto, pertanto, è per il momento, la certezza
assoluta e garante nei secoli, bonorum et dominiorum. Perciò,
il terrore del singolo vuol essere placato dalla comune aggregazione
nelle prevedute code sterminate in posizione pecorina, quasi fallica,
vigilandosi mutuamente con feroce sospetto.
Il Catasto rappresenta la roccaforte del segreto dei beni immobili
(Castrum aenigmatis, praediorum ac fundorum) da sfondare unanimi e
in ordine rispettatissimo d'eguali nel diritto. Si è dato il
caso che a Bologna astuti bagarini (coemptores) hanno acquistato per
tempo all'alba o prima (diluculo), una diecina di "numerini"
(tabella o scidula), da accedere al bramato sportello (ostiolum) quindi
esitati a L. 40.000 cadauno. E' un sottocaso di fraudati voluptas
fratrem fallendi (fregare il prossimo essendo fregati). Si aggiunga
il mito della casa di proprietà, della propria casa quale rivestimento
o corazza del cuore, polmoni, milza, ecc. (lorica, thorax, che in
latino è copertura, busto coperto, il pectus!). Il proprietario
di essa casa ècontribuente in quanto la possiede interamente,
donde il nesso diabolico tra i due termini. Un elemento del valore
di essa casa, oltre al riconoscimento esistenziale-sociale, sta, appunto,
nel catasto: valore oggettivo! Il Figlio teme che il Pater glielo
nasconda; quindi bisogna fare presto, il più presto possibile.
Questa difficoltà di sapere è la radice della voluttà
di pagare; insomma, la libido sciendi, che muove ed eccita tali folle
accatastate nei due sensi di ammucchiate (coacervata) e segnate nel
Catasto (in censum delata). E' l'esatto contrario (festinatio) dello
sciopero (fiscalis abstinentia).
Ma non ho capito per quale motivo ho dato alcuni equivalenti in latino.
Mi trovo anch'io in una di quelle code, la fiorentina, da cui ho spremuto
queste lacrime scritte (expressi hic lacrimas exaratas).
Non è finita. Tale folle desìo di pagare, oltre al terrore
di essere castrato dal Pater statale onnipotente, comprende una voluptas
defaecandi, omologa e propria, dato che il denaro è lo sterco
del Diavolo, e nel contempo è oro per regressione puerile della
massa umana, fondendosi pavor ed eros. Il secondo giorno, per curiosità,
volli assistere a quella enorme coda al catasto, e osservai che tutti
chiedevano ragguagli a tutti su tale tassa, eccitandosi mutuamente.
Sono certo che gli affetti da gravi stipsi etico-fisiologica se ne
erano restati a casa ad arrovellarsi. Sono gli avari, che rimandano
all'ultimo istante utile per sapere il coefficiente e versare la quota
dovuta. Così si inibiscono ogni regolare beneficium alvum subducendi.
Solo lo spettro della multa li costringe a piegarsi sul water delle
imposte.
Ancora sulla struttura verbale del Catasto: si badi che non è
nominativo, ma, diciamo, parcellario, ossia reca i nomi delle parcelle
dei beni immobiliari, e secondariamente dei contribuenti. Ad es.,
c'è il numero del mio Calamuri, poi il nome di Oreste Macrì.
Donde il senso della proprietà transeunte allarma il proprietario
attuale, insinuandosi vocaboli con quel terribile catá greco:
catabasi (discesa agl'inferi), cataclisma, catacomba, catafalco, catasta
funebris, (a) catafascio, catalessi, cataletto, catapecchia, cataratta,
catarro, catastrofe, catatonia. L'unico vocabolo di redenzione dall'incubo
catastale è catarsi: purga e mestruo di Ippocrate, purificazione
artistica di Aristotele.
