§ Attualitą di Guido Dorso

Sognando la California




Giuseppe Galasso



Era opportuno che su Guido Dorso vi fosse una iniziativa di studio, come quella che si è tenuta a Napoli e che ha fatto parlare di nuovo della sua attualità. Di "attualità" di un pensiero si può parlare in modi assai diversi fra loro. Si può parlare dell'attualità perenne dei classici, i quali hanno una volta capito qualcosa delle vicende dell'uomo. E' attualità, questa, che a volte appare maggiore, a volte minore, ma che sta sempre sull'orizzonte della storia e che periodicamente viene riscoperta e, per così dire, rilanciata. C'è l'attualità nel senso più banale del termine per cui si presume che non lo spirito, ma la lettera del pensiero di chi ci ha preceduti rappresenti una guida esauriente per i nostri problemi e per i nostri bisogni di oggi. Ma c'è un'altra attualità, più immediata di quella, sublime, dei classici e per nulla banale come quella di chi chiede al passato specifiche "istruzioni per l'uso". E' l'attualità che deriva dai nodi di problemi o da altri elementi della realtà e del pensiero, che stendono la loro luce o la loro ombra tenace dal passato al presente e sui quali non istruzioni, ma suggerimenti e orientamenti fornisce lo spirito, non la lettera del pensiero di chi ci ha preceduto. E non c'è dubbio che un'attualità di Dorso in questo senso ci sia, e oggi più forte di ieri.
Può sorprendere, nel generoso teorico della rivoluzione meridionale, tanta prospettiva di attualità, quando si pensa che in lui l'analisi storica su cui ritenne di poter fondare le sue tesi fu nettamente inferiore alla forza e allo spessore della sua proposta politica. Non che nelle sue analisi storiche non vi siano punti e spunti apprezzabili.
Nelle pagine da lui scritte su Mussolini e sulla conquista fascista del potere ci sono, ad esempio, osservazioni davvero illuminanti. Altrettanto si dica di molte sue pagine sul Mezzogiorno nell'unità d'Italia. In generale, però, la dimensione storiografica non costituisce il punto forte del suo pensiero. Si capisce che da parti e con motivazioni assai diverse fra loro, come quelle di Omodeo e di Gramsci, si esprimesse verso il suo atteggiamento di storico un assai forte riserva. Ma non è poi tanto da sorprendersene. Il fatto è che Dorso aveva puntato la costruzione della sua ipotesi politica su alcuni elementi di intuizione e di esperienza, che il tempo ha dimostrato vitali. A giusta ragione sono dunque ricordate le sue vedute sul problema della classe dirigente e sul problema del rapporto tra morale e politica. Se intesa in senso banale e letterale, l'attualità di Dorso su questi punti è indiscutibilmente forte. Si tenga anche presente che il suo pensiero politico era orientato verso i grandi modelli del mondo occidentale, in particolare quelli anglosassoni. Il Mezzogiorno doveva diventare per lui una sola, grande California.
E' stupefacente che dalla stia piccola città irpina Dorso, nelle condizioni di un intellettuale periferico autodidatta, abbia lanciato lo sguardo verso un orizzonte di avanzatissima modernità. E' uno dei segni maggiori del rilievo oggettivo che il suo pensiero merita. li suo sogno occidentale non si è avverato, comunque, nel Mezzogiorno e anche nell'Italia tutta, che solo in parte. E' qui indubbiamente un altro e particolare motivo di non banale "attualità" di quel pensiero.
