Che
cos'è il Sistema monetario europeo? Che cosa significano parole
come riallineamento, banda di oscillazione, parità di cambio,
Ecu? Che cosa è il Comitato monetario? Chi ha in mano il potere
di decidere quanto valgono una lira, un franco, un marco, una sterlina?
La tempesta valutaria di questi ultimi tempi ha portato nelle case di
tutti un gergo che sembrava protetto da riti iniziatici. La gente vuole
capire come mai un meccanismo considerato per anni una garanzia di stabilità
venga ogni tanto spezzato in lungo e in largo dagli speculatori di tutto
il mondo. Entrano in ogni varco dello Sme, ne violano le difese con
la stessa facilità con la quale le divisioni di Hitler aggiravano
la Linea Maginot. Peggio: lo Sme, con le sue regole, con le sue parità
da difendere, sembra generare esso stesso la speculazione, quasi fosse
attraversato da un oscuro istinto fratricida. Il paragone più
efficace lo ha trovato lo stesso Governatore della Banca d'Italia.
Nel settembre dello scorso anno, a Washington, mentre sedeva stremato
su un divano al tredicesimo piano del Fondo monetario internazionale,
paragonò lo Sme al duello tra gli Orazi e i Curiazi. Un solo
Orazio uccide tutti i Curiazi, affrontandoli uno dopo l'altro. La moneta
più forte infilza una ad una le altre monete: lira, sterlina,
peseta, escudo. La lista è lunga. Perché? Va chiarito
un equivoco. Né la lira né la sterlina sono mai "uscite"
dal Sistema monetario europeo. Per farlo, avrebbero dovuto denunciare
un Trattato internazionale firmato dai governi della Cee a Bruxelles
il 5 dicembre 1978. Cosa che, naturalmente, non è avvenuta. L'Italia
e la Gran Bretagna hanno sospeso il rispetto dell'Accordo di Cambio
Europeo che regola i comportamenti delle Banche centrali dello Sme e
che le vincola a difendere determinati valori reciproci delle proprie
monete e, se necessario, a intervenire, spendendo soldi di tasca propria
in difesa di quei valori. Mentre la stampa britannica distingue rigorosamente
Sme e Accordo di Cambio, la stampa italiana tende ad usare il primo
come sinonimo del secondo, generando qualche confusione. Non a caso
la dracma greca non ha mai fatto parte dell'Accordo di Cambio, ma è
presente nel paniere dell'Ecu, perché fa parte del Sistema monetario
europeo.
Lo Sme nasce il 4 e il 5 dicembre 1978 nella capitale belga dalla fortuita
coincidenza di un sogno illuministico e del disperato bisogno che avevano
Valéry Giscard d'Estaing ed Helmut Schmidt di proteggere gli
interessi egoistici dei contadini francesi e della grande industria
tedesca, artefici dei loro successi elettorali. Il timore di quegli
anni era che un'alluvione di dollari a prezzi stracciati invadesse l'Europa
(e la Germania occidentale, soprattutto), provocando un'inflazione paurosa,
e che i Paesi dell'Europa che allora si definiva "latina"
(cioè Francia, Italia e Belgio, con l'aggiunta del Regno Unito)
si inserissero nella scia del dollaro per fare un'efficace concorrenza
alla Germania, invadendo il mercato tedesco con merci a basso prezzo.
Giscard d'Estaing, da parte sua, voleva un meccanismo di cambi fissi
per tenere in piedi anche in quei tempi procellosi la Politica Agricola
Comunitaria che da decenni protegge e finanzia munificamente l'agricoltura
dei Paesi ricchi, e in modo particolare quella francese. La PAC non
è in grado di funzionare se le monete europee vanno ciascuna
per proprio conto. E' utile ricordare oggi gli interessi "egoistici"
di allora, perché sulla carta il Sistema monetario europeo avrebbe
dovuto essere un gioco miracoloso in grado di coniugare una logica cooperativa
con una meccanica competitiva. I comportamenti dei "peggiori"
vengono costretti ad adeguarsi a quelli dei Paesi più virtuosi
(quelli a più bassa inflazione), altrimenti si perde competitività;
ma in cambio i Paesi "viziosi" ottengono dall'esterno una
stabilità monetaria, una riduzione dell'inflazione, che da soli
non saprebbero produrre.