Infine, il Catasto moderno, naturalmente, è di origine veneziana
e bizantina. Ma la confusione tra beni mobili e immobili fu risolta
soltanto col sacro visto all'Editto Perpetuo del gennaio 1760, per
il quale, finalmente, dopo 42 anni di tergiversazioni interessate,
si stabilì l'imposta sul valore fondamentale dei terreni. Si
era sotto il governo illuminato dell'Imperatrice Maria Teresa d'Austria,
come ricorda Carlo Emilio Gadda: "Diligenti ingegneri avevano
redatto i mappali e i registri del catasto impeccabile, per la Maestà
di Maria Theresa graziosa imperatrice e regina" (Gli anni, Firenze
1943, p. 51).
Ora, in appendice, tento di spiegare, semplificando, in che consiste
il N.C.E.U. I Fogli partita sono due in caso di complesso edilizio
immobiliare, come un condominio. Il primario è generale delle
varie Unità: un rapporto tra il numero di Partita e i vari
numero delle Subpartite, nelle quali si suddivide il complesso, costituenti
il secondo foglio derivato. Sorvolo sulle specificazioni: mappa, identificazione,
consistenza, rendita, passaggio delle varie partite, ecc. Nella fascia
inferiore, alla lettera C, stanno le mutazioni, in testa gli intestati:
nomi dei roganti e dei proprietari attuali; ma sono specificazioni
delle mutazioni generali. Pertanto il tutto si divide in Partite,
Particelle e Subparticelle, in una selva di numeri, compresi gli asterischi
delle U. I. non in carico. In questa rete immane si contiene unita
e frazionata la Terramadre. Ogni Catasto stabile dura ed è
relativo a strisce millenarie e talora secolari in merito a rivoluzioni,
apocalissi, diluvi universali, disastri nucleari, sommovimenti geologici
e simili. Si conclude con l'ultimo Buco Nero irreversibile.
SIMEONE
(p.c.c. Oreste Macrì)
TEORIA E PRASSI DEGLI OGGETTI SMARRITI CON ANTICIPO SULLA DISTRAZIONE
Fiumi di stupidaggini sono stati versati da psicologi, psicanalisti,
sociologi, ecc. sulla intenzionalità dello smarrimento degli
oggetti di nostra o comune proprietà o affidatici. Nessuno
studioso si è messo umilmente dalla parte della intenzionalità
insita negli oggetti stessi. Qui non si pensi che io voglia fare dell'humour,
giacché non è il caso, data la endemicità di
questa sciagura millenaria e universale: ragione della stizza infernale
di chi smarrisce un oggetto.
Il momento dello smarrimento è terribile, ad es., di tutto
il mazzo di chiavi della porta, rientrando a casa alle due di notte
per qualche circostanza, o dell'auto; è come un vuoto mistico:
lo psichico soggettivo s'immerge e si confonde con l'animico oggettuale-trascendentale
dell'intera umanità che ha smarrito se stessa. In tal caso
l'oggetto smarrito è simbolo reale del noumeno kantiano, dell'archetipo
junghiano, del Deus absconditus della mistica di tutti i tempi. Le
fenomenologia è varia:
1) L'OS (1) si perde per sua iniziativa in quanto è stato trascurato,
si che, dispiaciuto e offeso, si ritira nel suo nulla;
2) l'OS si perde per più o meno sua segreta volontà
di liberazione da una schiavitù;
3) l'OS si perde per coincidenza di 1) e 2);
4) l'OS si perde in maniera intermittente per pentimento del possessore
o dello stesso OS o di entrambi circa un legame troppo morboso;
5) l'OS si perde, ma il possessore si illude di sapere dove sta, riproponendosi
di trovarlo quando ne abbia voglia; qui i casi sono due: a) memoria
dell'OS da parte del possessore, che rimanda all'infinito il ritrovamento
sapendo oscuramente che non sa dove stia; b) oblio dell'OS da parte
dello stesso e passaggio all'inconscio per difesa dalla rabbia dello
smarrimento; può riemergere a distanza di tempo.