Sui motivi di questa mancata trasformazione "occidentale" del Mezzogiorno fino a un livello soddisfacente la discussione è sempre molto animata, ed è bene e giusto che sia così, perché il problema è tanto rilevante quanto, appunto, attuale. Ne accresce, inoltre, il rilievo il fatto che dai tempi di Dorso ad oggi il Mezzogiorno è stato oggetto di un'azione di governo innegabilmente specifica e cospicua. Oggi si tende a coinvolgere in un medesimo giudizio negativo tutta intera la vicenda della politica meridionalistica. Così, però, non può essere. Bisogna innanzitutto ricordare che per la prima volta dopo la seconda guerra mondiale la politica meridionalistica allora avviata ha posto la questione meridionale come una questione nazionale e centrale nel governo del Paese. Anche l'impostazione iniziale era giusta. Si pensava ad una serie di mutamenti delle condizioni ambientali attraverso la costruzione delle infrastrutture necessarie allo sviluppo economico moderno, dall'energia elettrica alle strade, dall'acqua alle comunicazioni. Si attuò una riforma agraria parziale, ma significativa. Si studiarono alcuni tipi di incentivi e di agevolazioni per favorire lo sbocciare di iniziative economiche. I risultati furono anche notevoli. La disponibilità meridionale di infrastrutture oggi è alquanto superiore, ad esempio, a quella di cinquant'anni fa e alcune zone del Mezzogiorno (si pensi alla Piana di Metaponto) hanno letteralmente cambiato volto.
Già dall'inizio apparvero, tuttavia, alcuni rischi. Questa politica, che doveva essere straordinaria e aggiungersi a quella ordinaria, tese subito a sostituirsi più che ad aggiungersi alla politica ordinaria, non destinando allo scopo tutte le risorse previste. Peggio ancora fu quando si passò a una fase di diretto impegno nella industrializzazione che non veniva da sé, malgrado il miglioramento del quadro infrastrutturale. L'industrializzazione forzata o artificiale è stata all'origine di rovinose "cattedrali nel deserto" o di smobilitazioni angosciose o costose in misura troppo larga perché non se ne debba sottolineare l'assai scarsa riuscita. Infine, già negli anni Sessanta si avviò il processo per cui la politica e le risorse riservate al Mezzogiorno sono diventate la base di un blocco di potere, a forte connotazione notabilare, intorno ad alcuni potentati politico-elettorali, e a base sociale largamente interclassista. Questi potentati hanno trovato in ciò, oltre che gli elementi per la loro egemonia locale, la base di un ruolo nazionale sempre più spinto, anche se scarsissimamente dedicato in maniera specifica alla promozione della causa meridionalistica. Già negli anni Sessanta si parlò di questi potentati come di "sportelli" della politica dell'intervento straordinario, e, più in generale, dell'azione tutta dello Stato del Mezzogiorno. Il termine non poteva essere più espressivo.
Quando, perciò, si parla del sogno occidentale di Dorso e, alla luce delle condizioni attuali della vita pubblica italiana, si parla pure di selezione della classe dirigente e di rapporto tra politica e morale, si parla di un nucleo di pensiero di cui è impossibile negare o trascurare la portata. Per chi, come lo scrivente, ha da molto tempo maturato la convinzione della necessità di superare la politica meridionalistica straordinaria in un organico ritorno alla politica ordinaria da orientare in senso meridionalistico per tutt'altre strade, l'intero problema italiano, non solo quello meridionale, trova nelle pagine di Dorso sollecitazioni ancor più specifiche.
Si prenda, ad esempio, il problema della classe dirigente, ossia l'intuizione forse più famosa, e giustamente, di Dorso. Essa rimane ancora oggi profondamente valida e suggestiva. Tuttavia, se già all'atto della formulazione di essa fu fatto osservare che anche cento uomini di ferro non possono reggere agli urti e ai contrasti di una trasformazione senza una forte base di consenso e di partecipazione sociale, questo è ancor più vero oggi. Sarebbe infatti un errore gravissimo ritenere che il problema italiano di oggi sia limitato alla sua sola classe dirigente o, peggio, alla sua sola classe politica. La classe dirigente, con quella politica in testa, è pur sempre la massima responsabile degli sviluppi che lamentiamo, e ne deve sopportare le inevitabili conseguenze.


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