§ Storia dello Sme

Il serpente in letargo




Gianfranco Langatta, Furio Blasi, Roberto Del Gaudio
Ricerche di Noemi Dallara, Gianni Storno, Alba Ramoni



Che cos'è il Sistema monetario europeo? Che cosa significano parole come riallineamento, banda di oscillazione, parità di cambio, Ecu? Che cosa è il Comitato monetario? Chi ha in mano il potere di decidere quanto valgono una lira, un franco, un marco, una sterlina?
La tempesta valutaria di questi ultimi tempi ha portato nelle case di tutti un gergo che sembrava protetto da riti iniziatici. La gente vuole capire come mai un meccanismo considerato per anni una garanzia di stabilità venga ogni tanto spezzato in lungo e in largo dagli speculatori di tutto il mondo. Entrano in ogni varco dello Sme, ne violano le difese con la stessa facilità con la quale le divisioni di Hitler aggiravano la Linea Maginot. Peggio: lo Sme, con le sue regole, con le sue parità da difendere, sembra generare esso stesso la speculazione, quasi fosse attraversato da un oscuro istinto fratricida. Il paragone più efficace lo ha trovato lo stesso Governatore della Banca d'Italia.
Nel settembre dello scorso anno, a Washington, mentre sedeva stremato su un divano al tredicesimo piano del Fondo monetario internazionale, paragonò lo Sme al duello tra gli Orazi e i Curiazi. Un solo Orazio uccide tutti i Curiazi, affrontandoli uno dopo l'altro. La moneta più forte infilza una ad una le altre monete: lira, sterlina, peseta, escudo. La lista è lunga. Perché? Va chiarito un equivoco. Né la lira né la sterlina sono mai "uscite" dal Sistema monetario europeo. Per farlo, avrebbero dovuto denunciare un Trattato internazionale firmato dai governi della Cee a Bruxelles il 5 dicembre 1978. Cosa che, naturalmente, non è avvenuta. L'Italia e la Gran Bretagna hanno sospeso il rispetto dell'Accordo di Cambio Europeo che regola i comportamenti delle Banche centrali dello Sme e che le vincola a difendere determinati valori reciproci delle proprie monete e, se necessario, a intervenire, spendendo soldi di tasca propria in difesa di quei valori. Mentre la stampa britannica distingue rigorosamente Sme e Accordo di Cambio, la stampa italiana tende ad usare il primo come sinonimo del secondo, generando qualche confusione. Non a caso la dracma greca non ha mai fatto parte dell'Accordo di Cambio, ma è presente nel paniere dell'Ecu, perché fa parte del Sistema monetario europeo.
Lo Sme nasce il 4 e il 5 dicembre 1978 nella capitale belga dalla fortuita coincidenza di un sogno illuministico e del disperato bisogno che avevano Valéry Giscard d'Estaing ed Helmut Schmidt di proteggere gli interessi egoistici dei contadini francesi e della grande industria tedesca, artefici dei loro successi elettorali. Il timore di quegli anni era che un'alluvione di dollari a prezzi stracciati invadesse l'Europa (e la Germania occidentale, soprattutto), provocando un'inflazione paurosa, e che i Paesi dell'Europa che allora si definiva "latina" (cioè Francia, Italia e Belgio, con l'aggiunta del Regno Unito) si inserissero nella scia del dollaro per fare un'efficace concorrenza alla Germania, invadendo il mercato tedesco con merci a basso prezzo. Giscard d'Estaing, da parte sua, voleva un meccanismo di cambi fissi per tenere in piedi anche in quei tempi procellosi la Politica Agricola Comunitaria che da decenni protegge e finanzia munificamente l'agricoltura dei Paesi ricchi, e in modo particolare quella francese. La PAC non è in grado di funzionare se le monete europee vanno ciascuna per proprio conto. E' utile ricordare oggi gli interessi "egoistici" di allora, perché sulla carta il Sistema monetario europeo avrebbe dovuto essere un gioco miracoloso in grado di coniugare una logica cooperativa con una meccanica competitiva. I comportamenti dei "peggiori" vengono costretti ad adeguarsi a quelli dei Paesi più virtuosi (quelli a più bassa inflazione), altrimenti si perde competitività; ma in cambio i Paesi "viziosi" ottengono dall'esterno una stabilità monetaria, una riduzione dell'inflazione, che da soli non saprebbero produrre.