L'investimento noumenico è identico rispetto a qualunque oggetto
che si sia smarrito: una spilla di sicurezza, essenziale per stringere
le mutande, il cui elastico si sia allentato, o la sposina in viaggio
di nozze. Difatti, entrambi questi oggetti, quando siano ritrovati,
reagiscono analogamente: la spilla di sicurezza, appena ritrovata,
punge il ritrovatore, perché la adopera distratto dalla felicità
di averla ritrovata; la irritata sposina punge non meno acutamente
con il suo fresco linguino.
Omologa l'ansia di chi abbia smarrito il Deus absconditus. Importante
è la fenomenologia dei sostituti dell'OS. Mi è capitato
di avere smarrito l'accendino; sono andato a cercare in fondo a un
cassetto una vecchia scatola di fiammiferi da cucina. In un filmaccio
lo sposo disperato e arrapato torna solo all'hotel e si arrangia con
la cameriera. Avendo smarrito sul tavolo la collamidina, mi servii
delle listarelle gommate di certi francobolli, altra volta impastai
della farina.
Alcuni oggetti, intrinsechi alla persona che da essi dipende, smarriti,
ne accelerano la voglia di possederli. Una notte, prima di andare
a letto, mi venne la voglia incoercibile di fumarmi un'ultima sigaretta.
Il pacchetto era sparito- subito il desiderio si esasperò,
presi l'auto e andai alla stazione... La sigaretta fumata si dilegua
e deve rinnovarsi in altra identica. Così il Deus absconditus,
svelato, s'annienta e deve rinnovarsi dalla stessa sua assenza, che
è il motivo del desiderio. L'animale-uomo è sì
fatto, che reagisce con pari intensità, nelle sue varie percezioni
e desideri, qualunque sia l'oggetto percepito e desiderato. Nel caso
degli oggetti smarriti, la reazione di rabbia e disappunto nello smarrimento
e di esultanza nel ritrovamento è quasi identica se l'oggetto
sia materiale o spirituale, le dette chiavi di casa o quelle dell'agognato
Paradiso, se ne entrassimo in possesso.
Appurata la relazione tra soggetto e oggetto e la consistenza animica
- simbolica e reale - dell'oggetto smarrito, procediamo a un esame
analitico. Cominciamo col dire che la più fine sua astuzia
sta nel non muoversi dal punto dello smarrimento. Essa astuzia, come
accennato, proviene dalla sua irritazione, poiché egli desidera
non essere rimosso dal posto in cui si trova (la legge di gravità
c'entra solo marginalmente) e neppure per un istante essere abbandonato
dal suo possessore o da chiunque è designato o si designa a
tenerlo in custodia. Ovvio che sto trattando di oggetti cari, necessari,
più o meno indispensabili. Se è smarrito, come si è
detto, si vendica restando dove sta, non tanto perché non è
semovente in generale, ma perché l'inerzia si identifica con
la caparbia volontà di non spostarsi dal luogo in cui è
stato smarrito.
Anche un oggetto animato (per quanto tra animato e inanimato nella
fattispecie non c'è differenza) - un cane, un gatto, un bambino,
un vecchio, una donna - non si muove dal punto dello smarrimento finché
da altri non sia interpretato e raccattato in qualità di oggetto
smarrito. La prova al negativo sta nel fatto che lo smarritore immagina
in subdolo e imperscrutabile movimento anche un oggetto inanimato
che abbia smarrito, o meglio, si sia smarrito, col verbo smarrire
attivo assoluto, come si dice, abbia errato, abbia peregrinato; per
cui l'oggetto smarrito può dire in assoluto: Ho smarrito, io
personalmente, 'ho compiuto l'azione di smarrirmi'.
