§ Le tentazioni separatiste

Una strada senza ritorno




Mario Talamona



Data la grossolanità di molti dibattiti politici in corso, un titolo d'ispirazione keynesiana corre forse il rischio di apparire un po' sofisticato, poco accessibile a certe orecchie. Ma, per chiarire, parafrasiamo un famoso titolo di Keynes, del 1925: Le conseguenze economiche di Mr Churchill, contro le catastrofiche prospettive implicite negli orientamenti del grande "Winnie", a quel tempo infausto Cancelliere dello Scacchiere del Regno Unito. E' però ancor più grave il rischio di attribuire qualche (sia pur dissennato) disegno di politica economica a chi, fra l'altro, non perde occasione per irridere e spaventare i piccoli risparmiatori italiani che posseggono titoli di Stato. Tuttavia èindispensabile rendersi pienamente conto delle conseguenze, anche o soprattutto economiche, che fatalmente potrebbero derivare - al di là dei risultati locali di elezioni amministrative - dall'accentuarsi di un processo imperniato sulle tendenze al separatismo o addirittura alla secessione, riassunte nello slogan di una "Repubblica del Nord". E' vero che, di volta in volta, su queste e altre non meno scriteriate e gravi prospettive, debitamente enunciate e sottolineate, si ritorna poi per dire che s'era soltanto voluto scherzare. Ma non c'era da scherzare! E tutti abbiamo il dovere di prendere sul serio le affermazioni che vengono fatte, di certo non prive di una loro sinistra coerenza. Talvolta, all'apparenza, furbesca e bertoldesca; più spesso, allucinata e minacciosa.
Il separatismo ormai evidente nella strumentalizzazione della protesta anti-centralistica contro gli sprechi, i lassismi, le inefficienze e le corruttele che, specialmente nel Nord e soprattutto in Lombardia, hanno profondamente turbato lo stato d'animo popolare, comporta infatti pericoli gravissimi. Non soltanto sotto il profilo etico e civile, quello della solidarietà umana e sociale, ma anche per la minaccia di innescare conseguenze economiche irreversibilmente negative, senza ritorno per tutto il Paese: a cominciare proprio dalle regioni del Nord e dalla Lombardia.
Viviamo in un'epoca che rende tutte le nostre attuali dimensioni nazionali insufficienti ed asfittiche per il sistema economico italiano nel suo complesso e, via via, per tutti i settori, le aziende, i centri di attività produttive che lo compongono.
In un mondo sempre più interdipendente che abbisogna di grandi spazi e che impone all'Italia (ancora una volta: a cominciare dal Nord, dalla Lombardia e dalle altre aree più avanzate) di trovare sbocchi di mercato crescenti, a livelli superiori di competitività e di economie di scala, per le proprie esportazioni, è evidente che qualsiasi miope rimpicciolimento regionale o locale costituisce una drammatica contraddizione in termini. Chi scrive ebbe per primo a proporre una vera e propria "questione settentrionale": come l'altra faccia di quella meridionale, nella prospettiva indivisibile di una ripresa sostenuta dallo sviluppo economico italiano. Giacché tutti gli esempi storici e in primo luogo quelli contemporanei dimostrano due cose: che le aree più progredite ed a più alti livelli di produttività debbono essere poste in grado di trainare e far decollare le altre; che è indispensabile decentrare a livello regionale e locale tutte le funzioni che, appunto, a quel livello possono essere più efficacemente adempiute, con minori costi, al servizio dei cittadini e delle loro attività produttive. Ma proprio per questo la tendenza storica (con le tragiche eccezioni della Jugoslavia e quella malinconica della Cecoslovacchia) va nel senso delle aggregazioni. Non in quello opposto e retrogrado delle disgregazioni.
L'esempio della Svizzera, che nella sua integrità ha rifiutato l'adesione al See (Spazio economico europeo), conferma nondimeno questa profonda tendenza. Se è vero che ai tre Cantoni confederati nel 1291 (Uri, Schwitz e Unterwalden) si sono poi aggiunti quelli di Lucerna, Zurigo, Zug, Glarona, Berna - fra il 1332 e il 1353 - e poi ancora Friburgo, Soletta, Basilea, Sciaffusa e Appenzell, entro il 1513, e via via tutti gli altri. Del resto, l'antico motto della Confederazione Elvetica parla chiaro anche in latino: Concordia res parvae crescunt, discordia etiam magnae dilabuntur Non c'è bisogno di tradurre. E, d'altronde, non dice nulla l'aggregazione economica fra Stati Uniti (il cui motto è: E pluribus unum), Canada e Messico? O il consolidarsi, per il Giappone, di un'immensa area del Pacifico? E la stessa unificazione della Germania, pur con tutte le sue difficoltà?
Tutto questo, dunque, è più che mai vero anche dal punto di vista strettamente economico. Come può facilmente intendere qualsiasi imprenditore grande o piccolo, artigiano, commerciante, lavoratore, risparmiatore, capofamiglia e, soprattutto, qualsiasi giovane il cui avvenire è in gioco con quello del nostro sviluppo economico e sociale. D'altra parte, mentre incombe una grave crisi, chiunque può intendere quali effetti di sfiducia all'interno e ancor più sui mercati finanziari e valutari internazionali finirebbe per avere il concretarsi di una minaccia separatista rispetto alla solidarietà (cioè all'interdipendenza) del nostro sistema economico. Sottaciuta per carità di patria, non si può oggi dimenticare che una delle principali motivazioni di Moody's per il declassamento del debito estero italiano era esplicitamente riferita alla "fluidità" del quadro politico italiano e, segnatamente, al punto interrogativo rappresentato dalla Lega. Perciò, oltre alle ragioni etiche e sociali della solidarietà, vorremmo far riflettere sugli interessi medesimi che i "nordisti" rischierebbero di pregiudicare irreparabilmente con scelte avventate e sterili. In un momento grave per il futuro della nostra economia, e, quindi, per le loro stesse, fondamentali esigenze di sviluppo in un quadro aperto a prospettive adeguate.


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