Lo Sme favorisce il più forte (la Germania Federale di allora, quella unificata di oggi) perché protegge i prezzi delle sue merci, ma in cambio i Paesi "deboli" ottengono un bene pubblico (la stabilità monetaria e la disinflazione) che non hanno la capacità di realizzare all'interno. Questo compromesso tra cooperazione e competizione oggi non funziona più, dopo che tutti i Paesi che nel 1979 erano "deboli" hanno vinto, chi più chi meno, l'inflazione (Francia, Belgio, Gran Bretagna e anche l'Italia). La Germania dal 1990 non è più la stessa, essendo passata da sessanta ad ottanta milioni di abitanti, con tutto quello che comporta il peso dei territori ex comunisti.
Celebrando i dieci anni di vita dello Sme, il 5 dicembre 1988, l'allora ministro del Tesoro, Giuliano Amato, osservò la singolarità del fatto che "il pezzo monetario della Comunità europea" era quello più unitario ed efficace. I fondatori della Cee nel 1957 non avevano sentito il bisogno di spendere neppure una riga sulle monete, nel testo dei Trattati di Roma. La verità è che nel 1957 la stabilità delle monete era un dato esterno al Mercato Comune Europeo, garantito dagli accordi di Bretton Woods e dallo strapotere americano. I cambi fissi erano un tacito ma essenziale presupposto all'abbattimento di dazi e frontiere commerciali. Quando, tra il 1971 e il 1973, gli Usa rifiutano di convertire in oro la valanga di dollari esportati in Europa, e Bretton Woods muore, la Comunità rischia di crollare perché il suo castello si reggeva su una stabilità monetaria garantita dall'esterno. il tentativo tedesco di costruire il Serpente in cui il marco fa da locomotiva fallisce miseramente nella prima metà degli anni Settanta. Il meccanismo espelle in poco tempo lira, franco (per ben due volte), franco belga e sterlina.
Il sogno sembra realizzarsi nel luglio 1978, a Brema, dove i ministri finanziari delle Cee accettano l'idea francese di un sistema che leghi tra loro le monete europee non più sulla base egoistica di rapporti bilaterali, ma sulla base di una nuova moneta comune, l'Ecu, che avrebbe funzionato come una pietra di paragone, un cuscinetto neutrale tra moneta forte (il marco) e monete deboli. L'introduzione di un metro di Sévres comunitario, non nazionale, avrebbe avuto il compito di non dare ragione sempre al più forte: la "colpa" di uno squilibrio monetario poteva anche essere attribuita all'eccessiva forza del forte, piuttosto che all'insipienza del debole. Il "tribunale" di Bruxelles poteva dunque condannare anche il forte. Questo sogno kantiano, una moneta neutrale portatrice di pace, si coronava poi con l'idea di istituire un Fondo monetario europeo al quale le Banche centrali europee avrebbero dovuto cedere il venti per cento delle proprie riserve in oro e in dollari, e che avrebbe finanziato come un deus ex machina neutrale la difesa sui mercati delle valute in difficoltà. La storia ci dice come andò a finire.
Il bel sogno s'infrange contro il muro di gomma della realtà e contro la pertinacia della Bundesbank. Il suo presidente, quell'Otmar Emminger partigiano dei cambi fluttuanti e difensore di un'assoluta sovranità monetaria tedesca, riuscì a svuotare totalmente quella cattedrale. Ci sono voluti dodici anni per riproporre quel progetto. Il sogno si è materializzato di nuovo, più forte e più radicato, nel Trattato di Maastricht. E oggi come allora la Bundesbank impiega lo stesso impegno nello svuotarne i contenuti più innovativi.
