§ Due Melfi

Il rombo della Lucania




Gennaro Pistolese



Melfi, mia città natale all'immediata vigilia degli anni '10, ha nella storia italiana ed in particolare in quella del Sud (e purtroppo queste distinzioni territoriali, ma anche socio-economiche persistono perché il problema del Mezzogiorno da sempre nazionale continua in larga misura ad essere un problema, con strategie che vogliono far credere che l'ammalato cambiando di stanza guarisca) un destino particolare.
Particolare, aggiungo, perché agli inizi del secolo era un paese arcaicamente agricolo, con un proletariato che in parte era clientelare ed in parte minore sensibile ai richiami di una Camera del Lavoro che si rendeva presente più che altro con una bandiera rossa esposta stancamente all'esterno della sua più che modesta sede e con la celebrazione nelle vicine campagne di un Primo Maggio che diveniva chiassoso solo al rientro nel paese poco dopo il tramonto, con una borghesia medio-alta, si direbbe adesso, che soprattutto sulle professioni più che sul reddito terriero, sempre limitato, faceva leva per un civile avanzamento, che voleva avere anche valenze culturali.
Il paese, che per le sue lontane origini storiche, con un castello medievale, già capitale dei normanni e così via, era anche divenuto capoluogo del circondario. Era sede di un tribunale, aveva l'istituto tecnico come si chiamava allora, un Clero nei suoi vertici, ma solo in parte dei suoi minori sacerdoti, di valida motivazione non solo teologica ma anche culturale.
Si vantava di aver dato i natali a Francesco Saverio Nitti, ma nel suo intimo sapeva che poco, anzi nulla ne avrebbe ricevuto in mezzi di risveglio e di ascesa. D'altro canto il limitrofo Giustino Fortunato, di Rionero in Vulture, il primo che abbia detto agli altri in Italia cosa fosse il problema meridionale (ed aggiungiamo, con un purtroppo, cosa esso sia oggi) non ha lasciato tracce di suoi particolari interventi nella sua terra d'origine.
I parlamentari di quel tempo erano fatti così: non cercavano alcuna forma di clientelismo elettorale, e partendo dalle loro circoscrizioni ammonivano a Roma su quello che il Paese tutto intero doveva fare. E' una strategia anche questa.
Ma ritorniamo a questa Melfi, ormai per me che scrivo, degli anni '10. In quegli anni a Melfi c'era solo un'auto civile di un avvocato penalista, che più che altro se ne serviva come anticipatrice insegna professionale, e c'erano ancora un paio di stanchi camions, qualcuno dei quali veniva usato dai primi squadristi fascisti per probabili spedizioni punitive, sempre però innocue, nei paesi vicini. I trasporti a quei tempi non conoscevano altri possibili impieghi, se non quelli forniti da qualche mulo, superbamente presentato da chi lo possedeva, e da tanti asini, ed originariamente depressi, forse indifferenti. La popolazione, quella rurale, si muoveva così. L'altra parte andava a piedi e non se ne stupiva, e ricorreva proprio per estreme necessità alla carrozzella ed al treno. Il cui uso era sempre un'avventura, con una stazione ferroviaria che diveniva richiamo, con le passeggiate che vi si facevano, per viaggi difficili che in gran parte non ci sarebbero mai stati.
E' quasi desolazione tutto ciò? E' stata ed è, anche per i passi innanzi compiuti che certamente troveranno seguito in quelli che si prevedono e dovranno essere compiuti, solo speranza.
Perché?
In queste settimane è stato pubblicato un importante volume su L'Italia e la formazione della civiltà europea, con lo specifico titolo La cultura civile. Ha avuto come sponsor una Banca, e non citerò quale, perché per me certe sponsorizzazioni valgono di più quando sono prive del "doc".