E' il motivo per il quale lo smarritore lo cerca dove non si trova
per la stessa tensione dell'ansia di ritrovarlo, tensione aliena dal
punctum ormai metafisico, nel quale si è insediato e permane,
quasi smarrito a se medesimo, dato che - abbandonato - non saprebbe
lui stesso dove si trova, anzi nessuno al mondo sa dove si trova,
con la probabile eccezione del Creatore. Infatti, non emette nessun
segnale, salvo che non sia una bomba che esplode o una radiolina accesa
o un cane che mugola o un gatto che miagola, o un bimbo che piange,
ma in questi casi trattasi di falsi segnali ininterpretabili. Non
esiste il concetto di smarrimento assoluto nel caso che sia inserito
un beeper o rivelatore nel corpo dell'oggetto smarrito, caso raro
del resto.
L'inerzia ontologica dell'oggetto smarrito (participio passato deponente,
come abbiamo notato) è confermata da altra persona che lo trovi
e se ne impossessi o lo consegna. Il furto, naturalmente, è
escluso dal concetto di oggetto smarrito; semmai è un'aggiunta,
un pretesto ("forse me l'hanno rubato"). Nel caso l'oggetto
smarrito sia trovato da qualcuno, il quale non sappia di chi sia o
non se ne interessi, sostanzialmente resta immoto nel punto dove è
stato perduto, giacché non riconosce come proprietario chi
l'ha trovato, salvo che non se ne innamori dopo qualche tempo che
il ritrovatore se ne compiaccia e lo assuma per suo; infatti può
perderlo a sua volta, restituendo la qualità di smarribilità
a tale oggetto.
Non conta il tempo, la durata dello stato di smarrimento, da un minimo,
con quasi immediato ritrovamento, alla perdita per sempre, caso misterioso
che assilla per anni lo smarritore ("ma dove si sarà cacciato").
La in-sidenza dell'oggetto nel punto in cui è satto smarrito
(eventuale dislocazione per accidente imprevisto, come terremoto,
un calcio casuale, frenesia del cane o del bambino, ecc. non cambia
la detta statica inerzia) è favorita da vari fattori quali
il mimetizzarsi (bottone su pavimento cromatico), la piccolezza (spillo,
chiodino), l'estrema vicinanza allo smarritore(occhiali sul naso,
cappello in testa, specialmente borghese, su divisa militare per distrazione),
l'influsso malefico dell'oggetto sullo spirito di distrazione (auto,
di cui non si riconosce il punto dove sia stata posteggiata), la molteplicità
dei luoghi in cui l'oggetto di solito è collocato, sì
che i vari luoghi similari si alleano tra loro a sua protezione (come
più tasche che diventano nessuna tasca, dove si sia cacciato
l'accendino), l'aderenza collosa al luogo dell'uso dell'oggetto (le
chiavi lasciate nella serratura e credute smarrite), l'euforia, idillica,
antimilitarista, ottimista dell'infermo guarito (arto artificiale,
protesi dentaria, pistola del carabiniere, borraccia del congedato,
cappotto se è tornato caldo, ombrello quando ha smesso di piovere),
ripugnanza verso il lavoro o serio impegno (smarrimento di utensili
vari, come zappe, cacciaviti, corso universitario), vergogna e quindi
fretta di scappare dalla casa d'appuntamento o postribolo (abbandono
del sospensorio per varicocele, calza o cravatta, carta d'identità
sfuggita dal portafoglio nel momento di pagare la prestazione, o,
nel caso di postribolo maschile per signora, smarrimento del reggipetto,
delle giarrettiere o del toupet o della forcella; non senza precipitosi
ritorni per raccattare tali oggetti dimenticati), l'insopportabilità
coniugale, parentale (smarrimento del figlioletto, della consorte,
del nipotino rompiscatole), la paura della morte (smarrimento dell'ultimo
cerino trovandoci in un'isola deserta), ecc.
Insomma, non è primariamente lo stato psichico dello smarritore
la causa dello smarrimento, semmai una concausa, ma è l'oggetto
che si accinge, premedita, decide di smarrirsi, profittando, se non
provocando, esso stato psichico smarrimentale (per così dire).