Lo Sme favorisce il più forte (la Germania Federale di allora,
quella unificata di oggi) perché protegge i prezzi delle sue
merci, ma in cambio i Paesi "deboli" ottengono un bene pubblico
(la stabilità monetaria e la disinflazione) che non hanno la
capacità di realizzare all'interno. Questo compromesso tra cooperazione
e competizione oggi non funziona più, dopo che tutti i Paesi
che nel 1979 erano "deboli" hanno vinto, chi più chi
meno, l'inflazione (Francia, Belgio, Gran Bretagna e anche l'Italia).
La Germania dal 1990 non è più la stessa, essendo passata
da sessanta ad ottanta milioni di abitanti, con tutto quello che comporta
il peso dei territori ex comunisti.
Celebrando i dieci anni di vita dello Sme, il 5 dicembre 1988, l'allora
ministro del Tesoro, Giuliano Amato, osservò la singolarità
del fatto che "il pezzo monetario della Comunità europea"
era quello più unitario ed efficace. I fondatori della Cee nel
1957 non avevano sentito il bisogno di spendere neppure una riga sulle
monete, nel testo dei Trattati di Roma. La verità è che
nel 1957 la stabilità delle monete era un dato esterno al Mercato
Comune Europeo, garantito dagli accordi di Bretton Woods e dallo strapotere
americano. I cambi fissi erano un tacito ma essenziale presupposto all'abbattimento
di dazi e frontiere commerciali. Quando, tra il 1971 e il 1973, gli
Usa rifiutano di convertire in oro la valanga di dollari esportati in
Europa, e Bretton Woods muore, la Comunità rischia di crollare
perché il suo castello si reggeva su una stabilità monetaria
garantita dall'esterno. il tentativo tedesco di costruire il Serpente
in cui il marco fa da locomotiva fallisce miseramente nella prima metà
degli anni Settanta. Il meccanismo espelle in poco tempo lira, franco
(per ben due volte), franco belga e sterlina.
Il sogno sembra realizzarsi nel luglio 1978, a Brema, dove i ministri
finanziari delle Cee accettano l'idea francese di un sistema che leghi
tra loro le monete europee non più sulla base egoistica di rapporti
bilaterali, ma sulla base di una nuova moneta comune, l'Ecu, che avrebbe
funzionato come una pietra di paragone, un cuscinetto neutrale tra moneta
forte (il marco) e monete deboli. L'introduzione di un metro di Sévres
comunitario, non nazionale, avrebbe avuto il compito di non dare ragione
sempre al più forte: la "colpa" di uno squilibrio monetario
poteva anche essere attribuita all'eccessiva forza del forte, piuttosto
che all'insipienza del debole. Il "tribunale" di Bruxelles
poteva dunque condannare anche il forte. Questo sogno kantiano, una
moneta neutrale portatrice di pace, si coronava poi con l'idea di istituire
un Fondo monetario europeo al quale le Banche centrali europee avrebbero
dovuto cedere il venti per cento delle proprie riserve in oro e in dollari,
e che avrebbe finanziato come un deus ex machina neutrale la difesa
sui mercati delle valute in difficoltà. La storia ci dice come
andò a finire.
Il bel sogno s'infrange contro il muro di gomma della realtà
e contro la pertinacia della Bundesbank. Il suo presidente, quell'Otmar
Emminger partigiano dei cambi fluttuanti e difensore di un'assoluta
sovranità monetaria tedesca, riuscì a svuotare totalmente
quella cattedrale. Ci sono voluti dodici anni per riproporre quel progetto.
Il sogno si è materializzato di nuovo, più forte e più
radicato, nel Trattato di Maastricht. E oggi come allora la Bundesbank
impiega lo stesso impegno nello svuotarne i contenuti più innovativi.
La realtà dello Sme fu alla fine molto simile al Serpente e alla
logica dei "rapporti bilaterali". L'accordo di cambio doveva
durare due anni. Doveva essere una costruzione provvisoria. Si doveva
passare in fretta all'Unione Monetaria. Ovviamente, non se ne fece nulla.
Le monete del Serpente, più il franco, si impegnarono ad oscillare
tra di loro del 2,25 per cento, in alto e in basso. I tassi di cambio
venivano definiti in rapporto all'Ecu, ma si trattava di un puro artificio
contabile.