Orbene, in questa pubblicazione c'è anche una grossa fotografia del brigante Svavone e della sua banda, tutti rigorosamente incatenati, fucilati a Melfi nel 1864. Melfi ha dunque alle sue spalle anche queste vicende, non insolite altrove a quei tempi e che, con manette o senza, purtroppo rivivono anche oggi in altre parti della Penisola. Ricordiamoci perciò che un paese come questo ha alle sue spalle pure questi aspetti contingenti e connaturati con ambienti e tempi, ma anche una volontà di riscatto che i migliori anche allora riuscivano a manifestare, e che oggi per fortuna è divenuta più generale vocazione. Con un ma, però, da aggiungere e cioè che per taluni il riscatto è un diritto, e non già un dovere da assolvere, per rettamente pretenderne la contropartita non illusoria del diritto. Si chiamano oggi in causa tanti valori, non di meno le risposte possibili, giuste, ineludibili anzi, sono tutte qui.
Ma che succede a questa Melfi? Il grosso fatto è che arriva la Fiat. E' arrivata in altre parti del Sud, ma qui sembra arrivare con mire più puntuali. Allora, ai miei tempi, c'erano l'auto e i due camions che ho ricordati. Ma glielo hanno detto all'Avvocato? Ora i programmi della Fiat, pur alfine consentiti dal massiccio intervento dello Stato (la stessa Fiat se ne ricordi più di quanto non faccia o dichiari di "meritare" per i calcoli degli investimenti del suo programma), prevedono 450 mila vetture anno a regime, di media cilindrata, appartenenti al segmento B come dicono le cifre ufficiali, imponenti anche ai profani per l'entità, ma indefinibili dagli stessi profani, come me, nella qualità.
Ma che ha trovato a Melfi la Fiat? Aveva trovato a Roma gli incentivi offerti dallo Stato, e non facciamo polemica su di essi, perché non è la mia vocazione, ma per comprensione di origini confindustriali ne so qualcosa. Ha trovato una Melfi che cominciava a ricercare e praticare raccordi con le autostrade, per cui i molti contadini che ai miei tempi raggiungevano le campagne loro affittate per dimensioni minime a dorso di asino oggi vi giungono con la propria auto sulla stessa terra da loro conquistata con il provvidenziale ausilio della Cassa per la formazione della proprietà contadina. Ha trovato una Melfi, che con o senza piano regolare, non lo so, ha un altro volto, probabilmente più nuovo ed avanzato. Ha strutture più progredite, certamente da migliorare, ma per tanti aspetti migliori di quelle altre, pur limitrofe, che la Fiat stessa avrebbe preferito se ci fossero state. Ha trovato che tante cose si muovono, probabilmente nella direzione che la Fiat ritiene utile (e perché non vi aggiungiamo remunerativa?). Forse possiamo dire che un paese si muove, si sta muovendo pur con le deviazioni di costume che la tradizione vorrebbe, dovrebbe evitare. Forse possiamo aggiungere che la stessa Provincia, la stessa Regione hanno preso più coscienza di loro stesse, e possono assicurare un habitat, un contesto come si dice adesso, più compatibile con le strategie di una libera impresa? Non so se questi interrogativi, tutti, sono bene e giustamente proposti. Ma chi li legge, li ponga a se stesso.
Ed eccoci al programma Fiat. Ai suoi presupposti, alle condizioni da osservare. Ci sono tante cose da dire.
Che si propone questa Fiat e quali ne sono i condizionamenti che deve osservare e certamente le stessa Melfi deve non diciamo subire, ma certo per me almeno, condividere?
I piani per Melfi-Fiat (chiamiamola così, e sarà una meraviglia per tanti della mia generazione) sono questi: area complessiva dello stabilimento di San Nicola: 2 milioni 700 mila mq. di cui 2 milioni destinati allo stabilimento stesso, 700 mila ai fornitori. Caratteristiche: impianto terminale di stampaggio e carrozzeria (lastratura, verniciatura, montaggio), tipi di produzione prima indicati, un inizio di produzione al 1° gennaio con preserie nel prossimo settembre, un complesso di addetti allo stabilimento di 7mila a regime di cui 700 impiegati, circa 1800 operai professionali e 4500 generici e tutto il resto.