Ripeto: che la demonicità dell'oggetto sia da psicologi e psicanalisti
e psichiatri inclusa nella stessa psiche - a parte il semplicismo
e ovvietà di tale esplicazione -non esclude, anzi conferma
l'iniziativa personale dell'oggetto smarrito, ossia la oggettività
dello smarrimento. Infatti, lo smarritore, quanto più è
colpevole (per volontà inconscia o distrazione o accumulo di
faccende), tanto più si sente interamente passivo, non responsabile,
con infiniti pretesti: stato di salute, ritardo a un appuntamento,
irrequietezza del nipotino, morbosa attenzione della moglie alle vetrine,
cessazione della pioggia o del freddo, identità di tutte le
strade, tasca sfondata, ecc. Non di rado lo smarritore si pensa vittima
di un sortilegio o stregoneria o malocchio, quanto più vicino,
quasi sotto gli occhi, l'oggetto si fa smarrito.
Il punctum dello smarrimento è la ferita nel sereno continuum
esistenziale, quotidiano qualunque, motivo della stizza, ansia, rottura
del flusso bergsoniano vitale. Tanto è vero che, se altri (amico,
componente della famiglia, uomo della strada) ritrova l'oggetto, la
felicità è anticipata, sopraffatta dalla morbosa curiosità
di sapere dove, in che punto esatto, abbiamo smarrito l'oggetto, e
anzi si vuole andare a vedere, constatare, ripercorrere l'iter dello
smarrimento, quasi un mistero da decifrare, un'equazione da risolvere
e ristabilire, la ferita da rimarginare.
Unico rimedio - almeno apparente - contro lo smarrimento è
la moltiplicazione dell'oggetto, con eccezioni naturalmente di moglie,
nipote e simili. Ci illudiamo che la smarribilità, insita nella
demonicità dell'oggetto smarribile, sia inversamente proporzionale
al numero di esemplari dell'oggetto medesimo. Io, ad es., sono solito
fotocopiare in molti esemplari le carte più importanti, acquistare
un numero considerevole di scatole di fiammiferi, accendini, forbici,
ombrelli, tagliacarte, collemidine, spille, biro, lapis, occhiali
da sole sovrapponibili (detti suplementos in spagnolo), termometri;
mi faccio riprodurre le chiavi di casa, dell'auto; semino di fazzoletti
di cotone e di carta tutte le tasche dei vestiti e cappotti; ripongo
nella valigia, in partenza, le vecchie dentiere.
Giacché il rifornimento noi crediamo che basti farlo una volta
per sempre, accade che a uno a uno silenziosamente si vadano smarrendo.
Per es. 12 biro vanno scendendo a 7, 6, 5, 4, 3, 2.
Pensiamo che ne restino molte vedendone ancora due; poi 1, poi il
puro nulla. Il dispetto in questi casi è immane, e si torna
ad acquistarne il doppio, 24, che vanno calando come prima, fino al
nuovo terribile nulla di prima. Ho tentato i legamenti; ad es., le
chiavi a un gancio di catenella, cui legare le chiavi di casa; la
rubrica telefonica e degli indirizzi con uno spago; ma basta cambiarsi
i pantaloni e rimandare tale aggancio; le chiavi ne approfittano e
il lor gioco è fatto.