L'Ecu prevede una linea centrale (la parità) attorno alla quale
si può oscillare, un "tetto" (oltre il quale le monete
non si possono apprezzare) e un "pavimento" (al di sotto del
quale le stesse monete non si possono deprezzare). Tra il punto più
alto e quello più basso c'è uno spazio di manovra del
4,5 per cento. Furono soltanto le perplessità e la tenacia del
Governatore Baffi a strappare per l'Italia un regime straordinario che
abbiamo abbandonato soltanto il 5 dicembre 1990: la lira ebbe il privilegio
(vista la situazione inflazionistica disastrosa) di oscillare con una
"banda allargata" del 6 per cento (e quindi con uno spazio
complessivo del 12 per cento) che venne poi utilizzata da Spagna, Portogallo
e Gran Bretagna per entrare negli Accordi di Cambio.
Quando una moneta si avvicina troppo a uno dei due limiti estremi, poco
prima di raggiungerli vede scattare un meccanismo d'allarme, chiamato
"indice di divergenza". A quel punto, la Banca centrale della
moneta debole e quella della moneta più forte nello Sme sono
obbligate a spendere soldi per riequilibrare la soluzione.
E se hanno già speso tutto? Il Trattato del 1979 prevede un fuoco
di sbarramento contro la svalutazione: la Banca centrale della moneta
più forte deve prestare valuta alla consorella in difficoltà
per importi teoricamente "illimitati". Di fatto, si è
visto che la sovranità nazionale sulle riserve valutarie è
un limite insormontabile per un funzionamento efficace di questo meccanismo.
Nel settembre dello scorso anno la Bundesbank ha sostenuto la lira per
dieci giorni, ma a un certo punto ha deciso che non era più il
caso e ha chiesto al proprio governo di proporre un "riallineamento"
con la svalutazione della moneta italiana. Che cosa significa? Nel caso
che la griglia di parità diventi indifendibile sui mercati, i
governi nazionali prendono l'iniziativa e chiedono la convocazione del
Comitato monetario, un organismo tecnico della Commissione europea nel
quale sono rappresentati i ministeri finanziari e le Banche centrali
dei Dodici.
E' molto importante osservare che questa procedura attribuisce all'autorità
politica (e non a quella tecnica) il potere di stabilire il valore della
moneta nazionale. Questa procedura è entrata in crisi con l'abbattimento
dei controlli valutari. Infatti, liberi di scorazzare in lungo e in
largo per l'Europa, i capitali mettono a dura prova tassi di cambio
decisi in sede politica. il "cambio" di una moneta, in fondo,
non è che un prezzo di una merce che ha un mercato internazionale.
Affinché quel prezzo venga accettato dal mercato senza fiatare,
sarebbe necessaria Una coesione politica tra i Dodici, oggi semplicemente
inimmaginabile.
E' per questo motivo che il vecchio compromesso dello Sme cigola in
modo sinistro. La liberalizzazione valutaria lo sta piegando sotto il
peso delle sue intime contraddizioni. Le quali possono essere sciolte
soltanto in due modi: o si torna ai cambi fluttuanti, oppure si procede
verso la moneta unica affidata a un unico centro di potere continentale,
la Banca Centrale Europea. La concertazione, le penose maratone notturne
del Comitato monetario che si scontrano con le difficoltà dei
governi a portare a casa svalutazioni indesiderate, sono tutte procedure
destinate ad esser cancellate dalla forza dei mercati e dai loro tempi
che non conoscono sosta.
Storia dello
Sme / Nell'Europa dell'Ottocento
L'Unione monetaria
dimenticata
Oggi che la prospettiva
dell'Unione monetaria europea è in bilico, è forse salutare
rileggere la storia dimenticata dell'Unione monetaria latina. La Vira"
italiana non fa quasi in tempo a nascere, nel 1861, che già
viene inserita in una Unione monetaria firmata dalla Conferenza internazionale
del novembre 1865 tra i rappresentanti di Francia, Belgio, Italia
e Svizzera. E' forse ancora più interessante osservare che
quest'Unione monetaria diventò presto un meccanismo in grado
di scatenare una delle più grandi speculazioni finanziarie
mai viste fino ad allora.