E' un grosso terremoto per un paese, come Melfi? E' una scommessa per la Fiat, come essa dice autocompiacendosi? Limitiamoci a dire che è un ribaltamento di dimensioni imprevedibili almeno per me, che so da dove partiamo e certamente non vedrò dove si arriverà. E ciò per sole due ragioni: una i miei margini di sopravvivenza, l'altra per i limiti, i condizionamenti, le elusioni, le delusioni, ecc. insiti in ogni programmazione. Se le libere imprese, in particolare, ne fossero esenti, preventivi e consuntivi sarebbero diversi.
Comunque le cose con le quali questa Melfi e questa Fiat hanno a che fare sono molte. Eccone alcune:
- le condizioni per creare un nuovo polo industriale, come dice Trentin.
- la compatibilità o meglio i supporti stessi da ricercare e realizzare nell'ambito della strategia Fiat.
- l'evoluzione complessiva dell'habitat locale, da predisporre al recepimento di nuovi modelli e contenuti di sviluppo, a cominciare da quello civile, sempre presupposto di quello economico, ma anche in larga misura anteriore ad esso.
Per quanto attiene al primo punto, le premesse da sottolineare riguardano il sorgere di nuovi rapporti sindacali, che tengano conto ovviamente dell'automazione, ma non prescindano dalla partecipazione, che in tanto conta in quanto pure legata all'efficienza ed alla produttività. Corollari e premesse di tutto ciò sono ovviamente professionalità, e cioè formazione, regole di assunzione, condizioni e modalità di lavoro. Deve nascere secondo gli stessi sindacalisti la cosiddetta fabbrica integrata, aperta cioè al confronto ed alla partecipazione interni, ma anche a ritmi nuovi di lavoro. Se le macchine entrano, e sono sollecitate ad entrare sempre di più nelle fabbriche, gli equilibri e le integrazioni devono essere meglio ricercati nella stessa dinamica delle relazioni industriali. Orario, salario ed appunto relazioni sono pertanto altrettanti temi da sempre meglio e più validamente negoziare e determinare. A questo fine la Fiat sollecita, i sindacati tengono aperta e vogliono vedere conclusa la discussione, l'ambiente civile deve essere altrettanto e prontamente predisposto, avviando e quindi concretizzando i relativi adeguamenti. E perciò torniamo alla terza delle condizioni prima indicate, e cioè all'habitat. Sbaglieremo se sulla base di quello che abbiamo personalmente visto, dicessimo che tutto è a posto. L'ambiente è sempre alle prese (ma in misura diversa, anche se forse qui minore, ne è investito tutto il paese) con i servizi che funzionano, con le strutture e le sovrastrutture deficienti e che non arrivano, con un terziario che da queste parti è estremamente ritardatario, e così via. L'evoluzione, il progresso, ecc. richiedono certamente di più, soprattutto quando un'impresa di grandissima dimensione, a competitività pure internazionale, entra in scena, come a Melfi.
Competitività internazionale, dunque. A Melfi, come è stato detto anche a livello sindacale, pronti a darle riscontro, nel condividere le scelte Fiat per i "modelli per tutti", per la non alleanza con i giapponesi (anzi con la concorrenzialità rispetto ad essi, e cioè al mercato mondiale) e così via.
Tante cose, dunque, molto distanti materialmente da Melfi a livello europeo, anzi mondiale. Ma anche da Melfi, che sta per diventare anch'essa qualcosa di campione. Una scommessa per un paese una volta del profondo Sud, una promessa (ma solo promessa?) per quella gran parte del Sud, ad origini e passati non certo diversi da quelli di questa terra, la mia, che attende e vuol preparare una svolta, possibilmente anche migliore. Con certezze, di cui fin qui abbiamo detto, ma con speranze certamente maggiori.

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