La realtà dello Sme fu alla fine molto simile al Serpente e alla logica dei "rapporti bilaterali". L'accordo di cambio doveva durare due anni. Doveva essere una costruzione provvisoria. Si doveva passare in fretta all'Unione Monetaria. Ovviamente, non se ne fece nulla. Le monete del Serpente, più il franco, si impegnarono ad oscillare tra di loro del 2,25 per cento, in alto e in basso. I tassi di cambio venivano definiti in rapporto all'Ecu, ma si trattava di un puro artificio contabile.
L'Ecu prevede una linea centrale (la parità) attorno alla quale si può oscillare, un "tetto" (oltre il quale le monete non si possono apprezzare) e un "pavimento" (al di sotto del quale le stesse monete non si possono deprezzare). Tra il punto più alto e quello più basso c'è uno spazio di manovra del 4,5 per cento. Furono soltanto le perplessità e la tenacia del Governatore Baffi a strappare per l'Italia un regime straordinario che abbiamo abbandonato soltanto il 5 dicembre 1990: la lira ebbe il privilegio (vista la situazione inflazionistica disastrosa) di oscillare con una "banda allargata" del 6 per cento (e quindi con uno spazio complessivo del 12 per cento) che venne poi utilizzata da Spagna, Portogallo e Gran Bretagna per entrare negli Accordi di Cambio.
Quando una moneta si avvicina troppo a uno dei due limiti estremi, poco prima di raggiungerli vede scattare un meccanismo d'allarme, chiamato "indice di divergenza". A quel punto, la Banca centrale della moneta debole e quella della moneta più forte nello Sme sono obbligate a spendere soldi per riequilibrare la soluzione.
E se hanno già speso tutto? Il Trattato del 1979 prevede un fuoco di sbarramento contro la svalutazione: la Banca centrale della moneta più forte deve prestare valuta alla consorella in difficoltà per importi teoricamente "illimitati". Di fatto, si è visto che la sovranità nazionale sulle riserve valutarie è un limite insormontabile per un funzionamento efficace di questo meccanismo. Nel settembre dello scorso anno la Bundesbank ha sostenuto la lira per dieci giorni, ma a un certo punto ha deciso che non era più il caso e ha chiesto al proprio governo di proporre un "riallineamento" con la svalutazione della moneta italiana. Che cosa significa? Nel caso che la griglia di parità diventi indifendibile sui mercati, i governi nazionali prendono l'iniziativa e chiedono la convocazione del Comitato monetario, un organismo tecnico della Commissione europea nel quale sono rappresentati i ministeri finanziari e le Banche centrali dei Dodici.
E' molto importante osservare che questa procedura attribuisce all'autorità politica (e non a quella tecnica) il potere di stabilire il valore della moneta nazionale. Questa procedura è entrata in crisi con l'abbattimento dei controlli valutari. Infatti, liberi di scorazzare in lungo e in largo per l'Europa, i capitali mettono a dura prova tassi di cambio decisi in sede politica. il "cambio" di una moneta, in fondo, non è che un prezzo di una merce che ha un mercato internazionale. Affinché quel prezzo venga accettato dal mercato senza fiatare, sarebbe necessaria Una coesione politica tra i Dodici, oggi semplicemente inimmaginabile.
E' per questo motivo che il vecchio compromesso dello Sme cigola in modo sinistro. La liberalizzazione valutaria lo sta piegando sotto il peso delle sue intime contraddizioni. Le quali possono essere sciolte soltanto in due modi: o si torna ai cambi fluttuanti, oppure si procede verso la moneta unica affidata a un unico centro di potere continentale, la Banca Centrale Europea. La concertazione, le penose maratone notturne del Comitato monetario che si scontrano con le difficoltà dei governi a portare a casa svalutazioni indesiderate, sono tutte procedure destinate ad esser cancellate dalla forza dei mercati e dai loro tempi che non conoscono sosta.