In quei decenni, gran parte della circolazione era metallica. La banconota
era poco usata. Nell'ex Regno delle Due Sicilie le monete erano solo
d'argento, mentre la Banca Nazionale del Regno Piemontese aveva nelle
sue casse soltanto riserve auree. La Lega Latina nasce in una fase
di crollo dei prezzi dell'oro, successivo alle scoperte di miniere
in California. L'argento valeva più che in passato e la gente
andava alla Zecca per fondere gli scudi d'argento in lingotti, che
poi vendeva.
L'iniziativa di convocare una Conferenza fu presa dal Belgio che soffriva
la scomparsa di tutte le monete di piccolo taglio, gli scudi e le
monete da uno e due franchi. La Conferenza, contro ogni aspettativa,
confermò un regime "bimetallico". Ogni Stato avrebbe
garantito cambi fissi tra oro e argento al valore di 1/15,5 per cento,
lo stesso valore stabilito dal ministro Calonne nel 1785. Per scoraggiare
la fusione delle monete d'argento, si sarebbero coniate monete con
un contenuto inferiore di metallo prezioso.. 835/1000, invece che
900/1000.
A soffiare sul fuoco di questa soluzione c'erano i Rotschild, importatori
sia d'argento sia d'oro, i quali potevano lucrare in ogni caso portando
alla Zecca il metallo più deprezzato e cambiandolo in quello
più prezioso, grazie ai cambi fissi garantiti dal Trattato.
Ironia della sorte. Di lì a poco, il prezzo dell'argento cominciò
a precipitare, per affondare definitivamente con la vittoria tedesca
contro i francesi nel 1870. L'Italia, finanziariamente guidata da
Quintino Sella, ne approfittò molto furbescamente, grazie soprattutto
al "corso forzoso" delle banconote imposto nel 1866. Che
cosa accadde? Gli speculatori italiani portavano casse di piccole
monete in Francia, dove le cambiavano in oro al cambio ufficiale (incamerando
grossi guadagni), per poi reimportarlo e comprare cartamoneta in grandi
quantitativi, sfruttando l'aggio dell'oro dovuto al "corso forzoso".
Si produsse una poderosa spinta all'espansione monetaria e creditizia
(proprio mentre Quintino Sella faceva politiche fiscali restrittive)
che sarebbe andata, come è nella tradizione italiana, a finanziare
le grandi speculazioni edilizie degli anni Settanta.
Storia dello
Sme
Bank of England
Certamente non
esiste in tutta Europa una Banca centrale semi-indipendente dal potere
politico come "la vecchia signora di via Threadnceedle":
così è chiamata nella City la Banca d'Inghilterra. Anzi,
non si pone neanche il problema dell'autonomia, perché l'Istituto
centrale di emissione è nient'altro che la banca ufficiale
del governo.
E anche l'unica. Infatti, nel Regno Unito lo Stato non entra affatto
nel sistema creditizio e finanziario, neanche come socio di minoranza.
Ma la sua banca è veramente sua. Nel senso che l'istituto persegue
gli obiettivi della politica economica del governo. Il governatore
non si sognerebbe di discostarsi dai progetti e dalle finalità
che il cancelliere fissa per conto del governo.
In Gran Bretagna il cancelliere è anche "Mastro della
zecca", responsabile del Bilancio, del Tesoro, delle Finanze;
ed è l'amministratore delegato della Banca centrale. Dunque,
la Banca d'Inghilterra regola direttamente le condizioni dei mercati
finanziari, amministra la massa monetaria circolante, sovrintende
ai prestiti governativi e gestisce tutto il debito pubblico nazionale,
cioè la quantità di denaro di cui il governo è
debitore, sia rispetto ai propri cittadini sia all'estero. Ovviamente,
come tutti gli istituti centrali, anche la Banca inglese si riserva
la facoltà di influenzare le condizioni generali dell'economia
attraverso il tasso di sconto e il raffreddamento o riscaldamento
della massa monetaria circolante. Ma non sempre le clearing banks,
ossia le banche private, si accodano automaticamente alle decisioni
di "Threadneedle Street".
Non sono poche le banche private che la Banca centrale britannica
dovrebbe controllare. Basti pensare che le "cinque grandi"
corporations finanziarie del Regno Unito hanno sportelli in cinque
continenti, e in moltissimi Paesi associati al Commonwealth. Molte
banche degli Emirati Arabi sono sotto vigilanza della "vecchia
signora".
