§ Momenti pittorici / Ezio Sanapo

Se d'improvviso una luce




Aldo Bello



Mentre scende dalle serre supersanesi - curve decise, macchie di alti fusti - uno fonde nel sole, procede come in una colata al calor bianco e pronostica tele con case e muri abbaglianti, mari intensi, colline con fiori aridi. Ci sono tanti idilli in cornice, nel Sud, da togliere fiato alla Storia. Del resto, il paesaggio di Terra d'Otranto è quello netto e civile che ci viene incontro: perdutamente chiaro, nessun cono d'ombra nella pelle, d'una serena armonia che le perfide periferie spesso neanche scalfiscono. E neanche più, a far contrasto, le donne in nero e gli uomini liofilizzati dall'arsura, come nei consueti clichés d'oltre Eboli. Se questo Sud avesse avuto un Prévert!


Ha avuto, invece, un Bodini. Allora quegli orizzonti trasparenti e quelle case bianche e la gioventù griffata sono la maschera che vela il Sud più autentico, con i suoi morti che tornano a questa terra-limite, a questo confine del mondo: a Finisterre e al suo faro che fruga inutilmente un mare illimite e deserto, e che per essere faro e non metafora soltanto deve declinare l'occhio a quelle ombre vaganti e dargli corpo con la luce.
La luce, appunto. Quella che balugina dalle quinte d'un gran campo bruciato (ed è notte) e che lascia presagire un lunapark: ma lontano, e quasi irragiungibile; o soltanto sognato, là dove culmina il gran campo, alla riva estrema della vita. O quella che d'improvviso va via, e fa buio nella stanza di uomini e donne seduti, e quasi abbracciati in circolo, attorno al tavolo, e così immoti: in silenziosa solidarietà familiare o animale o vicinale, dei diseredati - insomma - e dei deboli, archetipi d'una storia più tragica che grande. O quella degli "esterni", delle vie, delle corti, degli scorci di paese, degli angoli delle case: su toni di colore densi, senza sbavature, di taglio netto, come le vite - le vicende - che sottendono. Quasi marginali. Ecco allora che il contrappunto con la visionarietà del lunapark è nella gente - questa, sì, reale - in attesa di un probabile treno su un binario secondario, da cabotaggio contadino; o su un binario morto, che non potrà portare da nessuna parte: per quelle visibili traversine soltanto essendo state predestinate queste anime gogoliane, per il loro tracciato corto, invalicabile, senza ritorno. E se ironia c'è, in queste tele, è solo "amara", com'è propria di chi sa dominare la materia che plasma. Penso ai parchi pubblici come pretesto per il discorso: alberi tosati in sagome umane, in geometria variabili, e in questo loro snaturamento stagliati nel cielo come paesaggio metafisico visionario e allucinante. Con una rattenuta vena di rivolta (una nuvola d'ira, si potrebbe riecheggiare) che è l'unica traccia umana nel contesto di una stolta ingegneria vegetale.


Sanapo medita a lungo sui temi. Ma non dipinge di getto. Disegna le tele con l'urgenza dell'idea da fermare, dell'istante da fissare, e lì, in quei momenti, dà varco alle sue più profonde emozioni. La sua officina è prima di tutto un luogo di tele abbozzate, di segni intuiti, di disegni precisati. La gratificazione è in questa fase creativa: che è momento d'invenzione essenziale e puro. Ed è anche snodo sofferto del suo messaggio. L'altra fase, quella della resa coloristica, lasciata a tempi meno incalzanti e più distesi, scioglie definitivamente l'ispirazione iniziale e conclude l'intimo e personale viaggio d'ogni quadro. Che tuttavia resta legato a un mondo a suo modo onirico, pur senza mai staccarsi dalla realtà che condiziona e vincola gli uomini e le loro storie. Può sembrare, questa, una contraddizione. Ma tale non è, o può non essere: perché se per queste vite da tre soldi, in fondo al loro tunnel, d'improvviso balugina una luce...


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