Storia dello Sme / Nell'Europa dell'Ottocento

L'Unione monetaria dimenticata

Oggi che la prospettiva dell'Unione monetaria europea è in bilico, è forse salutare rileggere la storia dimenticata dell'Unione monetaria latina. La Vira" italiana non fa quasi in tempo a nascere, nel 1861, che già viene inserita in una Unione monetaria firmata dalla Conferenza internazionale del novembre 1865 tra i rappresentanti di Francia, Belgio, Italia e Svizzera. E' forse ancora più interessante osservare che quest'Unione monetaria diventò presto un meccanismo in grado di scatenare una delle più grandi speculazioni finanziarie mai viste fino ad allora.
In quei decenni, gran parte della circolazione era metallica. La banconota era poco usata. Nell'ex Regno delle Due Sicilie le monete erano solo d'argento, mentre la Banca Nazionale del Regno Piemontese aveva nelle sue casse soltanto riserve auree. La Lega Latina nasce in una fase di crollo dei prezzi dell'oro, successivo alle scoperte di miniere in California. L'argento valeva più che in passato e la gente andava alla Zecca per fondere gli scudi d'argento in lingotti, che poi vendeva.
L'iniziativa di convocare una Conferenza fu presa dal Belgio che soffriva la scomparsa di tutte le monete di piccolo taglio, gli scudi e le monete da uno e due franchi. La Conferenza, contro ogni aspettativa, confermò un regime "bimetallico". Ogni Stato avrebbe garantito cambi fissi tra oro e argento al valore di 1/15,5 per cento, lo stesso valore stabilito dal ministro Calonne nel 1785. Per scoraggiare la fusione delle monete d'argento, si sarebbero coniate monete con un contenuto inferiore di metallo prezioso.. 835/1000, invece che 900/1000.
A soffiare sul fuoco di questa soluzione c'erano i Rotschild, importatori sia d'argento sia d'oro, i quali potevano lucrare in ogni caso portando alla Zecca il metallo più deprezzato e cambiandolo in quello più prezioso, grazie ai cambi fissi garantiti dal Trattato.
Ironia della sorte. Di lì a poco, il prezzo dell'argento cominciò a precipitare, per affondare definitivamente con la vittoria tedesca contro i francesi nel 1870. L'Italia, finanziariamente guidata da Quintino Sella, ne approfittò molto furbescamente, grazie soprattutto al "corso forzoso" delle banconote imposto nel 1866. Che cosa accadde? Gli speculatori italiani portavano casse di piccole monete in Francia, dove le cambiavano in oro al cambio ufficiale (incamerando grossi guadagni), per poi reimportarlo e comprare cartamoneta in grandi quantitativi, sfruttando l'aggio dell'oro dovuto al "corso forzoso". Si produsse una poderosa spinta all'espansione monetaria e creditizia (proprio mentre Quintino Sella faceva politiche fiscali restrittive) che sarebbe andata, come è nella tradizione italiana, a finanziare le grandi speculazioni edilizie degli anni Settanta.

Storia dello Sme

Bank of England

Certamente non esiste in tutta Europa una Banca centrale semi-indipendente dal potere politico come "la vecchia signora di via Threadnceedle": così è chiamata nella City la Banca d'Inghilterra. Anzi, non si pone neanche il problema dell'autonomia, perché l'Istituto centrale di emissione è nient'altro che la banca ufficiale del governo.