Per quanto la storia bancaria britannica vanti origini remote, le
Cinque Grandi attuali sono state costituite e approvate dalla Banca
d'Inghilterra solo 72 anni fa. E sono la Barclays, la National Provincial,
la MidIand, la Loyd e la Westminster.
La prima trae origine dalla seconda metà dei Seicento. Un orefice,
John Freame (il nome Barclays deriva da un socio giunto nel 1736),
molto accreditato alla corte di San Giacomo, ebbe dal re licenza di
aprire in Lombard Street una casa di sconto tutta inglese. A quel
tempo, in Lombard Street, come ricorda il nome, c'erano solo banchieri
italiani di Pavia, Mantova e Milano, che prestavano i soldi a strozzo
e anticipavano grosse somme alla Corona.
Anche la Midland venne fondata da un orefice, che acquistò
dalla Corona inglese licenza di battere moneta e prestar soldi.
La Lloyd, fondata nel 1677, celebre per il suo simbolo che rappresenta
un cavallo rampante, era nient'altro che la finanziaria privata di
un altro orefice famoso, sir Humphrey Stokes, che insieme a un broker
di Birmingham, Charles Lloyd, aprì il suo primo sportello in
Taylor Street.
Nel 1970 la Provincial e la Westminster si fusero in un'unica ragione
sociale che ora si chiama Nat West, cioè National Westminster
Bank, che è la banca privata con il più alto numero
di azionisti. La Nat West è anche l'impresa bancaria con il
più alto numero di sportelli in tutto il mondo.
Storia dello
Sme
Banque de France
La Banca di Francia
nacque da n'arrabbiatura di Napoleone contro i banchieri privati che
non intendevano prestargli soldi a buon mercato per pagare le sue
truppe. E così, nel 1800, Buonaparte fondò la Banca
di Francia "in maniera da avere il tasso di sconto al quattro
per cento": e ne diventò azionista, insieme - ovviamente
- con tutti i suoi familiari.
Forse è questa la ragione di un dividendo che per gli azionisti
francesi era molto alto rispetto alle banche di emissione che sarebbero
nate nel corso dell'Ottocento in Europa: un dividendo del sei per
cento sul capitale iniziale, più due terzi dei profitti.
Ma la decisione fondamentale fu quella presa nel 1806 di sostituire
il direttorio privato che la guidava con un governatore e con due
vicegovernatori nominati direttamente dal Capo dello Stato, "sentito
il ministro delle Finanze`. Fu con questa decisione che la Banque
de France diventò la più statalizzata tra le grandi
banche di emissione del Vecchio Continente, nonostante la permanenza
del capitale privato.
Soltanto nel 1897 lo Statuto venne rivisto in modo che i proventi
di aumenti del tasso di sconto al di sopra del cinque per cento andassero
a finire nelle casse dello Stato e non più nelle tasche degli
azionisti privati.
Fu il governo frontista di Leon Blum a nazionalizzare la Banque de
France. Il suo esempio venne seguito successivamente dai laburisti
britannici: accadde nel 1946, contro il parere della City.
Storia dello
Sme
Federal Reserve
Il Sistema della
Riserva Federale degli Stati Uniti ha rappresentato un modello per
lo statuto del Sistema Europeo di Banche centrali inserito nel Trattato
di Maastricht. Dodici banche di riserva nazionale che gestiscono il
sistema dei pagamenti e la circolazione delle banconote negli Stati,
una "capogruppo" federale che decide i tassi d'interesse
e i rapporti di cambio con il resto del mondo, un braccio armato per
gestire i mercati che è la Riserva Federale di New York, "primus
inter pares", tra le consorelle nazionali.
Gli organismi decisionali sono due. Uno è il "Board of
governors" di Washington, che è un po' l'esecutivo della
Fed. Ma a decidere la politica monetaria è quel Comitato per
il Mercato Aperto introdotto con la riforma del 1935, nel quale siedono
a turno alcuni presidenti nazionali, con l'eccezione di quello di
New York che è membro di diritto.
Questo sistema così perfetto ed equilibrato non deve trarre
in inganno. La Fed nasce soltanto nel 1913.
Per 125 anni gli Usa non hanno avuto una Banca centrale. La costituzione
americana attribuisce al Congresso il potere di battere moneta e di
stabilire il suo valore, seguendo i principii illuministici francesi.