Non abbiamo né possiamo avere la minima informazione su che
cosa pensano, sentono, praticano, gli innumerevoli oggetti e oggettini
della nostra vita quotidiana, del "tragico quotidiano",
già esplorato da Papini, Bontempelli, Campanile e altri umoristi
del primo Novecento; pròtesi del nostro corpo e anima nella
zona misteriosa tra noi e il mondo esterno; con le chiavi, ad es.,
comunichiamo con la nostra casa, con gli occhiali vediamo meglio l'universo,
che ci fumiamo con la sigaretta, con le forbici affidiamo le unghie
allo spazio, con le mutande di lana proteggiamo le coglie dalle intemperie
e parimenti il cranio dal gelo con il cappello, nell'indirizzario
raccogliamo amici e conoscenti. Il Creatore, per un motivo imperscrutabile,
non ha creduto di fornirci di un insieme di tali oggetti, almeno essenziali,
inamovibili, come il cuore, la milza, il naso, il pipì. C'è
stato un tempo dei tempi o pre-tempo o non-tempo, in cui primati ch'eravamo,
non c'era separazione e nessuno smarriva nulla. La gnosi scientifico-astronomica
ci assicura che il cosmo ci arriverà da dove è cominciato:
una graduale ritrazione dell'esterno e superfluo a un nucleo sempre
più piccolo, che sarebbe una cosiddetta supernova luminosissima,
precipitando al centro, inglobati e vieppiù pressati a guisa
di salciccia, gli strati sempre più interni, e questo sarebbe
il collasso gravitazionale, da cui una stella nana bianca, da cui
una stella di neutroni, fino a un buco nero e a un punctum con la
massa equivalente a quella del sole; questi infiniti puncta a loro
volta si amalgamerebbero tra loro in un unico punctum; solo a questo
punto ogni divisione sarà del tutto annullata e nessun oggetto
potrà essere smarrito, fino al nuovo big-bang, con il quale
tale minima, pressoché inesistente, stellina non deflagrerà
e torneremo a perdere gli occhiali, l'accendino e le chiavi di casa.
Fu Kant, come è noto lippis et tonsoribus, che cercò
di familiarizzarci con gli oggetti attirandoli dalla loro misteriosa
zona noumenica nella nostra soggettività trascendentale (ossia,
comune a tutti gli uomini) a mezzo di certi nostri filtri o commutatori
di carattere categoriale e, più da presso, schemi figurali,
ossia estetici, e concettuali. Poi vennero Shopenhauer, Freud, Cassirer,
i quali credettero di approfondire le nostre mediazioni nelle loro
funzioni particolari rappresentative, simboliche, linguistiche e psichiche.
Ad es., Freud ci fece capire che l'oggetto viene smarrito per intenzionalità
libidica del soggetto, si che questo si risolve senza residui nel
suo contenuto simbolico-sintomatico variamente travestito. Dell'oggetto
in sé è rimasta soltanto l'ironia preterintenzionale
kantiana della sua inconoscibilità in sé; con gravi
conseguenze circa il disarmo totale, nel quale noi siamo ridotti di
fronte alla demonicità oggettiva noumenica nel senso di numinosa
di essi oggetti. L'unico filosofo, invero, che sostenne - pur senza
una chiara dimostrazione e senza effetti pratici - la realtà
autonoma degli oggetti, e non meri dati sensibili organizzati dal
soggetto percipiente, fu un certo Jacobi. Alcunché di simile
ammise il Bergson, ma i suoi oggetti si facevano inconsistenti, fluidificandosi
nella corrente vitale, interiore dell'io, peggio che smarriti.
Si dovrebbe tornare all'animismo, alla magia, alla stregoneria, alla
superstizione? No, di certo. Gli oggetti col passare dei millenni
e l'educazione al logos e alla scienza, si sono evoluti anche loro.
Quelle erano credenze e pratiche ingenue e commoventi, ben più
soggettive delle categorie kantiane, aggressive a priori dell'esperienza,
per le quali in definitiva gli oggetti sono noi stessi, donde la loro
rivolta.
Scrollandoci di tutta questa zavorra filosofica, cerchiamo di comprendere
il dramma dei singoli oggetti, la loro unica e inconfrontabile individualità.
L'oggetto singolo è plurimo, casuale, fatiscente, minimo, anche
se è enorme (una montagna, un lago, ecc.). Vive una vita tragica
nei confronti dell'idea, del concetto, del tipo, dello schema. Una
singola pecora (ad es., la pecora smarrita dell'Evangelo) si domanda
in che relazione essa sia con la specie, e così un bottone
rispetto alla, diciamo, bottonicità. Quindi l'oggetto è
molto nervoso, inquieto, instabile, delicato, incline al suicidio,
che è una forma dello smarrimento, allo scollamento quanto
più è tenace l'aggregazione, come nelle greggi, formicai,
società umane, colline corallifere, foreste, firmamenti. L'oggetto
singolo ha bisogno di essere amato. Infine, anche l'io è un
oggetto come gli altri. L'oggetto si affeziona, non vuole essere trascurato
dal pecoraio, dal boscaiolo, dal monarca d'un popolo o dell'universo.