E anche l'unica. Infatti, nel Regno Unito lo Stato non entra affatto nel sistema creditizio e finanziario, neanche come socio di minoranza. Ma la sua banca è veramente sua. Nel senso che l'istituto persegue gli obiettivi della politica economica del governo. Il governatore non si sognerebbe di discostarsi dai progetti e dalle finalità che il cancelliere fissa per conto del governo.
In Gran Bretagna il cancelliere è anche "Mastro della zecca", responsabile del Bilancio, del Tesoro, delle Finanze; ed è l'amministratore delegato della Banca centrale. Dunque, la Banca d'Inghilterra regola direttamente le condizioni dei mercati finanziari, amministra la massa monetaria circolante, sovrintende ai prestiti governativi e gestisce tutto il debito pubblico nazionale, cioè la quantità di denaro di cui il governo è debitore, sia rispetto ai propri cittadini sia all'estero. Ovviamente, come tutti gli istituti centrali, anche la Banca inglese si riserva la facoltà di influenzare le condizioni generali dell'economia attraverso il tasso di sconto e il raffreddamento o riscaldamento della massa monetaria circolante. Ma non sempre le clearing banks, ossia le banche private, si accodano automaticamente alle decisioni di "Threadneedle Street".
Non sono poche le banche private che la Banca centrale britannica dovrebbe controllare. Basti pensare che le "cinque grandi" corporations finanziarie del Regno Unito hanno sportelli in cinque continenti, e in moltissimi Paesi associati al Commonwealth. Molte banche degli Emirati Arabi sono sotto vigilanza della "vecchia signora".
Per quanto la storia bancaria britannica vanti origini remote, le Cinque Grandi attuali sono state costituite e approvate dalla Banca d'Inghilterra solo 72 anni fa. E sono la Barclays, la National Provincial, la MidIand, la Loyd e la Westminster.
La prima trae origine dalla seconda metà dei Seicento. Un orefice, John Freame (il nome Barclays deriva da un socio giunto nel 1736), molto accreditato alla corte di San Giacomo, ebbe dal re licenza di aprire in Lombard Street una casa di sconto tutta inglese. A quel tempo, in Lombard Street, come ricorda il nome, c'erano solo banchieri italiani di Pavia, Mantova e Milano, che prestavano i soldi a strozzo e anticipavano grosse somme alla Corona.
Anche la Midland venne fondata da un orefice, che acquistò dalla Corona inglese licenza di battere moneta e prestar soldi.
La Lloyd, fondata nel 1677, celebre per il suo simbolo che rappresenta un cavallo rampante, era nient'altro che la finanziaria privata di un altro orefice famoso, sir Humphrey Stokes, che insieme a un broker di Birmingham, Charles Lloyd, aprì il suo primo sportello in Taylor Street.
Nel 1970 la Provincial e la Westminster si fusero in un'unica ragione sociale che ora si chiama Nat West, cioè National Westminster Bank, che è la banca privata con il più alto numero di azionisti. La Nat West è anche l'impresa bancaria con il più alto numero di sportelli in tutto il mondo.