Ma presto ci si rese conto che il modello della Bank of England, una
banca privata che svolge il ruolo di stanza di compensazione per le
altre grandi banche, era preferibile. Per due volte il Congresso istituì
una banca di emissione "privata", ma in entrambi i casi
venne sciolta alla fine del mandato ventennale perché faceva
troppa concorrenza al mondo finanziario. Nel 1845, il Tesoro decise
di far da sé e costituì un "Sistema Indipendente
del Tesoro"; il Tesoro faceva il banchiere con le entrate fiscali.
Risultato: invece di depositare i fondi nelle banche, li teneva per
sé, provocando una riduzione spaventosa della liquidità
nel sistema, sottraendo risorse all'economia e provocando deflazione.
Fu soltanto dopo la crisi finanziaria del 1907 che il Congresso decise
di istituire una banca centrale indipendente, autonoma (sempre a capitale
privato), e non concorrenziale con le banche commerciali.
Storia dello
Sme
Banca d'Italia
Quando si parla
di Bankitalia si tende sempre, o quasi, a presentarla come un'istituzione
che "ammonisce", che difende la lira, che partecipa ai rapporti
finanziari con l'estero. Si dimentica quasi sempre il fatto più
banale, ma, proprio per questo, fondamentale: le banconote firmate
dal Governatore sono l'unico prodotto industriale che va nelle mani
di tutti, nessuno escluso.
La Banca d'Italia, che con il nuovo biglietto da 50 mila lire ha stampato
la banconota più difficile da falsificare che esista al mondo,
produce la cartamoneta, la diffonde nel Paese, sostituisce i biglietti
usurati. E' un lavoro che svolge brillantemente da cento anni esatti,
perché la legge che istituì la Banca d'Italia venne
approvata il 10 agosto del 1893, e l'istituto iniziò a lavorare
nel gennaio del 1894.
Che cosa si fa quando si vuol sapere quanto è grande un'azienda?
Si dà un'occhiata al bilancio. Può sembrare strano,
ma è molto raro che si prenda in considerazione il bilancio
di una Banca centrale. Se diamo uno sguardo al bilancio di Bankitalia
veniamo subito a scoprire che, rispetto alle maggiori Banche centrali
del mondo industrializzato, la nostra è quella che ha un "peso"
di gran lunga superiore nel contesto dell'economia nazionale e del
Prodotto interno lordo. Se sommiamo tutte le attività della
Banca, arriviamo all'incredibile quota del 21,30 per cento del Pil
(tutti i dati citati sono tratti da uno studio del fondo monetario
internazionale del 1990). Con un filo di paradosso, potremmo dire
che Bankitalia è il 21 per cento dell'Italia. Per fare qualche
confronto, la strapotente Bundesbank supera di poco il 13 per cento;
lo stesso vale per la Banque de France, mentre la Bank of England
scende al 9,60 per cento del Pil, e il Federal Reserve System americano
non raggiunge neppure il 6 per cento.
Per spiegare come mai il peso della nostra Banca centrale sia più
alto che altrove, occorre tener conto del livello molto alto del finanziamento
al Tesoro che, nelle sue diverse forme, raggiunge una quota pari al
18 per cento di M2, cioè di tutta la moneta in circolazione,
compresi i depositi del sistema bancario. Una proporzione così
elevata rende difficile all'istituto avere il pieno controllo del
proprio bilancio. Soltanto gli Usa hanno un rapporto paragonabile:
il 7,56 per cento; mentre si scende fino all'1,04 per cento della
Germania, al 3,18 per cento del Regno Unito e all'1,34 per cento della
Francia.
E' importante osservare che un peso così ingombrante come quello
che il finanziamento al tesoro ricopre per Bankitalia è svolto
dal bilancio della Bundesbank dal finanziamento al sistema bancario
che mantiene un vero e proprio cordone ombelicale con la Banca centrale:
la Bundesbank ha in essere finanziamenti agli istituti di credito
pari al 13 per cento della quantità di M2 (vale a dire circa
160 mila miliardi). In Italia questo stesso rapporto era nel 1990
soltanto dello 0,67 per cento, ma è notevolmente aumentato
durante la recente crisi valutaria.