Vo al telefono perentorio-squillante o telefono fuori; mi chiedono
un appuntamento, che appunto sulla mia agendina azzurrina in similpelle,
che porto nel taschino della giacca, ed è il mio ruolino di
marcia esistenziale; la estraggo freneticamente, segno l'appuntamento
e quindi la dimentico, la smarrisco fra il confuso cartame del mio
tavolo o sulla mensolina della cabina telefonica. Nulla di strano
che l'agendina sia amareggiata e furibonda; mi è stata vicino
al cuore, quasi inumidita dalla mia essenza di uomo; mi ha servito
con zelo e puntualità nel porgermi la data richiesta e l'ora,
nel righino del mese e del giorno. Forse è finita nel sacchetto
della spazzatura, sì che ho dovuto acquistarne un'altra, che
mi è resistita sino alla fine dell'anno in grazia del sacrificio
della prima.
La distrazione è considerata, dunque, un oltraggio da parte
dell'oggetto smarrito, del quale lo smarritore si è servito
in proporzione al tempo del servizio reso da esso oggetto.
Dicasi tra parentesi che, se l'oggetto smarrito è in apparenza
una persona (moglie, neonato, vecchio, nipotino), costei si cosalizza.
Voglio dire che, se dopo ritrovata non se la prende a male e anzi
talora se la ride insieme con lo smarritore, resta pur tuttavia offesa
nell'intimo suo cosale, il che si può rivelare, a distanza
di tempo e luogo, non di rado con la vendetta inconscia. lo penso
con profonda tristezza all'infinito dolore che ho arrecato a tutti
gli oggetti che ho smarrito nella mia vita, costituendo la distrazione,
con la fretta, la piaga della mia anima. Da questa considerazione
potrei passare dalla filosofia degli oggetti smarriti alla filosofia
della distrazione, di che farò solo un accenno e darò
un esempio d'un caso di smarrimento puro, spirituale, ossia senza
oggetto apparente smarrito. Un mio amico poeta ebbe a far visita a
una giovane signora sua ammiratrice e poetessa pure lei. Presero il
tè, gustarono alcuni pasticcini, conversazione sulla poesia
di lui e, quindi, di lei, che gli rifilò un fascio di liriche
dattiloscritte in vista d'una presentazione. Nel momento di prendere
congedo, quasi sulla porta, il mio amico inavvertitamente estrasse
il portafoglio e quasi sollevò una banconota; subito rimase
interdetto e confuso, rimettendosi nella tasca immediatamente detto
portafoglio. S'inchinò, le strinse la mano e spari non senza
avere farfugliato alcunché del tutto indistinto, giacché
non poteva né scusarsi né reperire la minima giustificazione
di quel suo atto pur estremamente meccanico e consuetudinario; si
era ai tempi (in)gloriosi e generazionali di Madame Sapho. La gentile
signora finse di non vedere e non accorgersi di nulla: insomma non
corrugò né batte ciglio, il che fu prova del suo smarrimento
intimo; si era sentita smarrita dal poeta venerato, ovvero cosalizzata,
pur restando nell'apparenza alla superficie di se stessa. Non, dunque,
essa signora si era offesa, ma la signora-cosa smarrita nel senso
anzidetto.
Il Lettore, pertanto, rifletta e si arrangi con individuale guerriglia,
poiché forse il segreto sta nell'individuo lucido e cosciente,
rispettoso di sé e dell'oggetto, il quale ha diritto di smarrirsi
in quanto è oggetto e non-io.
SIMEONE
(p.c.c. Oreste Macrì)
NOTA
1) N.d.C.: OS = Oggetto smarrito.