Storia dello Sme

Banque de France

La Banca di Francia nacque da n'arrabbiatura di Napoleone contro i banchieri privati che non intendevano prestargli soldi a buon mercato per pagare le sue truppe. E così, nel 1800, Buonaparte fondò la Banca di Francia "in maniera da avere il tasso di sconto al quattro per cento": e ne diventò azionista, insieme - ovviamente - con tutti i suoi familiari.
Forse è questa la ragione di un dividendo che per gli azionisti francesi era molto alto rispetto alle banche di emissione che sarebbero nate nel corso dell'Ottocento in Europa: un dividendo del sei per cento sul capitale iniziale, più due terzi dei profitti.
Ma la decisione fondamentale fu quella presa nel 1806 di sostituire il direttorio privato che la guidava con un governatore e con due vicegovernatori nominati direttamente dal Capo dello Stato, "sentito il ministro delle Finanze`. Fu con questa decisione che la Banque de France diventò la più statalizzata tra le grandi banche di emissione del Vecchio Continente, nonostante la permanenza del capitale privato.
Soltanto nel 1897 lo Statuto venne rivisto in modo che i proventi di aumenti del tasso di sconto al di sopra del cinque per cento andassero a finire nelle casse dello Stato e non più nelle tasche degli azionisti privati.
Fu il governo frontista di Leon Blum a nazionalizzare la Banque de France. Il suo esempio venne seguito successivamente dai laburisti britannici: accadde nel 1946, contro il parere della City.

Storia dello Sme

Federal Reserve

Il Sistema della Riserva Federale degli Stati Uniti ha rappresentato un modello per lo statuto del Sistema Europeo di Banche centrali inserito nel Trattato di Maastricht. Dodici banche di riserva nazionale che gestiscono il sistema dei pagamenti e la circolazione delle banconote negli Stati, una "capogruppo" federale che decide i tassi d'interesse e i rapporti di cambio con il resto del mondo, un braccio armato per gestire i mercati che è la Riserva Federale di New York, "primus inter pares", tra le consorelle nazionali.
Gli organismi decisionali sono due. Uno è il "Board of governors" di Washington, che è un po' l'esecutivo della Fed. Ma a decidere la politica monetaria è quel Comitato per il Mercato Aperto introdotto con la riforma del 1935, nel quale siedono a turno alcuni presidenti nazionali, con l'eccezione di quello di New York che è membro di diritto.
Questo sistema così perfetto ed equilibrato non deve trarre in inganno. La Fed nasce soltanto nel 1913.
Per 125 anni gli Usa non hanno avuto una Banca centrale. La costituzione americana attribuisce al Congresso il potere di battere moneta e di stabilire il suo valore, seguendo i principii illuministici francesi. Ma presto ci si rese conto che il modello della Bank of England, una banca privata che svolge il ruolo di stanza di compensazione per le altre grandi banche, era preferibile. Per due volte il Congresso istituì una banca di emissione "privata", ma in entrambi i casi venne sciolta alla fine del mandato ventennale perché faceva troppa concorrenza al mondo finanziario. Nel 1845, il Tesoro decise di far da sé e costituì un "Sistema Indipendente del Tesoro"; il Tesoro faceva il banchiere con le entrate fiscali. Risultato: invece di depositare i fondi nelle banche, li teneva per sé, provocando una riduzione spaventosa della liquidità nel sistema, sottraendo risorse all'economia e provocando deflazione.
Fu soltanto dopo la crisi finanziaria del 1907 che il Congresso decise di istituire una banca centrale indipendente, autonoma (sempre a capitale privato), e non concorrenziale con le banche commerciali.