L'altra faccia della medaglia si trova sul foglio opposto del bilancio
di una Banca centrale, e cioè tra le "passività",
i debiti. Infatti, la necessità di sostenere i corsi dei titoli
di Stato, di finanziare il Tesoro attraverso i 75 mila miliardi accumulati
sullo scoperto del Conto Corrente di Tesoreria, insomma la necessità
di battere moneta per conto del Tesoro, costringono il nostro Paese
a congelare liquidità privata, accentrando presso Bankitalia
una quantità di "riserve" che ogni banca è
"obbligata" a depositare in proporzione alla propria raccolta.
In via Nazionale giacciono depositi bancari per una quota vicina al
14 per cento di M2, contro il 5 per cento della Germania, il 2,70
per cento della Francia, l'1,24 per cento degli Usa e lo 0,34 per
cento del Regno Unito.
La Bundesbank finanzia il sistema bancario per cifre gigantesche,
e questo spiega la solidarietà e la compattezza tra sistema
finanziario tedesco e Banca centrale. In Italia accade l'inverso:
la compattezza èottenuta per la strada inversa, e cioè
accentrando presso l'autorità monetaria una quota molto alta
di depositi. La scelta fu fatta da Luigi Einaudi (vicepresidente del
Consiglio nel quarto governo De Gasperi) e da Donato Menichella (che
aveva appena sostituito Einaudi alla guida della Banca d'Italia) nella
prima riunione del Comitato Interministeriale per il Credito e il
Risparmio, il 4 agosto 1947. Si ricorda spesso che l'istituzione delle
riserve obbligatorie stroncò quell'inflazione che Einaudi aveva
fino ad allora benevolmente tollerato (per bruciare il debito pubblico
ereditato dal regime e dalla guerra), ma che a quel punto rischiava
di minare alla radice l'economia italiana. Meno spesso si osserva
che fu quella decisione a dare alla Banca d'Italia lo status autentico
di Banca centrale. Non fu cosa da poco, se si pensa che nei suoi primi
vent'anni di vita l'Istituto di emissione si dedicò interamente
all'ingrato compito di digerire l'eredità della Banca Romana
la quale, fallendo, aveva lasciato alla neonata Banca d'Italia 450
milioni di prestiti incagliati che, ben presto, si sarebbero trasformati
in palazzi, terreni, interi quartieri, partecipazioni azionarie, pignorati
ai debitori insolventi.
450 milioni del 1894 erano una somma superiore di 100 milioni al capitale
sociale della Banca d'Italia, che dunque nasceva virtualmente senza
capitale. Ci vollero quindici anni per liquidare quelle partite immobilizzate,
che produssero ben 150 milioni di perdite. E ci vollero almeno trent'anni
per trasformare la Banca d'Italia, nata in così tragiche circostanze,
in un vero Istituto di emissione.
Storia dello
Sme
Bundesbank
Per capire la
politica monetaria tedesca ci si deve chiedere: la Germania sta scegliendo
uno sviluppo interno alla Cee, oppure la politica monetaria restrittiva
è funzionale ad un diverso progetto di espansione politico-economica?
Fino ad oggi hanno prevalso interpretazioni psicologiche. Si dice:
la Bundesbank difende il marco contro l'ipotesi di una moneta unica
europea, l'Ecu, perché la gente in Germania è aggrappata
con i denti a una moneta che le ha regalato ricchezza e tranquillità,
perché in questo secolo ogni famiglia tedesca ha subìto
ben due volte la distruzione totale del proprio risparmio. Oppure:
la Bundesbank vuole stroncare, alza scaltramente i tassi d'interesse
per calamitare sul marco i risparmi degli italiani, degli svedesi,
i capitali speculativi delle finanziarie americane, e così
via. Tutto ciò, per affrontare le spese per i nuovi territori
orientali. Fa pagare agli europei la bolletta della riunificazione.
Tutte queste spiegazioni contengono alcuni elementi di verità,
ma sono parziali. L'elemento psicologico non deve tuttavia essere
sottovalutato. La Bank Deutscher Laender (che si sarebbe trasformata
in Bundesbank solo nel 1957) nasce a Francoforte il primo marzo del
1948, e cioè un anno prima della Repubblica federale tedesca.