Storia dello Sme

Banca d'Italia

Quando si parla di Bankitalia si tende sempre, o quasi, a presentarla come un'istituzione che "ammonisce", che difende la lira, che partecipa ai rapporti finanziari con l'estero. Si dimentica quasi sempre il fatto più banale, ma, proprio per questo, fondamentale: le banconote firmate dal Governatore sono l'unico prodotto industriale che va nelle mani di tutti, nessuno escluso.
La Banca d'Italia, che con il nuovo biglietto da 50 mila lire ha stampato la banconota più difficile da falsificare che esista al mondo, produce la cartamoneta, la diffonde nel Paese, sostituisce i biglietti usurati. E' un lavoro che svolge brillantemente da cento anni esatti, perché la legge che istituì la Banca d'Italia venne approvata il 10 agosto del 1893, e l'istituto iniziò a lavorare nel gennaio del 1894.
Che cosa si fa quando si vuol sapere quanto è grande un'azienda? Si dà un'occhiata al bilancio. Può sembrare strano, ma è molto raro che si prenda in considerazione il bilancio di una Banca centrale. Se diamo uno sguardo al bilancio di Bankitalia veniamo subito a scoprire che, rispetto alle maggiori Banche centrali del mondo industrializzato, la nostra è quella che ha un "peso" di gran lunga superiore nel contesto dell'economia nazionale e del Prodotto interno lordo. Se sommiamo tutte le attività della Banca, arriviamo all'incredibile quota del 21,30 per cento del Pil (tutti i dati citati sono tratti da uno studio del fondo monetario internazionale del 1990). Con un filo di paradosso, potremmo dire che Bankitalia è il 21 per cento dell'Italia. Per fare qualche confronto, la strapotente Bundesbank supera di poco il 13 per cento; lo stesso vale per la Banque de France, mentre la Bank of England scende al 9,60 per cento del Pil, e il Federal Reserve System americano non raggiunge neppure il 6 per cento.
Per spiegare come mai il peso della nostra Banca centrale sia più alto che altrove, occorre tener conto del livello molto alto del finanziamento al Tesoro che, nelle sue diverse forme, raggiunge una quota pari al 18 per cento di M2, cioè di tutta la moneta in circolazione, compresi i depositi del sistema bancario. Una proporzione così elevata rende difficile all'istituto avere il pieno controllo del proprio bilancio. Soltanto gli Usa hanno un rapporto paragonabile: il 7,56 per cento; mentre si scende fino all'1,04 per cento della Germania, al 3,18 per cento del Regno Unito e all'1,34 per cento della Francia.
E' importante osservare che un peso così ingombrante come quello che il finanziamento al tesoro ricopre per Bankitalia è svolto dal bilancio della Bundesbank dal finanziamento al sistema bancario che mantiene un vero e proprio cordone ombelicale con la Banca centrale: la Bundesbank ha in essere finanziamenti agli istituti di credito pari al 13 per cento della quantità di M2 (vale a dire circa 160 mila miliardi). In Italia questo stesso rapporto era nel 1990 soltanto dello 0,67 per cento, ma è notevolmente aumentato durante la recente crisi valutaria.
L'altra faccia della medaglia si trova sul foglio opposto del bilancio di una Banca centrale, e cioè tra le "passività", i debiti. Infatti, la necessità di sostenere i corsi dei titoli di Stato, di finanziare il Tesoro attraverso i 75 mila miliardi accumulati sullo scoperto del Conto Corrente di Tesoreria, insomma la necessità di battere moneta per conto del Tesoro, costringono il nostro Paese a congelare liquidità privata, accentrando presso Bankitalia una quantità di "riserve" che ogni banca è "obbligata" a depositare in proporzione alla propria raccolta. In via Nazionale giacciono depositi bancari per una quota vicina al 14 per cento di M2, contro il 5 per cento della Germania, il 2,70 per cento della Francia, l'1,24 per cento degli Usa e lo 0,34 per cento del Regno Unito.
La Bundesbank finanzia il sistema bancario per cifre gigantesche, e questo spiega la solidarietà e la compattezza tra sistema finanziario tedesco e Banca centrale. In Italia accade l'inverso: la compattezza èottenuta per la strada inversa, e cioè accentrando presso l'autorità monetaria una quota molto alta di depositi. La scelta fu fatta da Luigi Einaudi (vicepresidente del Consiglio nel quarto governo De Gasperi) e da Donato Menichella (che aveva appena sostituito Einaudi alla guida della Banca d'Italia) nella prima riunione del Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio, il 4 agosto 1947. Si ricorda spesso che l'istituzione delle riserve obbligatorie stroncò quell'inflazione che Einaudi aveva fino ad allora benevolmente tollerato (per bruciare il debito pubblico ereditato dal regime e dalla guerra), ma che a quel punto rischiava di minare alla radice l'economia italiana. Meno spesso si osserva che fu quella decisione a dare alla Banca d'Italia lo status autentico di Banca centrale. Non fu cosa da poco, se si pensa che nei suoi primi vent'anni di vita l'Istituto di emissione si dedicò interamente all'ingrato compito di digerire l'eredità della Banca Romana la quale, fallendo, aveva lasciato alla neonata Banca d'Italia 450 milioni di prestiti incagliati che, ben presto, si sarebbero trasformati in palazzi, terreni, interi quartieri, partecipazioni azionarie, pignorati ai debitori insolventi.
450 milioni del 1894 erano una somma superiore di 100 milioni al capitale sociale della Banca d'Italia, che dunque nasceva virtualmente senza capitale. Ci vollero quindici anni per liquidare quelle partite immobilizzate, che produssero ben 150 milioni di perdite. E ci vollero almeno trent'anni per trasformare la Banca d'Italia, nata in così tragiche circostanze, in un vero Istituto di emissione.

Storia dello Sme

Bundesbank

Per capire la politica monetaria tedesca ci si deve chiedere: la Germania sta scegliendo uno sviluppo interno alla Cee, oppure la politica monetaria restrittiva è funzionale ad un diverso progetto di espansione politico-economica?
Fino ad oggi hanno prevalso interpretazioni psicologiche. Si dice: la Bundesbank difende il marco contro l'ipotesi di una moneta unica europea, l'Ecu, perché la gente in Germania è aggrappata con i denti a una moneta che le ha regalato ricchezza e tranquillità, perché in questo secolo ogni famiglia tedesca ha subìto ben due volte la distruzione totale del proprio risparmio. Oppure: la Bundesbank vuole stroncare, alza scaltramente i tassi d'interesse per calamitare sul marco i risparmi degli italiani, degli svedesi, i capitali speculativi delle finanziarie americane, e così via. Tutto ciò, per affrontare le spese per i nuovi territori orientali. Fa pagare agli europei la bolletta della riunificazione.
Tutte queste spiegazioni contengono alcuni elementi di verità, ma sono parziali. L'elemento psicologico non deve tuttavia essere sottovalutato. La Bank Deutscher Laender (che si sarebbe trasformata in Bundesbank solo nel 1957) nasce a Francoforte il primo marzo del 1948, e cioè un anno prima della Repubblica federale tedesca. La Banca è più antica dello Stato. Anzi, il modello federale viene ideato dagli occupanti alleati per estirpare la malapianta del nazionalismo, che aveva portato la Germania ad aggredire per ben tre volte in settant'anni gli altri Paesi europei. E nasce proprio con la Deutscher Laender. Nei tre freddi inverni che seguirono la sconfitta, la nuova banca servì per gestire, con parsimonia, il lancio della nuova moneta, il marco. Tutto accadde bruscamente tra il 20 e il 21 giugno '48. A ogni tedesco occidentale vennero dati 40 marchi, indipendentemente da quanto ciascuno avesse in tasca. I vecchi soldi vennero mandati al macero. Debiti, titoli, crediti ridotti di valore a un decimo. Ognuno ricominciò con 40 marchi. L'Italia, anche tenuto conto dell'inflazione del '47, non ha subìto uno shock paragonabile solo alle città completamente rase al suolo. Quella moneta fu gestita così bene nei decenni successivi, che oggi chi critica la Bundesbank si scontra con un imbarazzo insuperabile: come si fa a dire "voi state sbagliando tutto" alla Banca centrale che ha avuto il maggiore successo monetario della storia?
Un secondo aspetto: Bundesbank è l'unica Banca centrale al mondo ad essere completamente indipendente da governo e Parlamento nonostante un meccanismo di nomina dei membri del Consiglio molto più politicizzata rispetto, ad esempio, a quello di Bankitalia. E' un vero e proprio contropotere, un governo della moneta, di rilievo costituzionale, che è stato in grado di far saltare governi e ministri anche potentissimi. I governi regionali scelgono i presidenti delle Landeszentralbanken che, nel consiglio supremo della Bundesbank, hanno la maggioranza.
Il governo federale nomina presidente e membri del direttorio, con un mandato di otto anni. Non solo. I ministri federali possono partecipare alle riunioni del Consiglio e intervenire nel dibattito, anche se non hanno potere di voto. Il miracolo è questo: la struttura ha una forza interna superiore a qualsiasi altro condizionamento, compreso quello di appartenenza ad una qualsiasi organizzazione politica o partitica.
Il sistema bancario tedesco è il più potente ma non il più flessibile d'Europa. La grandi banche in Germania sono esposte per oltre 50 miliardi di dollari con le Repubbliche ex sovietiche, ma sono impegnate anche in enormi finanziamenti a lungo termine in Polonia, Ungheria, Croazia, Slovenia, Romania, Paesi Baltici, Cecoslovacchia. L'impegno è pesante e rischioso. Le banche tedesche fanno già tutt'uno con quelle di Lussemburgo, Austria, ora anche Svezia e persino Svizzera. Altro elemento essenziale della struttura finanziaria tedesca è che le banche prestano soldi a lunghissima scadenza. I cittadini ottengono senza problemi mutui fondiari quarantennali, con tassi fissi rinegoziabili ogni cinque anni. Terzo elemento: le banche tedesche sono proprietarie della grande industria, a partire dalla Mercedes: il terrore dell'inflazione è dunque funzionale alla difesa della stabilità finanziaria.
L'inflazione distruggerebbe la redditività di prestiti a lunga scadenza. L'inflazione è rischiosa anche per l'intreccio banca-industria che impedisce politiche di freno e rilancio monetario dell'economia. Non ci vuole molta fantasia per capire che la Germania è già uscita dalla prospettiva di guidare lo sviluppo economico della Cee. Non vuole essere la locomotiva dell'Europa. Il disegno di espansione già nei fatti è quello di una redistribuzione geografica della divisione del lavoro incentrata sull'industria tedesca in tutta la cintura che va dal Baltico al Danubio. Il sistema bancario tedesco farà ciò che non ha fatto per la Comunità europea: guiderà un deflusso di risparmio tedesco verso quell'area nella quale sono destinate a spostarsi le unità produttive delle imprese germaniche.
E allora perché la Bundesbank fa una politica recessiva? Anche questo è scritto nella tradizione: la Germania ha sempre scelto di crescere poco per non essere costretta a importare troppa manodopera straniera. Il patto sociale su cui è nata la Bundesrepublik è in grave crisi. Milioni di slavi premono alle frontiere. Sedici milioni di nuovi tedeschi vanno inseriti in una nuova divisione del lavoro all'interno del Paese riunificato. Qui va cercata la spiegazione della scarsa solidarietà tedesca (e di Bundesbank) con i membri della Cee e dello Sme.


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