La Banca è più antica dello Stato. Anzi, il modello
federale viene ideato dagli occupanti alleati per estirpare la malapianta
del nazionalismo, che aveva portato la Germania ad aggredire per ben
tre volte in settant'anni gli altri Paesi europei. E nasce proprio
con la Deutscher Laender. Nei tre freddi inverni che seguirono la
sconfitta, la nuova banca servì per gestire, con parsimonia,
il lancio della nuova moneta, il marco. Tutto accadde bruscamente
tra il 20 e il 21 giugno '48. A ogni tedesco occidentale vennero dati
40 marchi, indipendentemente da quanto ciascuno avesse in tasca. I
vecchi soldi vennero mandati al macero. Debiti, titoli, crediti ridotti
di valore a un decimo. Ognuno ricominciò con 40 marchi. L'Italia,
anche tenuto conto dell'inflazione del '47, non ha subìto uno
shock paragonabile solo alle città completamente rase al suolo.
Quella moneta fu gestita così bene nei decenni successivi,
che oggi chi critica la Bundesbank si scontra con un imbarazzo insuperabile:
come si fa a dire "voi state sbagliando tutto" alla Banca
centrale che ha avuto il maggiore successo monetario della storia?
Un secondo aspetto: Bundesbank è l'unica Banca centrale al
mondo ad essere completamente indipendente da governo e Parlamento
nonostante un meccanismo di nomina dei membri del Consiglio molto
più politicizzata rispetto, ad esempio, a quello di Bankitalia.
E' un vero e proprio contropotere, un governo della moneta, di rilievo
costituzionale, che è stato in grado di far saltare governi
e ministri anche potentissimi. I governi regionali scelgono i presidenti
delle Landeszentralbanken che, nel consiglio supremo della Bundesbank,
hanno la maggioranza.
Il governo federale nomina presidente e membri del direttorio, con
un mandato di otto anni. Non solo. I ministri federali possono partecipare
alle riunioni del Consiglio e intervenire nel dibattito, anche se
non hanno potere di voto. Il miracolo è questo: la struttura
ha una forza interna superiore a qualsiasi altro condizionamento,
compreso quello di appartenenza ad una qualsiasi organizzazione politica
o partitica.
Il sistema bancario tedesco è il più potente ma non
il più flessibile d'Europa. La grandi banche in Germania sono
esposte per oltre 50 miliardi di dollari con le Repubbliche ex sovietiche,
ma sono impegnate anche in enormi finanziamenti a lungo termine in
Polonia, Ungheria, Croazia, Slovenia, Romania, Paesi Baltici, Cecoslovacchia.
L'impegno è pesante e rischioso. Le banche tedesche fanno già
tutt'uno con quelle di Lussemburgo, Austria, ora anche Svezia e persino
Svizzera. Altro elemento essenziale della struttura finanziaria tedesca
è che le banche prestano soldi a lunghissima scadenza. I cittadini
ottengono senza problemi mutui fondiari quarantennali, con tassi fissi
rinegoziabili ogni cinque anni. Terzo elemento: le banche tedesche
sono proprietarie della grande industria, a partire dalla Mercedes:
il terrore dell'inflazione è dunque funzionale alla difesa
della stabilità finanziaria.
L'inflazione distruggerebbe la redditività di prestiti a lunga
scadenza. L'inflazione è rischiosa anche per l'intreccio banca-industria
che impedisce politiche di freno e rilancio monetario dell'economia.
Non ci vuole molta fantasia per capire che la Germania è già
uscita dalla prospettiva di guidare lo sviluppo economico della Cee.
Non vuole essere la locomotiva dell'Europa. Il disegno di espansione
già nei fatti è quello di una redistribuzione geografica
della divisione del lavoro incentrata sull'industria tedesca in tutta
la cintura che va dal Baltico al Danubio. Il sistema bancario tedesco
farà ciò che non ha fatto per la Comunità europea:
guiderà un deflusso di risparmio tedesco verso quell'area nella
quale sono destinate a spostarsi le unità produttive delle
imprese germaniche.
E allora perché la Bundesbank fa una politica recessiva? Anche
questo è scritto nella tradizione: la Germania ha sempre scelto
di crescere poco per non essere costretta a importare troppa manodopera
straniera. Il patto sociale su cui è nata la Bundesrepublik
è in grave crisi. Milioni di slavi premono alle frontiere.
Sedici milioni di nuovi tedeschi vanno inseriti in una nuova divisione
del lavoro all'interno del Paese riunificato. Qui va cercata la spiegazione
della scarsa solidarietà tedesca (e di Bundesbank) con i membri
della Cee e dello Sme.
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